L'Ottocento: astronomia. La scoperta di Nettuno e il problema del perielio di Mercurio
La scoperta di Nettuno e il problema del perielio di Mercurio
Nel marzo del 1781, William Herschel scoprì casualmente Urano, il primo oggetto celeste a essere riconosciuto come nuovo pianeta del Sistema solare. Questa scoperta giunse del tutto inaspettata scardinando quella credenza condivisa da molti astronomi ‒ forse dalla stragrande maggioranza ‒ secondo la quale nuovi pianeti non sarebbero mai stati trovati. Le osservazioni del moto anomalo di Urano e la ricerca di una spiegazione di tale fenomeno avrebbero portato inoltre, nel 1846, direttamente alla scoperta dell'ottavo pianeta, Nettuno. Salutata come una delle più grandi e sensazionali conquiste della scienza del XIX sec., per i contemporanei tale evento confermò, al di là di ogni dubbio, la correttezza della legge di gravitazione di Newton.
Fu l'astronomo teorico francese Urbain-Jean-Joseph Le Verrier (1811-1877) che, servendosi dello strumento matematico, giunse alla scoperta di Nettuno. Questi fu anche coinvolto in quello che oggi appare come uno dei grandi errori della scienza ottocentesca, ossia la supposta esistenza di un pianeta ‒ o forse di una serie di piccoli pianeti o asteroidi ‒ all'interno dell'orbita di Mercurio, esistenza ritenuta responsabile delle irregolarità ‒ assai piccole, ma comunque misurabili ‒ del moto dell'orbita del pianeta.
Anche se vi furono alcuni astronomi che affermarono di aver intravisto il pianeta ipotizzato ‒ al quale fu dato il nome di Vulcano ‒ il suo avvistamento, a differenza di quello di Nettuno, non trovò conferma e così esso scivolò nel regno dei miti dell'astronomia. Di fatto, fu solamente con lo sviluppo da parte di Albert Einstein della teoria della relatività generale che finalmente gli astronomi e i fisici riuscirono a trovare una spiegazione comune dei moti di Mercurio contribuendo al superamento della teoria newtoniana in favore della relatività generale.
Nel 1832, George B. Airy lesse alla British Association for the Advancement of Science un rapporto sui progressi compiuti dall'astronomia nel XIX secolo. Airy menzionò il problema del moto di Urano e riferì che ricerche svolte immediatamente dopo la scoperta del pianeta sulle osservazioni astronomiche disponibili avevano rivelato l'esistenza di diciassette precedenti avvistamenti. Le osservazioni compiute prima e dopo il 1781, spiegò Airy, non concordavano affatto tra loro e non esisteva alcuna orbita ellittica che fosse in grado di rappresentare adeguatamente tanto le vecchie quanto le nuove osservazioni. Inoltre, l'effettiva posizione di Urano nel cielo differiva di quasi mezzo minuto di arco dalle posizioni previste dalle tavole allora in circolazione: un valore davvero troppo alto per poter essere attribuito a errori di misurazione. L'astronomo inglese concluse il suo rapporto esponendo aspetti del problema che, a suo avviso, meritavano uno studio ulteriore e aggiunse: "Non occorre che dica che vi sono altri campi di indagine (la teoria di Urano, per esempio) per i quali è noto che esistono difficoltà, ma non siamo in possesso di alcun indizio su una loro possibile soluzione" (Airy 1833b, p. 189).
Intorno alla metà del XIX sec., l'astronomia era considerata una sorta di scienza modello. Essa era perlopiù un'astronomia di posizione. L'obiettivo principale degli astronomi, infatti, era fissare nel modo più accurato possibile le coordinate dei corpi celesti e di interpretarne il moto in termini di leggi generali espresse in forma matematica esatta, in particolare in termini di gravitazione newtoniana; le stelle, generalmente, attiravano qualche interesse solamente in quanto rappresentavano lo sfondo sul quale era possibile seguire il moto degli oggetti del Sistema solare. Per questo motivo le deviazioni del pianeta più lontano costituivano una preoccupante anomalia nel cuore stesso dell'astronomia e la loro entità era tale da rendere molto pressante l'esigenza di trovare una spiegazione efficace per un comportamento così irregolare.
All'inizio degli anni Quaranta sembrava che la scelta degli astronomi si fosse ristretta a due possibilità: o la forza di gravità, all'enorme distanza alla quale si trovava Urano, si comportava in maniera inaspettata, oppure esisteva un pianeta al di là di Urano che era causa di perturbazioni. Sebbene esistesse una tradizione che metteva in dubbio la correttezza della legge newtoniana dell'inverso del quadrato della distanza e tentava persino di correggerla, in quel periodo era ormai largamente accettato che la teoria di Newton potesse dar conto anche di qualunque presunta irregolarità osservata nelle orbite dei pianeti e dei loro satelliti. Nel 1842, per esempio, Airy affermò ancora una volta che la teoria ondulatoria della luce "è presentata al lettore come una teoria che merita la stessa considerazione della teoria della gravitazione: vale a dire, essa è certamente vera" (Airy 1826 [1842, pp. V-VI]). Alla grande maggioranza degli astronomi, forse alla quasi totalità di essi, la teoria newtoniana appariva come l'inconfutabile e perfetto sistema del mondo. Fu per questo motivo che l'ipotesi più accreditata per spiegare il moto di Urano fu che un pianeta più esterno ne perturbasse l'orbita.
All'inizio degli anni Quaranta, dunque, il moto di Urano costituiva per gli astronomi uno dei problemi più importanti da risolvere. La strada per verificare se le deviazioni del pianeta fossero dovute a un oggetto più distante, tuttavia, era resa impervia dalla novità della tecnica matematica richiesta. Non era chiaro, infatti, come si potesse calcolare la posizione di un pianeta perturbatore. Gli astronomi avevano familiarità con il problema classico delle perturbazioni: calcolare gli effetti che un insieme di corpi noti ha su un corpo dato. Nell'analizzare il moto di Urano, però, essi si trovavano di fronte al problema nuovo delle perturbazioni inverse: descrivere prima le irregolarità nell'orbita di Urano, per poi dedurre la massa e gli elementi orbitali del pianeta perturbatore ignoto. La novità dell'approccio, infatti, è fondamentale per comprendere l'iniziale scetticismo con cui furono accolte le ricerche dei due astronomi che, in seguito, sarebbero stati riconosciuti come coloro che scoprirono Nettuno con strumenti matematici: il britannico John C. Adams (1819-1892) e, come si è già detto, Le Verrier.
Adams iniziò gli studi nel 1839 presso il St. John's College di Cambridge, dove si laureò nel 1843 come miglior matematico del suo anno. Fu però il caso a spingere Adams a occuparsi del problema dell'orbita irregolare di Urano. Il 26 giugno del 1841, mentre si trovava nella libreria Johnson a Cambridge, egli, all'epoca uno studente di ventidue anni, vide una copia del Report on the progress of astronomy di Airy. Una settimana dopo annotò nel suo diario che, non appena avesse conseguito la laurea, si sarebbe messo a indagare le irregolarità del moto di Urano con l'intento specifico di valutare se queste potessero rivelare l'esistenza e gli elementi orbitali di un pianeta perturbatore; in tal modo sarebbe giunto con ogni probabilità alla sua scoperta.
Dopo essere stato nominato fellow del St. John's College, Adams cominciò a concentrarsi su Urano, poiché, come avrebbe scritto a D.J. Thomson il 26 novembre 1846, egli era "convinto, in questo come in tutti i precedenti casi del genere, che il disaccordo che per un certo periodo di tempo aveva messo in dubbio la verità della legge [di gravitazione newtoniana] avrebbe finito per fornirne la conferma più brillante" (Adams papers, box 17).
Adams illustrò lo studio che si proponeva di effettuare a James Challis (1803-1882), successore di Airy sulla cattedra di astronomia, istituita a Cambridge da Thomas Plume nel 1704, nonché direttore dell'osservatorio di quella università. Challis prestò ad Adams alcuni libri e gli promise il suo appoggio. Durante le vacanze estive del 1843, Adams cominciò a lavorare intensamente ai suoi calcoli e nel mese di ottobre riuscì a ottenere un risultato approssimato, basato sull'assunzione che il pianeta ignoto avesse un'orbita circolare di raggio doppio rispetto alla distanza media di Urano dal Sole (quest'ultima ipotesi derivava dalla cosiddetta 'legge di Bode', una relazione empirica che forniva le distanze dal Sole delle orbite dei pianeti).
Nel febbraio del 1844, tramite Challis, Adams richiese ad Airy ‒ che intanto era divenuto astronomo reale britannico e direttore dell'Osservatorio reale di Greenwich ‒ ulteriori dati riguardanti Urano. Airy inviò prontamente i risultati delle osservazioni del pianeta effettuate a Greenwich tra il 1754 e il 1830 e Adams iniziò la ricerca di una nuova, più precisa soluzione. Nel settembre del 1845, confidando nella validità del proprio lavoro, sottopose a Challis i risultati sugli elementi che definivano l'orbita dell'ipotetico pianeta, insieme alla previsione della posizione che esso avrebbe assunto il 30 settembre.
