Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Da Lessing a Verri, da Muratori a Voltaire, la riflessione letteraria diventa militante come ricerca di un ordine, di un’umana felicità.
Dopo l’erudito del tardo Rinascimento e del barocco, anticipato alla fine del Seicento dal Bayle scettico del Dizionario storico e critico, l’ homme de lettres si apre all’interpretazione del mondo e del presente con il rigore di un razionalismo polemico attento alla storia, ai suoi conflitti e alle sue contraddizioni. Riconoscendosi nell’esercizio di un senso critico educato dalla ragione postcartesiana e assunto a misura del buon gusto e del giudizio, l’ homme de lettres allarga la sua competenza ai diversi campi del sapere. Così il letterato del paradigma volterriano opera, a partire dal diritto e dalla matematica applicata, nella solitudine del suo scrittoio e parla direttamente ai lettori che l’espansione del mercato rende più numerosi, anch’essi protagonisti della nuova “repubblica delle lettere” quanto più vi si afferma la logica dell’economia di mercato. Orgoglioso ma non misantropo il letterato proposto da Voltaire, quale poi si conosce nei colloqui di Sans-Souci con Federico II di Prussia, guarda all’Inghilterra di Newton, Swift e Pope per delineare un modello di società e una forma corrispondente di cultura che abbia nella parola il suo centro di forza comunicativo. Nelle Lettere filosofiche Voltaire loda l’apprezzamento sostanzioso che la nazione inglese attribuisce ai suoi letterati, non ricorrendo al protezionismo di un’accademia, ma con un reale miglioramento della loro posizione economica, come è accaduto nel caso di Pope. E non resta che ascoltare quanto osserva: “Se lo stato religioso non permette a Monsieur Pope di ottenere un alto ufficio, tuttavia non si è potuto impedirgli di ricavare con la sua traduzione di Omero duecentomila franchi”.
Ma l’arricchimento di Pope con le traduzioni dell’ Iliade e dell’ Odissea non ha nulla di strano; a partire dal Copyright Act del 1709 si assicurano i futuri successi editoriali di Pamela, Clarisse, del Viaggio sentimentale e infine dei Canti di Ossian. Non va dimenticato, d’altra parte, che molto si deve a un nuovo pubblico femminile, soprattutto nella sfera dell’immaginazione femminile. Il mercato editoriale in grande espansione funziona quasi come una Borsa dei generi letterari giacché dal primo al secondo Settecento, mentre diminuisce la fortuna della letteratura religiosa, salgono i titoli del romanzo, spesso, poi inserito nella categoria “arte e scienza” fra libri di viaggio, curiosità e opere di storia naturale. In ultima analisi, la professione del letterato si consolida non solo attraverso l’appello a quella che Voltaire definisce la decima Musa della critica, ma anche perché si lega a un più saldo dialogo con i lettori mediante la divulgazione delle gazzette, le biblioteche circolanti, le società di lettura e le fiere librarie (tale ad esempio quella di Lipsia). Vero è che Voltaire compiange la sorte dei letterati costretti a pagarsi la vita con ciò che scrivono e preferisce la figura di un intellettuale non asservito, pronto a intervenire nelle cose del mondo con la sua intelligenza reattiva, dall’edonismo al pessimismo, dall’analisi implacabile della macchina della giustizia alla riaffermazione della libera dignità dell’uomo, che significa anche la sua perfettibilità.
Se il letterato si identifica nel XVIII secolo con la ragione comunicativa, l’articolo “Philosophe” scritto da Diderot per l’ Encyclopédie ribadisce l’intervento, la presenza necessaria nella società dell’uomo di cultura. Osservatore degli uomini e delle loro passioni, affrancato dai pregiudizi di un passato irrazionale, il filosofo di Diderot vive nel presente secondo l’ideale illuministico di essere utile alla società, proprio nella stagione dell’ ancien régime che prepara le costituzioni degli Stati Uniti e della Francia rivoluzionaria. Alla figura secentesca dell’ honnête homme egli aggiunge non solo l’impegno inesauribile del senso critico, ma anche l’ amour de la société e la riprova sta nello straordinario sforzo organizzativo che Diderot sostiene, promuovendo a un tempo un’attività scientifica di luminosa originalità culturale e un’idea viva di intellettuale che abbandona la cattedra aristocratica dello scrittoio volterriano per scendere nel democratico arengo di un lavoro collettivo, nel dibattito delle idee del nuovo spirito borghese.
E qui, in corrispondenza con la dilatazione del commercio editoriale della metà del Settecento, le arti liberali si incontrano con la tecnica e la meccanica, consolidando nella metafora di una casa ben ordinata il capitale unitario dell’umanità. Anche la parola si commisura al mondo del fare, dove vengono meno le vecchie gerarchie di un pensiero metafisico tradotto nelle strutture della compagine sociale.
