L'origine della citta
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Sulla metà del IV millennio a.C., la Mesopotamia meridionale è sede di un fenomeno di vasta portata, noto come “prima urbanizzazione”, che intreccia elementi di carattere sociale, ambientale, e tecnologico, per dar vita ai primi organismi cittadini complessi, organizzati in modo gerarchico attorno alle istituzioni del tempio e del palazzo. Tale modello si diffonderà nel giro di pochi secoli in tutto il Vicino Oriente, portando con sè molte delle innovazioni che hanno consentito l’affermarsi dei primi centri urbani, tra cui la scrittura.
Il fenomeno dell’urbanizzazione porta a compimento una lunga serie di premesse storiche elaborate nel corso di diverse migliaia di anni.
I primi insediamenti neolitici, risalenti approssimativamente al VI millennio a.C., si situano strategicamente al confine di più unità ecologiche, quali ad esempio le zone pedemontane degli Zagros. In queste comunità, le tecniche di produzione locale di risorse alimentari svolgono un ruolo complementare alla caccia-raccolta, consentendo di massimizzare le possibilità di sopravvivenza di un gruppo ristretto. Il rischio di un crollo nella disponibilità di risorse, causato da siccità, alluvioni, catastrofi naturali, epidemie viene minimizzato grazie a una diversificazione di strategie, tali da consentire un accesso diversificato e duraturo ai beni alimentari. Questa ricerca della diversità in uno spazio ragionevolmente accessibile si esprime al meglio in aree in cui le precipitazioni siano sufficienti per un’agricoltura anirrigua, quali appunto le zone periferiche della Babilonia, dove verso la metà del IV millennio a.C. avrà luogo la prima urbanizzazione. Domesticazione delle specie selvatiche, conoscenza dei cicli stagionali e del territorio, arrostimento, essiccatura, molitura, e ceramica sono tutti prerequisiti indispensabili allo sviluppo di un centro urbano di grandi dimensioni. Un ulteriore contributo si ha con l’introduzione dell’aratro-seminatore, grazie al quale i tempi e la manodopera necessari allo svolgimento delle attività agricole vengono sensibilmente ridotti. Per quanto riguarda la domesticazione dell’orzo, che rappresenta la principale fonte di sostentamento durante tutto il corso della storia del Vicino Oriente antico, le varietà a rendimento più alto si affermano grazie all’azione congiunta della selezione naturale e del lavoro umano. In particolare si assiste ad una rapida diffusione delle spighe a sei file di chicchi, che rimpiazza l’orzo selvatico, a due file. All’aumentato numero di chicchi si aggiunge un gambo più resistente, che incrementa le probabilità di un corretto recupero delle sementi durante la mietitura, e quindi al loro utilizzo nel successivo ciclo agricolo.
Le innovazioni tecnologiche non possono tuttavia essere considerate come il solo motore che opera cambiamenti di carattere culturale, sociale ed economico. Esse si innestano infatti in un contesto ambientale che condiziona fortemente i processi insediativi delle prime comunità. Uruk si situa nel sud dell’alluvio mesopotamico, lungo il corso dell’Eufrate, in una zona in cui le precipitazioni sono insufficienti a praticare la coltivazione dell’orzo senza l’ausilio dell’irrigazione. Durante il corso del IV millennio a.C. i dati paleoclimatici forniscono un quadro di progressivo inaridimento e ritiro delle acque del Golfo. La Babilonia meridionale, prima soggetta a frequenti alluvioni causate dall’eccessiva presenza d’acqua, si trova ora in una situazione ideale dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse agricole. Le pianure dell’alluvio possono essere coltivate con facilità grazie allo scavo di piccoli canali, anche ad opera di gruppi molto ristretti di individui. I rendimenti sono molto alti, con due o anche tre raccolti in un anno, ulteriormente incrementati dalle alte rese consentite dall’orzo a sei file. Gli insediamenti di piccole dimensioni prosperano e possono disporsi a stretto contatto reciproco, cosa impensabile per comunità basate sulla caccia-raccolta, bisognose di un ampio entroterra che limita le interazioni tra le comunità. La crescita demografica registra una forte impennata, sulla cui entità tuttavia le stime divergono. Secondo le più ottimistiche, il tasso di incremento della popolazione nella Babilonia del IV millennio a.C. non è spiegabile tenendo conto della sola crescita locale. Sarebbero quindi avvenuti movimenti migratori, i cui effetti si sommerebbero agli spostamenti locali. Potrebbe quindi essere questo il periodo dell’insediamento dei Sumeri nella Mesopotamia meridionale.