Prima dell'osservazione diretta del nuovo pianeta, Adams non pubblicò alcunché sui propri calcoli, né vi fu alcun annuncio pubblico delle sue analisi. Come avrebbe ricordato più tardi, egli fece questa scelta perché voleva che "tutto il merito della scoperta andasse a questa nazione"; tuttavia, dal momento che egli fece tale affermazione quarant'anni dopo e senza fornire alcun documento di prova, è difficile giudicare quanto i suoi ricordi fossero attendibili. Contro questa ricostruzione depone inoltre il fatto che in realtà (come risulta da una lettera inviata ad Airy) Adams aveva preparato un articolo sulle sue ricerche per il convegno della British Association for the Advancement of Science tenutosi all'inizio di settembre del 1846, dove non fu in grado di presentarlo essendo arrivato con un giorno di ritardo.
Airy fu informato per la prima volta nel settembre del 1845 della previsione di Adams circa la posizione che avrebbe assunto il nuovo pianeta, grazie a una nota inviatagli da Challis. Adams si recò di persona a Greenwich in settembre, ma Airy era in Francia. Al suo ritorno, quest'ultimo riferì a Challis che avrebbe "ricevuto volentieri notizie" per lettera, da parte di Adams stesso, sulle sue indagini. Verso la fine di ottobre, Adams visitò di nuovo l'Osservatorio reale, proprio per parlare con Airy, ma non riuscì a incontrarlo nei due tentativi che fece quel giorno; tuttavia gli lasciò un manoscritto in cui esponeva i suoi risultati, compresa una previsione della posizione in cui avrebbe dovuto trovarsi il pianeta. Pur nutrendo qualche dubbio, Airy era sufficientemente interessato alle ricerche di Adams da scrivergli una lettera in cui gli chiedeva se fosse in grado di spiegare sia le variazioni della distanza di Urano dal Sole ‒ cioè del suo raggio vettore ‒ sia gli spostamenti anomali della sua longitudine. Adams però non rispose: forse, come raccontò molto tempo dopo, pensava che la risposta alla domanda fosse scontata. Quali che fossero le ragioni, la situazione restò immutata, almeno in Inghilterra, per diversi mesi.
Nel giugno del 1846 l'atteggiamento scettico di Airy ‒ senza dubbio motivato da ragionevoli fondamenti scientifici ‒ subì un mutamento radicale in seguito alla lettura di un lavoro di Le Verrier pubblicato in quello stesso anno, le Recherches sur les mouvements d'Uranus. Sebbene l'astronomo francese dovesse ancora precisare la serie completa degli elementi necessari per determinare l'orbita del pianeta, previde una posizione molto vicina a quella calcolata da Adams: Le Verrier infatti aveva previsto che il 1º gennaio 1847 la posizione più probabile del pianeta sarebbe stata a 325° di longitudine, con un errore che difficilmente avrebbe raggiunto i 10°. Se una singola previsione poteva forse essere ignorata, certamente non potevano esserlo due dai risultati così simili.
Le Verrier, che aveva iniziato la sua carriera scientifica come chimico ma che in quel periodo ricopriva l'incarico di 'ripetitore' di astronomia all'École Polytechnique, aveva affrontato per la prima volta il problema del moto di Urano nell'estate del 1845 e nel novembre di quello stesso anno aveva presentato all'Académie des Sciences di Parigi la sua prima memoria dedicata al pianeta, nella quale si sosteneva che le tavole della posizione di Urano allora in vigore contenevano numerosi errori. L'esame rigoroso dei moti di quel pianeta lo aveva però poi convinto dell'esistenza di una forza sconosciuta, che esercitava su Urano un'azione perturbatrice il cui effetto era quello di allontanarlo dall'orbita prevista.
Nella sua seconda memoria dedicata al moto di Urano e pubblicata sempre nel 1846, Sur la planète qui produit les anomalies, Le Verrier analizzò quelle che riteneva possibili forze perturbatrici. Avrebbe potuto darsi, per esempio, che a influenzare il comportamento di Urano fosse un satellite di quel pianeta, di dimensioni particolarmente grandi e non ancora individuato. Egli, però, giunse alla conclusione che una sola ipotesi avrebbe potuto spiegare in maniera convincente il moto di Urano, e cioè che le perturbazioni fossero causate da un pianeta che si fosse trovato al di là di Urano stesso. Cercò quindi, così come in precedenza aveva fatto Adams, di prevedere una posizione per il corpo celeste non ancora osservato del Sistema solare. Nel giugno del 1846 lo scettico Airy, con le previsioni di Le Verrier e di Adams a disposizione, si era finalmente persuaso. In una lettera a William Whewell del 25 giugno 1846, egli discuteva il comportamento irregolare di Urano:
Le discrepanze stanno aumentando. […] Ormai da tempo le opinioni della gente si sono orientate verso gli effetti di un pianeta esterno, sul quale esistono due eccellenti serie di calcoli. Una è di Adams del St. John's (che mi è pervenuta per prima in forma di manoscritto), l'altra è di Le Verrier e si trova nei Comptes rendus del 1° giugno 1846 che, unitamente a un loro precedente numero, vi raccomando fortemente di consultare. Entrambi sono giunti allo stesso risultato, vale a dire che l'attuale longitudine del suddetto perturbatore deve essere intorno ai 325° [longitudine geocentrica]. (Whewell papers, O.15.48)
Airy, dalla stesura di questa lettera, elaborò in poche settimane un piano di ricerca, dopo aver avuto uno scambio epistolare con Le Verrier a proposito dell'articolo dei "Comptes rendus" del 1° giugno 1846. L'astronomo francese spiegò che, se Airy avesse riposto abbastanza fiducia nel suo lavoro fino al punto di dare inizio a una ricerca sperimentale, allora egli si sarebbe affrettato a comunicargli la posizione esatta del pianeta non appena avesse completato alcuni ulteriori calcoli.
Airy, per ragioni sulle quali gli storici ancora dibattono, non avviò la ricerca del nuovo pianeta presso l'Osservatorio di Greenwich, dove erano disponibili vari telescopi, ma il 9 luglio, poco dopo aver ricevuto la lettera di Le Verrier del 28 giugno, scrisse in tono pressante a Challis, il quale si trovava a Cambridge, sollecitandolo a intraprendere la 'caccia' al pianeta:
Voi siete a conoscenza dell'importanza che io attribuisco all'esplorazione di quella parte dei cieli nella quale c'è una sia pur minima ragione di sospettare l'esistenza di un pianeta esterno a Urano. Ho pensato al modo in cui effettuare tale esplorazione, ma sono convinto (per varie ragioni che dipendono dalla declinazione, dalla latitudine del luogo, dalla tenuità della luce e dalla regolarità del controllo) che non vi sia alcuna speranza di realizzarla con qualche possibilità di successo se non utilizzando il telescopio Northumberland [del Cambridge Observatory]. […] Il momento per effettuare il suddetto esame si sta avvicinando. (Cambridge Observatory Archives)
Quattro giorni dopo, Airy inviò a Challis uno scritto dal titolo Account of some circumstances historically connected with the discovery of the planet exterior to Uranus, nel quale esponeva il tipo di lavoro che probabilmente sarebbe stato necessario nella ricerca del pianeta: "A mio avviso ‒ sostenne Airy ‒ l'importanza di questa indagine supera quella di tutti gli altri attuali lavori, nessuno dei quali è di natura tale che andrebbe completamente perduto se fosse rimandato" (Airy 1846, p. 136). Evidentemente egli era consapevole del fatto che entro sei settimane il presunto pianeta si sarebbe trovato in opposizione, il punto migliore per essere osservato; indugiare nel dare inizio alla sua ricerca avrebbe potuto compromettere per un certo periodo di tempo la possibilità di individuarlo. Nonostante il pesante carico di lavoro che affliggeva Challis e il suo scetticismo circa le possibilità di successo dell'impresa ‒ scetticismo motivato dai dubbi sull'esattezza delle analisi matematiche che ne erano alla base ‒, l'insistenza di Airy fu ripagata: alla fine Challis ammorbidì la propria posizione e il 29 luglio cominciò la ricerca.
Prima delle indagini di Adams e Le Verrier, era largamente accettato il fatto che il pianeta, se di un pianeta si trattava, sarebbe apparso poco luminoso. Adams, tuttavia, aveva assicurato a Challis che non sarebbe stato meno luminoso di una stella di nona grandezza. È anche verosimile che né Airy né Challis avessero compreso in tempo che il nuovo pianeta si sarebbe manifestato come un disco luminoso. Il loro piano, invece, si basava interamente sull'individuazione degli spostamenti del pianeta rispetto allo sfondo stellato, in base all'esplorazione sistematica di una zona del cielo lunga circa 30° nella direzione dell'eclittica e larga 10°, al cui centro doveva trovarsi la posizione teorica del pianeta. Challis voleva tracciare, in tempi diversi, tre carte di tutte le stelle ‒ fino all'undicesima grandezza ‒ presenti nella zona e quindi confrontare le loro posizioni. In questo modo la presenza di un eventuale pianeta sarebbe stata rivelata dal suo moto rispetto alle stelle fisse, come lo stesso Challis descrive, nel 1847, in An account of observations undertaken in search of the planet discovered at Berlin on September 23, 1846.
