Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Durante gli anni Venti il cinema europeo è caratterizzato dal lavoro di un certo numero di registi, che avendo acquisito una padronanza pressoché completa del mezzo, riescono ormai a controllare perfettamente entrambi i livelli della messa in scena e del montaggio e a metterli al servizio della creazione di una grande forma rappresentativa. A più riprese riscoperti e celebrati nella seconda parte del Novecento, secondo una pratica inaugurata nel secondo dopoguerra da André Bazin, questi autori costituiscono la migliore tradizione del cinema europeo e lo differenziano in maniera significativa da quello nordamericano dello stesso periodo.
Sigfried Kracauer
Caligari e Hitler
Cinema tedesco. Dal “gabinetto del dottor Caligari” a Hitler
Con o senza intenzione, Caligari mostra l’anima che oscilla tra tirannia e caos, di fronte a una situazione disperata: qualsiasi fuga dalla tirannia sembra sprofondarla nel disordine totale. Ne emana, è inevitabile, una penetrante atmosfera d’orrore. Come quello dei nazisti, il mondo di Caligari rigurgita di sinistri presagi, di atti di terrore e di esplosioni di panico. L’equazione orrore-disperazione raggiunge il culmine nell’episodio finale, che finge di ristabilire la vita normale.
Sigfried Kracauer, Cinema tedesco. Dal “gabinetto del dottor Caligari” a Hitler, Milano, Mondadori, 1954
Allievo di Max Reinhardt, nella sua breve quanto intensa carriera Friedrich Murnau realizza una serie di opere molto diverse, ma tutte accomunate da un potente stile narrativo e figurativo, altrettanto riconoscibile nella cornice fantastica di Nosferatu e Faust (1926) come in quella più realistica di Die letze Mann e Sunrise (entrambi del 1927, girato in California). Dei suoi primi film ben poco è sopravvissuto, ma tra questi Nosferatu è già l’opera di un maestro. Portando la cupa storia del vampiro narrata da Bram Stoker in ambienti naturali, Murnau dà vita per primo a un espressionismo puramente cinematografico, creato, invece che con scenografie dipinte, con la scelta delle angolature e l’uso del controluce, dei trucchi e del montaggio. L’ombra di Nosferatu che si allunga sui muri mentre si prepara ad aggredire la sua vittima, il castello diroccato, la nave che trasporta il vampiro nella sua bara, sono altrettante memorabili testimonianze della capacità di Murnau di trattare l’orrore a grandezza naturale, o più esattamente, alla grandezza voluta. Se Faust presenta una dimensione addirittura macrocosmica, con il volto di Mefistofele che all’improvviso giganteggia nel cielo e con Faust che si ritrova a contemplare dall’alto i vizi terreni, Die letze Mann (L’ultima risata) si concentra nel microcosmo di un vecchio portiere d’albergo, ridotto a pochissimi ambienti, che bastano però a contenere una sconvolgente tragedia sociale. In Sunrise (Aurora, 1927) la scena di Murnau si allarga alle proporzioni dello spazio urbano, eletto a sfondo di una delicata storia d’amore in continuo movimento, con andata e ritorno dalla campagna alla città e un forte ruolo giocato dai mezzi di trasporto, primo fra tutti il tram. L’ultimo film, Tabu (1931) girato con Robert Flaherty nei Mari del Sud con attori nativi, è un esperimento di commistione di finzione e documentario, che tuttavia delude entrambi gli autori, rivelandosi al di sotto delle loro ambizioni.
