L'Ottocento: astronomia. L'astronomia di posizione da Bessel ad Auwers
L'astronomia di posizione da Bessel ad Auwers
Fin dall'Antichità la scienza astronomica nel suo complesso si configura essenzialmente come 'astronomia di posizione'. Tale ramo della ricerca astronomica, che aveva lo scopo di misurare le posizioni delle stelle e i loro mutamenti, fornendo dati che costituivano il fondamento e la verifica delle teorie di meccanica celeste, raggiunse la sua massima fioritura e maturità nel XVIII e nel XIX secolo. Tra i diversi strumenti usati nel corso di questo periodo spiccano lo strumento dei passaggi e il cerchio meridiano, da esso derivato, nei quali il cannocchiale viene utilizzato come mezzo di puntamento.
Lo strumento dei passaggi è un cannocchiale abbinato a un cerchio graduato per misurare gli angoli, allo scopo specifico di determinare in modo preciso i passaggi delle stelle al meridiano di un luogo. Per far ciò, bisogna rilevare con esattezza l'altezza della stella durante il passaggio al meridiano nonché il momento del transito con l'ausilio di un orologio. Queste misurazioni permettono di determinare i punti astronomici, vale a dire le posizioni delle stelle nel sistema delle coordinate equatoriali. In questo sistema la declinazione δ di una stella S è definita come la distanza angolare dall'equatore celeste, misurata, in gradi sessagesimali, sul cerchio orario che passa per S e per i poli celesti. L'ascensione retta α corrisponde alla distanza angolare dall'equinozio di primavera γ, uno dei due punti d'intersezione tra l'equatore celeste e l'eclittica, misurata in ore, minuti e secondi sull'equatore celeste lungo il verso diretto (ossia da ovest a est): a un angolo di 15° sull'equatore celeste corrisponde un'ascensione retta di un'ora, a un angolo di 1° corrispondono 4 minuti e così via. Dato che il cosiddetto angolo orario ω dell'equinozio di primavera è identico all'ora siderale (l'equinozio di primavera a sud corrisponde all'ora zero dell'ora siderale), l'istante del passaggio di una stella al meridiano fornisce la distanza di questa dall'equinozio di primavera, vale a dire la sua ascensione retta α. La declinazione è determinata dalla distanza zenitale della stella in questione mediante un equatoriale separato, poiché gli strumenti dei passaggi non sono muniti di dispositivi per permettere la lettura della distanza zenitale.
Al fine di effettuare queste misurazioni, lo strumento dei passaggi è montato in modo tale da poterlo muovere soltanto in direzione nord-sud, è fissato a un asse orizzontale orientato perpendicolarmente rispetto all'asse nord-sud e, di conseguenza, si può muovere solamente lungo il meridiano, ma non lateralmente.
In origine, per leggere le regolazioni sullo strumento dei passaggi si usavano solo frazioni di cerchio (ottante costituito da un ottavo di cerchio, sestante da un sesto di cerchio, quadrante da un quarto di cerchio). Intorno al 1700 Ole Christensen Römer propose di impiegare una circonferenza intera ideando in tal modo il cerchio meridiano (Rota meridiana). Rispetto ai precedenti strumenti in cui la lettura avveniva su segmenti di cerchio, l'uso del cerchio intero portò a una maggiore precisione. La lettura sul segmento di cerchio si effettuava mediante un microscopio. Nel fuoco dell'oculare si trovavano 10 intervalli di fili, che occupavano esattamente una ripartizione di 10 minuti d'arco sul cerchio.
Per la lettura del passaggio di una stella al meridiano si usavano speciali oculari micrometrici dotati di alcuni fili fissi e di altri paralleli, scorrevoli, lo spostamento dei quali era regolato da una vite, la cui rotazione si poteva leggere su un disco graduato.
Strumenti dei passaggi, cerchi meridiani, telescopi con micrometri di precisione, nonché eliometri, nati anch'essi nel XVIII sec., permisero di adempiere con elevata precisione praticamente tutti i compiti di routine dell'astronomia di posizione incentrati principalmente sulla realizzazione di ampi cataloghi di posizione e sulla misurazione della parallasse (distanza) delle stelle fisse. Lo sviluppo di questi strumenti e le elevate esigenze dell'astronomia in fatto di accuratezza, richiesero prestazioni straordinarie nel campo della meccanica di precisione e dell'ottica, attualmente considerate un esempio di fruttuosa interazione tra il progresso della tecnica e quello della ricerca scientifica.
Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846) è considerato il principale rappresentante dell'astronomia di posizione del XIX secolo. La sua opera comprende sia contributi allo sviluppo della meccanica celeste sia numerose osservazioni che garantirono un apporto decisivo all'evoluzione dell'astronomia classica.