Se ora si passa dalla Parigi dei Salon alla Ginevra di Rousseau, lo scrittore filosofo assume il volto dell’uomo schietto e intransigente mentre esalta uno stato di natura incorrotto tra l’ Emilio e la Nuova Eloisa (sono 70 le edizioni del suo romanzo epistolare), e denuncia i vincoli della vita sociale di fronte alla libertà di sentimento e di cuore.
E dalla solitudine roussoiana che ritrova la naturalezza, la ragione ricongiunta con l’istinto nell’universo dell’infanzia e nella sua integrità non ancora alienata dalle convenzioni cittadine, si giunge così all’intellettuale, all’uomo di lettere che prende posizione contro la società, contro il potere e affida alla propria scrittura la certezza dell’utopia. Si veda solo l’avventura esistenziale del piemontese Alfieri. Una volta rifiutato il suo status di aristocratico fra vita militare e diplomazia, l’Alfieri sceglie l’indipendenza del letterato e ne fa un modo di essere, quasi una vocazione, un destino da opporre all’edonismo volterriano in nome di un’etica intimamente drammatica del forte sentire, che ha bisogno della maschera di una classicità severa e sdegnosa per convertire l’eccentricità del libertino nella retorica dell’eroe plutarcheo. Al ragionamento analitico subentra quello oratorio di un personaggio che sembra declamare i propri enunciati, ma le sue tesi hanno una forza polemica che non si può negare, anche nel richiamo alla radicalità di un Machiavelli. Partecipe della tradizione empiristica per cui “i sensi dell’uomo sono tutto” lo scrittore ideologo di due libri come la Tirannide e il Principe e le lettere rovescia il colloquio con il potere auspicato da d’Alembert nel Saggio sui rapporti tra intellettuali e potenti così come mette a nudo il compromesso dell’assolutismo illuminato e della cultura che se ne fa interprete in termini istituzionali. Così, conclude l’Alfieri nel suo liberalismo anarchico da ricco signore, la superiorità del letterato rispetto all’uomo di scienza sta proprio nel fatto che egli non dipende dai finanziamenti che solo il potere pubblico può assicurargli e perciò non deve rinunciare all’autonomia della propria coscienza, all’impulso di verità che è all’origine della missione letteraria. Ciò che conta alla fine è l’ideale, per ripetere l’efficacissima espressione alfieriana, dello scrittore “sprotetto”, indipendentemente, bisogna subito aggiungere, dal riscontro sempre più decisivo dell’industria editoriale. In realtà a definire la nuova moralità dello scrittore concorre quella che Johnson chiama la “nazione dei lettori” quale la si rintraccia china sulle pagine fruscianti di un libro tanto nei caffè delle metropoli quanto nei circoli di lettura in provincia. Da essa nasce l’opinione pubblica alimentata da saggi, epistolari, giornali, almanacchi, memorie, romanzi, drammi e pamphlets a cui guarda ormai l’ homme de lettres come al vero committente del proprio lavoro.
L’idea saturnina del letterato trasmessa dall’età classica alla modernità attraverso il volto melanconico di Torquato Tasso e poi con la maschera dell’Amleto shakespeariano si secolarizza con il secolo dei Lumi nelle patologie professionali della gens de lettres quali vengono studiate, prima che dall’eminente clinico di Losanna S.A. Tissot, dal medico veneziano Pujati, il quale, dalle pagine della Preservazione della salute de’ letterati, invita i suoi lettori ipocondriaci a giovarsi dell’uso della gondola e del cavallo per migliorare la circolazione degli umori in eccesso del corpo. Convertita da malattia dello spirito, come era nell’accezione classica di accidia, di grave tristezza contemplativa, la malattia diviene condizione abituale di chi chiuso nello studio è prima o poi soggetto ai disturbi di un’esistenza sedentaria: convulsioni, insonnia, aneurismi, idropisia e soprattutto ipocondria, quest’ultima addirittura cronica. Ai margini del mondo anche quando ne studia i meccanismi e le configurazioni, il letterato prende coscienza della propria separatezza e di ciò che lo minaccia dall’interno allorché viene meno il commerce des hommes.
D’accordo con Diderot, il Tissot ammonisce che l’equilibrio viene da un rapporto positivo con la società: “gli uomini sono stati creati per gli uomini, il loro mutuo commercio ha vantaggi ai quali non si rinuncia impunemente ed è stato notato a ragione che la solitudine getta nel languore”.
Ma proprio questo stato melanconico, ora che la sua interpretazione si sposta dalla medicina ippocratica degli umori a quella moderna della vibratilità (quella descritta, dopo gli studi di Haller, dall’indagine clinica delle scuole di Montpellier e di Losanna), sancisce anche un nuovo statuto soggettivo della gens de lettres.
