L'Europa tardoantica e medievale. Le regioni dell'impero bizantino
Le testimonianze archeologiche di età bizantina nelle regioni storiche coincidenti in tutto o in parte con la Grecia attuale sono talmente numerose che è pressoché impossibile ricondurle a una breve trattazione unitaria.
Per quel che riguarda i grandi centri urbani emerge su tutti Tessalonica, una delle grandi capitali del mondo tardoantico, già dotata di un palazzo imperiale alla fine del III sec. d.C., e destinata a rimanere la vera vicecapitale imperiale per tutto il millennio bizantino. Una intensa stagione di archeologia urbana avviata negli anni Ottanta del Novecento ha rivelato molti aspetti della trasformazione della città nella prima età bizantina. Elemento caratterizzante è certamente la ricostruzione della cinta urbica, che, alla metà del V secolo, riprende essenzialmente il tracciato della cinta tardoromana, con la costruzione di una linea di difesa supplementare per inglobare l’altura che domina la città. Analoga continuità sembra emergere nelle principali infrastrutture della città: gli assi viari principali, che conservano fino al Medioevo e anche oltre la loro impostazione ortogonale, e i principali luoghi di riunione (l’agorà, la cui destrutturazione seguita da un abbandono si data solo alla metà del VII sec., e il teatro che le fonti segnalerebbero essere rimasto in qualche misura in uso fino alla fine del VI sec.). In questo contesto l’elemento più rappresentativo della città protobizantina è costituito certamente dall’impianto delle grandi basiliche urbane tra la seconda metà del V (Acheiropoietos) e gli inizi del VI secolo (S. Demetrio), in contemporanea con la trasformazione in chiesa (S. Giorgio) della rotonda annessa al palazzo imperiale e forse in origine destinata a mausoleo di Galerio. Dopo la crisi innescata dalle invasioni slave della fine del VI secolo, la città riprese rapidamente il suo ruolo di seconda città dell’impero, come testimonia l’edificazione, già nei primi decenni del VII secolo, della chiesa della S. Sofia. In attesa della pubblicazione finale delle recenti indagini archeologiche, la fisionomia medievale della città è tuttavia nota essenzialmente attraverso le numerose iscrizioni che testimoniano i continui restauri della cinta muraria (862, 1167, 1316, 1355 e ca. 1370) e, all’interno di questa, attraverso le numerose chiese, che rappresentano alcuni dei monumenti architettonici più significativi delle epoche comnena e paleologa.
Assai minori sono i dati archeologici disponibili a proposito di Atene in età protobizantina, quando la città sembra aver sofferto di una crisi complessiva, esito ultimo di una fase di difficoltà iniziata già nell’ultimo quarto del III secolo, all’epoca del sacco degli Eruli, e specificamente legata, in età giustinianea, alle misure antipagane che colpirono la città (chiusura della scuola filosofica nel 529). Le informazioni disponibili provengono quasi integralmente dall’area dell’agorà romana, divenuta vero centro civile e amministrativo in epoca tardoantica, dove nel corso del VI secolo si registra un profondo mutamento dell’impianto urbano con l’installazione tra i ruderi antichi di modeste attività artigianali, che sembrano peraltro subire una gravissima crisi intorno al 580, forse in connessione con una scorreria slava. Anche nel caso di Atene la rottura fu comunque netta ma non irreversibile: fasi di frequentazione dell’area dell’Agorà sono testimoniate ancora per la metà del VII secolo da significativi rinvenimenti monetali, ma per assistere a una forma di blanda ripresa dell’abitato bisogna attendere il IX secolo, epoca cui sembrano datarsi le prime case e botteghe ricostruite all’interno dello spazio pubblico della città romana, a formare il primo nucleo del tessuto insediativo ed economico della città mediobizantina, che riprenderà vigore solo tra XI e XII secolo e che è testimoniata dalla costruzione di oltre 40 chiese, gran parte delle quali tuttavia andate distrutte nel disordinato sviluppo urbano della città moderna.
Tra gli altri centri urbani, quelli meglio indagati archeologicamente sono i centri principali dell’antica Macedonia (Filippi, Heraklea Lyncestis e Amphipolis) e la capitale dell’Epirus Vetus, Nicopolis. A Filippi, le fasi protobizantine sono note essenzialmente attraverso alcuni importanti monumenti cristiani, costruiti tra V e VI secolo in prossimità dell’agorà della città antica, a seguito di imponenti demolizioni di strutture preesistenti; alla metà circa del V secolo risale la costruzione della Basilica A e della Basilica C, entrambe poste a nord del tratto urbano della via Egnatia, mentre alla prima metà del VI secolo si data, insieme con il restauro della Basilica C e con la sostanziale ricostruzione di una basilica extramuranea, l’edificazione del più significativo monumento della città: la cosiddetta Basilica B, le cui caratteristiche progettuali e costruttive denunciano un diretto legame con l’architettura giustinianea della capitale. A Heraklea Lyncestis e Amphipolis, scavi ancora piuttosto limitati si sono concentrati essenzialmente sui principali edifici religiosi e su alcune residenze di pregio, che hanno peraltro restituito i due più ricchi corpora di mosaici pavimentali della Grecia protobizantina. Nicopolis, città di fondazione augustea, sembra aver goduto di una fase di particolare prosperità tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, epoca a cui si datano i monumenti pubblici più significativi: le basiliche B, C e D, cui si deve aggiungere la Basilica A da assegnare invece ai decenni centrali del VI secolo.