Il compito dell'astronomia posizionale pratica consisteva da un lato nell'ottenere posizioni quanto più possibile precise delle stelle fisse, dall'altro nel rilevare il maggior numero di oggetti. Questi due obiettivi si ostacolavano però a vicenda. Si giunse così a due tipi di raccolte di dati: (a) vasti cataloghi stellari, accurati quanto bastava per consentire l'identificazione dei singoli oggetti; (b) cataloghi con un numero relativamente esiguo di oggetti, i cui punti astronomici erano però determinati con elevata precisione allo scopo di essere utilizzati come base per ricavare i punti astronomici di altre stelle nonché quale riferimento per il sistema delle coordinate astronomiche. Questi ultimi sono detti anche 'cataloghi fondamentali'.
Il progetto delle Akademische Sternkarten
Il più antico catalogo posizionale, prezioso anche per le ricerche moderne, risale al primo direttore dell'Osservatorio di Greenwich, John Flamsteed (1646-1719). Numerosi altri astronomi lavorarono successivamente in questa direzione ‒ tra questi Giuseppe Piazzi (1746-1826), Joseph-Jérôme Le Français de Lalande (1732-1807) e Bessel stesso‒ ma i loro sforzi isolati erano vani di fronte alla mole del materiale. Già Franz Xavier von Zach (1754-1832) aveva compreso che un'accurata rappresentazione dei punti astronomici, che includesse le stelle meno luminose, poteva essere realizzata in un arco di tempo accettabile soltanto come opera collettiva. Il suo progetto concernente una mappa stellare dello Zodiaco prevedeva infatti la partecipazione di astronomi di tutto il mondo. Esso fu discusso nell'anno 1800 all'Osservatorio di Lilienthal vicino a Brema, ma non fu purtroppo realizzato. Bessel, la cui carriera come astronomo pratico ebbe inizio a Lilienthal sotto la guida di Johann Hieronymus Schröter (1745-1816), riesumò il progetto, anche se quasi un quarto di secolo dopo. In una sua dettagliata lettera alla Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino nell'ottobre del 1824, Bessel sostenne la necessità di un ampio registro delle stelle fisse, ricorrendo tra l'altro al seguente argomento:
Dovendo osservare un pianeta o una cometa al di fuori del meridiano, il più delle volte si avrà buona riuscita solo se sarà stata determinata la posizione di un numero sempre crescente di stelle nelle sue vicinanze; se si vuol tentare seriamente di scoprire tutti i principali pianeti appartenenti al nostro Sistema solare, bisogna che prima si registrino in modo completo le stelle […]. La speranza di scoprire così […] ulteriori nuovi pianeti è da ritenersi assai fondata. (in Herrmann 1984, p. 40)
Quando Bessel scrisse questa lettera, aveva però già alle spalle tre anni di assidue osservazioni, in cui aveva effettuato rilevamenti con il cerchio meridiano su tutte le stelle fino alla magnitudine 9 all'interno di una zona larga 30° attorno all'equatore celeste. Basandosi sui dati ottenuti fece disegnare una carta ampia 15° che presentò all'Accademia come modello. Nacque così il progetto delle Akademische Sternkarten (Carte del cielo) completate nel 1859. Bessel portò avanti le sue osservazioni per zone di cielo fino al 1835 e da circa 75.000 singole osservazioni ricavò le posizioni di 31.895 stelle.
Oltre a Bessel, numerosi altri astronomi si dedicarono alla realizzazione di ampi cataloghi stellari. Ricorderemo qui soltanto i lavori, molti dei quali assai estesi, di Stephen Groombridge, dell'astronomo reale George B. Airy, di Richard C. Carrington e Johann von Lamont. Quest'ultimò osservò nelle zone da lui prescelte le stelle fino alla magnitudine 10 e basò il suo catalogo su 80.000 singole osservazioni.
La Bonner Durchmusterung e l'Astronomische Gesellschaft Katalog
L'impresa più grande e di fondamentale importanza anche per tutti i progetti seguenti fu il vastissimo catalogo celeste realizzato dagli astronomi tedeschi Friedrich Wilhelm Argelander ed Eduard Schönfeld all'Osservatorio di Bonn, la cosiddetta Bonner Durchmusterung (Catalogo bolometrico di Bonn), che conteneva, oltre alle posizioni approssimate, anche la luminosità stimata delle stelle. Per il solo emisfero boreale, il catalogo contiene le posizioni approssimate di 324.198 stelle, cui si aggiungono le 133.659 riportate nel supplemento di Schönfeld, che arriva fino alla declinazione −23°. Il resto dell'emisfero celeste australe è incluso nella Cordoba Durchmusterung (Catalogo bolometrico di Cordova) con 613.953 stelle. A questi grandi programmi d'osservazione si andava ad aggiungere un progetto ancora più ampio, realizzabile soltanto grazie alla collaborazione di molti osservatori astronomici, che tenne impegnati per decenni tutti i partecipanti: l'Astronomische Gesellschaft Katalog (Catalogo della società astronomica). Non a caso quest'impresa titanica, nel corso della quale si sarebbero dovute osservare tutte le stelle tra −2° e +80° di declinazione fino alla magnitudine 9, fu proposta da Argelander, l'iniziatore della Bonner Durchmusterung. Come allievo di Bessel, egli proseguì gli studi del suo maestro, sicché anche questo progetto si può considerare come espressione della scuola di astronomia posizionale evolutasi in Germania.
