L'Italia preromana. I siti della Puglia: Siponto
Il sito archeologico di S. (gr. Σιποῦς, Σειφούς, Σηπιούς; lat. Sipontion, Sipontus, Sipontium, Sipuntum) è situato a sud di Manfredonia, attualmente a circa 700 m dalla linea di costa, ma costituiva, prima del progressivo impaludamento, un importante scalo lagunare protetto dal Promontorio del Gargano.
La sua fondazione, secondo le fonti, si doveva a Diomede, giuntovi da Troia e accolto dal locale re Dauno, da cui sarebbe successivamente stato ucciso (Strab., VI, 3, 9). Nel 333 a.C., Alessandro il Molosso, venuto in Italia in appoggio a Taranto contro le popolazioni indigene, avrebbe conquistato anche S. Nel corso delle vicende che opposero Pirro e i Romani, S. seguì la politica di Arpi (di cui costituiva lo scalo marittimo), alleata dei Romani. La colonia, la prima di diritto romano in Puglia, venne dedotta nel 194 a.C. in un sito diverso da quello dell’insediamento daunio, dopo la distruzione di Arpi come punizione per l’aiuto fornito ad Annibale; una seconda deduzione seguì nel 185 a.C. a causa del suo spopolamento, questa volta nell’area dell’attuale Santa Maria di Siponto, su un piano roccioso ricco di acque sorgive, per proteggerla da impaludamenti e dalla malaria. La fase preromana è stata individuata nell’area delle masserie Cupola e Beccarini, lungo la linea interna di costa dell’antica laguna, dove già nel 1930 a opera di C. Drago e poi a partire dagli anni Sessanta vennero intraprese da S. Ferri ricerche archeologiche.
Un primo insediamento (resti di una capanna), finalizzato allo sfruttamento delle rotte marittime come quello della vicina Salapia, risale a poco prima del Bronzo Medio. A partire dall’età del Ferro resti di capanne e battuti indicano diverse fasi di vita e una frequentazione che perdura fino al III sec. a.C. L’insediamento era probabilmente costituito da un insieme di villaggi sparsi, in corrispondenza di piccole alture su dune sabbiose (coppe), con aree di necropoli nelle immediate adiacenze. È nota una sola sepoltura dell’età del Bronzo, mentre sono state individuate numerose inumazioni in fossa rivestite da muretti di pietra e lastre di chiusura, con defunto deposto in posizione rannicchiata accompagnato da corredo ceramico, databili tra il VII e il VI sec. a.C.; altre tombe, coperte da tumulo, sono state rinvenute nell’area Beccarini - Stazione Candelaro. Una di esse, databile al VII sec. a.C. e pertinente a un individuo femminile, conteneva, oltre a ceramiche daunie, bacili di bronzo, spiedi di ferro, monili di oro e di argento (fibule, vaghi di collana) e la deposizione, sotto le pietre del tumulo, di una testa equina accompagnata da altro vasellame ceramico.
A tombe di questo tipo vanno anche collegate le stele antropomorfe, nessuna delle quali tuttavia rinvenuta in situ e riutilizzate in alcune sepolture già a partire dalla metà del VI sec. a.C. I rinvenimenti più antichi sono localizzabili tra S. e Salapia, ma la diffusione, e probabilmente anche la produzione da parte di diverse botteghe, interessa tutta l’area che va dal Candeloro all’Ofanto, fino a Melfi. Costituite da una lastra di pietra calcarea, raffigurano guerrieri e dignitari e vengono datate tra il VII e il corso del VI sec. a.C. secondo una classificazione basata sulla tipologia e su monili e armi riprodotti con notevole fedeltà, che hanno fornito, in assenza di associazioni con precisi contesti funerari, un elemento per la loro cronologia, evidenziando le relazioni tra la Daunia, le popolazioni dell’altra sponda dell’Adriatico e dell’Italia medio-adriatica; i loro antecedenti possono ravvisarsi in quelle della prima età del Ferro di Monte Saraceno, provenienti da una necropoli con deposizioni databili tra il X e il VII sec. a.C., ma, al contrario di quelle, le vesti cerimoniali presentano un ricco repertorio narrativo e figurato inciso o a rilievo molto basso e policromato, che si affianca all’ornato di tipo geometrico ispirato alle coeve produzioni della ceramica daunia. Queste scene figurate, espressione della cultura e delle tradizioni delle popolazioni locali, sembrano tuttavia testimoniare anche una recezione di spunti iconografici ellenici.
Il sito della colonia romana, dall’impianto trapezoidale, è stato localizzato nei pressi della basilica di S. Maria di Siponto, favorito dalla presenza di un fiume e della laguna che facilitavano gli scambi marittimi e con l’entroterra, in particolare per il commercio del grano. Cinto da mura a doppia cortina, rinforzate da torri con numerosi rifacimenti successivi, è assai poco conosciuto per le fasi relative al II sec. a.C. Al termine del cardo si apriva la porta prospiciente il porto marittimo, mentre la zona pubblica va localizzata nell’area della successiva basilica cristiana. All’età augustea si datano rifacimenti delle mura, la costruzione dell’anfiteatro e di due terme, la sistemazione dell’impianto di rifornimento idrico della città e delle strutture portuali e una villa fuori del centro urbano, in località Mascherone. Fonti epigrafiche ci testimoniano l’esistenza di un tempio di Diana e di un tribunal (e quindi indirettamente di una basilica).
M. Mazzei, s.v. Siponto, in EAA, II Suppl. 1971-1994, V, 1997, pp. 270-71 (con bibl. prec.).
M. Mazzei (ed.), Siponto antica, Foggia 1999 (con bibl. ult.).
M. Mazzei - M.L. Notarangelo, Documenti per lo studio di Siponto antica. Fonti letterarie e archivistiche, Foggia 1999.
M.C. D’Ercole, Importuosa Italiae Litora. Paysage et échanges dans l’Adriatique méridionale à l’époque archaïque, Naples 2002 (con bibl. ult.).
G. Rocco, Il repertorio figurativo delle stele della Daunia: iconografia e temi narrativi tra Grecia e Adriatico meridionale, in Prospettiva, 105 (2002), pp. 2-28.