Ed ecco il concetto concomitante di genio assimilato al modello di raccoglimento elegiaco di uno Young e poi alla figura paradigmatica del poeta sentimentale di Schiller a cui non resta che prendere coscienza del suo distacco dalla natura ossia della sua soggettività ideale, autonoma ma incompiuta. La malinconia può anche divenire passione tempestosa e selvaggia come nei proclami drammatici dello Sturm und Drang o addolcirsi in solitudine intenta e riflessiva come nell’antropologia poetica di uno Zimmermann, ma resta sempre come fondamento di un nuovo rapporto fra l’io della letteratura e il mondo delle emozioni, degli impulsi vitali immanenti alla struttura organica del corpo.
Non più gli umori della fisiologia aristotelica ma la fisiologia dinamica della scienza postgalileiana. Così, allorché chi scrive prende a scrutarsi, a interrogarsi nello specchio mobile delle confessioni, al moralista si affianca l’analista di una vibratile sensibilità nervosa quasi nello stile di una eterodossa anamnesi medica. Se poi il linguaggio della diagnostica psichica giunge sino agli epistolari delle dame e degli eroi dei Salon, in compagnia dei fantasmi temibili della noia e del niente, ciò significa che la nuova tipologia della letteratura fa ormai testo anche per i lettori che ne vogliono prolungare l’effetto all’interno della propria storia di individui in quanto partecipi della stessa tensione, dello stesso codice interpretativo. Immagine esemplare di una coscienza infelice, il Werther goethiano rappresenta anche il mito dello scrittore che scopre nel proprio destino la scissione insanabile dell’esistenza. Di là dal razionalismo, tra passioni, ebbrezza e malinconia, l’ homme de lettres, dopo l’ Encyclopédie si scontra con le dissonanze, le ombre e le contraddizioni della modernità.
Nell’universo muto del disincanto non resta che il tempo, simile al Saturno crudele effigiato dall’ultimo Goya visionario. Come sottrarsi al suo potere di annientamento?
Quando la “Correspondance littéraire” registra il proposito di 17 venerabili filosofi di innalzare, dopo aver debitamente invocato lo spirito santo, una statua al Signor di Voltaire, l’abate Galiani – l’economista delizioso dei Dialoghi sul commercio dei grani – informato da Madame d’Épinay, propone il testo aulico dell’iscrizione: “Voltairo devicta invidia saeculi suo miraculo Aere eruditorum conlato”. E concorrendo all’opera dello scultore Pigalle i letterati éclairés sottolineano la propria appartenenza alla repubblica delle lettere che ospita accanto al patriarca di Ferney, Federico II di Prussia, Caterina II di Russia e il re di Danimarca. Ignoriamo il fatto che, ritratto nella sua fattezza più quotidiana mentre seduto tiene in mano un rotolo e una penna, il Voltaire di Pigalle non piace ai contemporanei che vorrebbero una solennità più stilizzata, altera.
Al di là delle valutazioni estetiche, il progetto di una statua in vita a Voltaire testimonia l’esigenza di una nuova monumentalizzazione dello scrittore, di una consacrazione laica del suo ruolo nella storia. Del resto il successo del genere biografico e autobiografico nel corso del secolo ubbidisce alle stesse ragioni. Nell’orizzonte secolarizzato dell’Illuminismo, fra deismo e materialismo storico, messa fuori gioco la rivelazione cristiana, il desiderio di immortalità riemerge nella memoria autobiografica e nel genere accademico, che è altrettanto sintomatico, dell’elogio celebrativo.
Proprio nel 1770, quando i salotti parigini discutono dell’effigie di Voltaire, Thomas pubblica il suo Saggio sugli elogi, dove rivendica il pathos dell’antica tradizione oratoria alla celebrazione moderna illuminata. Mentre gli enciclopedisti disseminano fra i paragrafi degli articoli dell’Encyclopédie i loro encomi, come quello ad esempio di Montesquieu nella voce “Eclectisme”, l’oratoria massonica rilancia i modi solenni del genere epiditico a ricordo perenne dei propri campioni: da Franklin a Greuze, da Voltaire a Federico II, nella luce di un futuro redento dalla pace universale di un’umanità finalmente unita. Quando poi irrompe la Rivoluzione francese tocca all’eloquenza giacobina prendere il posto di quella massonica con una drammaticità che sostituisce al teatro la realtà dura e inesorabile del potere e della distruzione.
Parola e azione vogliono unirsi: la voce si fa gesto, atto che decide di un destino. L’ homme de lettres è investito da questa violenza, sia che la sottoscriva sia che vi si opponga, e con l’ultima generazione del Settecento muta il proprio volto quanto più si allontana deluso e perplesso dal sogno di una ragione sconfitta dagli eventi tragici e atroci della storia. Romanticismo e Restaurazione ne fisseranno la metamorfosi entro una dialettica sempre più radicale del moderno, del contrasto fra passato e presente, tradizione e giovinezza. Dai padri ai figli, anche nella letteratura la continuità si è interrotta.