Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’opinione pubblica subisce profondi cambiamenti nel corso del XIX secolo, mutando a seconda del regime politico-costituzionale e del grado di autonomia e di sviluppo raggiunto dalla società civile nelle singole situazioni nazionali.
Il concetto di opinione pubblica appartiene interamente alla vicenda storica dell’età moderna; i suoi massimi teorici, John Locke e Immanuel Kant, vivono infatti nei secoli XVII e XVIII, in momenti particolari della storia politica e sociale, a ridosso di grandi rivoluzioni e di enormi cambiamenti.
L’esistenza e il funzionamento dell’opinione pubblica presuppone una società civile libera e articolata, capace di esprimere collettivamente un insieme di giudizi di valore che possano aspirare ad avere un significato generale, a essere recepiti come il pronunciamento critico-razionale di chi non occupa, in quel determinato momento, posizioni e responsabilità nella gestione diretta dello Stato e del potere esecutivo.
L’opinione pubblica nasce quando la società civile si emancipa dallo Stato, si pretende autonoma da esso e non vuole rinunciare a esercitare una funzione di controllo e di critica capace di investire la sfera pubblica e politica. Per poter esercitare una tale funzione, la società civile deve esprimere punti di vista e creare spazi idonei, predisporre strumenti che consentano la formazione di opinioni non individuali e il loro libero pronunciamento. Gli strumenti classici dell’opinione pubblica sono quindi i club, i mezzi di informazione e di trasmissione della cultura, i luoghi di discussione pubblica e di elaborazione collettiva e l’insieme delle garanzie, delle regole, dei diritti che tutelano la libertà di espressione.
Le prerogative filosofiche dell’opinione pubblica, che si traducono in precise indicazioni per la nascita e lo sviluppo dello Stato liberale di diritto, sono descritte efficacemente negli scritti di Locke e di Kant. Locke teorizza l’esistenza di una “legge dell’opinione e della reputazione” che permette di giudicare le azioni della società politica. Al momento del contratto i contraenti danno vita alla società politica rinunciando all’uso privato della violenza, ma conservano e sviluppano il potere di giudicare moralmente la condotta pubblica, i vizi e le virtù, il bene e il male. L’espressione dell’opinione pubblica è quindi essenzialmente morale e filosofica, necessariamente distinta dalla politica. Kant sottolinea il requisito della pubblicità e del carattere illuministico dell’opinione pubblica. L’Illuminismo si configura come uso pubblico della ragione che deve essere, per propria natura, libera di essere verificata e corretta dal pubblico; la ragione, facendosi portavoce delle istanze del popolo, deve quindi raggiungere i sovrani e, giudicando pubblicamente il loro operato, influenzare la loro condotta di governo.
È difficile individuare situazioni storiche dove l’opinione pubblica si presenti in una situazione ottimale, dove i requisiti teorici e filosofici incontrino i presupposti sociali e politici. Considerando brevemente il modello inglese e la Francia degli anni Trenta non si può pretendere di annullare la distanza fra il concetto filosofico e le sue parziali realizzazioni storiche. Al momento di realizzare la riforma elettorale inglese del 1832 – per riferirsi a un esempio concreto e delimitato – il movimento riformatore è indotto a creare un clima favorevole alla soluzione proposta. Il raddoppio della base elettorale richiede un sensibile aumento di pubblicità, di attenzione e di interessamento da parte di settori momentaneamente silenziosi. Il pronunciamento eccezionale, che poi si cerca di stabilizzare e di rendere permanente, viene allora sorretto con la creazione di una rete di associazioni e di comitati ad hoc, con le campagne di stampa e la mobilitazione popolare illuminata dalla pubblicità delle tesi riformatrici. Nel corso del XIX secolo, si può quindi osservare la tendenza dell’opinione pubblica a invadere il terreno della politica, per contribuire – attraverso la modifica delle leggi elettorali – ad aumentarne la legittimità, agendo sul versante del consenso e del riconoscimento dei diritti politici.