Al progetto dell'Astronomische Gesellschaft Katalog collaborarono in tutto 17 osservatori astronomici, tra cui quelli di Pulkovo (nei pressi di San Pietroburgo), Helsinki, Bonn e Berlino.
Il catalogo era concepito come fondamento unitario e valido per tutte le osservazioni future. Per questo fu deciso di ripetere l'intero programma circa mezzo secolo più tardi; in tal modo ci si proponeva soprattutto di ricavare un vasto materiale per l'indagine sui moti propri delle stelle fisse.
Il risultato della prima campagna di osservazioni è registrato in un catalogo comprendente 15 volumi (AGK 1), che contiene dati su circa 150.000 stelle. Un ampliamento delle declinazioni da −2° fino a −23°, pubblicato nel 1887, comprende dati relativi a circa 10.000 stelle.
La Carte du ciel
La ripetizione del progetto fu intrapresa all'inizio degli anni Venti del XX secolo. Stavolta ci si poteva avvalere soprattutto dei vantaggi offerti dalla fotografia; nel 1887 era stato deciso al Congresso internazionale di astrofotografia di Parigi di realizzare una carta fotografica dell'intero cielo e a questo scopo erano state anche eseguite ampie ricerche preliminari. Furono pertanto stabiliti per tutti i partecipanti una strumentazione uniforme di adeguata qualità e formati standard per le lastre, nonché tempi di esposizione vincolanti. In 150 volumi ci si proponeva di fornire le coordinate di alcuni milioni di stelle. Allo scopo erano previste 22.000 carte comprendenti stelle fino alla magnitudine 20. Negli anni Venti del XX sec. le conoscenze su un'utilizzazione appropriata della fotografia erano ancora scarse e la carta fotografica del cielo fu portata a termine soltanto nel 1970.
Intorno al 1925 erano state comunque già accumulate preziose esperienze che potevano esser messe a frutto per la ripetizione dell'AGK 1. Il programma prevedeva di fissare l'intero cielo boreale su 2000 lastre. Inoltre c'erano da determinare 13.747 stelle di riferimento utilizzando il metodo classico del cerchio meridiano per trasformare le posizioni relative sulle lastre in coordinate sferiche. Le stelle di riferimento dovevano poi venire correlate il più strettamente possibile a un sistema di stelle fondamentali, i cui punti astronomici medi per una data epoca fossero noti con la massima accuratezza.
I cataloghi fondamentali
I cataloghi fondamentali hanno una storia a parte: il più importante nella prima metà del XIX sec. è rappresentato dai Fundamenta astronomiae di Bessel. Quest'opera classica, uscita nel 1818, alla quale Bessel aveva lavorato per sette anni, contiene i punti astronomici medi di 3220 stelle, ricavati perlopiù dalle osservazioni assai precise del magistrale astronomo inglese James Bradley (1693-1762) e riferiti all'anno 1755. Il catalogo, che a causa delle condizioni della Germania di allora poté essere dato alle stampe solo con estrema difficoltà e grazie all'iniziativa determinante di Bernhard August von Lindenau (1779-1854), contiene inoltre tutte le formule e tavole necessarie a correlare altre osservazioni con le stelle fondamentali.
I dati di Bradley sono stati rielaborati in seguito, tenendo conto delle nuove conoscenze, da Arthur von Auwers (1838-1915); da questa operazione scaturì il Neuer Fundamentalkatalog des Berliner Astronomischen Jahrbuchs (Nuovo catalogo fondamentale dell'annuario astronomico berlinese). I costanti miglioramenti apportati al sistema delle stelle fondamentali condussero infine al quarto catalogo (FK 4), che è quello attualmente in uso.
