Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gli strumenti musicali usati nei primi secoli del Medioevo ci sono noti soprattutto attraverso le opere d’arte. Ciò che noi vediamo tuttavia è da leggersi con cautela, dato che gli artisti sono raramente musicisti e quasi mai liutai. Ciò che poi deve essere considerato da chi oggi si rivolge a questo tipo di fonte per la conoscenza del mondo sonoro medievale, è la sovrapposizione di rimandi storici, religiosi, culturali che sono sottesi all’immagine artistica. Rimandi spesso difficili da ripercorrere a ritroso e da sciogliere ma che, proprio per questo, rendono affascinante almeno il tentativo.
Lode sia al Signore
Salmo 150
Laudate domino in sanctuario eius [...]
Laudate eum in sono tubae
Laudate eum in psalterio et cithara
Laudate eum in tympano et choro
Laudate eum in chordis et organo
Laudate eum in cymbalis bene sonantibus
Laudate eum in cymbalis iubilationis [...].
Pochi strumenti musicali costruiti nel Medioevo sono giunti fino a noi, e ciò che si è conservato è rappresentato da strumenti, come le percussioni o i fiati, realizzati in metallo o avorio. I resti di questo mondo sonoro sono, dunque, fondamentalmente le immagini consegnateci dall’arte, un repertorio figurativo che, però, per quanto affascinante, è ambiguo, non rende pienamente conto della realtà dello strumentario dell’epoca e per questo motivo ha bisogno di essere interpretato. Cosa ci racconta l’immagine “musicale”? Come va intesa? Quanto vediamo oggi nel portale di una chiesa, in un capitello o nella miniatura di un codice è davvero la registrazione fedele del produrre ed eseguire musica nei tempi passati, e nel Medioevo in particolare? Queste raffigurazioni non sono assimilabili a una fotografia, ma mostrano l’idea che un artista visivo (pittore, scultore, miniatore) ha della musica. Molto spesso egli non ha un rapporto diretto con lo strumento musicale e lo dipinge trattandolo come un qualsiasi altro oggetto, spesso apportandovi delle variazioni, dando vita così a posteriori ai mille dubbi e illazioni sulla effettiva congruenza dello stesso.
Nelle opere d’arte sacra del Medioevo la musica è chiamata ad assolvere alla funzione – insieme alle figure, ai colori, agli ori profusi – di toccare l’animo (e la vista) del fedele nel cammino di luce e di grazia. Accanto alle consuete e immancabili trombe bibliche, segno eloquente della potenza e del giudizio divino, vere e proprie “orchestre angeliche” iniziano ad arricchire i cieli cristiani con uno strumentario sempre più variegato che trova la sua legittimazione nei versetti del Salmo 150. Tubae, psalterio, cithara, tympano, choro, organo, cymbalis costituiscono, però, solo apparentemente un elenco dettagliato di strumenti adatti a sottolineare la gioia e l’acclamazione al Signore, ma in realtà non sono che una generica enumerazione di categorie organologiche: strumenti a fiato, a percussione, a corda. Se le diverse tipologie di fonti (teoriche, bibliche, storiche o letterarie) risultano confuse soprattutto per quanto riguarda l’esatta corrispondenza tra uno strumento e il nome a esso associato, l’iconografia musicale può fornire, almeno visivamente, il panorama sonoro dell’epoca. Un panorama in cui, è bene ricordarlo, lo strumento raffigurato è solo l’ultimo fermo immagine di tradizioni e rimandi culturali molto più antichi.
Con il termine “viola” si intende genericamente uno strumento ad arco che, pur nelle diverse forme, è costruito in carpenteria (pezzi separati e poi assemblati) con cassa armonica, fasce e manico nettamente distinguibili tra loro. Anche il fiddle e la fidula, pur con diverse problematiche, possono essere ricondotti alla categoria generale rappresentata dalla viola. A questa famiglia appartiene anche la viella, la cui caratteristica peculiare è costituita dai piroli che tendono le corde, infissi perpendicolarmente (sagittalmente) su un cavigliere piatto. Si tenga presente che nelle fonti più antiche il termine “viella” è usato indiscriminatamente al fianco di altri termini come “ribeca” o “lira” per indicare genericamente uno strumento ad arco. La ribeca in realtà non è costruita in carpenteria, bensì scavata in un unico blocco di legno; anch’essa ad arco, è dotata di tre corde ed è suonata a braccio. Il manico termina con un cavigliere piegato all’indietro (a falcetto), quasi sempre ornato da una testa scolpita di animale. Di importazione araba, la ribeca trae le sue origini dal rabab che però non è suonato a braccio, ma tenuto tra le gambe dal suonatore. Dello strumento moresco la ribeca conserva un dettaglio costruttivo del tutto particolare: la parte anteriore è sempre realizzata in due sezioni di legni diversi, a ricordo del piano armonico del rabab, realizzato in pelle e perciò nettamente distinguibile dalle altre parti della cassa.