La capacità di dar vita a grandi configurazioni spaziali, impiegate spesso in funzione allegorica, caratterizza anche la produzione di Fritz Lang, che nel periodo del sodalizio con Pommer – da Die Spinnen (I ragni, 1919) a Das Testament des Dr. Mabuse (Il testamento del dottor Mabuse, 1933), passando per Die Nibelungen (1923-1924), Metropolis (1927) e M, eine Stadt sucht einen Murder ( M, il mostro di Düsseldorf, 1931) – crea una serie di opere altamente spettacolari ma anche, non di rado, sottilmente critiche. Ingranaggi narrativi funzionanti a pieno ritmo, i film di Lang si nutrono dei motivi e delle figure tipici della trivalliteratur, ambito da cui proviene la sceneggiatrice di molti dei suoi primi film, Thea von Harbou, per qualche tempo sua moglie, mescolando il fantastico e l’avventuroso, il poliziesco e l’anticipazione e sfruttando sapientemente il montaggio ai fini di una narrazione trasparente che appare in anticipo perfino su Hollywood. Ma già con i primi due episodi della saga del dottor Mabuse (Dr. Mabuse, der Spieler, 1922), Lang dichiara di voler offrire “un quadro dell’epoca” e dipinge la figura di un oscuro criminale trasformista che sfrutta i suoi poteri ipnotici per affermare la propria volontà di potenza. Dopo Mabuse, cui Siegfried Kracauer riserverà un posto d’onore nella sua galleria di anticipazioni filmiche di Hitler, l’immaginazione di Lang si dirige verso la costruzione di mondi monumentali, variamente collocati nel futuro o in un passato leggendario, come nel caso del dittico di ispirazione wagneriana Die Nibelungen e soprattutto della fantascientifica città-fabbrica di Metropolis. Quest’ultimo film, che tenta una critica delle condizioni del lavoro salariato nella società industriale, si conclude però con un finale di chiara impronta socialdemocratica, sulla stretta di mano tra il leader degli operai insorti e il padrone della fabbrica. Il lavoro di Lang sullo spazio prosegue in M, storia poliziesca che vede allearsi tra loro i due universi contrapposti della malavita e della Legge nella caccia a un assassino di bambini. I due mondi vengono sistematicamente alternati in modo da costruire una strana simmetria e addirittura un’inquietante specularità, dove l’ambiente della malavita sta alla polizia come gli oscuri impulsi omicidi dell’assassino stanno al suo sé razionale, del tutto incapace di vincerli. Dopo questa pessimistica diagnosi sullo stato della legalità in Germania alle soglie del nazismo, Lang conferma le sue doti di preveggenza con Das Testament des Doctor Mabuse, in cui l’odioso criminale dei film del 1922, detenuto in manicomio, prima essere trovato morto, fa in modo di evadere trasferendo la sua mente in quella del suo psichiatra, divenendo in pratica una pura forza psichica che si trasmette per suggestione. Il film è prontamente censurato da Goebbels e Lang, per le sue origini ebree, è costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti. Affermatosi come uno dei principali autori di Hollywood, al termine della sua vita Lang ritornerà alle origini, realizzando in Germania l’ultimo capitolo della saga, come di tutto il suo cinema.
Il percorso creativo di Sergej Michail Ejzenstejn ha inizio in teatro, nel contesto della vivace sperimentazione che caratterizza i palcoscenici moscoviti dei primi anni Venti, al fianco di di Mejerchol’d negli allestimenti realizzati al Teatro del Proletkul’t. Ma già nel 1924, ad appena 25 anni, gira il primo lungometraggio, Stacka (Sciopero), punto d’avvio di un intenso lavoro teorico e pratico sul cinema. Ejzenstejn affronta subito la questione della partecipazione del cinema al progetto rivoluzionario, sviluppando l’idea di un montaggio “formativo” che abbia nello spettatore il suo principale “materiale”, da plasmare emotivamente e intellettualmente attraverso operazioni mentali indotte dalla concatenazione di immagini. A differenza di Kuleshov, Ejzenstejn pensa che la scelta del contenuto delle inquadrature abbia un valore determinante nel processo di significazione attuato dal montaggio e di conseguenza assegna un ruolo centrale alla messa in scena. Capace di dirigere grandi masse di comparse come di studiare i primi piani e i dettagli nei minimi particolari di luce, distanza e angolatura, Ejzenstejn è convinto che il montaggio abbia già origine all’interno dell’inquadratura, come tensione conflittuale tra gli elementi che la compongono (piani, volumi, luci ecc.). Questa concezione generativa del montaggio, a cui affida la ricerca di un linguaggio cinematografico in grado di comunicare idee con la precisione di una scrittura ideografica – esperimento già parzialmente tentato nel Potëmkin (La corazzata Potëmkin, 1925), ma sistematicamente utilizzato soprattutto in Oktiabr’ (Ottobre, 1927) – gli permette di mantenere saldi i cardini della sua poetica anche nella delicata fase del passaggio al sonoro, in cui teorizza l’asincronismo come procedimento di montaggio “verticale” tra l’immagine e il suono. Tra i suoi numerosi progetti non realizzati il più singolare è quello di un film tratto dal Capitale di Marx, ma altri lavori di eccezionale impegno artistico e produttivo vengono interrotti a un passo dalla conclusione, per problemi economici (come nel caso di !Que Viva Mexico!, 1931) o di censura politica: Bezin lug (Il prato di Bezin) viene materialmente distrutto dai funzionari dell’apparato, in seguito a una campagna contro l’autore basata sull’accusa di “formalismo”). Gli ultimi film di Ejzenstejn, Aleksandr Nevskij (1938) e i due capitoli di Ivan Groznij (Ivan il Terribile, 1944 e La congiura dei boiardi, 1946-1948), mostrano uno stile cinematografico sempre più attento al montaggio interno all’inquadratura e alla messa in scena e, sul piano figurativo, uno studio ispirato a modelli pittorici della tradizione russa, cui rinviano numerose citazioni.