L’innovazione dell’automobile
La diffusione capillare e generalizzata dell’automobile come sistema di mobilità e di trasporto ha portato grandi cambiamenti nel panorama sociale ed economico della nostra civiltà. Il mezzo di trasporto individuale, quale elemento emblematico del modello di sviluppo consumistico della società occidentale, a seguito di un’economia ormai globalizzata, è stato esportato nel mondo intero. La civiltà dell’automobile ha condizionato lo stile di vita di milioni di individui e, ponendosi come modello di riferimento per lo sviluppo di interi continenti, ha prodotto trasformazioni di una tale portata che inizialmente nessuno avrebbe potuto prevedere. La chiave di questo fenomeno è l’enorme vantaggio in termini di libertà e di accesso al mondo che la mobilità individuale e, in particolare, il trasporto su gomma consentono. La richiesta e le esigenze di trasporto aumentano in modo esponenziale: se nel 1960 meno del 4% della popolazione mondiale disponeva di un’automobile, nel 1980 il valore era già salito al 9%; oggi la quota ha raggiunto il 12%. Proseguendo con l’attuale tasso di crescita, entro il 2020 il 15% della popolazione del pianeta potrebbe possedere un’auto e, siccome da qui a 15 anni la popolazione dovrebbe aumentare fino a circa 7,5 miliardi di persone, il numero totale di veicoli salirà da 850 milioni a più di 1,1 miliardi. Questa crescita dipenderà dall’enorme espansione economica in atto nei Paesi in via di sviluppo, che si tradurrà in un aumento del reddito disponibile. Oggi la maggior parte delle auto circolanti è concentrata in Europa, Giappone e Stati Uniti, ma si prevede che più del 60% della vendita di nuovi veicoli, nei prossimi anni, avverrà in Paesi emergenti, come per es. Brasile, Cina, India, Corea del Sud. Se non verranno prese adeguate contromisure, si avrà certamente un forte impatto in termini di inquinamento ambientale. In confronto alle automobili di venti o trent’anni fa, quelle attuali non mostrano soltanto un evidente progresso funzionale ed estetico, ma anche una notevole evoluzione tecnologica. Dai vecchi motori inquinanti e rumorosi si è infatti passati a moderni sistemi propulsivi che, sottoposti ai dovuti adeguamenti per l’impiego di nuove tecnologie e di nuovi carburanti, si possono definire puliti. Oggi i motori delle nuove automobili emettono da trenta a cinquanta volte meno monossido di carbonio e ossidi di azoto di un motore di vent’anni fa; questo costituisce un primo risultato che lascia sperare in un futuro più roseo. Per arrivare a tali risultati si è lavorato in tutte le possibili direzioni, individuando di volta in volta quelle soluzioni che sembravano più promettenti; non è stato un percorso agevole, perché le normative non si sono sempre evolute in modo organico, ma in molte occasioni sono state frutto del compromesso tra le intenzioni dei legislatori e le condizioni poste dalle industrie automobilistiche e petrolifere. Oltre agli aggiornamenti necessari per adeguare le automobili alle esigenze sin qui esposte, si registra da parte del mercato un incremento della richiesta di comfort e di disponibilità di accessori, fattori che incidono sensibilmente sul costo finale.
Riduzione dei costi produttivi
Dopo lunghi anni di razionalizzazione nell’impiego delle risorse, le imprese si trovano a dover innovare la filiera produttiva, per ridurre i costi di produzione e quindi per poter sopravvivere e per restare concorrenziali sul mercato. Con la globalizzazione economica e lo sviluppo delle attività produttive in Paesi che offrono lavorazioni a costi più convenienti, oggi sono possibili ulteriori margini di risparmio. Chi non riesce ad aggiornarsi oppure a creare condizioni economiche e produttive ottimali viene assorbito da aziende più grandi o dagli imprenditori che interpretano al meglio i parametri della ‘nuova economia’. Senza approfondire casi specifici, è ben noto che, per opportunità economiche, è in atto da vent’anni un processo di concentrazione delle case automobilistiche. Grandi gruppi come Ford, Volkswagen, Gener-al motors, PSA Peugeot Citroën e Fiat, avendo accorpato marchi diversi, una volta indipendenti, detengono una consistente fetta di mercato vendendo ogni anno milioni di veicoli ciascuno. I criteri abitualmente adottati dalle aziende sono quelli di standardizzare i componenti o di realizzare sinergie produttive. Ogni automobile, in media, è composta da 8000 a 12.000 pezzi, che possono essere suddivisi in due grandi categorie. La prima comprende quei componenti detti carry-over, ovvero pezzi già industrializzati in precedenza e che andranno a incidere sul costo totale di produzione soltanto per il loro costo unitario, cioè per il prezzo commerciale di fornitura. Fanno parte di questa tipologia, per es., pneumatici, bulloneria, batterie, ossature di sedili e anche parti complesse di meccanica, fino all’intero gruppo propulsore. La seconda grande categoria è rappresentata da quei componenti specifici che devono essere industrializzati appositamente. In questo caso il costo del singolo particolare comprende anche l’assorbimento delle spese d’investimento effettuate per la sua industrializzazione, cioè quelle relative a stampi, attrezzature e lavorazioni impiegati per la sua produzione. Maggiore sarà il numero degli esemplari prodotti, minore sarà l’incidenza degli investimenti sul costo finale dei singoli pezzi. Questi, in funzione del numero degli esemplari da produrre, possono essere realizzati con tecnologie e materiali diversi, selezionati in maniera tale che risultino più convenienti.
