L'Europa tardoantica e medievale. Le testimonianze islamiche nella penisola italiana: Palermo
Nel corso del III secolo a P. era già largamente introdotto il cristianesimo, come testimoniano gli ipogei cimiteriali; la vasta necropoli cristiana, individuata tra le odierne via Ruggero Settimo e piazza XIII Vittime, ha restituito suppellettili databili sino al VII secolo.
Grazie alle sue mura urbiche che sovrastavano i due corsi d’acqua – il Papireto e il Kemonia – nel 440 P. resistette all’assedio dei Vandali, ma in seguito ne divenne preda. Nel 491 la città fu occupata dagli Ostrogoti senza opporre resistenza, ma già nel 535 dovette arrendersi ai Bizantini. Sotto il dominio bizantino la città sembra non aver subito complessivamente significativi cambiamenti, mantenendo la forma e la dimensione racchiusa dalle mura dei nuclei originari della palaepolis e della neapolis classica. Nella parte alta della palaepolis, nell’area dell’odierno Palazzo Reale, era probabilmente ubicata la sede del potere temporale. Vicina a questa si ergeva la chiesa di S. Maria dell’Annunziata, detta “della Pinta”, e quasi certamente vi iniziava anche la Ruga Coperta; su modello bizantino, questo lungo porticato collegava la sede del potere temporale con la cattedrale del VI secolo – eretta su una precedente, sorta sui resti di un tempio forse del IV secolo – costruita immediatamente oltre il muro che separava la città vecchia dalla neapolis. Nelle vicinanze sorgeva la chiesa di S. Agata alla Guilla, che diede poi il nome alla porta urbica Shantaghat degli Arabi. Fuori delle mura, nelle grotte naturali o scavate nel banco tufaceo della ripa meridionale del Kemonia si trovavano alcuni luoghi di culto: S. Ermete presso S. Giovanni degli Eremiti; S. Parasceve e S. Pancrazio presso la casa Professa e Ss. Quaranta Martiri al Casalotto. Di uno xenodochium e di alcuni monasteri si ha notizia da Gregorio Magno. Dominata militarmente da Bisanzio, la Sicilia divenne un tema del territorio imperiale e ciò comportò la progressiva ellenizzazione della cultura isolana.
Nell’831 la città passò ai musulmani; sotto il nuovo dominio a P. s’insediò l’emiro aghlabide e la città tolse così a Siracusa l’antico primato sull’isola. Favorita dal suo nuovo ruolo politico-amministrativo e militare, essa crebbe rapidamente estendendosi con numerosi quartieri all’esterno delle mura urbiche. Entrò nella storiografia urbanistica con la descrizione che ne fece Ibn Hawqal nel Kitāb ṣūrat al-arḍ nel 947: “(P.) si compone di cinque quartieri, non molto lontani (l’uno dall’altro), ma sì ben circoscritti che i loro limiti appaiono chiaramente”. L’insieme di palaepolis e neapolis, racchiuse dentro l’antica cinta muraria aperta da nove porte, restava per un altro secolo l’unico nucleo fortificato, chiamato al-Qasr (Cassaro). L’antica via Marmorea (corrispondente a corso Vittorio Emanuele, tra la cattedrale e via Roma) era diventata un mercato, mentre la cattedrale bizantina era stata trasformata in moschea. L’emiro con il suo dīwān si era probabilmente stabilito nella sede che era stata del potere bizantino, nella palaepolis, ora Halqa (“recinto”). Pur avendo vicino al-Muaskar, “la stanza dei soldati”, l’ubicazione della sede dell’emiro si rivelava poco sicura in quanto immersa nella riottosa città; per questo nel 937 l’emiro Khalil costruiva la sua cittadella, detta Khalisa (piazza Marina), vicino al promontorio che allora separava e proteggeva il seno interno del porto. Di incerta ubicazione, Khalisa ha lasciato il suo nome al quartiere della Calsa. Più a sud, sempre oltre il Kemonia, si trovavano altri due quartieri: Harat al-Masgid (“quartiere della moschea”, con riferimento a quella di Ibn Siqlab) e Harat al-Giadda (“quartiere nuovo”). A nord-ovest di al-Qasr, oltre il Papireto, tutta la fascia sino al mare era occupata dall’Harat al-Saqaliba (“quartiere degli Schiavoni”), con il porto. Degli edifici sorti a P. sotto il dominio islamico rimane ben poco di individuabile con certezza: i resti archeologici di una moschea nel complesso di S. Giovanni degli Eremiti, una sala ipostila con resti di colonne e pilastri nella Cappella dell’Incoronata nei pressi della cattedrale, nonché i pochi resti del mastio di Castellammare che per i Normanni era il palatium vetus. Si tratta della più antica opera di controllo dell’ingresso al porto di cui si abbia notizia, eretta anche a custodia della catena portuale. Sono probabilmente da attribuire al periodo del dominio islamico anche i resti sotterranei dei qanāt, impianti tecnologici di alimentazione idrica aventi lontane origini persiane.