Le Verrier nel frattempo era sempre più deluso dallo scarso interesse verso la ricerca del pianeta da lui ipotizzato. Un'indagine fu avviata presso l'Observatoire di Parigi, ma si trattò di una iniziativa di breve durata che non ebbe successo. Il 18 settembre, Le Verrier cercò nuovamente aiuto fuori Parigi e a tale scopo scrisse a Johann Gottfried Galle (1812-1910), un assistente dell'Osservatorio di Berlino:
Proprio ora [specificò tra le altre cose] vorrei trovare un osservatore tenace che fosse disposto a dedicare un po' di tempo a esaminare una zona del cielo nella quale potrebbe trovarsi un pianeta da scoprire. È la teoria di Urano che mi ha portato a questa conclusione. […] Vedrete, signore, come io dimostri che è impossibile dar conto delle osservazioni di Urano senza introdurre l'azione di un nuovo pianeta, ancora sconosciuto; e la cosa straordinaria è che esiste una sola posizione nell'eclittica nella quale può essere situato questo pianeta perturbatore. […] Inoltre, la massa del pianeta ci permette di concludere che il suo diametro apparente è maggiore di 3″ di arco. Un tale disco è perfettamente distinguibile, con una buona lente [telescopio], dai diametri stellari spuri causati, per le stelle, da varie aberrazioni. (in Grosser 1962, p. 115)
Quando, il 23 settembre, ricevette questo appello, Galle chiese al direttore dell'Osservatorio di Berlino, Johann Franz Encke, di consentirgli di cercare il pianeta previsto da Le Verrier. Dopo qualche discussione, Encke acconsentì. Galle venne affiancato da un giovane astronomo francese, Heinrich Louis d'Arrest (1822-1875), e quella sera stessa diede inizio alla ricerca.
In un primo momento Galle puntò il suo telescopio direttamente verso la posizione calcolata da Le Verrier per l'ipotetico pianeta. Dato che ciò non rivelò alcunché di sospetto, Galle e d'Arrest ricorsero a una delle carte stellari della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino, allo scopo di cercare un oggetto che fosse situato nelle vicinanze della posizione calcolata da Le Verrier e che non si trovasse sulla carta. In un lasso di tempo straordinariamente breve, Galle e d'Arrest individuarono una 'stella' che non era segnata sulla carta. Emozionati, sebbene non ancora sicuri che si trattasse di un pianeta, la notte successiva i due astronomi effettuarono ulteriori osservazioni; verificarono lo spostamento compiuto dall'oggetto da una notte all'altra e, infine, dichiararono che si trattava di un pianeta. Sebbene Le Verrier desiderasse fortemente che il pianeta portasse il suo nome, esso fu ribattezzato Nettuno. Il pianeta era stato trovato a meno di un grado dalla posizione prevista da Le Verrier: per l'astronomia teorica si trattava davvero di un trionfo straordinario.
Mentre a Berlino si assisteva a questi fatti sensazionali, Challis continuava metodicamente la sua 'caccia' a Cambridge. Il 12 agosto osservò una 'stella' che sarebbe poi risultata essere Nettuno. In effetti, quando ebbe notizia della scoperta di Galle egli aveva già registrato la posizione di oltre tremila stelle. Nel verificare queste posizioni, Challis aveva notato che la stella numero 49 nella serie del 12 agosto non era presente nella serie della stessa zona di cielo osservata il 30 luglio (la seconda notte della ricerca): questa 'stella' era Nettuno, che, infatti, era entrato in quella zona tra il 30 luglio e il 12 agosto. Dopo un ulteriore controllo, Challis scoprì che l'aveva osservata anche il 4 agosto. Ciononostante, si mise a controllare i propri registri con la convinzione che una delle 'stelle' potesse essere in effetti un pianeta soltanto dopo la scoperta di Nettuno; il 12 dicembre 1846 annotava: "Ho perso l'opportunità di annunciare la scoperta [ammise in seguito] rinviando la discussione delle osservazioni, poiché ero molto più occupato con le riduzioni di alcune osservazioni di comete ed ero poco convinto che le indicazioni della teoria fossero sufficientemente accurate da permettere, in così poco tempo, la scoperta" (in Adams 1896-1900, I, pp. XLIX-LIV).
A rendere ancora più ironica la situazione vi è il fatto che, sebbene la particolare carta utilizzata da Galle e da d'Arrest fosse arrivata a Cambridge dopo il settembre del 1846, nell'estate di quell'anno una carta stellare adatta a localizzare il pianeta, esattamente come avevano fatto Galle e d'Arrest, era a disposizione di Challis a Cambridge. Durante le prime due notti della ricerca di Challis e nei tre mesi precedenti, infatti, sia la posizione prevista teoricamente da Adams sia la vera posizione del pianeta cadevano in un'area del cielo descritta da una carta stellare dell'Accademia di Berlino, conservata nella biblioteca dell'Università di Cambridge, che Challis aveva persino consultato in precedenza.
Del resto, non fu Challis l'unico a fallire nella ricerca del pianeta. Nella caccia si era impegnato anche un altro astronomo britannico, John Russel Hind (1823-1895), che era stato per un certo periodo assistente presso il Magnetic and Meteorological Departement dell'Osservatorio di Greenwich, ma che, nel 1846, dirigeva un osservatorio privato situato in Regent's Park a Londra. Qui egli poteva impiegare un rifrattore Dollond da 7 pollici (17,78 cm) per esplorare il cielo. Il 16 settembre (una settimana prima che si verificasse quella che presto sarebbe stata considerata come la scoperta effettiva), Hind, che era bene informato sugli sviluppi che avvenivano nel Continente, aveva detto a Challis di aver ricevuto una lettera di Hervé-Auguste Faye (1814-1902; un assistente dell'Observatoire di Parigi) a proposito del pianeta di Le Verrier. Hind ricordò che pochi giorni prima aveva comunicato a Faye che lui e Challis stavano cercando di individuare il pianeta; Faye gli aveva allora fatto notare che all'osservatorio parigino la stessa indagine era stata compiuta per breve tempo, ma prima del 12 agosto era stata abbandonata. Faye, comunque, era ancora interessato alla caccia e, per giunta, aveva già letto il lavoro pubblicato da Le Verrier sui "Comptes rendus" del 31 agosto, nel quale l'astronomo francese sosteneva che bisognava cercare un disco planetario invece di perdere tempo con un lungo esame del movimento di una delle 'stelle' che si trovavano vicino alla posizione prevista per il pianeta.
Nonostante le pressanti sollecitazioni di Hind, Challis si decise a cercare un disco soltanto dopo aver letto personalmente le parole contenute nell'articolo di Le Verrier. Una copia di questo lavoro non giunse a Challis prima del 29 settembre. La sera stessa, la prima in cui iniziò a cercare un disco, egli trovò un 'candidato' che in effetti si sarebbe rivelato essere Nettuno, ma ciò avvenne con sei giorni di ritardo. Si può immaginare con quali sentimenti, il giorno successivo, Challis abbia accolto la lettera di Hind che gli comunicava l'importante notizia della scoperta ‒ "Il pianeta di Le Verrier è stato scoperto" ‒ e il cui post scriptum recitava: "Le nostre ricerche diventano ormai inutili".
Le Verrier fu letteralmente sommerso di elogi. Encke, da Berlino, il 28 setttembre 1846 per esempio gli scrisse: "Signore, permettetemi di farvi le mie più sincere congratulazioni per la brillante scoperta con la quale avete arricchito l'astronomia. Il vostro nome sarà per sempre legato alla più superba dimostrazione che si possa immaginare della validità della gravitazione universale e credo che queste parole riassumano tutta l'ambizione che uno scienziato possa desiderare" (in Grosser 1962, p. 119).
Le Verrier aveva pubblicato i suoi risultati prima della scoperta e le sue ricerche erano ben note. Le indagini di Adams, al contrario, non erano state pubblicate e così, quando alcuni scienziati britannici ‒ tra i quali, per esempio, John Herschel (1792-1871) ‒ affermarono che il merito della scoperta spettava anche ad Adams, in Francia la reazione generale fu di sorpresa e di risentimento. Ne derivò una velenosa disputa sulla priorità e di conseguenza sul merito della scoperta di Nettuno, e nell'ottobre del 1846 il direttore dell'Observatoire di Parigi, Dominique-François Arago, affermò sdegnato: "Il signor Adams non ha alcun diritto a comparire nella storia della scoperta del pianeta Le Verrier con una citazione dettagliata e nemmeno con una vaga allusione. Agli occhi di tutti gli uomini imparziali, questa scoperta rimarrà come uno dei più bei trionfi dell'astronomia teorica, una delle glorie dell'Académie [des Sciences] e uno dei meriti che assicurerà con più generosità alla nostra nazione la gratitudine e l'ammirazione dei posteri" (ibidem, p. 133).