Dalle indagini archeologiche di superficie, risulta chiaro come nel corso del IV millennio a.C. gli insediamenti rurali del sud diminuiscano progressivamente in numero, mentre aumenta la popolazione totale, che si addensa nei centri di dimensioni superiori ai 30 ettari. Dietro a questo fenomeno si nasconde ancora una volta il fenomeno del ritiro delle acque: i villaggi prima disposti lungo i piccoli canali periferici all’Eufrate vengono assorbiti dagli insediamenti a contatto più diretto col fiume. Questa intensificazione demografica premia ulteriormente l’urbanizzazione: Uruk arriva ad occupare 70 ettari, per raggiungere i 100 all’inizio del periodo protodinastico, verso il 2900 a.C. Sono le dimensioni di una vera e propria metropoli, grande circa il doppio dell’Atene di età classica (V sec. a.C.).
A causa del progressivo inaridimento, nasce tuttavia la necessità di scavare canali che consentano di mantenere alto il rendimento dei campi. Sulla metà del IV millennio a.C. questa è un’esigenza sentita solo marginalmente, ma diverrà una delle principali preoccupazioni di tutti i sovrani delle epoche successive, e costituirà, anzi, una importante spinta all’aggregazione urbana. Nel sud mesopotamico si instaura il sistema di sfruttamento agricolo basato sui campi lunghi, dove ogni appezzamento ha accesso al corso d’acqua lungo il lato corto, massimizzando le potenzialità dell’aratro-seminatore. Non sappiamo con certezza quando tale sistema entri in uso, poiché la maggior parte dei dati ci vengono dalla Mesopotamia di epoca successiva (almeno dall’età di Fara verso il 2500 a.C., e poi Lagash dell’epoca di Lugalanda e Iri-inim-gina, 2400 a.C. ca.), ma alcuni testi di periodo Uruk, che hanno ricevuto una degna attenzione solo nell’ultimo ventennio, sembrano in buon accordo con quanto noto da epoca più tarda. La stretta vicinanza dei terreni agricoli, la dipendenza da uno stesso corso d’acqua lungo il quale si dispongono, e il mantenimento dello stesso nel corso del tempo favoriscono una gestione centralizzata della terra.
Un ruolo chiave nel passaggio da una formazione comunitaria grossolanamente egualitaria a una formazione statale spersonalizzata viene svolto dal tempio. Sarà questo a fornire un impianto ideologico che giustifichi la gestione centralizzata delle terre, e il conseguente sistema ridistributivo dei beni così prodotti. Gli scavi di Uruk hanno restituito un complesso monumentale di cui fanno parte la ziggurat di Anu (dio del cielo), e l’area sacra dell’Eanna, dedicata alla dea Inanna (identificata col pianeta Venere), che si articola in una serie di fabbriche la cui funzione non è sempre determinabile. L’Eanna è stato spianato più volte nella storia del sito, per ristrutturare l’area templare che verso il 3100 a.C. si doveva innalzare per più di 30 metri sul tessuto urbano. In una di queste spianate, più precisamente nel livello IVa, sono state ritrovate un buon numero di tavolette cuneiformi e di sigilli cilindrici, che ci forniscono preziose informazioni sulla vita economica e sociale della Uruk di fine IV millennio. Va qui sottolineata la gradualità dei fenomeni che si sono intrecciati per dar luogo alla nascita della prima città, consentendo un adattamento dei sistemi insediativi al mutato quadro climatico. Si tratta, insomma, di un meccanismo concertato, in cui ogni elemento si relaziona agli altri in modo dinamico, a patto che i mutamenti avvengano in misura e tempi ragionevoli. Da un punto di vista funzionale, sarà il bisogno di trovare risposte alle nuove domande poste dai cambiamenti sociali, economici e ambientali a consentire lo sviluppo dei centri urbani.