Nel 1072 P. si arrendeva alle milizie normanne capeggiate dai fratelli Ruggero I (m. 1101) e Roberto I il Guiscardo (m. 1085). I nuovi dominatori non si insediarono nella cittadella di Khalisa, ma preferirono attestarsi nella Halqa o Galca, al limite dell’opposta estremità di al-Qasr, dove, all’interno dell’antico muro che separava la penisola dalla terraferma, edificarono la loro cittadella, sede del nuovo potere. I nuovi dominatori decisero di fortificare, chiudendole in un unico insieme, le parti economicamente più interessanti dell’area urbana. Il tracciato mistilineo della nuova cinta urbica, le cui mura si appoggiavano alle preesistenti opere fortificatorie, delle quali sfruttavano i tratti compatibili con il nuovo disegno, inglobava le più popolose borgate ereditate dalla dominazione islamica. Con l’insediarsi del sovrano nella Galca, al-Qasr riassunse le funzioni di centro direzionale: ne vennero espulsi i mercati e insieme la popolazione di origine semitica che li animava, in connessione con la costruzione dei grandi palazzi e delle chiese dei dignitari del nuovo potere. L’intervento riordinatore dei governanti normanni aveva investito subito anche l’area extra moenia. Nel quarto decennio del XII secolo, l’ammiraglio Giorgio d’Antiochia fece costruire a proprie spese a valle del guado del fiume Oreto un enorme ponte a sette arcate in pietra, tuttora esistente. Seguendo la passione dei signori musulmani per le ville suburbane, Ruggero II (1130-1154) fece erigere il castello della Favara o Maredolce. Con esso ebbe inizio la serie dei regi solatia disposti a corona nella Conca d’Oro, come la Zisa, la Cuba, la Cuba Soprana, lo Scibene e Altofonte. Almeno il primo di essi, Maredolce, è forse da analizzare anche come un razionale centro di azienda; il palazzo fortificato è stato infatti eretto su un terrapieno-banchina sporgente, con tre lati dentro un ampio compluvio naturale, sbarrato poi a valle, come risulta dalla descrizione dei lavori di Romualdo Salernitano (Chronicon, 1152/3). Un razionale impianto di captazione costruito direttamente sulla fawwāra (“sorgente”) grande rendeva all’occorrenza possibile convogliare l’acqua altrove; se immessa invece normalmente nell’invaso, essa alimentava un lago con l’isola artificiale di fronte al palazzo e formava un’enorme riserva di acqua dolce per irrigare i terreni a valle nei periodi di scarsa piovosità. Dato che nell’Europa della prima metà del XII secolo non sono note realizzazioni del genere, è possibile riferire questo intervento alla migliore tradizione della cultura medio-orientale. Oltre al solatium sopravvivono ancora la grande diga, con l’inesplorato sistema di eduzione di acque che l’attraversa, l’isola e la struttura per la captazione dell’acqua.
I più rappresentativi edifici palermitani del periodo normanno appartengono alla corrente di gusto “islamizzante” dominante nella Sicilia occidentale. Tra le soluzioni architettoniche adottate vi è quella dei muqarnas, un particolare tipo di struttura voltata di origine islamica, che si inserisce solitamente nelle zone di raccordo architettonico e ha una forma a “nido d’ape”. Il disinibito interesse dei Normanni per le altre culture ha generato una delle innovazioni più interessanti da loro introdotte: la fusione dell’organismo bizantino a pianta centrica e cupola con quello dell’aula basilicale di tradizione latina. Esempio di questa sintesi di altissimo valore estetico è la Cappella Palatina fatta costruire da Ruggero II nel Palazzo Reale tra il 1130 e il 1140. La sua aula latina, a tre navate coperte da soffitti lignei lavorati a muqarnas, si innesta a un presbiterio che ha la struttura e la spazialità di una chiesa bizantina: avendo la stessa larghezza dell’aula, ha la zona centrale coperta da un’ampia cupola su nicchie angolari e l’abside centrale preceduta da un breve bema, mentre gli spazi laterali di protesi e diaconico sono absidati e coperti con volta a botte. I pavimenti sono di tipo cosmatesco, così come le lastre che racchiudono il coro; tutte le superfici murarie al disopra del lambris marmoreo sono rivestite, alla maniera bizantina, da mosaici a fondo oro, mentre i soffitti dell’aula sono ricoperti dal più grande ciclo di pitture islamiche di questo periodo: queste presentano numerose e complesse iconografie secolari di tradizione persiana, molte delle quali relative al tema dei divertissements princiers.