Almeno all'inizio, anche molti fellows della British Royal Astronomical Society si schierarono fermamente dalla parte di Le Verrier contro Adams. Si trattava in gran parte di una reazione all'apparente segretezza che circondava le ricerche di quest'ultimo: molti membri della società avevano infatti adottato un atteggiamento ostile ad Adams ancor prima di aver ascoltato la sua versione dei fatti. In una lettera, un illustre astronomo britannico riferiva a un collega tedesco che per quel che riguardava il
sentimento nazionale (che, per inciso, significa troppo spesso ingiustizia nazionale), per quanto ne so io, non ve ne è affatto tra gli astronomi britannici. Al momento, in Inghilterra si eccede nell'altro senso e, sebbene tra i due eccessi io preferisca quest'ultimo, trovo tuttavia che anch'esso sia irritante. Vi assicuro che se uno provasse a segnalare il fatto che il signor Adams aveva dedotto gli elementi e la posizione del pianeta nell'ottobre del 1845, difficilmente qualcuno lo starebbe a sentire. […] Grazie a Struve e a Biot, ecc., i nostri anti-Adamiti sono più tranquilli e, siccome non c'è mai stata alcuna opposizione a Le Verrier, al momento siamo del tutto soddisfatti. (Sheepshanks a Schumacher, 7 aprile 1847, in Adams 1896-1900, I, p. XXXI)
Nelle discussioni, spesso astiose, su quali eventi costituissero la scoperta telescopica e quella teorica e su chi dovesse esserne considerato autore, una delle figure chiave fu Herschel, all'epoca uno degli scienziati più famosi del mondo. Il 29 giugno del 1846 egli aveva partecipato a un incontro del consiglio dei visitors dell'Osservatorio di Greenwich e lì aveva appreso delle analisi di Adams. Sembra che Herschel ‒ il quale aveva definito l'astronomia la "più perfetta delle scienze" e la legge di gravità come "la verità più universale a cui la ragione umana sia mai arrivata" (Herschel 1831, pp. 60, 92) ‒ non avesse mai avuto dubbi sulle possibilità di scoprire un pianeta. In effetti, il 10 settembre, in alcune note rivolte alla British Association for the Advancement of Science ‒ poi pubblicate nell'articolo Le Verrier's planet ‒ Herschel annunciò: "Noi vediamo [il pianeta postulato] come Colombo vide l'America dalle coste della Spagna. Abbiamo percepito i suoi movimenti, vibranti nella nostra fruttuosa analisi, con una certezza difficilmente inferiore a quella di una conferma visiva diretta" (Herschel 1846, p. 1019).
Dopo la scoperta ottica di Nettuno, Herschel scrisse alla rivista "The Athenaeum" per portare all'attenzione pubblica le ricerche di Adams. Egli venne attaccato in articoli apparsi su riviste da scienziati francesi adirati i quali, dato l'evidente carattere privato dei risultati di Adams, considerarono ingiustificate le affermazioni di Herschel in favore di quest'ultimo. Herschel cercò di mitigare i toni della diatriba che aveva contribuito a far divampare, anche perché riteneva che i Francesi meritassero ampiamente l'attribuzione della scoperta, dal momento che erano stati loro a fornire gli strumenti matematici per calcolare le perturbazioni planetarie. A suo avviso, le analisi di Le Verrier, che aveva riesaminato con attenzione i moti di Urano, erano più complete di quelle di Adams, come confidava alla fine del 1846 in una lettera a R. Jones.
È un affare tutto francese, da cima a fondo; Clairaut, d'Alembert, Laplace, Lagrange e più di recente Poisson e Pontécoulant per l'analisi e Bouvard per le tavole [delle posizioni dei pianeti] che, anche se non erano del tutto esatte, lo erano abbastanza da sollevare un tale clamore. Il nuovo pianeta è il pianeta di Laplace quanto lo è di Le Verrier o di Adams. […] Chi, se non i Francesi, ha creato tutte le formule con le quali entrambi hanno catturato il pianeta? (Herschel papers, HS.22.295)
L'animosità dei Francesi si placò solamente quando la Royal Society di Londra assegnò a Le Verrier la medaglia Copley, una delle onorificenze più prestigiose di quell'antica accademia. Questa azione fu tuttavia, almeno in parte, una manovra politica volta ad arginare l'ondata delle critiche francesi, compresi i violenti attacchi da parte di Arago e dello stesso Le Verrier. Come riportò la rivista "The Athenaeum" il 21 novembre 1846 questa "azione sollecita da parte di un organismo non certo famoso per la rapidità con cui distribuisce onorificenze contribuirà molto a rimuovere dalle menti degli scienziati francesi il sospetto che, da parte inglese, vi sia stata gelosia o disonestà scientifica ‒ e a zittire quei giornalisti francesi che in maniera così oltraggiosa lo hanno pensato" (Our weekly gossip, pp. 1190-1191).
In ogni caso, la controversia perse la sua asprezza dopo il 1847, quando Herschel, al termine di un convegno della British Association for the Advancement of Science, invitò a casa sua sia Adams sia Le Verrier: i due manifestarono reciproca simpatia, divennero amici e finirono per essere considerati come i due scopritori di Nettuno. Inoltre, i difensori di Adams e Le Verrier dovevano ora affilare le armi per fronteggiare un nuovo comune nemico che stava comparendo all'orizzonte, ossia l'astronomo americano Benjamin Peirce (1809-1880) il quale sosteneva che la scoperta di Nettuno era stata soltanto un 'caso fortunato'.
Negli Stati Uniti la scoperta di Nettuno suscitò l'interesse sia del pubblico sia degli scienziati e a essa fece seguito un'ondata di calcoli dell'orbita del pianeta che vide coinvolti anche alcuni astronomi di quel paese. All'inizio di novembre del 1846, il tenente Matthew Fontaine Maury, sovrintendente dell'Osservatorio nazionale di Washington D.C., affidò l'incarico di calcolare l'orbita del nuovo pianeta a Sears Cook Walker (1805-1853), uno dei principali astronomi americani. Di fatto, la ricerca di Walker fu il primo importante studio matematico su Nettuno svolto nel nuovo mondo, ma con essa furono piantati anche i semi della futura controversia.
Walker si dedicò subito al calcolo rigoroso degli elementi circolari dell'orbita del pianeta. I risultati dei suoi ElementsI, completati il 28 dicembre del 1846, assegnavano all'orbita di Nettuno un raggio medio di 29,93995 UA e un periodo di 163,8259 anni tropici. Utilizzando gli ElementsI, Walker calcolò quindi con precisione le effemeridi del pianeta per tutti i giorni compresi tra il 1° agosto 1846 e il 1° febbraio 1847. Confrontandole con tutte le osservazioni europee e americane allora disponibili (più di cento), Walker stabilì che l'orbita di Nettuno si discostava leggermente, ma non in modo trascurabile, da una circonferenza; scartata l'ipotesi che l'orbita fosse circolare, assunse che il raggio vettore restasse costante solamente durante l'intervallo osservato e calcolò i suoi Elements II. Secondo il nuovo insieme di elementi, l'orbita di Nettuno possedeva un raggio medio di 30,200585 UA, un periodo di 165,9703 anni tropici e un'eccentricità di valore sconosciuto. Questi risultati furono poi pubblicati nel 1851 con il titolo Researches relative to the planet Neptune negli "Smithsonian contributions to knowledge".
Walker effettuò questi calcoli nel gennaio del 1847, mentre era in congedo per partecipare ai funerali di suo fratello. Egli concluse allora che avrebbe potuto migliorare i suoi Elements II solo se fosse riuscito ad ampliare l'intervallo di tempo dei dati osservativi cercando un catalogo più antico in cui Nettuno fosse stato registrato. Al suo ritorno a Washington, agli inizi di febbraio, Walker esaminò una serie di vecchi cataloghi e giunse alla conclusione che soltanto la famosa Histoire céleste française (1801) di Joseph-Jérôme Le Français de Lalande offriva buone probabilità di successo. Determinò poi che Lalande poteva aver osservato inconsapevolmente Nettuno durante due notti: quelle dell'8 e del 10 maggio 1795. Dai suoi Elements II calcolò la posizione di Nettuno il 10 maggio e individuò nel catalogo di Lalande nove stelle in un intorno di 15 minuti di arco da tale posizione. Fra queste stelle, sei erano state successivamente catalogate da Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846) e perciò Walker le escluse subito; per le rimanenti tre stelle egli concluse che una era troppo poco luminosa per essere scambiata per il pianeta e un'altra era troppo lontana dalla posizione calcolata, sicché rimaneva soltanto una 'stella' che avrebbe potuto essere il pianeta Nettuno.
Walker giunse a questo risultato la sera del 2 febbraio 1847. Il compito successivo fu quello di verificare, tramite l'osservazione, se la 'stella' fosse o no ancora al suo posto. Sfortunatamente quella notte era nuvolosa, ma due giorni dopo il cielo si schiarì e la sera del 4 febbraio Joseph Hubbard, un collega di Walker all'Osservatorio navale, iniziò le osservazioni telescopiche e scoprì che in effetti la stella di Lalande non era più visibile. Walker si dedicò immediatamente al calcolo di un nuovo insieme di elementi, basato sull'ipotesi che Lalande avesse osservato Nettuno il 10 maggio 1795. Gli Elements III di Walker, portati a termine il 6 febbraio 1847, indicavano una distanza media di 30,25042 UA, un periodo di 166,38134 anni tropici e un'eccentricità di 0,0088407. Essi, pertanto, confermavano completamente il periodo degli Elements II e fissavano un piccolo valore per l'eccentricità di Nettuno.
Lo stesso giorno in cui ricevette i risultati di Walker, Le Verrier apprese che anche Adolf Cornelius Petersen (1804-1854), dell'Osservatorio di Altona in Germania, aveva scoperto la probabile osservazione di Nettuno del 10 maggio 1795 di Lalande. Petersen, tuttavia, aveva affrontato il problema in modo diverso da Walker e più di un mese dopo. Dal 17 marzo, Petersen aveva confrontato le osservazioni di Lalande con l'osservazione diretta del cielo e aveva notato che tre stelle non erano più visibili. Due di questi casi, concluse Petersen, erano dovuti a errori tipografici, mentre rimaneva senza spiegazione la scomparsa della terza stella. Servendosi degli elementi circolari ottenuti da Galle, Petersen calcolò quale dovesse essere la posizione di Nettuno all'epoca di questa osservazione e trovò che essa concordava esattamente con la posizione della stella mancante di Lalande.