La scelta dei materiali e delle tecnologie può avere ripercussioni in misura diversa anche sulle caratteristiche estetico/formali dei componenti e di conseguenza sul design complessivo. Un caso concreto è costituito dalla Grande Punto (2005) della Fiat, che condivide molta componentistica con la nuova Opel Corsa (2006), tra cui parti assai visibili come, per es., il parabrezza. Numerose case stringono accordi per la progettazione e lo sviluppo di prodotti in comune che, sebbene vengano industrializzati ex novo, avranno tante parti componenti condivise, in modo tale da ridurre il numero totale di parti da industrializzare. Oltre a criteri progettuali che si avvantaggiano della standardizzazione della componentistica, anche l’organizzazione produttiva e logistica può essere razionalizzata per trarre vantaggi economici. Questo genere di iniziative ha consentito di gestire al meglio i costi di produzione e di sviluppo, nonostante che l’aumento globale della capacità produttiva nell’industria si risolva spesso in un eccesso di produzione tendente a diminuire i prezzi di vendita. La concorrenza di aziende nuove che si affacciano sul mercato con criteri organizzativi, produttivi e con prodotti sempre più avanzati rende necessario un continuo intervento di innovazione. Perciò i costruttori di auto non hanno cessato di rinnovare i veicoli, intesi come sintesi di criteri strategici e produttivi, per adeguarsi costantemente alle esigenze del mercato e a norme sempre più restrittive. Malgrado gli alti costi di sviluppo e di industrializzazione, si assisterà a ulteriori evoluzioni sui prodotti in circolazione e a una diffusa applicazione di innovazioni tecniche. In un mercato diventato altamente competitivo, i costruttori concorrono tra loro per offrire ai consumatori vetture con prestazioni sempre più elevate, sempre più ricche di accessori e con un design attraente, innovativo e funzionale; d’altra parte ci si aspetta anche che queste siano più sicure, consumino meno e richiedano meno manutenzione, con una limitazione massima dei costi. Alla luce di queste esigenze, i veicoli stanno subendo un profondo processo di rinnovamento, sia di carattere tecnico, mirato al rispetto per l’ambiente, a una maggiore sicurezza, economicità ed efficienza energetica, sia nell’impostazione di nuovi concetti relativi alla fruizione del prodotto. Sarà comunque necessario anche un adeguamento morfologico a nuove modalità di utilizzo.
Componente emotiva e comunicazione indotta
Tra le funzioni di un’automobile che richiedono costante aggiornamento, ve ne sono alcune di non immediata percezione. Ci si riferisce a quelle proprietà comunicative, di rappresentazione di sé, di carattere tipicamente sociale, che il proprietario, in maniera consapevole o inconsapevole, esprime nell’acquisto e nell’uso della propria automobile. Sebbene sia certo il prossimo ritorno alla razionalità, con l’abbandono di dimensioni e pesi eccessivi e il rispetto di leggi e normative sempre più restrittive, è molto probabile che il contenuto emozionale e comunicativo verrà tenuto ben presente nella progettazione delle forme dei nuovi veicoli. È necessario quindi analizzare le evoluzioni e le tendenze cui sono soggetti i veicoli per il trasporto privato, in funzione delle esigenze emerse nell’ultimo decennio, e il ruolo che questi vanno assumendo nel rapporto con i propri fruitori. L’uomo ha sviluppato un forte senso di venerazione per l’auto, non tanto per le sue prestazioni tecnico-funzionali, quanto piuttosto per le sue capacità simbolico-comunicative espresse a livello sociale. Considerando obiettivamente i costi relativi all’utilizzo dell’auto, ci si rende conto che la spesa maggiore è data dallo spostamento del veicolo stesso, piuttosto che dal trasporto del peso dei passeggeri. Infatti, in media, questi sono meno di due e pesano circa un centinaio di chili rispetto a un veicolo che pesa normalmente più di una tonnellata. Un rapporto in peso di dieci a uno decisamente improponibile. Ciò nonostante, l’uomo non riesce a privarsi dell’auto e a rinunciare alla grande componente emotiva che le attribuisce.
L’uso dell’automobile, con tutte le sue implicazioni rappresentative e di stile di vita, è stato assimilato nel fondo della nostra coscienza e scandisce la nostra esistenza quotidiana. Il fascino che l’auto esercita consiste nel fatto che una volta al volante ci si dimentica di essere alla guida di un mezzo meccanico, di quali siano i reali pericoli, e si comincia a guidare automaticamente, come se l’auto fosse un’estensione di noi stessi. La nostra società, basata su una costante mobilità e nella quale si richiede di passare sempre più tempo all’interno dell’automobile, ha prodotto un ribaltamento delle funzioni rappresentative. Se un tempo tramite l’abitazione si esprimeva il proprio status sociale, nella società attuale, in cui si vive sempre più sradicati dal territorio, è l’automobile ad avere assunto progressivamente questo ruolo. Di conseguenza, viene dato meno valore alla stanzialità e all’abitazione, e massimo all’auto per potenzialità di spostamento e rappresentatività. Osservando i campi nomadi (roulotte e baracche) e le loro auto (spesso BMW e Mercedes), si può avere una visione esasperata di questo diverso sistema di valori.
Fruizione psicologica dell’auto
Per comprendere il tipo di rapporto che si crea tra l’uomo e il suo mezzo, è necessario analizzare meglio le dinamiche che sottendono alla scelta e all’uso di oggetti rappresentativi, come l’automobile, in una società come la nostra: consumista, materialista e indirizzata al veloce raggiungimento di valori più che altro economici. Tutti effettuano talvolta scelte apparentemente irrazionali, ma le ragioni, per quanto nascoste o inconsce, possono quasi sempre essere identificate. Ogni azione è generata da moventi diversi: l’acquisto di capi di abbigliamento di moda rappresenta più che altro un atto ludico, mentre l’acquisto di un medicinale ha una motivazione basata sulla necessità. Inoltre, nel caso dell’acquisto di un medesimo prodotto, è facile che questo possa essere indotto da motivi che variano da persona a persona. Spesso si ricercano pretesti razionali per nascondere ad altri i veri moventi delle proprie scelte, o per evitare di ammettere a sé stessi le proprie motivazioni decisionali. Per analizzare più a fondo i singoli comportamenti è necessario ricorrere a considerazioni che fanno riferimento al marketing antropologico, approfondire alcuni aspetti psicologici del consumo e ricercare le motivazioni recondite delle scelte che l’individuo effettua liberamente. Tali motivazioni si legano principalmente a fenomeni proiettivi, secondo i quali il prodotto funge da strumento per la soddisfazione di bisogni diversi da quelli apparenti o immediatamente percepibili.
Nelle società mature in cui i bisogni primari sono soddisfatti, i simboli per comunicare la propria individualità e la propria appartenenza a un gruppo vengono ricercati nei contenuti comunicativi insiti nel prodotto. La principale distinzione che va fatta è quella tra l’acquisto funzionale, razionale, basato su necessità pratiche, dove la discriminante della scelta deriva dalle caratteristiche oggettive e misurabili del prodotto, e l’acquisto simbolico, affettivo, semiologico, comunicazionale, in cui il movente proviene dai contenuti di carattere culturale, affettivo o di immagine del prodotto stesso. Dietro a questa seconda tipologia di comportamenti, estranei a ogni forma di valutazione puramente razionale, si nascondono i veri motivi che spingono irrazionalmente a possedere qualcosa. L’acquisto più semplice da interpretare, quello razionale, risponde a una valutazione oggettiva, matematica, pianificata, dei propri bisogni concreti, cui far corrispondere la scelta dell’offerta migliore al prezzo inferiore, il risultato del miglior rapporto costi/benefici. Sulla base di questi principi, si prevede che prima di decidere l’acquirente effettui un’analisi comparativa delle possibili alternative, valutando vantaggi e svantaggi di ogni offerta, per realizzare poi il migliore acquisto. In quello di un veicolo, per es., vengono valutati le caratteristiche tecniche come la potenza, il consumo, la portata, il numero di passeggeri, la qualità costruttiva, l’ergonomia e la leggerezza, la riciclabilità e tanti altri fattori oggettivamente verificabili. La configurazione formale sembrerebbe non avere alcun peso, mentre non è così. Questo porta a identificare un altro genere di scelte, quelle basate principalmente su fattori percettivi e non razionali.