Ottenere un sistema di stelle fondamentali è un compito di straordinaria complessità, dal momento che implica costanti ricerche in tutta una serie di discipline specialistiche. Per ricavare il punto astronomico medio di una stella per una data epoca con la massima accuratezza possibile, bisogna 'ridurre' con elaborate operazioni di calcolo i valori letti direttamente al telescopio. Il valore rilevato al telescopio non rappresenta ancora in alcun modo il punto astronomico della stella; questo risulta infatti falsato da numerosi fattori. È necessario pertanto determinare gli elementi di riduzione di cui si debba tenere conto, e in che modo. Fondamentali a questo proposito sono la rifrazione atmosferica, lo spostamento periodico dei punti astronomici dovuto all'aberrazione, nonché la variazione dell'origine del sistema delle coordinate astronomiche (precessione). Per valutare in maniera sempre più precisa questi fattori è stato però necessario un lungo processo storico. La rifrazione, tanto per fare un esempio, dipende in maniera assai complessa dalla composizione, dalla temperatura e dalla pressione atmosferica. Lo studio della rifrazione dei raggi di luce era iniziato già nell'Antichità con Tolomeo, ma il presupposto elementare per una teoria scientifica di questo fenomeno si ebbe soltanto con la scoperta della legge della rifrazione a opera di Willebrord Snell (1580-1626). Dopo Isaac Newton, che pose le basi di una moderna teoria della rifrazione, furono soprattutto Daniel Bernoulli, Johann Tobias Mayer, Johann Heinrich Lambert, Leonhard Euler, Joseph-Louis Lagrange, Pierre-Simon de Laplace e Bessel a occuparsi di questo importante problema. Altrettanto laboriose furono le ricerche sugli altri elementi di riduzione e sugli errori degli strumenti.
La Geschichte des Fixsternhimmels
Diversamente da quanto si verifica nella maggior parte delle altre scienze, in astronomia anche le misurazioni effettuate in passato possono rappresentare un valido aiuto per l'indagine su determinati fenomeni; ciò vale in particolare per i dati posizionali. Poiché è molto laborioso estrarre dai numerosi vecchi cataloghi, a volte difficilmente accessibili, i dati di volta in volta necessari e convertirli in posizioni di un'epoca diversa, nel 1878 Auwers espresse per la prima volta l'intenzione di riunire in un'unica opera tutte le conquiste nel campo delle misure posizionali, limitatamente alla loro validità per le problematiche ancora attuali. Quest'idea prese forma concreta nel 1897 allorché Friedrich Wilhelm Ristenpart propose "di raccogliere in un registro generale i riferimenti a tutti i cataloghi stellari in cui è possibile rintracciare una determinata stella" (Dick 1953, p. 131). Nell'anno 1900 questo progetto di un 'catalogo dei cataloghi' fu poi presentato da Auwers all'Accademia delle Scienze di Berlino. Si arrivò così alla Geschichte des Fixsternhimmels (Storia del cielo delle stelle fisse). L'Accademia si trovava di fronte a un programma enorme: si trattava di ridurre all'equinozio del 1875 tutte le posizioni delle stelle fisse rilevate dal 1750 al 1900 mediante l'uso di strumenti meridiani e di raccoglierle in un sistema unitario. A tale scopo bisognava rielaborare circa 1.000.000 di singoli riferimenti tratti da circa 450 cataloghi stellari. Il progetto fu notevolmente ostacolato dalla Prima e dalla Seconda guerra mondiale e fu portato a termine soltanto nel 1966, con l'uscita del volume 48. Attualmente i dati necessari vengono memorizzati grazie all'ausilio di elaboratori elettronici e sono accessibili agli astronomi in questa forma.
Lo sviluppo complessivo dell'astronomia di posizione è caratterizzato dai seguenti fattori: (a) l'esattezza dei dati posizionali delle stelle aumentò nel periodo compreso tra il 1700 e il 1850 di un fattore 20; (b) il numero delle stelle le cui posizioni erano note aumentò nello stesso periodo di un fattore 15; (c) il numero dei cataloghi si quadruplicò; (d) il numero delle posizioni stellari per catalogo crebbe di un fattore 3; (e) il numero degli osservatori astronomici crebbe in modo esponenziali (Herrmann 1973).
La meccanica celeste e l'astronomia di posizione consentiranno, nel XIX sec., di ottenere risultati significativi: la scoperta del pianeta Nettuno, la determinazione dell'unità astronomica, la misurazione della distanza delle stelle fisse, lo studio delle stelle doppie e non da ultimo le importanti applicazioni pratiche nel campo della geografia e geodesia astronomiche; sono questi alcuni dei brillanti risultati che premiarono gli sforzi instancabili degli astronomi.
La strenua lotta degli astronomi per giungere a misurare la parallasse stellare è un simbolo della costante ansia di precisione; non c'è un astronomo di rilievo dopo Galilei che si sia sottratto a questa sfida. Per arrivare a misurare il primo spostamento infinitesimale di una posizione stellare a causa del moto della Terra intorno al Sole, diverse scoperte impreviste si rivelarono di grande importanza per l'astronomia.
Lo stesso Copernico, com'è noto, non aveva dubbi sull'esistenza della parallasse stellare, al punto da non esitare a supporre che le stelle fossero talmente lontane che la loro parallasse non risultasse apprezzabile all'interno dei margini di precisione fino allora raggiunti, ossia entro alcuni minuti d'arco. L'assenza della parallasse indicava quindi che la distanza delle stelle dalla Terra doveva essere maggiore di circa 1000 volte il raggio orbitale terrestre (la distanza media Terra-Sole, oggi detta 'unità astronomica', UA).