I termini “lira” e “citara” ricorrono con frequenza nel Medioevo: il primo per indicare, appunto, una viella, e il secondo riferito a uno strumento a pizzico. La citara è costituita da una cassa armonica, che termina ai lati del manico con delle punte ad ala, e da una tastiera fatta a gradini decrescenti di legno. Bisogna notare che, per quanto riguarda la loro denominazione, la sovrapposizione concettuale con i due più importanti cordofoni a pizzico del mondo classico (la lyra, suonata da dèi ed eroi, e la kythara, strumento dei musici professionisti) ha portato nel tempo ancora più caos nella esatta valutazione di alcuni strumenti citati nelle fonti scritte.
Per quanto riguarda ancora gli strumenti a pizzico, quello che ricorre costantemente nell’iconografia medievale è il liuto, di derivazione araba come la ribeca. Attraverso la Spagna e la Sicilia i Mori introdussero, verso la fine del IX secolo, lo strumento chiamato semplicemente al’ud (“legno”) che, attraverso varie trasformazioni linguistiche – in spagnolo laud, in portoghese alaude, in francese luth, in tedesco laute – giunge all’italiano laùto. Il liuto è costituito da un guscio, formato da listelli di legno chiamati doghe, e da una tavola armonica munita di un caratteristico foro armonico traforato (“rosetta”) in posizione quasi centrale. Il suo manico, intorno al quale sono fissati dei legacci di minugia che costituiscono i tasti, termina con un cavigliere a paletta ripiegato all’indietro, quasi ad angolo retto con la tastiera.
Un altro strumento a pizzico, appartenente alla famiglia del liuto, è la mandòla, di dimensioni più contenute e dotata, al posto della paletta, di un cavigliere a falcetto raffigurante spesso una testa di animale.
Per quanto concerne gli strumenti a fiato, accanto alla tromba – terribile colonna sonora del Giudizio finale – e allo shofar – il tradizionale corno di montone della tradizione ebraica – compaiono strumenti ad ancia, ossia muniti di una sottile porzione di canna vibrante che, inserita all’interno dell’imboccatura, conferisce una sonorità molto penetrante. Derivanti dall’aulos greco, questi strumenti, insieme ai flauti dal suono decisamente più contenuto, cominciano ad affiancare le trombe nelle rappresentazioni della musica celeste.
Un altro strumento che in epoca medievale si afferma sempre più nelle raffigurazioni sacre è l’organo portativo, cioè in una versione piccola facilmente trasportabile e suonabile da una sola persona. La prima testimonianza iconografica di un organo con sistema pneumatico (e non più idraulico, come nell’antichità) risale al 393 ed è scolpita sulla base dell’obelisco di Teodosio a Bisanzio (nell’odierna Istanbul), a testimonianza di quella regalità che lo rende adatto a sottolineare, anche in ambito iconografico cristiano, il potere e la magnificenza divina. Altro strumento tipicamente medievale è l’organistrum, o ghironda, in cui una ruota di legno, fatta girare, sfrega da una a tre corde tastabili (che quindi producono la melodia), mentre due corde di bordone, suonando a vuoto, forniscono l’accompagnamento di base. A rendere più sontuosa l’immagine dell’acclamazione e della gioia del canto di lode, sono raffigurate svariate tipologie di percussioni, quali tamburi a cornice, sognagli, legnetti, triangoli, campane e campanelli.
Lo strumento più rappresentativo del mondo medievale è tuttavia il salterio, legato strettamente alla figura del re David che, secondo la tradizione veterotestamentaria, lo avrebbe utilizzato per accompagnare la recita dei salmi da lui composti (“salterio” è anche, non a caso, sinonimo del corpus dei 150 salmi). Si tratta di uno strumento a pizzico abbastanza semplice: una cassa piatta, generalmente di forma trapezoidale, sulla quale sono tese un certo numero di corde, al di sotto delle quali sono posizionati lunghi ponticelli inclinati che ne variano la lunghezza vibrante. Sulla tavola armonica si rilevano da una a tre rosette. La più antica rappresentazione pervenutaci del salterio si trova in un rilievo del santuario di Santiago de Compostela (in Galizia), risalente al 1184. Nell’iconografia davidica il salterio si alterna a una piccola arpa, che spesso poi l’ha sostituito. Re David, al quale si deve, secondo la tradizione biblica, non solo la composizione dei salmi ma anche l’organizzazione musicale del culto (Cronache 15, 16-24), è spesso ritratto mentre danza insieme a Eman, Asaf ed Etan, i rappresentanti dei Leviti designati, oltre che al trasporto dell’arca dell’Alleanza, all’esecuzione strumentale e ai canti di lode. La raffigurazione del re David come musico, cantore e compositore diventa nel Medioevo un tema iconografico molto amato, sia per quanto riguarda le raffigurazione di testi sacri, che di quelli laici. Un interessante esempio è costituito dalle Cantigas de Santa Maria di re Alfonso X di Castiglia il Saggio. Dopo averne composto il testo e le musiche (dedicati a Maria e ai suoi miracoli), il sovrano dà ordine di miniare i testi delle pagine più importanti (le cantigas de loor) con una puntuale raffigurazione degli strumentisti della propria corte; egli stesso è ritratto seduto sul trono, a guisa di novello David, nella sontuosa miniatura iniziale, attorniato dai suoi scribi e dai musici.