Il bisogno di effettuare un acquisto che abbia valenze emotive e rappresentative può corrispondere a logiche del tutto estranee alla semplice necessità d’uso di un determinato prodotto o servizio. Spesso, come nel caso dell’auto, il consumatore medio è più interessato a comprare qualcosa che gli piaccia esteticamente, con cui identificarsi, piuttosto che a scegliere in funzione delle caratteristiche meccaniche o tecniche. La decisione dell’acquisto in molte occasioni risponde a bisogni più o meno consapevoli, tra cui si potrebbero elencare: una gratificazione psicologica per sé stessi o per gli altri associata a emozioni e/o a simbolismo, oppure un atto d’acquisto definito politico e di relazione, finalizzato all’acquisizione di rapporti. Il caso più frequente, tuttavia, è costituito da una scelta mirata alla definizione della propria immagine. Con le nostre preferenze relative all’automobile, come all’abbigliamento, all’arredamento di casa o alle abitudini alimentari, condizioniamo sempre la percezione altrui della nostra individualità. L’immagine sociale da noi generata, se mal gestita, può non essere accettata dagli altri e in taluni casi può produrre disapprovazione e non riconoscimento. Infatti, in certi contesti, le scelte dei prodotti sono determinate dall’aspettativa altrui, che assume quasi il valore di norma acquisita, tanto che il suo mancato rispetto risulta una violazione così grave da causare il rifiuto dell’individuo da parte dello stesso gruppo sociale di appartenenza. Di conseguenza si può affermare che il processo di acquisto ha una diretta relazione con le aspettative della collettività ed è condizionato da cause di natura sia individuale sia sociale. La componente simbolica e comunicativa di sé crea la necessità di passare da prodotti il cui acquisto non produce un particolare coinvolgimento emotivo a quelli che invece lo stimolano. Ciò deriva dall’esigenza di possedere un oggetto simbolo di riconoscimento o d’identità, che vada al di là della sua semplice funzione d’uso. La necessità di rappresentare la propria immagine avvicinandola a quella del modello al quale ci si ispira, utilizzandone segni e simboli, è ciò che può spingere a effettuare un acquisto di tipo imitativo. Presupposto che la personalità e l’immagine di un prodotto, nonché i valori portati dal relativo marchio, vengono facilmente associati a quelli del suo fruitore, è interessante analizzare quale sia e come si esplichi la funzione rappresentativa dell’automobile a questo riguardo. L’acquisto di un’automobile sportiva da parte di un individuo non giovanissimo, per es., più che rispondere a un’esigenza di rapidità di spostamento, può esprimere la necessità di mostrarsi più giovane o più dinamico, abbinata all’intento di suscitare interesse e ammirazione. Il fenomeno dell’imitazione di un personaggio mitizzato porta a una ricerca d’identificazione mediante l’emulazione dei suoi comportamenti e la scelta dei medesimi prodotti di cui questi si circonda.
L’automobile costituisce uno dei mezzi privilegiati per la trasmissione dei contenuti simbolico/imitativi con la sua funzione rappresentativa peculiare. Nella pianificazione di un nuovo prodotto uno degli elementi che deve essere definito a priori è il ruolo del personaggio/utente e dei suoi comportamenti. Tale ruolo consiste essenzialmente nel comunicare un’immagine precostituita attraverso la configurazione formale del prodotto. L’automobile viene anche intesa come simbolo di una data condizione sociale, come status symbol. La selezione della propria auto costituisce quindi un passo delicato nella descrizione pubblica di sé ed è uno dei più potenti mezzi atti a diffondere i valori e i ruoli dei diversi livelli sociali nei più disparati luoghi della nostra civiltà. Ma se, fino agli anni Novanta, il possesso di un’automobile costituiva un elemento di privilegio, oggi, con la sua generalizzata diffusione, la sua efficacia come status symbol va diminuendo al punto che, per distinguersi, bisognerebbe vantarsi di poterne fare a meno. Ma sino a che la servitù dell’automobile non avrà saturato la nostra esistenza vi saranno luoghi dove anche il suo semplice possesso avrà una valenza rappresentativa. Anzi, forse questo aspetto diventerà preponderante rispetto alle sue funzioni primarie di mezzo di trasporto. Si può immaginare per assurdo un’auto che sia solo icona sociale, inutilizzabile se non ai fini rappresentativi del proprio status. Una specie di divisa per le grandi occasioni. Tutto ciò naturalmente porta a concludere che ancora per molti anni i produttori di automobili dovranno fare i conti con quelle che sono, sotto varie forme, le rappresentazioni dell’Io.
Auto con forte componente emozionale
A questo scopo si possono citare diverse tipologie di vetture che esprimono palesemente una funzione comunicativa e che, alla luce dell’attuale scenario economico e sociale, assumono particolare rilevanza. Per identificarle è necessario andare ben oltre gli aspetti tecnici, le caratteristiche prestazionali, o estetiche: occorre entrare nella sfera delle spinte emotive profonde che queste producono, nelle aspirazioni e nelle pulsioni dei clienti, negli stati psicologici in cui il prodotto assume ruoli simbolici. Per riconoscere questo genere di automobili è opportuno cercare tra quelle che esprimono valori in palese contrasto con le logiche di valutazione più razionali. I veicoli che rispondono a questi parametri sono quelli che reinterpretano l’immagine di vetture già commercializzate in precedenza e che hanno assunto una certa rilevanza storica.