Il più eminente osservatore del XVIII sec., l'astronomo inglese Bradley, effettuava già osservazioni con una accuratezza fino a 0,5 secondi d'arco. Neanche lui riuscì tuttavia a rilevare alcuna parallasse; se ne deduceva che le stelle dovevano trovarsi nelle più vertiginose profondità del Cosmo; la loro distanza non poteva comunque essere inferiore a circa 400.000 raggi orbitali terrestri. L'elevata precisione delle sue osservazioni permise a Bradley di scoprire altri due effetti importanti, cioè: l'aberrazione e la nutazione.
Per aberrazione (annuale) s'intende l'apparente spostamento delle stelle, dovuto al moto che la Terra compie intorno al Sole, in conseguenza della velocità di propagazione finita della luce. Un fenomeno di aberrazione tangibile si può riscontrare per esempio passeggiando sotto la pioggia. Anche se le gocce cadono verticalmente, per ripararsi è necessario tenere l'ombrello leggermente inclinato in avanti, dato che la pioggia, mentre camminiamo, sembra venirci incontro in diagonale. Affinché i raggi paralleli di una determinata stella cadano assialmente nel telescopio, questo va inclinato in ragione dell'angolo di aberrazione. La presenza dell'aberrazione falsa quindi la misurazione del punto astronomico. Lo stesso vale per la nutazione, che è dovuta all'influsso della Luna e fa sì che i poli celesti oscillino periodicamente intorno a un polo centrale. Dato che è possibile ottenere una localizzazione precisa delle stelle soltanto se si tiene conto di questi fattori, l'aberrazione e la nutazione sono dette elementi di riduzione. Il miglioramento della loro conoscenza quantitativa fu dunque un presupposto importante per la determinazione più esatta dei punti astronomici.
Nonostante questo encomiabile e inatteso successo di Bradley, rimase aperta la questione di come aumentare ulteriormente la precisione delle osservazioni per poter apprezzare anche le parallassi più piccole. Bessel, il grande maestro dell'astronomia di posizione, espresse con parole toccanti l'accanito inseguimento di queste quantità infinitesimali quando scrisse che la speranza nell'esistenza della parallasse, sostenuta da una ferma convinzione, svanirebbe solamente se si dimostrasse che l'ultimo tentativo infruttuoso sia arrivato agli estremi confini dell'abilità e degli stessi sensi umani.
Il criterio di scelta adottato da Bessel
Considerata la presumibile esiguità dei valori misurabili per la parallasse, secondo Bessel la scelta di un oggetto adatto alla peculiarità delle osservazioni, vale a dire possibilmente vicino, rivestiva una particolare importanza. A questo proposito tuttavia egli non adottò il criterio della luminosità apparente, in base al quale le stelle che appaiono più brillanti sono in media anche le più vicine; poté invece basarsi, grazie ai più recenti progressi astronomici dell'epoca, sui moti propri delle stelle.
Il fatto che le stelle fisse non fossero realmente tali era stato constatato per la prima volta da Edmond Halley nel 1718, confrontando i propri rilevamenti posizionali con i dati dei punti astronomici dell'Almagesto di Tolomeo. In seguito, William Mayer fece ricerche più accurate sui moti propri e, addirittura, Herschel ricavò da essi per la prima volta la direzione del moto del Sole nel sistema stellare. Per raggiungere questo risultato egli partì dal presupposto che i moti propri fossero dovuti al movimento del Sole nel sistema stellare e quindi ‒ a prescindere dagli irregolari moti peculiari ‒ dovessero contenere una componente sistematica che rispecchiasse il moto solare.