Le Verrier presentò i risultati di Walker e le indagini svolte indipendentemente da Petersen all'Académie des Sciences il 29 marzo 1847. Nel discutere degli Elements III di Walker, Le Verrier osservò che "la piccola eccentricità che sembrerebbe derivare dai calcoli del signor Walker è incompatibile con la natura delle perturbazioni di Herschel [ossia di Urano]" (Le Verrier 1847, pp. 529-531). In effetti, l'orbita prevista da Walker differiva in modo significativo da quelle calcolate, prima della scoperta osservativa, da Le Verrier e da Adams, come è illustrato nella tab. 1.
La natura della stella mancante di Lalande sulla quale si basavano gli Elements III di Walker era, tuttavia, essa stessa incerta, dal momento che la sua catalogazione nella Histoire céleste era accompagnata dal simbolo due punti (:), che era il modo in cui Lalande indicava un'osservazione dubbia. In generale le ipotesi di Walker e di Petersen non furono accettate come valide fino all'aprile del 1847, quando Félix-Victor Mauvais dell'Observatoire di Parigi esaminò, su suggerimento di Le Verrier, i manoscritti di Lalande e scoprì che questi aveva osservato la 'stella' (Nettuno) sia l'8 sia il 10 maggio, ma, a causa del lieve disaccordo tra le due osservazioni, aveva ritirato la prima e pubblicato come dubbia la seconda. Mauvais e Peirce sostennero entrambi che la differenza tra le due posizioni corrispondeva allo spostamento compiuto da Nettuno in due giorni.
Peirce, un astronomo della Harvard University, aveva inizialmente classificato il nuovo pianeta come "il pianeta di Le Verrier". Il 16 marzo 1847, tuttavia, annunciò pubblicamente di aver mutato opinione. Intervenendo a Boston a un convegno dell'American Academy of Arts and Sciences riferì su tutte le ricerche matematiche svolte da Walker sul pianeta Nettuno, ivi compesa la scoperta della stella mancante di Lalande. Peirce disse che le orbite calcolate da Walker differivano talmente dalle previsioni di Le Verrier e di Adams che era stato costretto a riesaminare il lavoro stesso di Walker. Aveva successivamente verificato la distanza di Nettuno dal Sole, calcolata da Walker e pari a 30 UA, e il conseguente moto angolare. A partire da questi dati soltanto, senza alcun riferimento all'eccentricità dell'orbita di Nettuno, Peirce affermò che "il pianeta Nettuno non è il pianeta verso il quale l'analisi geometrica ha diretto il telescopio; la sua orbita non passa entro le regioni di spazio studiate dai geometri alla ricerca della causa delle irregolarità di Urano; e la sua scoperta da parte di Galle deve essere considerata come un caso fortunato" (Peirce 1847, p. 65).
Le conclusioni di Peirce si basavano in primo luogo sulla critica alle due affermazioni contenute nella soluzione di Le Verrier al problema di Urano, ossia che la distanza media di Nettuno dovesse essere compresa tra 35 e 37 UA, corrispondenti a un periodo che andava da 207 a 233 anni, e che la longitudine media del pianeta il 1° gennaio 1800 dovesse essere stata compresa tra 243° e 252°. Peirce sottolineava il fatto che mentre nessuna delle due affermazioni, presa separatamente, era inconciliabile con le osservazioni di Nettuno effettuate dopo la sua scoperta, combinate insieme esse erano in totale disaccordo con l'osservazione. In altri termini, se si fosse presa come vera la prima affermazione, allora la longitudine media nel 1800 avrebbe dovuto essere stata almeno di 40° distante dai limiti fissati dalla seconda; per contro, se fosse stata vera la seconda affermazione, allora il periodo di rivoluzione di Nettuno avrebbe dovuto essere di circa quarant'anni più breve del limite inferiore fissato dalla prima. Peirce affermava inoltre:
Tuttavia non si deve necessariamente giungere alla conclusione che Nettuno non spieghi le perturbazioni di Urano, dal momento che la sua probabile distanza media, pari a circa 30 [UA], è talmente più piccola dei limiti fissati dalle ricerche precedenti, che queste ultime non consentono di dedurre con sicurezza nulla a proposito di tale distanza. In effetti, in corrispondenza della distanza di 35,3 [UA] si verifica un importante cambiamento nella natura delle perturbazioni; sicché la legge di continuità con la quale tali inferenze sono giustificate subisce una brusca violazione in questo punto, ed è stata quindi una svista del signor Le Verrier quella di estendere il suo limite interno alla distanza di 35 [UA]. (ibidem, p. 66)
In questo brano Peirce richiamava l'attenzione sulla nozione di 'periodi commensurabili', a quel tempo chiamati 'librazioni laplaciane'. Queste risonanze orbitali, ben note negli anni Quaranta, sono comuni nel Sistema solare e si verificano quando il rapporto tra i moti medi di due corpi è molto prossimo a un rapporto tra numeri interi. A una distanza di 35,3 UA, un pianeta dovrebbe avere un periodo di 210 anni, vale a dire due volte e mezzo il periodo di Urano. Tuttavia se i periodi di Urano e di Nettuno stessero esattamente nel rapporto di 2 a 5, sostiene Peirce, "gli effetti della loro reciproca influenza dovrebbero essere caratteristici e complicati, e un valore ancora più vicino a questo rapporto darebbe origine a quelle eccezionali irregolarità nel moto manifestate da Giove e Saturno e che crearono grandi perplessità ai geometri, fino a che non furono ricondotte alla loro origine da Laplace" (ibidem).
Peirce, pertanto, contestò il limite inferiore della distanza di Nettuno dedotto da Le Verrier; subito dopo prese in considerazione un'altra commensurabilità presente negli elementi di Nettuno calcolati da Walker:
La distanza osservata di 30 [UA], che probabilmente non si discosta molto dalla distanza media, appartiene a una regione che in relazione a Urano è anche più interessante di quella a cui appartiene la distanza di 35,3 [UA]. Il tempo di rivoluzione che corrisponde alla distanza media di 30,4 [UA] è di 168 anni tropici, ossia esattamente il doppio dell'anno di Urano, e l'influenza di una massa che compia una rivoluzione in questo intervallo di tempo darebbe origine a irregolarità molto singolari e marcate nei moti di questo pianeta […]. È altamente probabile che, nel caso di Nettuno e di Urano, i loro tempi di rivoluzione non soltanto si avvicinino molto al rapporto di 2 a 1, ma si trovino esattamente in tale rapporto. (ibidem, p. 67)
Peirce proseguiva dando una dimostrazione matematica di quest'ultimo punto e la sua relazione si concludeva prevedendo che, non appena fosse divenuto disponibile un numero maggiore di osservazioni di Nettuno, si sarebbe avuta la conferma che il periodo di questo pianeta era esattamente il doppio di quello di Urano.
Il 4 maggio 1847 Peirce presentò un secondo articolo su Nettuno all'American Academy di Boston. Egli vi sosteneva che il problema delle perturbazioni di Urano, così come era stato considerato da Le Verrier e da Adams, aveva tre soluzioni, una sola delle quali era stata trovata dai due astronomi. Peirce continuò a lavorare al problema: trascurando l'eccentricità dell'orbita di Nettuno e supponendo che il suo periodo fosse due volte quello di Urano, a novembre aveva determinato in prime approssimazioni le perturbazioni di Nettuno causate da altri pianeti; trasmise poi i suoi risultati a Walker, che li utilizzò per derivare da 689 osservazioni di Nettuno, compresi i due avvistamenti di Lalande, i suoi Elliptic elements I.
Le nuove precisazioni sull'orbita di Nettuno furono presentate da Peirce all'American Academy il 7 dicembre 1847. Nello stesso convegno, egli illustrò anche le formule per le perturbazioni della longitudine e del raggio vettore di Nettuno, così come risultavano dalla sua seconda approssimazione della teoria, basata sugli Elliptic elements I di Walker. A sua volta, Walker, utilizzando la seconda approssimazione di Peirce per le perturbazioni di Nettuno e alcune osservazioni ancora successive, presentò un nuovo insieme di elementi. Il 6 marzo 1848, Walker inviò gli Elliptic elements II a Peirce, che li espose dinanzi all'Accademia il 4 aprile; il resoconto della sua comunicazione fu pubblicato nei "Proceedings of the American Academy of arts and sciences" del 1846-1848.
Peirce, successivamente, cambiò idea a proposito dell'influenza di Nettuno su Urano, ma non ritrattò la sua opinione originaria sull'importanza che avevano le discrepanze tra l'orbita di Nettuno prevista e quella osservata. Egli era ancora convinto che Nettuno non fosse "il pianeta individuato tramite la geometria" sebbene rappresentasse una soluzione perfetta del problema che l'analisi aveva intrapreso a indagare e aveva prontamente risolto, anche se in una forma radicalmente diversa dall'effettiva soluzione trovata dalla Natura" (Peirce 1846-48, pp. 332-333). Secondo quanto scrive Peirce in una minuta della lettera a Ormsby M. Mitchel del 7 aprile 1848
l'argomento può essere ora condensato in un singolo enunciato. Nettuno è di cinque volte il raggio [orbitale] della Terra più vicino al Sole rispetto a quanto avrebbe dovuto essere il pianeta geometrico. La distanza media di Nettuno dal Sole è cinquecento milioni di miglia minore di quella che la geometria aveva previsto potesse essere per produrre l'effetto che produce. Questa incompatibilità tra la distanza media osservata e quella teorica è uguale a una sesta parte della distanza di Nettuno dal Sole e a metà della distanza tra l'orbita di Nettuno e quella di Urano. (Peirce papers)
Divenne subito chiaro che le osservazioni di Peirce su Nettuno sarebbero risultate estremamente controverse. Tre giorni dopo le prime dichiarazioni dello scienziato, per esempio, lo storico della Harvard University Jared Sparks (1789-1866) suggerì a Peirce, in una lettera del 19 marzo 1847, di rilasciare una dichiarazione alla stampa per precisare la sua posizione. "È estremamente importante che la prima impressione in Europa sia corretta ‒ raccomandò Sparks ‒ [e] fondata esclusivamente su spiegazioni ammissibili per l'argomento trattato. […] La vostra reputazione è talmente coinvolta che deve essere fatto ogni sforzo per porre la questione nella sua vera luce" (ibidem).