Il fenomeno di carattere emulativo ha avuto origine con lo sviluppo industriale dei Paesi orientali, dove le case automobilistiche, prive di una tradizione nel settore, hanno iniziato ispirandosi a ciò che veniva prodotto dalle grandi aziende di successo. Strada intrapresa prima dai costruttori giapponesi e oggi ripercorsa dai cinesi con la produzione di vere e proprie copie, e da aziende di altri Paesi in termini di tendenza stilistica finalizzata a rafforzare l’immagine di auto nuove sempre più anonime e uguali tra loro. La prima ad aver esplorato questo percorso è stata la Mazda con il modello MX-5 (1989) che ha ripreso il concept e la forma della Lotus Elan, ricavandone un discreto successo. Il secondo esempio è quello della Volkswagen che con la New Beetle (1999), riedizione del famoso Maggiolino (1939), diversamente dal caso della Mazda, ha modificato il concept di prodotto: pur trattandosi di una creazione della stessa casa, rispetto all’auto economica ed essenziale originale si è passati a proporre una vettura d’élite, destinata a un target più elevato, probabilmente rivolta a coloro che avevano già posseduto il Maggiolino da giovani e che ormai manifestano esigenze diverse. Il risultato è stato quello di progettare un’auto povera nelle valutazioni di abitabilità, consumi, pesi e capacità bagagliaio, costosa in rapporto a prestazioni e finiture, ma ricca di valore simbolico. Questa tendenza ha prodotto altri casi, fra cui la Nuova Mini (2001), la Ford Mustang V serie (2005) e la Nuova 500 (2007) della Fiat. Il panorama delle nuove tipologie, caratterizzato da parametri contraddittori, offre un’ampia gamma di prodotti. La Smart (1998) è stata la prima che ha offerto al costo di due Fiat Panda (per un totale di dieci posti auto) due posti privilegiati in un’auto piccolissima. All’epoca della sua presentazione lasciò molti individui concreti e razionali perplessi, interessando invece quelli desiderosi di esprimere sé stessi. Oggi questo concetto è stato ormai assimilato e altri realizzano questa tipologia di veicolo piccolo ma ricco tenendo in considerazione gli aspetti sia razionali sia emotivi del prodotto.
I fuoristrada costituiscono il paradosso più visibile dell’egocentrismo di chi guida. L’uso cittadino di veicoli potenzialmente adatti a tragitti su sentieri scoscesi di montagna sarebbe veramente paradossale se non si tenessero in considerazione i fattori di funzionalità sui generis legati all’autorealizzazione del conducente. Anche questa può essere considerata una forma estrema di funzionalità: infatti tanti sono disposti a pagare molto per acquistare tale tipo di vettura. In realtà questi veicoli, nelle versioni più recenti, non sono in grado di viaggiare su terreni sconnessi e su sterrati. Ma della loro inutilità pratica ci si è resi conto ed è sempre più difficile vendere veicoli molto dispendiosi e per nulla parsimoniosi nei consumi. Le aziende hanno così ridefinito i contenuti di prodotto. È uscita una serie di veicoli intermedi, come i cosiddetti crossover, auto a trazione anteriore con l’aspetto di un fuoristrada, e altri ancora che salvaguardano l’apparenza offrendo contenuti e prestazioni di gran lunga inferiori alle aspettative. Nel concepire i loro prodotti i costruttori cinesi hanno aderito a questa tendenza precipitandosi a produrre vetture che riutilizzano l’immagine di automobili affermate completandole con contenuti tecnici e meccanici scadenti. Si potrebbe concludere in maniera semplicistica osservando che si è in presenza di una tendenza a offrire più forma e meno sostanza. Questo a causa di due fattori principali: l’esigenza culturale di delegare al proprio mezzo la comunicazione della propria individualità e l’esigenza di ridurre i costi, provocata dall’attuale crisi economica. Il comportamento di acquisto dei singoli individui, giustificato in parte dalla congiuntura che si è venuta a creare dal 2007, condiziona anche la definizione dei nuovi prodotti.
Evoluzione del contesto socioeconomico e società low cost
Oggi lo sviluppo economico mondiale, sulla base di fenomeni rilevanti come la globalizzazione e la rapida industrializzazione di interi continenti, si sta muovendo verso una strutturazione sociale basata su una grande fascia di consumatori di reddito medio-basso con poca possibilità di accedere a beni e servizi tipici dei ceti benestanti, e su una élite di pochi privilegiati molto abbienti. Così, in molti Paesi occidentali, la distribuzione di prodotti e servizi rivolti alla fascia di mercato con meno disponibilità continua a espandersi, contribuendo a costituire quella che viene definita società low cost. Alcune aziende hanno investito su modelli di business basati su un’offerta essenziale ed economica, in grado di abbassare il costo finale dei prodotti tagliando i costi superflui e gli intermediari. Non si tratta di tendenze momentanee, ma di un fenomeno su scala planetaria che coinvolge svariati settori commerciali, dalle compagnie aeree alle ditte di abbigliamento, dalle grandi catene di alberghi alle case automobilistiche. IKEA, Ryanair, Wal-Mart e Zara sono alcuni dei marchi che interpretano con la loro identità questa nuova realtà economica. La ‘scomparsa del ceto medio’, cui si riferiscono Massimo Gaggi ed Edoardo Narduzzi (2006), ha determinato la nascita di una nuova classe di consumatori non più in grado di pagare costi superflui e prezzi di affezione. Le trasformazioni sociali in corso vedono le esigenze dei consumatori prevalere su quelle dei produttori: ciò determina una rincorsa al cliente da parte delle imprese, sia per ridefinire la strategia dei prezzi di vendita sia per personalizzare la propria offerta in termini di prodotti e servizi. Oggi, grazie all’aumento della produzione e alla notevole crescita del reddito, i mercati più allettanti sono Cina, India, Brasile e Turchia. Per quanto riguarda il settore dell’automobile, è da registrare il notevole successo raccolto dalla Dacia Logan, prodotta in Romania. Commercializzata in Francia nel 2005, la Logan ha venduto nei primi sei mesi circa 10.000 esemplari. Quest’auto risponde a un’esigenza di semplificazione molto sentita e nella versione stationwagon può essere considerata ‘di tendenza’ perché poco cara, capiente e onesta. Una vettura ideale per giovani concreti che scelgono un’auto anche per distinguersi ideologicamente. Sull’onda del successo della Logan, la Dacia ha presentato un’altra vettura progettata e costruita con gli stessi criteri spartani, la Sandero (2007), basata sulla Renault Clio ma decisamente meno costosa. La Fiat ha allo studio un modello con caratteristiche analoghe che dovrebbe rilanciare la vecchia Uno in versione aggiornata. La crisi economica spingerà comunque le aziende alla produzione di auto a basso costo, adatte a ospitare comodamente quattro persone con bagagli al prezzo delle attuali utilitarie.