All'epoca di Bessel le cause dei moti propri non erano ancora chiarite a sufficienza. Egli tuttavia fece notare che in fondo era irrilevante se i moti propri avessero origine da effettivi movimenti delle stelle, se costituissero un puro riflesso del moto solare, oppure fossero un effetto combinato di entrambi i movimenti. In ogni caso era chiaro:
che una stella il cui moto rispetto al nostro Sistema solare possiede una certa grandezza e direzione, mostrerà sulla volta celeste un avanzamento tanto più grande, quanto più piccola è la sua distanza […]. Nella totale mancanza di un motivo sicuro per ritenere una stella fissa più vicina di un'altra, per scegliere una stella destinata a diventare l'oggetto di una ricerca sulla parallasse annua ci si può attenere all'indizio di vicinanza dato da un grande moto proprio. Mi sembra anche che questo indizio sia meno ingannevole della luminosità di una stella, e voler giudicare in base a essa la distanza dei pianeti del nostro Sistema solare, si otterrebbe notoriamente un responso del tutto sbagliato. (Bessel 1848, p. 249)
Nel corso dell'elaborazione dei Fundamenta astronomiae Bessel aveva avuto a disposizione una parte del copioso materiale raccolto da Bradley a Greenwich nel corso di osservazioni effettuate dal 1750 al 1762. Già intorno al 1812 Bessel aveva richiamato l'attenzione sul grande moto proprio della stella 61 Cygni (5,2″/a), per effetto del quale questo astro in soli 360 anni muta la sua posizione tra le altre stelle in misura di un diametro lunare apparente. In un articolo nella "Monatlichen Correspondenz zur Beförderung der Erd- und Himmels-Kunde" egli aveva persino esortato gli astronomi che disponevano di strumenti adeguati a ricercare la parallasse di questa stella. Dopo la pubblicazione della seconda parte delle osservazioni di Bradley nel 1818, Bessel confrontò le posizioni di 2959 stelle, riportate tanto da Bradley quanto nell'ampio catalogo stellare di Piazzi (pubblicato nel 1813 a Palermo, con le posizioni di 7646 stelle). Per quasi la metà di questi oggetti Bessel riscontrò considerevoli moti propri annuali. Ciò che colpiva era la forte diversità della luminosità apparente di queste stelle. Di 71 stelle con moti propri superiori a 0,5″/a, soltanto quattro avevano uno splendore apparente pari alla magnitudine 1. Bessel vide in tal modo confermata ulteriormente la sua idea dei moti propri come indizio della distanza, in contrasto con il criterio della luminosità apparente. Dato che la sua esortazione del 1812 era stata apparentemente ignorata, appena l'Osservatorio di Königsberg ebbe a disposizione uno strumento adatto allo scopo, rivolse egli stesso l'attenzione verso 61 Cygni. Questa stella costituiva un oggetto ideale per le misurazioni previste anche per altre ragioni: era tra le stelle circumpolari di Königsberg, poteva quindi essere osservata in ogni momento; raggiungeva a Königsberg un'altezza di culminazione di quasi 74° ed era circondata da una serie di stelle più deboli che potevano servire da punti di riferimento per determinare la posizione.
La determinazione della parallasse di 61 Cygni
Lo strumento con cui Bessel iniziò le sue misurazioni, poi coronate da successo, proveniva dall'officina di Joseph von Fraunhofer a Monaco e giunse a Königsberg nel 1829. Si trattava di un eliometro che permetteva di misurare con la massima precisione piccole distanze angolari. Un eliometro si differenzia da un comune telescopio astronomico a montatura parallattica per il fatto di essere dotato di un obiettivo tagliato lungo un diametro in due metà in grado di scorrere l'una sull'altra. La sua caratteristica fondamentale è che le due metà dell'obiettivo si spostano lungo la linea di taglio in modo misurabile.
Lo strumento viene usato nel modo seguente: ciascuna delle due metà dell'obiettivo produce un'immagine sul piano focale. Se le due metà sono riunite a formare un obiettivo unico (posizione zero), allora le immagini delle due metà coincidono e l'immagine sul piano focale non si differenzia da quella di un normale rifrattore. Se invece le due metà vengono spostate l'una rispetto all'altra di una certa quantità, sul piano focale appaiono due immagini distinte degli oggetti, che a seconda dell'entità dello spostamento delle metà dell'obiettivo avranno una determinata distanza tra loro.
Tenendo conto delle distanze focali dello strumento, si può determinare la distanza angolare in base alla distanza lineare. Se per esempio sul piano focale dello strumento appaiono le due stelle A e B, ruotando le due metà dell'obiettivo e spostandole in modo corrispondente, si può far coincidere l'immagine della stella su una metà dell'obiettivo con quella dell'altra sull'altra metà. In base allo spostamento delle metà dell'obiettivo e alla distanza focale si ricava quindi la distanza angolare delle due stelle.
L'eliometro di Bessel, con una distanza focale di 2,6 m e un'apertura utile di 158 mm, consentiva di misurare distanze angolari fino a 1° 52′. Uno spostamento delle due metà dell'obiettivo l'una rispetto all'altra di 1 mm corrispondeva a una distanza angolare di 58″. Lo spostamento si leggeva sul tamburo della vite micrometrica, la cui precisione permetteva di determinare con sicurezza distanze angolari di 0,05″.
Bessel iniziò le sue misurazioni il 16 agosto 1837. Come stelle di riferimento egli scelse due oggetti vicini molto deboli di luminosità apparente intorno alla magnitudine 10, dei quali si poteva ritenere a buon diritto che non possedessero alcuna parallasse misurabile mediante l'uso dello strumento.