Peirce non tardò a trovare sostegno, come dimostra il caso di Elias Loomis (1811-1889), allora professore alla University of the City of New York e importante figura di divulgatore e autore americano di manuali di astronomia. Già nell'aprile del 1847 Loomis aveva completato le bozze di una ricostruzione storica della scoperta di Nettuno e aveva chiesto a Peirce di esaminarle e di correggerle dove necessario. Nella lettera che accompagnava il manoscritto, Loomis non espresse alcuna opinione sulla recente ipotesi di Peirce del 'caso fortunato'. Nel gennaio del 1848, tuttavia, Loomis presentò a Peirce la bozza di un nuovo resoconto storico su Nettuno, che fu pubblicato di lì a poco nell'"American journal of arts and sciences" e nel quale egli riesaminava brevemente gli eventi che avevano condotto alla scoperta telescopica da parte di Galle, la successiva tesi di Peirce del 'caso fortunato' e la scoperta del satellite di Nettuno, Tritone. Alla fine, in linea con quanto sostenuto da Peirce, Loomis concludeva affermando: "Nettuno non è il pianeta ipotetico di Le Verrier" (Loomis 1848, pp. 204-205).
Un'altra figura centrale nelle discussioni che si svilupparono intorno alle affermazioni di Peirce fu quella di Ormsby M. Mitchel (1809-1862). La scoperta di Nettuno fu l'evento più stimolante della breve esistenza del "Sidereal messenger", una rivista mensile pubblicata a Cincinnati per contribuire a finanziare le attività dello stesso Mitchel come direttore dell'Osservatorio di Cincinnati (istituito di recente, ma già in difficoltà economiche): resoconti della scoperta e delle controversie seguenti apparvero praticamente su ogni numero mensile del giornale, dal novembre 1846 fino alla cessazione della sua pubblicazione nell'aprile del 1848.
Quando, nel marzo del 1847, gli giunse notizia dell'annuncio di Peirce del 'caso fortunato' Mitchel scrisse in un'editoriale che, se Peirce avesse avuto ragione, la disputa sulla priorità tra Le Verrier e Adams sarebbe divenuta inutile. Nel frattempo, tuttavia, egli era "fortemente propenso a credere che i calcoli di Le Verrier e Adams avrebbero finito per resistere alla prova del tempo e dell'osservazione" (Mitchel 1847a, p. 81). In una lettera del 29 marzo, Mitchel confessò al suo vecchio amico Peirce di non essere certo di aver compreso completamente la sua posizione e gli chiese alcune delucidazioni: per esempio, se lui accettava la 'stella' di Lalande come una legittima osservazione di Nettuno. Mitchel espresse anche il suo interesse per l'apparente violazione della legge di Bode. Se la distanza calcolata di Nettuno non era bilanciata da una relativamente grande eccentricità dell'orbita, chiedeva Mitchel a Peirce, probabilmente esisteva un pianeta esterno a Nettuno, "poco oltre la posizione indicata dalla legge di Bode e tale che le perturbazioni di Urano potessero essere il risultato dell'influenza congiunta dei due pianeti". Mitchel suggeriva perciò a Peirce di calcolare la posizione del secondo pianeta, affinché egli potesse cercarlo con il rifrattore di Cincinnati, uno dei più potenti al mondo.
Due mesi più tardi, Mitchel riportò sul "Sidereal messenger" la conferma del fatto che la 'stella' di Lalande identificata da Walker era in effetti Nettuno, commentando: "È motivo di grande soddisfazione trovare nostri compatrioti che iscrivono il loro nome con successo nella grande indagine attualmente in corso relativa alla recente e meravigliosa scoperta del pianeta Nettuno". Più avanti aggiungeva: "L'annuncio del prof. Peirce che il pianeta Nettuno non era, e non è, il pianeta dell'analisi di Le Verrier troverà ora conferma con ogni probabilità". Nel settembre del 1847 Mitchel confidò a Peirce: "Considero le tue affermazioni come le più coraggiose che siano mai state fatte, persino più audaci di quelle di Le Verrier o di Adams e, da tutto quello che ho potuto scoprire, anche più veritiere". A queste parole fecero seguito sul "Sidereal messenger" due resoconti di carattere divulgativo di Mitchel ‒ The planet (first called Le Verrier) e The planet Neptune ‒, nei quali egli esprimeva il suo accordo con la tesi di Peirce del 'caso fortunato'.
Il giudizio proveniente dall'altra parte dell'Atlantico aveva sgradevolmente colpito Le Verrier, da sempre un tenace e combattivo difensore dei propri interessi. Egli criticò aspramente il contenuto di questo articolo in una lettera del 9 febbraio 1848 al direttore dell'Osservatorio navale pubblicata sul "National intelligencer". Mitchel, meravigliato dal tono aspro della risposta che Le Verrier aveva dato a un articolo divulgativo, obiettò: "Nessuno è stato più riluttante di me ad abbandonare l'idea che i limiti teorici del signor Le Verrier potessero essere così estesi da abbracciare in qualche modo il pianeta Nettuno".
Dietro richiesta di Le Verrier, la sua lettera apparve anche sul "Sidereal messenger". Egli scriveva di essere stato risoluto "nel tacere sul contenuto delle strane asserzioni fatte in America riguardo alla teoria di Nettuno" (Le Verrier 1848b, pp. 69-70), ma che non avrebbe potuto permettere che l'articolo di Mitchel passasse senza commento. Innanzi tutto, Le Verrier negò il valore della massa di Nettuno calcolato da Peirce, derivato dall'orbita della sua luna, Tritone, e lo definì un errore fondamentale. Le Verrier concluse ‒ ritenendo evidentemente Mitchel e Peirce entrambi responsabili del contenuto dell'articolo ‒ che essi parlavano di cose che non avevano letto.
Le Verrier si mosse a difesa di quelli che considerava i suoi interessi anche nel corso di una breve controversia con un altro scienziato francese, il fisico Jacques Babinet (1794-1872). Questi provocò da parte di Le Verrier una reazione ancora più aspra di quella scatenata da Mitchel per avere espresso il suo accordo con Peirce. Babinet nell'agosto del 1848 espose all'Académie des Sciences le sue idee, secondo le quali se il Nettuno di Le Verrier e di Adams non era il pianeta osservato, allora restava da scoprire un altro pianeta, per il quale propose perfino un nome: Iperione. Alla tesi di Babinet pubblicata con il titolo Sur la position actuelle de la planète située au delà de Neptune (1848), Le Verrier replicò con un articolo ‒ Remarques de M. Le Verrier à l'occasion de la communication précédente (1848) ‒ nel quale respingeva sdegnosamente tali idee. I due intervennero nuovamente a un convegno dell'Académie des Sciences il mese successivo, ma sembra che la controversia pubblica si fosse esaurita in seguito alla comparsa di un articolo sarcastico di Le Verrier sui "Comptes rendus de l'Académie des Sciences" del 2 ottobre 1848. Dopo aver difeso l'esattezza dei suoi calcoli ‒ limitati dall'accuratezza delle osservazioni sulle quali essi erano basati ‒, Le Verrier si lamentò del fatto che quando aveva annunciato i suoi risultati nel 1846 non vi era stato quasi nessuno disposto a crederli veri. Ed erano le stesse persone che ora lo attaccavano per aver fornito alcune posizioni di Nettuno su un periodo di 80 anni che presentavano un errore massimo di 7,5°. Come riportò la rivista "The Athenaeum" il 4 novembre 1848 nell'articolo Neptune-Whether Neptune or not, "il signor Le Verrier appare infastidito: ‒ e ciò non ci meraviglia […]; suggeriamo al signor Le Verrier di stare calmo, e di sorridere. Segua il nostro esempio: ai suoi oppositori, se sostengono che esiste un altro pianeta, suggeriamo loro di trovarlo" (pp. 1102-1103).
Il più fedele sostenitore pubblico di Peirce fu un suo vecchio studente alla Harvard University, Benjamin Apthorp Gould (1824-1896) che aveva conseguito il dottorato all'Università di Gottinga nel 1848 e all'epoca della scoperta telescopica di Nettuno era assistente all'Osservatorio di Berlino. Egli possedeva la formazione e le abilità tecniche che gli consentivano di seguire nei dettagli matematici le dispute sull'argomento. Gould, in effetti, calcolò e pubblicò due effemeridi di Nettuno basate sui risultati di Walker e di Peirce, allo scopo di dimostrare l'esattezza del lavoro dei suoi connazionali.