Modalità di fruizione dell’auto nei nuovi scenari
La ricerca di sistemi per la riduzione dei costi d’uso dell’automobile ha prodotto un gran numero di iniziative al punto che si sta diffondendo l’idea che la proprietà esclusiva non sia l’unica forma per avere un’auto a disposizione. Il marketing e gli uffici commerciali delle case automobilistiche hanno elaborato formule di vendita parziale o temporanea, che propongono interessanti alternative all’acquisto. Nel suo saggio The age of access (2000; trad. it. 2000), Jeremy Rifkin aveva anticipato l’importanza della disponibilità di un bene rispetto al suo possesso. Pur con tutte le difficoltà psicologiche e culturali che contraddistinguono la cultura della proprietà, nel mondo dell’automobile l’idea di poter disporre del diritto di uso a termine, temporaneo o parziale, si è fatto strada come confermano i dati. Il noleggio a lungo termine si sta progressivamente affermando: esso garantisce la disponibilità totale della vettura mediante il pagamento mensile di una cifra comprendente una quota di ammortamento del costo dell’auto, la tassa di possesso, l’assicurazione e l’assistenza. L’acquisto a termine è in continuo aumento tanto da costituire nei Paesi industrializzati circa il 30% del totale delle immatricolazioni. Nel 2002 la Ford è stata la prima azienda a utilizzare estesamente la formula innovativa di vendita ‘mezza auto’. Questo sistema consentiva, con un anticipo relativamente basso, di acquistare una vettura pagando per due anni rate mensili contenute e scegliendo, dopo 24 mesi, fra tre alternative: restituire l’auto e ordinarne una nuova, ricominciando il pagamento ‘mezza auto’; versare o rateizzare il costo residuo dell’auto con 24 mesi di vita, divenendone proprietario a tutti gli effetti; restituire l’auto senza più nulla dovere. In sostanza, si trattava di una formula che permetteva, anche a chi non ne aveva la possibilità, di accedere a una categoria di vetture di gamma alta.
Non solo l’acquisto parziale, ma anche l’utilizzo parziale ha iniziato progressivamente a diffondersi, soprattutto nei grandi centri urbani dove la possibilità di parcheggiare la vettura è sempre più rara e il relativo costo di stazionamento sempre più elevato. Il car sharing è un sistema innovativo finalizzato alla mobilità individuale che consente agli utenti di condividere il possesso e i costi di un’automobile. Una volta associati al servizio è possibile fruire, dietro richiesta, di una flotta comune di veicoli disponibili in aree di parcheggio collocate in luoghi selezionati per integrarsi con la rete di trasporto pubblico. L’uso dei veicoli da parte dell’utente avviene in modo autonomo ed è consentito anche per periodi limitati di tempo. Il costo complessivo richiesto all’utente comprende una quota fissa di associazione e una variabile in funzione del tempo di utilizzo e della percorrenza effettuata. Il fenomeno del car sharing si è diffuso soprattutto nei Paesi dell’Europa del Nord dove, con lo sviluppo e la diffusione di questo sistema, si è riusciti a consolidare un’immagine di qualità e di affidabilità. La formula offerta è conveniente in particolare per chi utilizza l’automobile di rado. Un ulteriore vantaggio che questo sistema offre agli automobilisti è di fornire di volta in volta mezzi con le dimensioni e le caratteristiche più adatte alle specifiche esigenze di utilizzo, senza doverne sostenere i costi fissi legati alla proprietà.
Innovazioni per la sostenibilità ambientale dei veicoli
A prescindere dalle modalità di utilizzo, è diventato rilevante il tema della compatibilità ambientale strettamente legato all’uso e ai costi dell’automobile, tanto che, mediante ricerca e sperimentazione, con una certa rapidità si stanno proponendo un gran numero di innovazioni. Infatti le industrie stanno impegnandosi per aggiornare le tecnologie di produzione, ottenere una riduzione dei pesi e sviluppare materiali innovativi.
Per quanto riguarda i materiali, il maggiore impulso all’innovazione è dato dalle recenti leggi (direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea) che ne regolano il reimpiego e la riciclabilità nel settore automobilistico. Tra i materiali utilizzati risultano più adatti quelli plastici, e più in particolare quelli termoplastici: a differenza dei termoindurenti, presentano infatti caratteristiche quali la riciclabilità e una certa elasticità che li rende meno fragili in caso di urto. La combinazione di materiali con caratteristiche diverse consente di ottenere strutture e componenti con un elevato grado di rigidità e una sensibile diminuzione di peso. Si è già accennato a quanto quest’ultima incida sulla riduzione dei consumi, sull’impatto ambientale, e a quanti benefici porti in termini di prestazioni. I materiali compositi offrono questi vantaggi oltre che solidità, capacità di assorbimento di energia e quindi la possibilità di ottenere un buon rapporto peso/prestazioni. Con i compositi in molti casi è possibile ridurre il peso fino al 30% rispetto alle soluzioni convenzionali; va ricordato inoltre che non arrugginiscono, hanno un’alta resistenza alla corrosione, ai graffi e agli urti.
Tra i più recenti e interessanti esempi vi sono: la struttura portante sviluppata dalla Daimler-Chrysler (2005), una carrozzeria in resina rinforzata che si completa in 6,5 h contro le 20 necessarie per la costruzione della scocca tradizionale in lamiera d’acciaio; l’innovazione messa a punto dalla Goodyear, che ha sviluppato pneumatici ricavati dall’amido di mais, facilmente riciclabili, ma anche più silenziosi e duraturi; cruscotti, plance e pannellerie degli interni sviluppati dalla Fiat in termoplastico rinforzato con fibre naturali di ginestra. Per produrre automobili più efficienti, oltre alla diminuzione di peso, si richiede che quote crescenti di veicoli abbassino i livelli di emissione dei gas nocivi fino all’obiettivo finale di ridurli a zero. Le iniziative prese sinora, che consistono nell’affinamento e nell’ottimizzazione del funzionamento dei motori con interventi sulla gestione elettronica del propulsore o con l’impiego di marmitte catalitiche, hanno consentito di ridurre le emissioni di monossido di carbonio, di ossidi di azoto e degli idrocarburi incombusti, anche se i risultati raggiunti non possono ancora essere considerati sufficienti. Il miglioramento medio nei consumi negli ultimi quindici anni è stato mediamente del 5% a chilometro per veicolo; però, parallelamente, un aumento del chilometraggio del 40% circa per vettura ha completamente vanificato in termini assoluti i vantaggi apportati dal miglioramento prestazionale del singolo veicolo.