Lo studio dei modi in cui si è espressa la società e l’economia di Uruk sul finire del IV millennio a.C. si basa su due tipologie privilegiate di fonti: i testi arcaici e le raffigurazioni iconografiche su sigilli e vasi. Per quanto riguarda i testi, da quando appaiono le prime tavolette cuneiformi sono attestate due tipologie di fonti scritte: i rendiconti amministrativi e i testi lessicali, entrambi di difficile decifrazione a causa della loro arcaicità. I documenti amministrativi sono i più abbondanti, non solo per il periodo in questione, ma per tutta la durata della storia del Vicino Oriente antico. Il corpus attualmente disponibile si compone di circa 1800 tavolette, spesso molto frammentarie, dal livello IVa, di cui una ventina sono testi lessicali, a cui si aggiungono altri 3200 testi dal livello III (il cosiddetto periodo di Jemdet-Nasr, 3100-2900 a.C. ca.), di cui ben 700 di carattere lessicale. Entrambe le tipologie testuali documentano, sin dall’inizio, una società stratificata, ordinata in senso gerarchico, e altamente specializzata a livello lavorativo. I documenti amministrativi, pur nella parzialità dei dati disponibili, ci forniscono i dettagli sui meccanismi di gestione cittadina da parte dell’autorità centrale, secondo il sistema redistributivo. Integrando i dati con quanto noto da epoca posteriore, per la quale la documentazione si fa non solo più abbondante, ma anche più comprensibile, risulta un quadro economico basato essenzialmente sulla coltivazione dell’orzo e l’allevamento di ovini, che resteranno le due colonne portanti dell’economia del Vicino Oriente nelle epoche successive.
Uno dei tratti salienti delle tavolette arcaiche è l’uso di un sistema metrico standardizzato. Questo punto viene in genere sottovalutato in relazione ai modi in cui si è espressa l’urbanizzazione, ma è solo grazie a una convenzione di pesi e misure che è possibile gestire in modo efficace i beni in entrata e in uscita dai depositi cittadini, e tale convenzione costituisce anzi uno degli aspetti fondamentali del processo di centralizzazione economica. Il sistema di pesi e misure della fine del IV millennio a.C., pur nelle inevitabili incongruenze di fondo, è tuttavia sufficiente a redigere la contabilità statale. Le derrate di orzo possono quindi essere calcolate secondo lo standard di volume per gli aridi, con i suoi multipli e sottomultipli, una certa quantità di birra secondo lo standard di capacità per i liquidi ecc. Il processo di standardizzazione è a sua volta connesso con altri due fenomeni di grande rilievo per la formazione di un organismo protostatale: produzione di massa e sistema di razioni.
La produzione di massa si avverte soprattutto in relazione alla ceramica. A Uruk, questa passa gradualmente dal tipo eseguito al tornio e riccamente decorato, tipico dell’ultima fase del periodo calcolitico (detta Ubaid dal sito meglio conosciuto), a un tipo di fattura più rozza, in cui la decorazione si riduce spesso a una serie di linee orizzontali o ondulate. A ciò si aggiunge il ritrovamento di migliaia di scodelle a bordo obliquo, prodotte a stampo, che probabilmente servivano a contenere le razioni giornaliere dei lavoratori. Un indizio che esse siano connesse al consumo di orzo, o di altri generi alimentari, è fornito dal pittogramma “per mangiare”, composto dall’accostamento del segno per bocca con quello raffigurante appunto una siffatta scodella. Questi manufatti non sono stati ritrovati solo a Uruk, ma anche nella Susiana (Iran occidentale) e più in generale in tutte le zone in cui si è diffusa la cultura Uruk, e sempre in considerevole quantità.
Il sistema delle razioni, affermatosi con la prima urbanizzazione, segna il passaggio ad una realtà centralizzata che sarà alla base dell’organizzazione sociale di tutti centri successivi. Tale sistema, gestito dalle grandi organizzazioni del tempio e del palazzo, prevede l’impiego di lavoro coatto per periodi di tempo in genere computati su base mensile, al fine di scavare canali, erigere edifici, coltivare campi, e produrre tessuti. In cambio della prestazione obbligatoria, l’amministrazione centrale retribuisce i lavoratori con una certa quantità di orzo, tessuti, e anche olio. Il salario viene erogato per la sola durata effettiva del lavoro, che comunque doveva inserirsi nella stagionalità del ciclo agricolo, basato appunto sull’orzo. Le razioni sono commisurate non solo al tipo di mansione, ma anche all’età, al sesso, allo status sociale dei lavoranti. In media, gli uomini adulti ricevono circa 60 litri di orzo al mese, le donne e bambini circa la metà, come testimoniato già dai testi di Ebla e di Girsu presargonica (2400 a.C. ca.). Fluttuazioni, anche molto significative, ricorrono per funzionari maschi di alto rango, quali ad esempio i supervisori di distretti agricoli, la cui retribuzione mensile può decuplicare rispetto al salario base. I compiti lavorativi sono suddivisi in base agli stessi criteri di età e sesso su cui si basa la retribuzione: gli uomini sono utilizzati come forza lavoro nei campi, e in tutte le situazioni dove sia richiesta una certa prestanza fisica; le donne svolgono tipicamente l’attività di tessitrici, producendo sia la parte dei tessuti che confluiscono nel sistema di razioni, sia l’altra parte che doveva essere destinata al commercio interno e all’esportazione.