Le misurazioni di Bessel sono un modello esemplare di accuratezza nella ricerca: egli determinò ciascuna distanza con 16 misurazioni in tutto. Ogni 8 misurazioni le due metà dell'obiettivo dell'eliometro venivano scambiate di posizione. La misurazione della distanza all'interno di ogni gruppo di 8 osservazioni fu effettuata quattro volte mediante spostamento dell'una e quattro volte mediante spostamento dell'altra metà dell'obiettivo, alternandole costantemente. I risultati furono corretti tenendo conto della temperatura e della rifrazione atmosferica (che, data la grande altezza dell'oggetto osservato, non aveva in realtà alcuna rilevanza). Fino all'ottobre del 1838 Bessel aveva effettuato in questo modo in totale 85 rilevamenti rispetto alla stella A e 98 rispetto alla stella B; poi cominciò l'elaborazione delle misurazioni. Si trattava ora di mettere in conto tutti gli effetti che, oltre alla parallasse, potevano dar luogo a spostamenti, vale a dire l'aberrazione e il moto proprio di 61 Cygni. Grazie alle accurate osservazioni di Bradley, il moto proprio poteva essere determinato con relativa precisione in modo da tenerne conto nei calcoli. Bisognava anche considerare che le variazioni della distanza di 61 Cygni, oggetto della misurazione, erano determinate dalle due stelle vicine A e B, in cui però la variazione parallattica (a seconda della posizione delle stelle di riferimento nel sistema delle coordinate eclitticali) non era pienamente riscontrata. Questa circostanza è espressa da un fattore che nel caso di 61 Cygni e delle due stelle vicine prescelte aveva in entrambi i casi quasi lo stesso valore. Da tali considerazioni Bessel trasse infine ben 183 equazioni e in base a esse determinò la parallasse.
Partendo dal presupposto che le due stelle di riferimento non possedessero alcuna parallasse propria all'interno dei limiti rilevabili, Bessel ricavò dai valori misurati la seguente media: π=0,3136″±0,0202″. Egli aveva effettuato le ultime misurazioni per la prima analisi il 2 ottobre 1838. Il calcolo era appena terminato quando Bessel comunicò con una lettera il suo successo a John Herschel a Slough presso Londra che rispose a stretto giro di posta, congratulandosi cordialmente con lo "scopritore di quest'elemento importante e a lungo cercato". Contemporaneamente trasmise la lettera a Francis Baily, presidente della Royal Astronomical Society, che era allora l'unica associazione astronomica al mondo. Baily tradusse in inglese la lettera di Bessel e nella riunione di novembre della Royal Astronomical Society la sottopose all'attenzione degli specialisti britannici del settore.
Bessel inoltre tenne una conferenza divulgativa sulla storia della misurazione della parallasse, nella quale illustrò dettagliatamente i propri lavori. Nel numero di dicembre delle "Astronomische Nachrichten" del 1838 uscì poi finalmente la fondamentale pubblicazione scientifica sulla scoperta.
Bessel non era però ancora del tutto appagato dal successo delle prime misurazioni; era piuttosto dell'avviso che la riproducibilità dell'effetto scoperto dovesse assolutamente essere dimostrata proseguendo le misurazioni.
Prima di effettuare una nuova serie di rilevamenti (che iniziò il 12 novembre e proseguì fino al 23 marzo 1840) l'eliometro fu però smontato, per accertare eventuali difetti nascosti. Per una nuova analisi si avevano ora a disposizione in totale 188 e 214 rilevamenti relativi rispettivamente alle stelle A e B. Dato che Bessel durante l'esame dell'eliometro, vale a dire prima di iniziare la seconda serie di misurazioni, aveva constatato un certo numero di cambiamenti in alcune parti dello strumento, ritenne l'intera serie non omogenea e analizzò scrupolosamente ancora una volta, tenendo conto di questo fattore, l'intero materiale. Come risultato finale ottenne stavolta per la parallasse di 61 Cygni: π=0,3483″±0,0141″.
Molto più tardi il valore della parallasse di questa stella fu determinato in modo assai accurato con metodi fotografici: π=0,299″±0,0045″.
Bessel, dopo la sua prima misurazione, aveva dato una distanza stellare di 657.700 raggi orbitali terrestri, il valore moderno, tuttavia, corrisponde a 690.000 raggi orbitali terrestri, vale a dire 10,9 anni luce (3,34 parsec ca.). Se però si considera che questo valore fu stabilito soltanto quasi cento anni dopo quello determinato da Bessel, allora bisogna ritenere straordinaria la precisione del suo risultato: un errore di appena il 5%.
Bessel attribuiva grande importanza al fatto che per la prima volta si fosse giunti a determinare la parallasse di una stella fissa. Egli annoverava la misurazione delle parallassi stellari tra i compiti dell'astronomia, "i quali [esercitano] un grande influsso sullo sviluppo della scienza [e per questo motivo divengono] ben più importanti [che] per il fatto stesso di esser stati risolti"; tale risultato era "quasi insignificante al confronto delle conoscenze di vasta portata che la scienza ha acquisito nel corso della ricerca stessa" (Bessel 1848, p. 209).
Immediatamente dopo Bessel anche Friedrich Georg Wilhelm Struve (1793-1864), a Dorpat (Tartu) rese noto di essere riuscito a effettuare una misurazione della distanza stellare: aveva scoperto la parallasse della stella Vega nella costellazione della Lira ‒ persino prima di Bessel ‒ corrispondente a un valore di 0,26. Un anno più tardi l'astronomo scozzese Thomas Henderson (1798-1844) determinò al Capo di Buona Speranza la parallasse di α Centauri, il cui valore è 0,92″.