Numerosi sono gli interventi che si possono attuare per ridurre l’impatto ambientale dei mezzi di trasporto. Vediamo quali sono le alternative più concrete dal punto di vista dei carburanti utilizzati a partire dai combustibili alternativi al petrolio. Per il motore a scoppio a ciclo Otto, aumenta il numero di veicoli alimentati da gas naturali, metanolo o idrogeno. I giacimenti di gas sono superiori a quelli del petrolio e le aree di produzione sono più distribuite nel mondo; a confronto con il gasolio, il gas naturale è più pulito, ha ridotte emissioni di ossidi di carbonio e di azoto e, non contenendo zolfo, non emette ossido di zolfo o particolato. L’emissione di anidride carbonica si riduce del 20-30% rispetto a benzina e gasolio. Per le autovetture dotate di motore elettrico non esiste un problema di emissioni, in quanto non vengono dispersi nell’atmosfera gas di scarico e quindi possono essere considerate a emissione zero. Ma questo è vero soltanto se si considera il fenomeno a livello locale. Infatti, la produzione dell’energia elettrica occorrente per caricare le batterie viene prodotta nelle centrali e i volumi di inquinamento di queste variano a seconda che il sistema di generazione sia termico, idroelettrico o nucleare. Comunque, la quantità di ossido di carbonio emesso dai veicoli elettrici nel complesso si dimezza rispetto a quello prodotto, a parità di condizioni, dai motori a benzina. Sulla base di quest’ultima considerazione, dal 2003 lo Stato della California ha reso obbligatorio che il 10% delle nuove automobili vendute abbia zero emissioni (ZEV, Zero Emission Vehicles), come nel caso dei veicoli elettrici. Le caratteristiche prestazionali delle auto elettriche hanno ormai raggiunto livelli di affidabilità che non presentano problemi di applicazione pratica. Ciò che invece crea ancora ostacoli alla loro diffusione è l’approvvigionamento energetico e l’autonomia tra una carica e l’altra delle batterie. Con l’utilizzo delle nuove batterie al litio o al nichel-idrogeno è possibile percorrere circa 200 km nel ciclo urbano. Tali batterie hanno una durata di oltre centomila chilometri e in pratica non è necessario sostituirle per tutta la vita del veicolo stesso. Poiché però impiegano metalli rari come il cobalto, sono molto costose e problematiche nel riciclaggio.
Per superare questo genere di difficoltà è disponibile, dal 1997 in Giappone e dal 2000 in Europa, una soluzione che viene considerata ottimale: quella della propulsione ibrida. Si tratta di veicoli dotati di doppia motorizzazione: un classico motore a scoppio (a benzina o a gasolio) e un motore elettrico. Il fine è ottenere una soluzione di compromesso che sfrutti i vantaggi di entrambi i propulsori minimizzandone contemporaneamente i limiti. Il motore a scoppio ha il pregio della grande autonomia derivante dalla concentrazione energetica del carburante, ma ha la necessità di funzionare a regimi e carichi variabili. Questo funzionamento causa la presenza rilevante di inquinanti nel gas di scarico. Il motore elettrico produce un inquinamento locale nullo, ma è limitato dalla scarsa autonomia delle batterie. Già all’avvio funziona al regime ottimale di rendimento (e non richiede dispositivi ulteriori come frizione e cambio) e ha un’efficienza che spesso supera il 90%, contro il 20-30% di un motore a scoppio. Quest’ultimo, nel caso della propulsione ibrida, deve fornire corrente a un motore elettrico e può quindi funzionare a un regime di giri costante, con una notevole riduzione delle emissioni nocive. Un veicolo ibrido consente complessivamente di dimezzare il consumo di carburante e può essere configurato in modalità ‘seriale’ o in modalità ‘parallela’. Seriale, quando i motori sono in sequenza, nel senso che il motore a scoppio muove un alternatore (o una dinamo) che genera l’elettricità necessaria al moto;re elettrico, il quale da solo agisce sulle ruote. Ibridi ‘seriali’ sono stati sperimentati utilizzando addirittura motori a turbina, come nel caso della Volvo con la HSG (High Speed Generation), del 1993, e della Renault con il progetto di ricerca VERT (Véhicule Électrique Routier à Turbine), del 1996. Prototipi ibridi ‘seriali’ sono anche il Vanzic (1999) della Fiat e il Canter Hev (2002) della Mitsubishi, che per ridurre ulteriormente l’inquinamento (fino al 95%) utilizza un motore a scoppio alimentato a Gpl. La configurazione si definisce come ibrido ‘parallelo’ quando il motore a scoppio e quello elettrico trasmettono entrambi il moto alle ruote. A volte però i motori agiscono separatamente: uno sulle ruote anteriori e l’altro sulle posteriori. È il caso della Audi Duo III (1997), prima auto ibrida europea prodotta in serie, e della Renault Next, prototipo del 1996. In altri casi entrambi i motori sono collegati su un unico asse di trasmissione attraverso un divisore di coppia: si parla in tal caso di ibrido ‘serie-parallelo’. Un’auto che è dotata del sistema ibrido serie-parallelo e ha già raccolto un notevole successo commerciale (a maggio 2008 ha superato il milione di esemplari venduti) è la Toyota Prius, presentata nel 1997. Questa vettura è dotata di un motore a benzina abbinato a un motore elettrico. Il funzionamento dei due motori è gestito interamente da un computer che decide a seconda delle condizioni di marcia se utilizzare il motore a benzina, quello elettrico o entrambi. Il consumo è di circa 4 litri per 100 km. La Fiat ha allo studio un prototipo analogo, mentre la Nissan ha presentato un ibrido parallelo, la Stylish-6 (1997), con una trasmissione diretta a cinghia metallica. Un sistema da segnalare tra quelli dotati di propulsori ibridi è il Dynalto, sviluppato dalla Citroën sulla base della Xsara (2000): raggruppa in un unico dispositivo, inserito tra l’albero motore e la frizione, motorino di avviamento, alternatore, e volano. Il Dynalto garantisce avviamenti sicuri anche con un freddo polare, somma il suo moto a quello del propulsore consentendo accelerazioni brucianti, con un risparmio del 20% di carburante. Inoltre, bisogna ricordare che sono stati messi in vendita dalla Lexus tre veicoli dotati di propulsione ibrida: il SUV RX 400H (2004) e le berline GS 450H (2005) e LS 600H (2006).
La soluzione teoricamente più affascinante è quella che prevede l’utilizzo dell’idrogeno come combustibile, anche perché non si potrebbe immaginare nulla di meglio di un motore che emetta, come scarto di combustione, acqua pura. Da una parte, si può dire che siano state superate le principali difficoltà con la produzione di veicoli a celle combustibili alimentate a idrogeno, offrendo le stesse prestazioni e la stessa fruibilità che offrono le auto di oggi. Molti altri ostacoli, tuttavia, devono ancora essere superati prima che questi veicoli raggiungano il mercato, tra cui quelli legati alla disponibilità e al trasporto dell’idrogeno stesso. I motori a celle a combustibile molto probabilmente saranno il mezzo per realizzare quel cambiamento epocale che porterà a un sistema di trasporti rispettoso dell’ambiente e a un’economia basata sull’idrogeno. Le automobili non diventeranno in questo modo solo più pulite, ma anche più sicure, confortevoli, personalizzabili, e forse sempre meno costose. Il motore a celle a combustibile alimentato a idrogeno (FCH, Fuel-Cell Hydrogen) ha un’efficienza quasi pari al doppio del motore a combustione interna, ha bisogno solo della metà della quantità di carburante e, ancora più importante, emette solo vapore acqueo come prodotto della combustione.