Uno spaccato della vita quotidiana della Uruk arcaica ci viene fornito dalle scene incise sui sigilli cilindrici, costituiti da piccoli blocchi di pietra sulla cui superficie curva vengono ricavate varie raffigurazioni in negativo. Esse si imprimono in positivo sull’argilla rollando su di essa il cilindro stesso. Lo scopo è sigillare ambienti e contenitori ponendo piccole quantità di argilla sulle chiusure. La presenza della sigillatura su tutta la superficie disponibile impedisce la manomissione della cretula. Il repertorio iconografico testimoniato dalle sigillature include scene molto diversificate: costruzione di edifici, trasformazione delle risorse alimentari, motivi animali (sia di allevamento che di lotta), processioni di barche, scene di prigionia, motivi geometrici. Un ruolo importante sembra essere svolto dalla figura del cosiddetto re-sacerdote: un uomo barbuto che reca sulla testa un copricapo assai simile a quello che caratterizza gli amministratori cittadini delle epoche successive. La glittica riflette una società stratificata, altamente specializzata, sotto la guida di grandi agenzie che coordinano tutte le fasi della vita cittadina.
La divisione del lavoro è uno dei tratti fondamentali della realtà urbana, dove le unità produttive sono strutturate in maniera rigida. Molto informative al riguardo sono le scene figurative del cosiddetto “vaso di culto” di Uruk. Si tratta di un recipiente in alabastro, inciso su tre registri: quello inferiore rappresenta motivi acquatici, vegetali, e animali (bestiame minuto); quello centrale una processione di uomini nudi che portano cesti di pani, recipienti (forse di birra), e altri beni alimentari; quello superiore è dominato dalla dea Inanna, che riceve le offerte da uno di questi devoti, alle cui spalle è raffigurato il re-sacerdote. Tutto nel vaso concorre a trasmettere una idea di ordine e di progressiva strutturazione, che si ritrova nella gerarchizzazione sociale attestata nei testi lessicali, e più in particolare nella lista delle professioni, redatta in lingua sumerica, che ci informa dell’ordinamento interno della città. Molti termini sono di significato incerto, per il fatto che l’unica chiave interpretativa ci è fornita dalle traduzioni in accadico, che però sono posteriori di più di mezzo millennio. Tuttavia, anche tenendo conto delle possibili derive semantiche, risulta chiaro che l’elenco dei funzionari sia redatto secondo un criterio gerarchico, menzionando prima i funzionari di alto rango, legati ad esempio all’esercizio della giustizia, alla supervisione dei distretti agricoli, e a funzioni sacerdotali, per passare poi agli artigiani di vario tipo, quali vasai, fornai e cuochi.
La cultura Uruk già verso la seconda metà del IV millennio a.C. si estende dal sud dell’alluvio mesopotamico a Susa nell’attuale Iran, risalendo l’Eufrate fino a Ninive, e il Khabur fino alla Siria del nord (Habuba Kabira). Tutti questi insediamenti, in cui si trovano tracce materiali del tutto simili a quelle caratteristiche della metropoli del sud (bullae, sigilli, ceramica, scodelle a bordo obliquo, edifici monumentali ecc.), sorgono nel giro di due o tre generazioni, probabilmente a scopo di assicurarsi le vie del commercio su lunga distanza. Saranno queste le direttive della trasmissione della cultura urbana, che verrà recepita in modi diversi e con contributi locali variabili, ma tutti in qualche modo debitori delle tecniche di gestione cittadina sviluppate nel tardo-Uruk, tra cui una delle più caratteristiche può considerarsi la scrittura.
