L'Italia preromana. I siti etruschi: Verucchio
L’insediamento di V. è situato su un pianoro alla sommità di un colle dalle pareti scoscese, sul corso del Marecchia, a circa 15 km dalla costa adriatica, al termine di un percorso che metteva in comunicazione l’area di cultura villanoviana della Romagna orientale con quella del versante tirrenico, lungo le valli del Tevere e del Marecchia, attraverso l’Appennino (Passo di Viamaggio).
L’influenza della cultura di tipo villanoviano di V. si estende ad altri centri, compresi tra l’area collinare intorno al Rubicone a nordovest e il torrente Marano a sud-est, con alcune propaggini verso il Piceno. Già dalla prima metà del IX sec. a.C., lungo le pendici settentrionali e meridionali del colle si sviluppa un abitato, la cui nascita è dovuta agli interessi delle popolazioni villanoviane tirreniche verso quest’area, non da ultimo per l’approvvigionamento dell’ambra, come indicano la quantità e la specificità dei rinvenimenti delle necropoli. V. era infatti un centro di lavorazione e smistamento di questa materia di pregio e la foce del Marecchia fungeva verosimilmente da scalo per i commerci transadriatici con l’area illirica, ove giungeva la via dell’ambra. L’evoluzione degli aspetti culturali di V. è stata distinta in quattro fasi: V. 1 (prima metà del IX - metà dell’VIII sec. a.C.); V. 2 (2a: seconda metà dell’VIII sec. a.C.; 2b: primo trentennio del VII sec. a.C.); V. 3 (dal secondo quarto del VII alla seconda metà del VI sec. a.C.); V. 4 (fine VI-IV sec. a.C.), fase quest’ultima in cui si è ipotizzato il prevalere della cultura delle popolazioni umbre.
All’XI e al X sec. a.C. risalgono rispettivamente i ripostigli di bronzo di Casalecchio di V., di Camerano di Poggio Berni e di Torriana, così come alcuni fondi di capanne, individuati alla Calbana di San Giovanni di Galilea e a Covignano di Rimini. È solo nel IX sec. a.C., tuttavia, che sul colle si sviluppa un insediamento capannicolo, resti del quale sono stati individuati sul pianoro alla sommità della collina (Pian del Monte) e lungo le pendici, favorito dalla presenza di numerose sorgenti. Dopo una serie di scavi condotti dalla fine dell’Ottocento alla sommità e sulle pendici orientali, a partire dal 1963 altre indagini vennero intraprese sull’altura del Colle dei Cappuccini (con il rinvenimento di fondi di capanne e di una fornace della fase iniziale dello stanziamento, da cui provengono moltissimi reperti ceramici, fuseruole, rocchetti e una fibula che ricorda quelle della fase Piceno II). Nell’area del campo sportivo sono stati individuati resti di capanne della prima età del Ferro, alcune con un diametro di 8 m, con fondo di terra battuta e alzato di pali e rami intrecciati, il cui aspetto è ricostruibile in base a quella riprodotta sullo schienale del trono ligneo dalla tomba 89 della necropoli sotto la rocca.
Alla fase dell’abitato di V sec. a.C. appartengono muretti a secco di case a pianta quadrangolare, con pavimento di ciottoli e copertura di tegole, per diversi aspetti confrontabili con quelle di Marzabotto, forni per ceramiche e piccole fornaci per la lavorazione del bronzo, che si sovrappongono alle strutture più antiche. Di una casa, in particolare, è stato possibile ricostruire per intero la planimetria, articolata in cinque ambienti disposti intorno a un cortile scoperto, con l’accesso tramite un breve corridoio e un portico lungo tutto il lato meridionale. I materiali, tra cui anche ceramiche greche ed etrusche importate, permettono di datare le fasi di vita di questo edificio dal V al IV sec. a.C. e, insieme a un supporto marmoreo scanalato di trapeza o perirrhanterion, sono indicativi dell’agiatezza dei proprietari. Ceramiche e soprattutto fibule databili tra il IX e il IV sec. a.C., dal riempimento di un pozzo, confermano la continuità abitativa del sito nell’arco delle diverse fasi cronologiche. Nei pressi del pozzo, in una stipe, vennero rinvenuti tre scudi di lamina bronzea decorata a sbalzo, databili nel VII sec. a.C., deposti probabilmente con valore rituale. Numerosi segni alfabetici graffiti su oggetti dalle necropoli e un’iscrizione dall’abitato indicano l’utilizzo, a partire dal VII sec. a.C., della scrittura, paleograficamente simile a quella di Bologna.