La prima discussione di Gould in merito alla scoperta di Nettuno apparve in una lunga recensione dell'edizione pubblicata nel 1849 degli Outlines of astronomy di John Herschel, nella quale quest'ultimo sosteneva che, sebbene gli elementi del pianeta teorico differissero da quelli derivati dalle osservazioni, in tutto questo non vediamo nulla di accidentale; a meno che non siano accidentali il fatto che un evento che avrebbe dovuto verificarsi tra il 1781 e il 1953 si sia verificato effettivamente nel 1822 e che viviamo in un'epoca in cui l'astronomia ha raggiunto quella perfezione, e i suoi cultori esercitano quella vigilanza, che non permettono a un tale evento, e alla sua importanza scientifica, di passare inosservati. Il fiore era stato osservato con interesse durante il suo sviluppo, e il frutto è stato raccolto proprio quando era maturo. (Herschel 1849, p. 487)
Dopo che Peirce era giunto alla conclusione che le irregolarità nel moto di Urano potevano essere interamente spiegate da Nettuno, alla fine del 1848, in una lettera alla rivista "The Athenaeum", Herschel affermò che la questione dell'identità di Nettuno era ormai 'defunta', in quanto il pianeta teorico e quello osservato erano lo stesso pianeta.
Come è stato recentemente notato, Gould "non era un conciliatore. Le descrizioni che i contemporanei hanno fornito della sua personalità riferiscono di un 'atteggiamento arrogante nei confronti dei suoi pari e di una condotta dispotica nei confronti dei suoi assistenti', qualità non ideali per placare le acque. Gli amici dicevano che aveva un carattere irascibile e che non era uno abituato a pesare le parole" (James 1987, p. 124). Egli fu sempre un combattivo difensore della scienza americana e un critico dei metodi astronomici britannici. Nella sua lettura degli Outlines of astronomy, Gould si compiaceva "di percepire nel lavoro [di Herschel] alcuni segnali di una disposizione nei confronti della scienza estera più aperta di quella che usualmente ha caratterizzato i lavori divulgativi inglesi" (Gould 1849, p. 275). Egli, tuttavia, criticava quei casi in cui "i lavori degli astronomi americani erano stati passati sotto silenzio, o erano stati oggetto di battute piuttosto che di argomentazioni, [al punto che] non è forse sbagliato supporre che l'autore non li conoscesse o non avesse capito la loro vera portata" (ibidem, p. 290). Quanto a Nettuno, Gould scrisse indignato: "Sembra quasi che anche il solo nome di Nettuno sia […] soggetto alla maledizione di qualche genio maligno; giacché raramente esso compare senza che sia accompagnato da un'asserzione erronea" (ibidem, p. 289). Egli si sentiva oltraggiato soprattutto da quelle che giudicava esposizioni falsate delle indagini di Peirce e di Walker, effettuate da Herschel nel tentativo di sostenere Adams nelle sue rivendicazioni della scoperta. Poiché, "considerato il prestigio che il nome [di Herschel] porta con sé, si darebbe incontestabile credito alle sue asserzioni, se esse non fossero coraggiosamente messe in discussione e chiaramente confutate" (ibidem, p. 295), egli considerò suo dovere dirigere l'attenzione sulle inesattezze e sulle imperfezioni contenute in quel lavoro. Stabilì quindi che la maggior parte degli errori contenuti nel libro erano semplicemente il frutto di una "indagine superficiale", ma negò che ciò fosse avvenuto nella descrizione di Nettuno.
I sentimenti nazionali furono pienamente coinvolti nella vicenda della scoperta di questo pianeta e non soltanto quelli britannici e francesi. Mitchel elogiò Peirce e Walker per aver contribuito con una voce americana alle dispute su Nettuno e Loomis si preoccupò molto della priorità americana. Gould pretese un adeguato riconoscimento per gli sforzi degli scienziati del suo paese e la stessa ricerca di Peirce, così come la sua difesa degli studi di Walker, ebbe senza dubbio l'effetto di dimostrare il talento degli scienziati americani in un ramo estremamente difficile di quella che era largamente considerata come la scienza per eccellenza, vale a dire l'astronomia. Il fellow professor di Peirce alla Harvard University, il botanico Asa Gray (1810-1888), parlava sicuramente a nome di molti suoi colleghi statunitensi quando lodò Peirce per aver difeso il suo lavoro dalle critiche di Le Verrier; come scrisse a Peirce il 26 marzo 1848, la replica di quest'ultimo a Le Verrier era
una 'gemma perfetta', e la più splendida presa di posizione contraria alle vociferazioni [malevole] di Le Verrier. […] Sono assolutamente affascinato dallo spirito della replica e tutti coloro che ho sentito parlarne la pensano allo stesso modo. Non sono il solo, perciò, a essere dell'idea che essa vi faccia molto onore ed è proprio lo stile ponderato della risposta che vi pone nella situazione di massimo vantaggio. Da parte di chi ha a cuore gli interessi più nobili e la reputazione della scienza americana e degli 'scienziati' americani, i miei più sinceri ringraziamenti. (in Archibald 1925, p. 22)
I commentatori e gli astronomi successivi, però, in generale hanno condiviso il giudizio di Herschel del 1848 e hanno riconosciuto che la scoperta di Nettuno non era stata un 'caso fortunato'. Come avrebbe scritto più tardi lo storico e astronomo Antonie Pannekoek, negli anni tra il 1790 e il 1850 "il Nettuno vero e quello calcolato, a causa della grande eccentricità di quest'ultimo, si trovarono praticamente nella stessa posizione rispetto a Urano; la piccola differenza residua nella distanza del pianeta calcolato poteva essere spiegata dal fatto che esso possedeva una massa un po' più grande. Le grandi differenze si manifestavano occasionalmente quando le forze perturbatrici erano molto piccole" (Pannekoek 1961, p. 361).
Attenendosi rigidamente alla legge di gravitazione di Newton, Adams e Le Verrier erano stati guidati verso una scoperta importante. Tuttavia la totale fiducia riposta da Le Verrier nella legge di Newton per cercare una spiegazione di un'anomalia nel moto di Mercurio, finì, come vedremo, per portarlo fuori strada.
Con la scoperta di Nettuno era stata trovata una soluzione a un importante problema riguardante i moti dei corpi del Sistema solare, ma altre questioni reclamavano ancora una soluzione. Probabilmente la più seria tra queste era quella che coinvolgeva il pianeta Mercurio. In maniera tutt'altro che sorprendente, anche questa anomalia fu oggetto di un'ampia indagine da parte di Le Verrier.
In effetti, l'astronomo francese aveva cominciato a occuparsi del problema del moto di Mercurio all'inizio degli anni Quaranta, ancora prima di affrontare i moti di Urano, e nel 1843 ne aveva pubblicato una teoria provvisoria. Tuttavia, quando nel 1848 questa fu messa alla prova in occasione del transito di Mercurio attraverso il disco solare, lo stesso Le Verrier riconobbe che essa non era sufficientemente accurata. Nel 1859, pubblicò però una nuova teoria molto dettagliata, nella quale cercava di eliminare tutte le potenziali fonti di errore e di spiegare in maniera completa le differenze tra le posizioni osservate del pianeta e quelle predette. Il punto che creava le maggiori perplessità era l'anomalo avanzamento (o precessione) del perielio di Mercurio; infatti la longitudine del punto in cui esso è più vicino al Sole si sposta molto lentamente e quindi l'orbita è quasi, ma non esattamente, un'ellisse compiuta. Le Verrier calcolò che il perielio avanzava a una velocità di oltre 500″ a secolo. Gran parte di tale quantità, tranne un residuo di 38″ a secolo, poteva essere spiegata con gli effetti perturbatori degli altri pianeti.
Il contributo maggiore, per esempio, proveniva da Venere, il pianeta più vicino a Mercurio, per circa 280,6″ a secolo. Sebbene l'avanzamento di Mercurio fosse molto piccolo, Le Verrier concluse che esso era reale e non poteva essere ignorato; egli, inoltre, era assolutamente convinto della correttezza della legge di gravitazione di Newton e respingeva senza riserve ogni soluzione che si basasse su una sua modificazione. Piuttosto, come nel caso della sua previsione dell'esistenza di Nettuno, Le Verrier sosteneva che l'avanzamento era causato da una certa quantità di materia che orbitava tra il Sole e Mercurio, ma si domandava anche in quale forma avrebbe dovuto trovarsi tale materia. Se si fosse trattato di un pianeta, sicuramente esso avrebbe dovuto essere già stato osservato, durante un'eclissi totale o durante il suo transito attraverso il disco solare; egli sosteneva, quindi:
Coloro ai quali queste obiezioni appaiono troppo serie saranno portati a rimpiazzare questo singolo pianeta con una serie di asteroidi, i cui effetti si sommano per produrre il medesimo risultato sul perielio di Mercurio. […] L'ipotesi a cui siamo stati condotti non è affatto esagerata. Un gruppo di asteroidi è stato trovato tra Giove e Marte e non c'è dubbio che noi riusciamo a scorgere distintamente solamente quelli principali. […] Continuando a osservare Mercurio sapremo prima o poi se è possibile concludere con certezza che gruppi di asteroidi simili esistono anche molto più vicino al Sole. (Le Verrier 1859, p. 105)
Le Verrier pubblicò la sua ipotesi in una lettera del 12 settembre 1859 indirizzata al segretario dell'Académie des Sciences di Parigi, ma più tardi in quello stesso anno sopraggiunsero alcune novità sorprendenti. Un astronomo dilettante francese, un medico di provincia che si chiamava Edmond Modeste Lescarbault, affermò che il 26 marzo di quell'anno aveva già individuato un pianeta tra Mercurio e il Sole durante il suo transito attraverso il disco solare. Da molto tempo Lescarbault cercava di individuare un nuovo pianeta interno e quel giorno di marzo, in effetti, notò una piccola macchia vicino al bordo del Sole che si muoveva in maniera troppo rapida per poter essere considerata una macchia solare.