Sebbene sia possibile inquadrare l’avvento della scrittura come uno dei tanti momenti – e non certo il culmine – del processo insediativo che ha portato alla nascita della città, l’impatto che questa innovazione ha avuto sulle culture del mondo antico può difficilmente essere sottovalutato. La documentazione disponibile è limitata quasi esclusivamente a due centri – Uruk e Susa – che sono gli unici discretamente indagati per questo periodo. Per quanto riguarda Uruk, i ritrovamenti provengono da un contesto secondario, ovvero il recinto sacro dell’Eanna, dove sono stati gettati come materiale di riempimento. La mancanza di informazioni sul loro contesto primario rende difficile, anche se affrontabile con metodologia critica, la ricostruzione della storia della scrittura nel Vicino Oriente. In Mesopotamia i primi testi appaiono nella fase finale del periodo tardo-Uruk (3400-3100 a.C. ca.), anticipando forse di poco i documenti protogeroglifici egiziani della cosiddetta Dinastia 0. Questi primi documenti sono preceduti da una lunga fase durante la quale sono stati messi a punto diversi sistemi di computo o scrittura materiale. Già dal IX millennio a.C. sono infatti noti piccoli oggetti di pietra o argilla (in genere non più di 2-3 cm in lunghezza), che, sulla base delle evidenze più tarde, possono essere interpretati come contrassegni numerici. I ritrovamenti coprono tutta l’area del Vicino Oriente, dall’Egitto all’Iran. In Mesopotamia, essi resteranno in uso fino al II millennio a.C., quando ormai si era già pienamente sviluppata la scrittura cuneiforme. Per la fase più antica, si ipotizza che essi fossero contenuti in recipienti di materiale deperibile, come ad esempio stoffa o pelle, che non sono sopravvissuti alla prova del tempo.
La forma di questi presunti strumenti di computo varia dal cono, al disco, al tetraedro, alla mezzaluna, solo per citare le tipologie più frequenti, ognuna delle quali potrebbe essere usata per contare un determinato tipo di bene (pecore, capre, tessuti ecc.). I contrassegni recano talvolta delle incisioni, in genere semplici linee parallele, a raggiera, ortogonali, o più raramente curvilinee. Oltre a ciò, possono anche presentare dei fori passanti, in numero variabile e di funzione incerta. Forma e incisioni di alcune tipologie possono utilmente essere messe a confronto con i segni cuneiformi che appariranno in chiusura del IV millennio a.C. Per la maggior parte dei contrassegni non è però possibile trovare simili corrispondenze. Dal periodo tardo-Uruk in poi, questi piccoli oggetti vengono inseriti all’interno di sfere cave di argilla, dette bullae, ritrovate non solo a Uruk, ma anche nelle zone in cui questa cultura si è espansa: a est nella Susiana, dalla quale anzi proviene la maggior parte dei reperti, e a nord fino in Siria. Esse presentano spesso una sigillatura sulla superficie, che tende ad occupare tutto lo spazio disponibile, in genere impressa con un unico sigillo. Si pensa che questi oggetti servissero come aiuto mnemonico nel passaggio di beni tra più soggetti. L’amministrazione centrale poteva ad esempio essere interessata a tenere il conto di quanti capi di bestiame erano stati affidati a un dato pastore, o a quanto orzo era stato affidato a un certo individuo per la coltivazione di un campo. La sigillatura garantiva che il contenuto, ovverosia i contrassegni, fosse integro, e al contempo forniva un’indicazione sul soggetto coinvolto, o sul garante della transazione. Ad esempio, una sigillatura raffigurante del bestiame al rientro dal pascolo poteva essere immediatamente messa in relazione con l’istituzione che si incaricava della gestione delle mandrie. Un’altra tipologia di bullae reca sulla superficie le impressioni dei contrassegni posti all’interno. In questo modo, non è necessario distruggere il documento per verificare il numero e la tipologia dei contrassegni all’interno di esso. Da recenti esami non distruttivi eseguiti ai raggi X, si è tuttavia potuto accertare che non sempre le impressioni all’esterno delle bullae corrispondono ai contrassegni in esse contenuti.