Anche la Francia della monarchia costituzionale assiste all’accentuarsi della funzione politica dell’opinione pubblica, considerata come istanza vitale, intermedia fra l’elettorato e il potere legislativo. Essa costituisce la fonte principale del consenso – che deve essere rinnovato – nei confronti dell’esecutivo fra un’elezione e l’altra, quando la società civile, o una parte di essa, tace elettoralmente. L’opinione pubblica è rappresentata da un meccanismo descritto mirabilmente da François Guizot. Un meccanismo pubblico che si identifica con il sistema rappresentativo e con la sua idoneità a ricercare la verità, la ragione e la giustizia “grazie alla discussione che obbliga i poteri a ricercare in comune la verità; grazie alla pubblicità che pone sotto gli occhi dei cittadini i poteri occupati in questa ricerca; grazie alla libertà di stampa che stimola i cittadini stessi a cercare la verità e a dirla al potere”.
Tale meccanismo, però, si dimostra impotente di fronte ai moti del 1848, quando il titolo di cittadino non può continuare a essere prerogativa di pochi e la maggioranza preme alle porte, chiede il riconoscimento e l’allargamento dei diritti politici e sociali, e infrange quel progetto del pensiero liberale divenuto conservatore.
Quando la concezione dell’opinione pubblica deve fare i conti con la ricerca del consenso e quando, per dirla con Hegel, ciò che ognuno deve accettare deve essere presentato come giustificato, diventa chiaro che l’opinione pubblica non è il prodotto esclusivo di spiriti illuminati, di cerchie ristrette: essa si allarga, considerando il punto di vista degli uomini comuni, di fasce sempre più estese di popolazione e di classi sociali. In tale contesto, l’approccio fiduciosamente razionalistico viene sostituito da una concezione sociologica in grado di svelarne il carattere non universale, e questo è in estrema sintesi l’assunto della critica marxiana: l’opinione pubblica si identifica con il punto di vista della classe dominante. La borghesia, infatti, non è più in grado di rappresentare interessi generali, parlando a nome di tutti. Di fronte alla trasformazione della società civile, quando il conformismo e l’uniformità prevalgono sul necessario esercizio critico della ragione, quando il “dispotismo delle maggioranze” esercita la propria influenza sull’anima degli individui, anche le nuove generazioni liberali – rappresentate da John Stuart Mill e da Alexis de Tocqueville – mettono in discussione il carattere “incorruttibile” e puro dell’opinione pubblica.
Gli indicatori di tale crisi dell’opinione pubblica sono colti all’interno dello sviluppo delle società di massa e alla luce del mutamento che il fattore di sviluppo e di perfezionamento del mercato induce nella produzione e nella diffusione delle idee e delle opinioni. Alla funzione del pensatore illuminista, esaltata da Kant, si sostituiscono così l’industria culturale, il mercato editoriale, i nuovi criteri di utilità che subordinano la diffusione delle idee e delle opinioni destinate al pubblico alla logica del consumo e del profitto, al vantaggio per coloro che detengono il potere politico e sociale, alla loro costante legittimazione.
Il carattere razionale, critico, “incorruttibile”, individuato dal pensiero illuministico e riproposto da alcuni fiduciosi teorici della prima metà del XIX secolo, viene messo in dubbio dai più acuti osservatori della società europea già a partire dagli anni Quaranta. Il concetto di opinione pubblica viene di fatto alleggerito nel suo significato, assumendo una valenza maggiormente problematica, e viene depurato dalle prerogative iniziali. Nonostante ciò, esso si presenta ancora come strumento interpretativo in grado di descrivere una società in rivoluzionario mutamento, investita da forti cambiamenti e da un processo progressivo, mai indolore o scontato, di interessamento delle masse alla gestione della “cosa pubblica”. In tale contesto il concetto di opinione pubblica cambia perché, pur nelle diverse realtà sociali di fine Ottocento, aumentano coloro che si candidano a “illuminare” ed emergono sulla scena nuove forze e nuove soggettività. L’opinione pubblica lega così la propria possibilità di esistenza all’effettività del processo di sviluppo democratico, alla continua definizione di nuove regole e di nuovi diritti che, se contribuiscono a rinnovare lo Stato liberale, ne mettono profondamente in discussione la realtà, le regole e il suo fondamento esclusivamente formale.