Prima di annunciare pubblicamente la sua scoperta, Lescarbault voleva effettuare una nuova osservazione ma, avendo letto dell'ipotesi di Le Verrier, il 22 dicembre del 1859 scrisse direttamente al celebre scienziato. Otto giorni dopo, Le Verrier decise di incontrare personalmente Lescarbault, per interrogarlo e stabilirne l'attendibilità. L'incontro lo convinse che la sua testimonianza era degna di fede e che il dottore di provincia aveva visto un nuovo pianeta, a cui fu subito dato il nome di Vulcano: per molti si trattava di un altro trionfo della scienza astronomica, simile a quello della precedente scoperta di Nettuno.
Le Verrier calcolò che, in base alle osservazioni del suo diametro effettuate da Lescarbault, la massa di Vulcano fosse soltanto 1/17 di quella di Mercurio. Se fosse stato proprio così, Vulcano da solo non avrebbe potuto produrre lo spostamento osservato del perielio e quindi sarebbe stato necessario formulare l'ipotesi che ci fosse ulteriore materia all'interno dell'orbita di Mercurio. Affermando che la precessione del perielio era spiegabile per mezzo dell'esistenza di pianeti come Vulcano, allora un certo numero di essi sarebbe dovuto essere presente; ma Le Verrier arrivò alla conclusione che Vulcano fosse solamente il più grande dei numerosi corpi simili ad asteroidi, raggruppati in un anello.
Diversamente dal caso di Nettuno, però, non erano disponibili osservazioni che confermassero in maniera conclusiva l'esistenza del nuovo pianeta. Nonostante ciò, nel 1876 Le Verrier pubblicò la sua analisi dell'orbita di Vulcano, basata su diciannove osservazioni che egli riteneva attendibili. Partendo dall'orbita così calcolata giunse a prevedere i successivi transiti di Vulcano sul disco solare. Negli anni Ottanta gli astronomi erano decisamente propensi a credere che fosse un anello di asteroidi situato tra Mercurio e il Sole a causare lo spostamento del perielio del pianeta più interno, piuttosto che un piccolo numero di corpi relativamente grandi, simili a Vulcano. Come rileva Roseveare,
le prove osservative in favore di Vulcano erano sempre scarse e rendevano l'ipotesi dell'anello di materia più verosimile di quella del singolo pianeta. Ma l'incessante ricerca di Vulcano, fece passare in secondo piano il fatto che anche se esso fosse stato scoperto, ci sarebbero voluti sedici pianeti simili per giustificare l'avanzamento di 38″ del perielio di Mercurio. L'ipotesi dell'anello di materia stava per ottenere alla fine il favore degli astronomi, e stava anche per ricevere sostegno dall'osservazione, ma prima ci si dovette pronunciare su altre e più nuove idee. (1982, p. 37)
Un notevole contributo all'analisi dello spostamento del perielio fu dato dall'astronomo americano Simon Newcomb (1835-1909). Questi aveva lavorato sul moto di Mercurio, anche se saltuariamente, durante tutta la sua lunga carriera nel corso della quale ottenne l'importante risultato di scoprire che l'avanzamento del perielio, non dovuto agli effetti perturbatori degli altri pianeti, era di circa 43″, e non di 38″, come aveva invece calcolato Le Verrier. Quanto alla causa di tale avanzamento, però, Newcomb giunse a conclusioni molto diverse da quelle dell'astronomo francese.
Nel 1882, Newcomb pubblicò un'indagine molto ampia e dettagliata sul moto di Mercurio, nella quale confermava che, in effetti, l'avanzamento del perielio di questo pianeta era reale e non il frutto di un errore nell'analisi matematica di Le Verrier; non pervenne, però, ad alcuna conclusione certa riguardo alla causa di tale avanzamento. Tredici anni dopo, Newcomb pubblicò nuovamente un'ampia analisi dell'avanzamento del perielio di Mercurio, che questa volta faceva parte di uno studio molto importante riguardante gli elementi di Mercurio, Venere, Terra e Marte e sulle costanti fondamentali dell'astronomia.
Newcomb esaminò diverse possibilità per spiegare l'avanzamento del perielio: la non sfericità del Sole, un anello o un gruppo di pianetini interni all'orbita di Mercurio, una grande estensione di materia diffusa simile a quella che riflette la luce zodiacale, infine un anello di pianetini situato tra Mercurio e Venere. Egli concluse che nessuna di queste possibili cause era in grado di spiegare il fenomeno e seguì il suggerimento di Asaph Hall (1829-1907; lo scopritore delle lune di Marte). Secondo quest'ultimo avrebbe potuto esserci bisogno di un piccolo aggiustamento della legge di gravitazione di Newton, prevedendo una proporzionalità inversa non con il quadrato del raggio (R2), ma con una potenza del raggio di esponente 2,0000001574. Newcomb calcolò anche che questo aggiustamento avrebbe potuto spiegare altre anomalie nel moto dei pianeti interni; tuttavia egli mostrò una certa cautela nel sostenere la validità dell'ipotesi di Hall. Tutto ciò non è poi così sorprendente se si pensa che il suo principale interesse era di tipo pragmatico: consisteva nel calcolare tavole planetarie il più possibile accurate e non nell'indagare sulle leggi fondamentali della fisica.
A questo punto, nel 1895, Newcomb era incline a rifiutare l'idea che la materia da cui traeva origine la luce zodiacale potesse spiegare anche l'avanzamento del perielio di Mercurio. Sia alcune indagini compiute nel decennio successivo da Hugo von Seeliger (1849-1924), direttore dell'Osservatorio di Monaco, sia gli ampi studi del moto della Luna effettuati da Ernest W. Brown (1866-1938) contribuirono a fargli cambiare idea. Nel 1903, Brown aveva concluso che l'ipotesi di Hall non avrebbe potuto essere applicata con successo alla Luna, sicché, come ammise Newcomb, "la determinazione completa da parte di Brown del moto del perigeo lunare ha dimostrato che la gravitazione della Terra non si discosta dalla legge newtoniana e la stessa cosa è ragionevolmente vera per quella del Sole. Ci trovammo perciò costretti a ritornare all'ipotesi di una massa di materia intorno al Sole, sufficiente a causare il movimento del perielio di Mercurio" (Newcomb 1912, p. 226).
Seeliger aveva pubblicato la sua ipotesi della luce zodiacale nel 1906 ed essa fu presto accettata dalla maggioranza degli astronomi, per i quali la questione principale era se la materia che produceva la luce zodiacale fosse o meno sufficiente a generare anche le anomalie conosciute nel moto dei pianeti interni, in particolare l'avanzamento del perielio di Mercurio. L'approccio di Seeliger consisteva nell'ipotizzare differenti distribuzioni ellissoidali di materia e nel calcolare poi gli effetti che era lecito attendersi, sui pianeti interni, da tali distribuzioni. Ulteriori ricerche su questo argomento furono condotte da altri astronomi, compreso l'olandese Willem de Sitter (1872-1934); ma mentre questi ultimi portavano avanti l'indagine sull''ipotesi della luce zodiacale' ‒ un nome fuorviante dal momento che, come sembrava, parte della materia che causava l'avanzamento del perielio non era visibile ‒, alcuni fisici seguivano un approccio del tutto differente. Un certo numero di essi elaborò nuove teorie della gravitazione, secondo le quali l'avanzamento del perielio di Mercurio non rappresentava un problema centrale. Fra queste, la teoria della relatività generale di Einstein fu quella che si sarebbe rivelata in assoluto la più importante. Einstein era già a conoscenza del problema del moto di Mercurio, ma fu soltanto nel 1915, quando calcolò che la sua teoria poteva spiegare l'intero avanzamento del perielio di 43″ per secolo, che cominciò a sottolinearne l'importanza. In effetti, una prima versione della teoria della relatività generale non era stata in grado di dar conto di tutti i 43″ dell'avanzamento, ma, elaboratane una più matura, Einstein giunse a concludere che tra le cose che gli davano maggiore soddisfazione vi era, come scrisse al suo amico Michele Besso nel 1915, "l'accordo con l'avanzamento del perielio di Mercurio"; infatti, l'anno seguente, in un saggio sui fondamenti della relatività generale, asserì: "i calcoli danno per il pianeta Mercurio una rotazione dell'orbita di 43″ per secolo, che corrisponde esattamente all'osservazione astronomica" (Einstein 1916 [1952, p. 164]).
In effetti, la precessione del perielio divenne presto una delle tre principali conferme osservative della relatività generale, insieme alla deflessione della luce che passa vicino al Sole e allo spostamento verso il rosso delle righe spettrali della luce emessa da una nana bianca. Ma l'avanzamento del perielio di Mercurio fornì la prima chiara prova osservativa alla nuova e rivoluzionaria teoria di Einstein. L'ipotesi della luce zodiacale divenne in tal modo sempre più irrilevante e, alla fine, fu abbandonata.
La scoperta di Nettuno aveva messo in evidenza, con soddisfazione di tutti, la correttezza della legge di gravitazione di Newton. Per ironia della sorte, invece, la mancata scoperta di Vulcano avrebbe offerto un sostegno a una teoria della gravità radicalmente nuova. Un'anomalia apparentemente insignificante nel moto del pianeta più interno avrebbe avuto perciò enormi conseguenze, portando gli astronomi a cambiare profondamente la propria visione dell'Universo fisico.
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