Molte case sono impegnate nella realizzazione di progetti analoghi: in particolare, Daimler-Chrysler, Ford, General motors, Honda, PSA Peugeot Citroën, Renault-Nissan e Toyota. Si assiste da molti anni alla sperimentazione di prototipi sviluppati dalle maggiori industrie e si prevede che entro il 2020 molti di questi potranno essere messi in vendita. La General motors, per es., ha investito centinaia di miliardi di dollari nella ricerca e nello sviluppo del motore a FCH e ora si aspetta un ritorno economico a seguito di quell’investimento. Per capire perché questa tecnologia sia così innovativa si deve considerare che la base del sistema FCH è un motore elettrico. L’elettricità si produce quando gli elettroni vengono isolati dall’idrogeno attraverso membrane che si trovano in ogni singola cella. La corrente ottenuta alimenta il motore elettrico. Gli elettroni provenienti dall’elettrolisi dell’idrogeno si combinano poi con l’ossigeno formando l’acqua. Quando si usa l’idrogeno puro, l’auto a FCH è un veicolo a emissioni zero. Il 15 maggio 2007 la General motors ha effettuato con la Chevy Sequel, prototipo della vettura attualmente più evoluta tecnologicamente, un test che le ha consentito di percorrere più di 500 km con un pieno, viaggiando su strade pubbliche senza effettuare rifornimenti ulteriori. Questo test ha raggiunto quel livello di autonomia richiesto dai clienti, ma soprattutto si è svolto con la sola emissione di acqua, come unico prodotto di scarico. Inoltre, va considerato che l’idrogeno impiegato è stato prodotto dalle turbine azionate dall’energia delle cascate del Niagara, fonte rinnovabile e pulita. Questo significa che l’intero processo, dalla produzione dell’idrogeno all’uso del veicolo, è risultato totalmente privo della produzione di anidride carbonica. La Sequel (2005) è il primo veicolo capace di integrare un sistema di propulsione a idrogeno con un’ampia gamma di tecnologie avanzate come sterzo e freni a controllo elettronico piuttosto che meccanico, motori elettrici nei mozzi delle ruote, batterie litio-ioni e una struttura portante in lega leggera di alluminio.
Nel 2008 una flotta di cento Chevrolet Equinox, alimentate con celle a combustibile, sono state date in prova ai potenziali acquirenti tramite il progetto Proj-ect driveway, programma divulgativo che si è svolto nell’area metropolitana di New York, Washington D.C. e nel Sud della California.
Un altro autoveicolo significativo sul versante tecnico è la Toyota FCHV-4 (2001), la quarta evoluzione della serie fuel cell hybrid vehicle della casa giapponese. Probabilmente la FCHV-4, capace di raggiungere con facilità la velocità di 150 km/h e oltre, può essere considerata per le sue caratteristiche la prima di una nuova specie di vetture. Il veicolo è silenziosissimo, molto più di altri prototipi a celle a combustibile realizzati negli ultimi anni. Il rifornimento di idrogeno è accumulato all’interno dell’auto alla pressione di 250 atmosfere ed è utilizzato direttamente dalle celle a combustibile. Il tutto è consentito da compressori, che spingono ossigeno e idrogeno a incontrarsi attraverso le membrane delle celle, e dal sistema di raffreddamento.
Tendenze recenti e future
Per favorire il risparmio energetico, le prestazioni e la facilità di parcheggio sarebbe stato opportuno negli ultimi anni ridurre le dimensioni e i pesi delle automobili: contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato, si è assistito al fenomeno opposto. Osservando le misure delle auto più vendute, dalla Fiat Punto alla Volkswagen Golf, dalla Renault Megane alla Nissan Micra, si può notare che queste sono aumentate in quasi tutte sia in termini di dimensioni generali sia di peso. Inoltre, come se non bastasse, sono state introdotte nuove tipologie di veicoli caratterizzate da masse superiori come le monovolume, i SUV (Sport Utility Vehicle) e così via. Anche le utilitarie hanno abbandonato la loro connotazione di auto essenziale nei contenuti e negli allestimenti. Si pensi alla Lancia Y, alla Volkswagen Polo, all’ultima versione dell’Opel Agila, alla stessa Panda, sinonimo di auto spartana. Ma si è in procinto di un’inversione di tendenza. La stampa specializzata prevede un ritorno a valori più adatti al raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica desiderabili. La nuova versione della Mazda 2, per es., ha 100 kg in meno di massa rispetto al modello precedente, e il peso della Mazda 6 (2008) è di 35 kg inferiore alla versione antecedente. La BMW e il gruppo PSA, sensibili a questo tema, nel corso degli anni hanno lievemente ridotto la media del peso delle loro auto invece di aumentarla. Il costo del petrolio e la congiuntura economica mondiale favoriranno il ritorno ad auto più razionali. Proliferano le proposte di concept innovativi di auto di ridotte dimensioni ai saloni automobilistici: dalla Volkswagen UP! (2007) alla Toyota IQ (2007) fino alla proposta della Tata Nano (2008), vettura estremamente economica con pesi e costi irrisori.