Alcune chiese mostrano le predilezioni personali dei committenti: così S. Maria dell’Ammiraglio, o della Martorana, eretta ante 1143 dall’ammiraglio Giorgio d’Antiochia, famosa per il rivestimento a tappeto di mosaici bizantini a fondo oro, mostra la cupola con tamburo esterno di derivazione siriaca; la contigua chiesa di S. Cataldo (1154-1160), eretta da un altro ammiraglio, Maione da Bari, è articolata con quattro colonne che separano le tre navate e portano il rialzo di quella centrale: un prisma con tre cupolette, carico di echi pugliesi; la extraurbana chiesa di S. Spirito, eretta dall’arcivescovo Gualtiero Offamilio (1169-1190) per i cistercensi. Forse anche in competizione con lo stesso re, che stava erigendo la cattedrale di Monreale, Gualtiero demolì la vecchia cattedrale urbana e sullo stesso sito avviò l’erezione di un nuovo edificio. All’arcivescovo e al suo caput magister vanno attribuite alcune innovazioni costruttive. L’enorme chiesa, che ebbe una prima consacrazione nel 1185, fu l’ultimo edificio notevole dell’età normanna a Palermo. Il prospetto occidentale fu definito solo nel Trecento, quando vennero aggiunte le quattro torri; era un cantiere aperto ancora nel 1453, allorché si costruì il portico meridionale. Qui si trovano ancora i sarcofagi in porfido della casata normanna e di Federico II.
Nel successivo periodo svevo le uniche novità furono introdotte dai frati francescani, che, dopo la morte di Federico II (1250), iniziarono la costruzione della chiesa dedicata al loro fondatore. Dopo la morte di Federico II la Sicilia, per un secolo e mezzo, fu dilaniata dalle guerre. Nel 1266 il dominio dell’intera isola, e quindi di P., passò agli Angiò, che spostarono la loro capitale a Napoli. Con la venuta degli Aragonesi, a seguito della rivolta dei Vespri del 1282 contro il dominio angioino, la nobiltà di crescente potenza anche economica, nel rifortificare i propri castelli e nel costruire le nuove dimore urbane, diede inizio allo sviluppo di un gusto decantatosi dall’eredità normanna. Con il XIV secolo l’insediarsi nella città dei nuovi potentati portò a una notevole attività edilizia che spesso sconvolse il vecchio minuto tessuto. Anche le mura abbandonate del Cassaro e parte delle strade di arroccamento accoglievano nuove costruzioni; non sono pochi gli edifici ancora ben individuabili per le loro caratteristiche tipologiche e formali. L’impianto urbano resta imperniato sull’asse centrale, la via Marmorea, a cui si aggiungono le due parallele (via Bandiera nel Seralcadi e via del Crocifisso nell’Alberghiera): tutte scendono da ovest verso i nuclei commerciali e il porto. Acquistò rilievo anche l’odierna via Alloro, a cavallo del cui asse sorgevano numerosi palazzi.
Nel 1317, nel pieno della contesa con gli Angioini, Federico II d’Aragona (1296-1337) ordinò il riassetto della cinta muraria. Emblematiche sono le regali dimore erette dalle più potenti famiglie emergenti, i Chiaramonte, conti di Modica, e gli Sclafani, conti di Adernò. I primi costruirono a P., su un rialzo roccioso ai margini della Calsa e nelle vicinanze del porto, il loro hosterium, da cui il nome di Steri per il palazzo; questo fu oggetto negli anni Settanta del Novecento di un’indagine archeologica che ha portato alla luce grandi quantità di ceramica. Si tratta di un nitido parallelepipedo di ottima muratura: il corpo sopraelevato al lato nord, pur ripetendo lo schema originario, è della seconda metà del secolo e la mole si è sviluppata attorno a un cortile porticato quadrato. Il volume del massiccio palazzo-fortezza è caratterizzato da due fasce orizzontali ben distinte: la prima è un’alta fascia liscia con ingressi disadorni; quella superiore è formata da due cornici che collegano le grandi bifore. Questo motivo caratterizza anche altri edifici coevi. La sala magna del piano nobile presenta un importante soffitto di legno dipinto con una complessa iconografia, realizzato fra 1377 e 1380; mostra inoltre due trifore verso il cortile interno con ghiera a denti di sega a forte risalto chiaroscurale e zig-zag di bastoni, caratterizzati da densa e scattante plasticità, che contrastano con la più serena, pacata espressività delle finestre dei prospetti. Proprio questo particolare modo scattante e plastico caratterizzò una grande corrente di architettura nella Sicilia occidentale del XIV secolo e degli inizi del successivo, che è entrata nella storiografia sotto il nome di “architettura chiaramontana”.
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