Misurazioni della parallasse dopo Bessel
Queste prime misurazioni della parallasse, pur non costituendo più direttamente una prova risolutiva a favore del sistema copernicano ‒ della cui realtà ormai non si dubitava più‒, erano in ogni caso di grande importanza in linea di principio e aprivano inoltre la prospettiva della conoscenza dell'effettiva distribuzione delle stelle nello spazio, ponendo così i fondamenti di un'indagine su basi scientifiche della struttura dell'Universo, come quella che aveva in mente Herschel. Bessel pose l'accento anche su un importante vantaggio epistemologico delle prime misurazioni della parallasse: grazie a esse era stata dimostrata la raggiungibilità di un obiettivo scientifico da molti già abbandonato.
Le misurazioni con i metodi utilizzati da Bessel e dai suoi contemporanei erano tuttavia estremamente laboriose. Questo è certamente anche il motivo per cui, dopo le prime determinazioni della parallasse, non si sentì più quasi parlare di ulteriori misurazioni delle distanze stellari. Fu solo grazie all'introduzione della fotografia che si ebbe un fondamentale cambiamento in tale campo. L'applicazione della fotografia consentiva una notevole semplificazione delle misurazioni e contemporaneamente aumentava la loro precisione; era possibile infatti correlare il punto dell'oggetto che interessava con quante stelle deboli si voleva. Nell'anno 1900 era nota la parallasse di circa 150 stelle. Grazie all'infaticabile lavoro di David Gill e soprattutto di Frank Schlesinger si arrivò entro il 1924 a calcolare fino a 1500 parallassi. Il catalogo delle parallassi curato da Louise F. Jenkins e Schlesinger nel 1935 riporta già le parallassi di circa 10.000 stelle. Anche oggi diversi osservatori astronomici si dedicano a programmi di ricerca della parallasse con l'ausilio di rifrattori a lunga distanza focale. Si usano allo scopo anche speciali telescopi riflettori (Naval Observatory, dal 1964, Osservatorio di Torino, dal 1974), che permettono di studiare gli oggetti meno luminosi.
L'utilizzazione di metodi astrofisici ha inoltre notevolmente aumentato il numero dei procedimenti per determinare le parallassi stellari. Ciò era tanto più necessario, in quanto le parallassi trigonometriche possiedono in ogni caso soltanto una portata limitata, poiché, nel migliore dei casi, è possibile rilevare la parallasse solamente con una precisione di 0,01÷0,02 secondi d'arco. L'errore relativo delle misurazioni è di conseguenza tanto più grande quanto più distanti sono gli oggetti da misurare. Già prendendo in considerazione distanze da 25 a 50 parsec (parallassi da 0,04″ a 0,02″) l'incertezza del risultato è del 50%.
Nel caso dei procedimenti più recenti, che del resto sono sempre calibrati in base a distanze stellari determinate con precisione in modo trigonometrico, si tratta perlopiù dei cosiddetti 'metodi fotometrici'. Con essi si determina principalmente la luminosità assoluta degli oggetti in questione, ricavabile in maniera più o meno attendibile da diverse osservazioni. Qui di seguito diamo alcuni esempi di metodi non trigonometrici per determinare le distanze stellari.
L'astronomo statunitense Lewis Boss aveva fatto notare per primo nel 1908 che mediante osservazioni su stelle che appartengono a un ammasso stellare in movimento è possibile ricavare con grande precisione le distanze degli elementi dell'ammasso (parallasse delle correnti stellari). Per raggiungere tale obiettivo si misura la componente tangenziale della velocità degli elementi dell'ammasso, cioè il loro moto proprio, e la si combina con la componente radiale ricavata dall'effetto Doppler. A questo punto si può esprimere il moto proprio anche in misura lineare, ottenendo la distanza. In maniera analoga, anche da osservazioni su stelle doppie, di cui si hanno determinazioni spettroscopiche dell'orbita, si possono trovare le dimensioni lineari del sistema e utilizzarle per calcolare la distanza. Degno di particolare rilievo è infine il procedimento delle cosiddette 'parallassi spettroscopiche', sviluppato nel 1914 da Walter S. Adams ed Ernst Kohlschütter e basato su criteri spettrali per la luminosità assoluta delle stelle, in seguito impiegati per la determinazione delle distanze stellari. Questi e altri procedimenti mettono in evidenza ancora una volta l'inscindibile legame tra i metodi dell'astrofisica e quelli dell'astronomia di posizione. Questioni che inizialmente riguardavano soltanto l'astronomia classica successivamente furono risolte anche grazie al contributo determinante dell'astrofisica, i cui metodi a loro volta si basano sulle conquiste dell'astronomia di posizione.
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