Da questa panoramica su tutti gli aspetti che condizionano attualmente la definizione e la progettazione delle nuove automobili si possono trarre alcune considerazioni che lasciano intravedere i possibili scenari futuri. Quali saranno i tratti principali, le caratteristiche tecniche e formali che ci si deve attendere sulla base degli studi sin qui svolti e diffusi dalle aziende? L’auto del futuro apparirà molto diversa (a partire da abitabilità, sicurezza, ingombri, immagine), in quanto sarà l’intera logica di prodotto a cambiare. Sicuramente non inquinerà e sarà anche intelligente, interattiva, sicura e persino un po’ invadente: ci avviserà se ci saremo troppo affaticati alla guida o se avremo effettuato una manovra errata. Si passa sempre più tempo a vivere e a comunicare in auto e queste sono le attività destinate ad avere maggiore impatto sulla funzione dell’automobile. La vivibilità dell’auto sarà inoltre arricchita da sistemi d’intrattenimento che simuleranno il comfort dell’ambiente domestico. L’auto potrà essere la nostra sede di lavoro. In continuo collegamento con il mondo esterno, diventerà un polo di comunicazione costantemente attivo, sarà sempre on-line. Il tempo degli spostamenti sarà utilizzato per lavoro, divertimento e arricchimento culturale. Un sistema audio integrato consentirà l’uso di cellulare, autoradio, computer di bordo e navigatore. Tramite il collegamento Internet, ci si potrà connettere con il computer dell’ufficio, con i centri informativi per avere notizie su percorsi, traffico, previsioni del tempo e tutto ciò che può agevolare le condizioni di viaggio. Con i comandi vocali si potranno chiamare amici, spedire e-mail e SMS, scaricare e ascoltare musica e video. Quasi tutte le grandi case produttrici già montano sulle vetture di gamma alta l’ACC (Adaptive Cruise Control) Bosch, un sistema che, grazie a un radar nel paraurti, consente di scegliere una velocità e mantenerla, rallentando in prossimità di un altro veicolo. Telecamere a infrarossi permetteranno la visione notturna o nei casi di nebbia, proiettando sul parabrezza l’immagine di ciò che si trova davanti alla vettura. La Citroën lavora su sospensioni computerizzate che si regolano in base a velocità e condizioni stradali: auto più bassa quando si va veloci su terreno liscio, più alta quando si va piano su suoli accidentati.
Rubare un’auto diventerà inoltre più difficile. Il proprietario sarà identificato tramite le impronte digitali e, una volta riconosciuto, una centralina elettronica imposterà per lui clima, posizione del sedile e parametri di guida preferiti avvisandolo sul cellulare se un intruso sta rubando l’auto. Presto saprà anche fermare la vettura vicino alla polizia, bloccando il ladro a bordo. Saranno perfezionati i dispositivi di parking assistant (telecamere posteriori o sensori a ultrasuoni) per guidare la manovra di parcheggio che, in caso venga effettuata in modo errato, consente all’auto di frenare da sola. Obiettivo finale: la guida automatica. Nel 2020, infatti, l’auto si guiderà da sola. Ma già sono stati fatti i primi passi in questa direzione. Già oggi telecamere e sensori danno suggerimenti all’automobilista, tra circa una decina d’anni sarà l’auto a tenere la guida. Individuato il pedone, sarà in grado di frenare autonomamente e nel caso di urto inevitabile, saranno gli airbag esterni ad attutire il colpo. Le auto potranno rientrare in carreggiata da sole se il guidatore dovesse distrarsi, evitando così di andare fuori strada. A proteggere le fiancate da eventuali collisioni ci penseranno gli ultra;suoni. Per compiere tutte queste azioni, acceleratore, sterzo e freno non saranno più collegati a pedali e volante, ma a centraline elettroniche. Tutto questo in qualche modo avrà una conseguenza anche sulla definizione morfologica del veicolo. Con l’utilizzo della tecnologia drive-by-wire, che consente la rimozione dei vincoli fisici di pedali e volante, l’architettura dei volumi si potrà reinventare. Da questa opportunità deriva una grande flessibilità nel disegno generale dei veicoli e l’eventualità di costruire carrozzerie interscambiabili e chassis aggiornabili. L’abitacolo potrà essere riconfigurato come ufficio, salotto, o servire per soddisfare particolari esigenze. Il pavimento liscio darà la possibilità di creare spazi abitativi temporanei come in un minicamper. In definitiva, l’aspetto formale della carrozzeria non andrà inteso solo come sintesi estetica, ma, visto l’enorme impatto sociale che ha l’uso dell’automobile, anche come fonte per proporre una nuova fruibilità del prodotto.
Si è visto quanto l’auto sia cambiata nel corso degli anni e come il criterio di valutazione sia passato da una mera analisi prestazionale del veicolo a una valutazione globale del prodotto attraverso le sue molteplici articolazioni. Questo è avvenuto grazie alle numerose evoluzioni tecniche e alle qualità simboliche e comunicative che ha assunto nel tempo. È inevitabile che il percorso evolutivo dell’auto prosegua in parallelo allo sviluppo sociale e culturale dell’uomo, essendo ormai un suo emblema. Come potrà il designer garantire la coerenza delle scelte progettuali, in modo da configurare prodotti in sintonia con il contesto socioculturale? Dovrà esprimere quella potenzialità di innovazione richiesta ma non espressa dall’utente finale, e quella capacità di stupire e di inventare, pur nel rispetto dei limiti progettuali prefissati dall’azienda. Ciascuna casa automobilistica si presenta con una propria identità, definisce un target di mercato e ciò si riflette sulle scelte che portano alla definizione dei veicoli che andranno in produzione. In un’automobile, infatti, buona parte delle caratteristiche fisiche, estetiche e prestazionali sono determinate dalla marca. Inoltre, va considerato che nel mercato, inteso come insieme di individui, sono radicati archetipi e immagini precostituite che vanno rispettati e che suggeriscono precise aspettative: proprio per questo è fondamentale che si rispettino la storia e l’identità del prodotto. I linguaggi, in senso lato, di produttore e consumatore dovranno essere coerenti così da garantire l’efficacia dei messaggi impliciti.
Designer, produzione, mercato, utente e società, quindi, sono elementi di un sistema estremamente articolato e variabile in funzione del tempo e del luogo in cui si sviluppa. Al team che definisce le caratteristiche di una nuova auto sono richieste una sensibilità e un’attenzione nel progettare, in sincronia con l’evoluzione del contesto culturale. Al progettista, inserito in questa rete multidisciplinare complessa, si richiede di partecipare alla definizione del progetto con una sintesi formale che garantisca il rispetto di tutti (o almeno di gran parte) i parametri stabiliti. Alla base del processo di progettazione rimane sempre l’analisi dei bisogni, dei problemi e delle opportunità relative al cliente finale. Un’analisi che non si ferma alle esigenze di spostamento espresse superficialmente dal cliente, ma che comprende le necessità latenti non manifestate palesemente. La valutazione preventiva degli aspetti logici e illogici del rapporto tra prodotto e fruitore non garantisce comunque che il lavoro del designer, una volta superati i problemi di sviluppo, risulti totalmente privo di difetti e di incoerenze; anche perché l’utente in ogni caso farà valutazioni sulla base di criteri arbitrari e non sempre prevedibili. Per la comprensione di un sistema di tale complessità gli strumenti di analisi e di misura attualmente in uso non sono sufficientemente precisi, al punto che si dovrebbe reinventare il design come strumento empirico di ricerca capillare al servizio di un nuovo marketing statistico.
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