Le necropoli sono situate ai piedi del colle (necropoli sotto la rocca, sepolcreti Le Pegge, Moroni, Campo del Tesoro, fondo Lavatoio) e coprono un arco cronologico che va dalla metà del IX alla seconda metà del VI sec. a.C., mentre non sono state al momento rinvenute sepolture databili al V e IV sec. a.C., nonostante le evidenze archeologiche comprovino la continuità abitativa del sito fino a quel periodo. Particolari condizioni del terreno hanno consentito l’eccezionale conservazione dei materiali lignei deposti nei corredi. Fino al VI sec. a.C. il rito è esclusivamente quello crematorio, indicando, insieme ai materiali dei corredi, i legami di questa comunità con l’Etruria tirrenica e con Novilara, evidenziati anche dalle somiglianze nella tipologia di alcune fibule, rasoi, ornamenti di bronzo e ambra, vasi fittili, elmi e pugnali. Già nel corso dell’VIII e successivamente nel VII sec. a.C. emergono alcuni elementi di diversità rispetto a Bologna, ad esempio nella decorazione stampigliata delle ceramiche e nella presenza di armi e morsi equini nelle tombe. Queste sono segnalate all’esterno da un ciottolo di fiume o, più frequentemente, da un recinto di paletti di legno; in alcune di esse sono utilizzate tavole lignee per realizzare casse di legno oppure per coprire i pozzetti.
Nella fase più antica (sepolcreto fondo Lavatoio) il cinerario d’impasto di forma biconica (decorato a stampiglia, con motivi geometrici che richiamano quelli dei legni intagliati, in un caso sormontato da un coperchio a forma di elmo crestato) è deposto in un pozzetto, talvolta rivestito di pietre, e il corredo è costituito principalmente da fibule e da monili di bronzo, ambra e pasta vitrea. Successivamente l’urna, sostituita talvolta da un canestro di vimini con un’analoga funzione (avvolta in alcuni casi in un mantello di lana fermato con fibule), viene collocata entro un dolio. Il corredo è composto da oggetti di ornamento personale, fibule, collane e orecchini di bronzo, ma anche d’oro, questi ultimi con confronti nelle oreficerie dell’Etruria tirrenica. L’ambra è impiegata in grandi quantità per intarsi nei nuclei d’osso e avorio di fibule e placchette ornamentali, come rivestimento di conocchie, per vaghi e pendenti di collane e orecchini, applicata, insieme a perline di pasta vitrea, come decorazione di tessuti e talvolta incastonata in forma di bottoncino sui vasi d’impasto.
Nelle tombe, come segni di rango, sono deposti morsi equini e armi (lance, spade, scudi di lamina bronzea ed elmi crestati analoghi a quelli diffusi in Etruria meridionale, coltelli), cinturoni e pettorali di lamina bronzea, suppellettili di legno, tra cui tavolini a tre zampe, vasi decorati con borchie di bronzo, cofanetti, seggi e suppedanei, terminali di mobili configurati, canestri di vimini e offerte di cibo. Numerosi dovevano essere anche vasi e oggetti di bronzo laminato, di cui si conservano solo le parti realizzate a fusione, come le anse. Completavano i corredi vasi d’impasto di varia tipologia (piatti-fruttiera, bicchieri-attingitoio, tazze, scodelle, vasi situliformi). Tra le tombe più rappresentative della fase orientalizzante si segnalano quelle maschili, 85 e 89, della necropoli in località Le Pegge, databili alla prima metà del VII sec. a.C. La tomba 85, rivestita di tavole che formavano quasi una camera ipogeica, conteneva il dolio fittile, con le ceneri del defunto entro un cinerario avvolto da un mantello; tre tavolini, un trono con suppedaneo di legno, vasi d’impasto, morsi equini e oggetti di ornamento completavano il corredo. Come simbolo di regalità era stato deposto un elmo di vimini intrecciati, decorato con borchie di bronzo, confrontabile con esemplari di area illirica.
Nella tomba 89 erano deposti entro un cassone ligneo, oltre a vasellame (d’impasto, bronzeo e ligneo), oggetti di ornamento personale, anche di metalli preziosi (una fibula di oro ad arco serpeggiante e due d’argento, un affibbiaglio a pettine d’argento), tre carri, bardature equine, due elmi e, con valenza cerimoniale, a sottolineare il rango del defunto, armi e insegne, fra cui un flabello ligneo (tipologicamente analogo a quelli di bronzo dell’Istria) e un trono di legno con relativo suppedaneo, simile a quelli di lamina bronzea dell’Etruria tirrenica. Lo schienale ricurvo del trono è intagliato con motivi geometrici all’esterno e scene figurate all’interno (corteo di carri, figure femminili e guerrieri, animali, raffigurazioni di attività di vario tipo davanti ad abitazioni, tessitura), rese originariamente più visibili con l’ausilio del colore, nelle quali si sono proposti di riconoscere indicatori del modello di vita e del cerimoniale aristocratico delle élites di V. Un trono simile, decorato con scene figurate, è stato rinvenuto nella tomba 26 a pozzetto del sepolcreto Moroni.
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