Una terza tipologia di oggetti rinvenuti è costituita dalle cosiddette tavolette numeriche, che recano esclusivamente incisioni circolari e semicircolari riconducibili appunto a numeri. Infine, i livelli più recenti dell’Eanna hanno restituito vere e proprie tavolette cuneiformi, nelle quali appare il più arcaico repertorio di segni pittografici. Alcuni studiosi moderni (tra tutti Pierre Amiet e Denise Schmandt-Besserat, alla quale il merito di aver aperto il dibattito sulla questione) hanno cercato di mettere in relazione reciproca questi supporti materiali, secondo un modello evoluzionistico. Così, si sarebbe passati dalle bullae contenenti contrassegni numerici, a quelle recanti all’esterno le impressioni dei contrassegni contenuti, alle tavolette numeriche, alle tavolette cuneiformi vere e proprie, per successivi adattamenti. Questa teoria, tuttavia, non spiega molte peculiarità della documentazione disponibile, offrendo il destro a una serie di critiche. Innanzi tutto, non è possibile giustificare la derivazione dei segni cuneiformi dalle tavolette numeriche, poiché esse non presentano segni diversi da quelli metrologici. Va però notato che a Uruk e nella Susiana sono documentate alcune tavolette numerico-ideografiche, che presentano una lunga serie di numeri affiancate da uno o al massimo due segni cuneiformi. Alcune di esse recano impronte di sigillo, e potrebbero rappresentare la connessione tra tavolette numeriche e le tavolette cuneiformi successive. Secondariamente, la mancata corrispondenza di diversi contrassegni con i segni cuneiformi noti da epoca posteriore fa presumere che la scrittura possa sì essere stata influenzata dal sistema delle bullae, ma ne abbia preso solo alcuni tratti. Inoltre, sembra improbabile che in tutta l’amplissima area per la quale sono documentati i contrassegni venisse utilizzato lo stesso sistema di computo. Il fatto che esistano contrassegni di così tanti tipi diversi, e soprattutto che alcuni di essi siano traforati, può implicare che essi svolgessero una funzione diversa, forse variabile a seconda del luogo di provenienza. Infine i contrassegni contenuti nelle bullae non sempre corrispondono alle relative impressioni sulla superficie, il che sembra implicare che questi sistemi di aiuto mnemonico fossero utilizzati con codici diversi da diversi individui o gruppi. Sarebbe quindi più corretto inquadrare questi supporti materiali come tentativi indipendenti di registrazione contabile, col beneficio del dubbio di una possibile evoluzione da tavolette numerico-ideografiche a tavolette cuneiformi. Tra i vari sistemi in uso, tutti coevi (anche se a Susa il sistema delle bullae sembra precedere di poco le prime tavolette), e per così dire in competizione reciproca, si sarebbe infine affermato quello più adatto a rendere conto delle esigenze contabili della città in piena espansione. Sarà necessario attendere parecchi secoli, fino ai testi arcaici di Ur (2800 a.C. ca.) e soprattutto all’età di Fara (2500 a.C. ca.), affinché i documenti cuneiformi registrino pienamente una lingua, quella sumerica, che fino a quel momento era stata espressa in forma logografica, omettendo cioè la messa per iscritto della completa resa fonemica del discorso. La scrittura cuneiforme verrà successivamente mutuata e adattata da molti popoli parlanti lingue diverse dal sumerico, tra cui ricordiamo qui gli Accadi, una popolazione semitica che redigerà veri e propri dizionari bilingui in cui, oltre al segno sumerico, saranno annotati anche la pronuncia e l’equivalente lemma accadico.
In relazione alla nascita della scrittura, che è legata a esigenze di tipo amministrativo, viene spesso citata la versione che ne danno le fonti sumeriche alla fine del III millennio a.C. In un componimento noto come Enmerkar e il Signore di Aratta si narra di come il primo, sovrano di Uruk, inventi di sana pianta la scrittura a causa della scarsa abilità (oratoria o forse mnemonica) del suo messaggero, che doveva recarsi in visita al lontano Signore di Aratta, oltre l’altopiano iranico:
“Poiché il messaggero, avendo la bocca pesante, non era capace di ripetere (il messaggio), il signore di Kulaba (= principale quartiere di Uruk) diede forma all’argilla e mise delle parole in essa, come (si fa con) una tavoletta. Prima di ciò, le parole non erano mai state messe nell’argilla.”
Questo racconto, senz’altro antistorico, ci fa però riflettere su un tratto essenziale dell’ideologia mesopotamica, ovverosia sulla connessione tra regalità e amministrazione, un tratto che verrà esplicitato durante il successivo periodo protodinastico.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia