Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La posizione di frontiera, tra Oriente e Occidente, del principato ottomano favorisce l’espansione della potenza turca in Anatolia e nell’Europa orientale. Ben presto, per effetto delle sue conquiste territoriali, il piccolo principato forma un impero, dotato di una strutturata organizzazione amministrativa e di un potente esercito, il cui prestigio suscita enorme impressione in tutto il mondo cristiano.
Il crollo di Bisanzio, seguito al saccheggio di Costantinopoli a opera dei crociati cristiani nel 1204, favorisce già dai primi decenni del secolo l’affermazione della potenza turca in Asia Minore. La frammentazione dell’autorità bizantina rende possibile la costituzione del regno selgiuchide di Rum nell’Anatolia occidentale e lo stabile insediamento di popolazioni di etnia turca e turcomanna, spinte in Asia Minore dalle conquiste mongole nelle regioni persiane e siriane. Queste popolazioni, organizzate in strutture tribali, orientate al nomadismo e connotate da una forte impronta guerriera, sottraggono ampie aree territoriali a Bisanzio, così contribuendo alla rapida ascesa del regno Selgiuchide.
Quando, a seguito delle ripetute incursioni mongole negli anni Quaranta del secolo, Rum viene progressivamente ridotto a un protettorato dell’illkhan, le popolazioni turche dell’Anatolia si organizzano in un sistema di confraternite religiose (noto come akhis), ispirate alla comune fede nell’islam e a particolari devozioni mistiche e ascetiche. Le confraternite sopperiscono all’assenza dei governi municipali seguita alla disgregazione del potere selgiuchide e all’indifferenza dell’autorità imperiale mongola, assumendo direttamente funzioni sociali, amministrative e di controllo del territorio.
Da questa esperienza, a partire dalla seconda metà del secolo, nascono ben presto piccoli principati, la cui struttura è saldamente fondata sulla potenza militare delle confraternite. A una di queste, la confraternita ghazi, appartengono anche i fondatori del principato ottomano, che prende il proprio nome dal secondo sovrano del regno, Osman, succeduto nel 1281 al padre Ertoghrul, al quale i Selgiuchidi sin dal 1260 avevano affidato il governo della regione di Suyut perché la difendesse dai Bizantini e ne estendesse il territorio.
Il regno ottomano si distingue dagli altri principati turchi presenti nell’Anatolia occidentale per la sua posizione di frontiera, a stretto contatto con i territori governati da Bisanzio. Le mire espansioniste del regno verso Occidente, ben presto assecondate da Osman, rispondono al fervore spirituale che anima la confraternita ghazi, protesa alla diffusione dell’islam e alla lotta contro gli infedeli.
Nei primi due decenni del XIV secolo, il regno estende i suoi territori fino alle coste del Mar Nero e del Mar di Marmara, così determinando l’accerchiamento da Oriente di Costantinopoli. Ma è soprattutto il successore al trono, Orkhan, ad allargare i confini del principato: annette la città di Bursa nel 1326, facendone la nuova capitale del regno, e avanza verso Bisanzio sottraendo all’autorità bizantina prima Nicea (nel 1331), poi Nicomedia (nel 1337).
In seguito a queste conquiste, Orkhan predispone una riforma strutturale delle proprie milizie, fino ad allora composte interamente da nomadi guerrieri. Forma un esercito regolare, in parte mercenario, che pone sotto la guida dell’aristocrazia turca e mantiene un’amministrazione dello Stato fondata sul carattere militare e insieme religioso del potere, in continuità con la tradizione selgiuchide. Il sovrano è infatti ancora un capo tribale, la cui autorità dipende dai successi militari che ottiene. Nell’organizzazione del principato, la sua centralità è però indiscussa. Lo Stato è considerato proprietà della famiglia regnante: l’amministrazione dei territori dell’emirato è affidata ai figli del sovrano, i quali legano a sé le gerarchie militari ricompensandole dei propri servizi con parti dei territori da essi controllate.
Forte di questa articolazione accentrata, il principato incorpora pacificamente l’emirato turco di Karasi nel 1345, che dispone di un’equipaggiata flotta marittima. Finalmente nel 1353 Orkhan attraversa lo stretto dei Dardanelli e l’anno successivo occupa Gallipoli, facendone la base per le successive spedizioni militari nel continente europeo.
La formidabile crescita della potenza ottomana a partire dalla seconda metà del secolo è dovuta alla grandezza politica e militare del successore al trono del principato, Murad I, primo sovrano ottomano cui, nelle iscrizioni, è attribuito il titolo di sultano. Murad prosegue vigorosamente la guerra santa contro gli infedeli, conquistando tutti i territori bizantini situati a ovest di Costantinopoli. Adrianopoli, seconda città bizantina, cade nelle mani del sultano già nel 1361. Dieci anni più tardi, l’esercito guidato da Murad esce vittorioso dallo scontro con i Bulgari e i Serbi sulla linea del fiume Marizza nella Tracia centrale, aprendo la via all’avanzata ottomana nell’Europa sud-orientale, dove le armate turche sbaragliano definitivamente la tenace resistenza balcanica nella celebre battaglia di Kosovo Poljie del 1389, in cui il sultano, nonostante la vittoria, perde la vita.
Bisanzio viene risparmiata per la perdurante insufficienza dell’equipaggiamento dell’esercito turco, che ancora non dispone di un adeguato arsenale per l’organizzazione di un assedio della città. Il sultano si rivolge anche verso Oriente, consolidando il potere ottomano in Anatolia, proseguendo la politica conciliatrice inaugurata da Orkhan. Attraverso un’avveduta strategia diplomatica, l’impero incorpora la città di Ankara, sottratta all’autorità della confraternita akhis, e ottiene il controllo del porto mediterraneo di Antaliya.
In forza dell’espansione territoriale del principato e della distanza dei nuovi confini dalla capitale Bursa, si rende ben presto necessaria una più strutturata organizzazione dello Stato, che risente pesantemente dell’influenza bizantina. L’amministrazione centralizzata dell’impero perde necessariamente il carattere tribale delle origini, sostituito da un’articolazione complessa delle competenze e delle funzioni governative al cui vertice è il divan (consiglio del governo), cui concorrono i diversi dipartimenti dell’amministrazione, coordinati dal gran visir, nominato direttamente dal sultano. Viene inoltre dispiegato un capillare sistema di imposizione fiscale, la cui efficienza è radicata nell’istituto feudale del timar, mediante il quale lo Stato contiene le onerose spese derivanti dal mantenimento di un esercito in gran parte formato da mercenari.
Per contrastare il potere dell’aristocrazia turca, le cui ricchezze derivano dalle conquiste ottenute dall’esercito, Murad affianca alle milizie regolari un corpo militare, i giannizzeri, composto da prigionieri di guerra e da giovani cristiani dei balcani, convertiti all’islam, cui il sultano affida l’esazione delle tasse nei territori governati dall’Impero. Si viene in tal modo a costruire un ramificato sistema amministrativo secondo il quale i territori sottomessi all’autorità ottomana divengono vassalli del sultano, obbligati a versare un tributo annuale e a prestare assistenza militare all’esercito imperiale. Il governo municipale delle province dell’impero rimane in gran parte nelle mani delle autorità amministrative originarie, che godono di un’ampia autonomia nella gestione del territorio e delle popolazioni poste sotto la loro guida. Questo decentramento del governo dei territori annessi all’impero scongiura la rivolta dei popoli sottomessi e consente agli ottomani di imporre la propria autorità senza edificare nuovi sistemi amministrativi, la cui organizzazione e il cui mantenimento avrebbero altrimenti comportato gravosi oneri per le casse imperiali.
Bayazid I, uno dei due figli di Murad, sale al trono imperiale alla morte del padre dopo aver eliminato il fratello, inaugurando da allora in avanti la rigida prassi dell’indivisibilità dell’eredità ottomana. Il nuovo sultano, ancor più sensibile all’influenza della cultura bizantina di quanto non fosse Murad, introduce un regolamento d’etichetta per la corte imperiale, inimicandosi in tal modo la confraternita ghazi, fedele a un rigore spirituale assai distante dal lusso e dalla raffinatezza delle corti occidentali.
Bayazid, sin dai primi anni della sua reggenza, intraprende una politica militare ancor più aggressiva di quella del suo predecessore, il cui esito è la compiuta affermazione della supremazia della potenza ottomana sugli Stati cristiani dell’Europa orientale. Nel 1393 il sultano conquista Tarnovo, capitale del regno bulgaro, ove installa la prima amministrazione direttamente guidata da funzionari ottomani. Estende poi l’autorità imperiale in Anatolia dichiarando guerra e annettendo il principato turco di Karaman tra il 1391 e il 1397, interrompendo così la politica diplomatica fino ad allora perseguita dai sovrani ottomani verso i regni musulmani, in favore di una strategia espansionista indifferente rispetto all’etnia e alla confessione degli avversari.
Nel 1395 il sultano attacca il regno di Ungheria. Nello stesso anno inizia l’assedio di Costantinopoli, che Bayazid sarà ben presto costretto a smobilitare per la sopravvenuta reazione dei regni cristiani d’Occidente, riunitisi attorno al sovrano di Ungheria, Sigismondo. Davanti alle ormai intollerabili ambizioni del sultano, il mondo occidentale organizza un’imponente impresa crociata, alla cui cavalleria partecipano tutte le nazioni cristiane. Né la notevole potenza militare, né la determinazione dei crociati riescono però a frenare l’avanzata turca. Il 22 settembre del 1396 a Nicopoli, sul Danubio, l’esercito crociato subisce una disfatta senza precedenti che, agli occhi dei regni d’Occidente, conferma ancora una volta la straordinaria fama d’invincibilità di cui gode la potenza ottomana.