Per quanto riguarda l’epoca medio- e tardobizantina le testimonianze archeologiche sono ovviamente assai più limitate in ragione della sostanziale mancanza di indagini mirate. I centri più rilevanti si collocano entrambi nel Peloponneso e sono quelli di Corinto e di Mistrà. A Corinto, indagini recenti hanno condotto a una significativa revisione dell’arco cronologico di vita della città e sembrano attualmente deporre per una sostanziale continuità di vita fino almeno alla fine del VII secolo, seguita da una crisi e da una nuova fase di espansione tra il IX e la fine del XII secolo. Tali nuove acquisizioni non sembrano però modificare nella sostanza la tradizionale lettura dei cospicui resti dei quartieri residenziali, commerciali e produttivi che costituiscono uno dei complessi di architettura domestica di epoca mediobizantina meglio conservati dell’intero Mediterraneo. Gli scavi condotti in estensione sul sito della città antica e medievale hanno riportato alla luce alcuni importanti edifici religiosi della Corinto protobizantina (almeno sei basiliche tra cui quella particolarmente grande di Lechaion) e, soprattutto, il fitto tessuto insediativo che caratterizzava il paesaggio urbano della città tra XI e XII secolo, con un moltiplicarsi di nuclei costituiti ciascuno da diversi piccoli edifici a pianta semplificata, in cui si trovano associate funzioni residenziali e funzioni artigianali, per lo più legate alla produzione su piccola scala di ceramiche da mensa. Struttura urbana radicalmente differente presenta invece Mistrà, una città nuova sviluppatasi dopo la metà del XIII secolo a partire da una originaria fortificazione crociata. Collocata su un ripido pendio, la città presenta una disposizione che la ricollega fortemente a modelli occidentali, con una serie di tortuosi vicoli che collegano fra loro edifici residenziali isolati, spesso sviluppati su più piani sul modello delle residenze di pregio di derivazione centro-europea, e un fitto tessuto di piccoli edifici religiosi, spesso a destinazione monastica.
Lo studio dei sistemi fortificati costituisce infine anche in Grecia uno dei temi fondamentali delle ricerche di archeologia bizantina degli ultimi decenni. Di particolare rilievo in questo contesto è l’indagine estensiva sul complesso dell’Hexamilion, il sistema di fortificazione che difendeva l’Istmo di Corinto. Concepito come sistema difensivo unitario agli inizi del V secolo, venne ampiamente ristrutturato in epoca giustinianea; parzialmente distrutto all’epoca della conquista crociata (1205) venne ancora ricostruito in due occasioni agli inizi e alla metà del XV secolo come estrema barriera a difesa del Peloponneso di fronte all’avanzata turca. Una vicenda analoga a quella dell’Hexamilion sembra denunciare il sistema difensivo allestito dai Bizantini nella Grecia settentrionale: anche in questo caso, la rete di insediamenti fortificati di piccole e medie dimensioni creata in epoca protobizantina venne a più riprese ristrutturata e integrata con nuovi capisaldi e continuò di fatto a svolgere la sua funzione fino alla conquista turca della metà del XV secolo.
La regione illirico-danubiana – in essa comprendendo le antiche province di Dacia, Dardania, Moesia (Superior e Inferior) e Macedonia II – è oggi una delle meglio studiate, dal punto di vista dell’archeologia degli insediamenti, dell’intero territorio bizantino, giacché il precoce sviluppo dell’archeologia medievale in quest’area ha determinato il crearsi di uno specifico interesse proprio per l’epoca protobizantina, ritenuta premessa fondamentale al processo di formazione dell’identità nazionale paleoslava. Tra i centri urbani maggiormente indagati vanno certamente ricordati quelli di Caričin Grad, in Serbia, e di Stobi, in Macedonia. Le rovine di Caričin Grad sono ormai unanimemente identificate con i resti di Prima Iustiniana, la città nuova fondata da Giustiniano per celebrare il suo villaggio natale (Tauresium), facendone la nuova capitale amministrativa e religiosa dell’Illirico settentrionale. Le indagini archeologiche, avviate nel primo decennio del Novecento, sono tuttora in corso e hanno riportato alla luce nella sua sostanziale interezza un impianto urbano perfettamente strutturato – con strade porticate che si intersecano in una grande piazza circolare, un’acropoli sede dell’amministrazione religiosa, un grande complesso edilizio forse sede dell’amministrazione militare, numerose chiese di diversa tipologia – ed evidentemente frutto di una progettazione unitaria che permette di comprendere quale fosse la forma che nell’ideologia e nella comune sensibilità si doveva associare nel mondo bizantino, ancora alla metà del VI secolo, all’idea stessa di città. Stobi, anch’essa scavata estensivamente a partire dagli anni Venti del Novecento e ancora oggi oggetto di un progetto internazionale di ricerca su grande scala, costituisce una preziosa testimonianza dello sviluppo di una città antica nei primissimi secoli dell’età bizantina. Lo sviluppo monumentale della città sembra infatti essere legato alla figura dell’imperatore Teodosio I, che la prescelse come capitale della provincia di Macedonia II appena costituita. All’ultimo quarto del IV secolo si datano infatti la ridefinizione dell’impianto urbano, con l’abbandono di una fascia di terreno lungo la riva sinistra del fiume Crna Reka, troppo soggetta a frequenti inondazioni, e il contemporaneo arretramento in quell’area della cinta muraria, nonché la costruzione della prima basilica episcopale – ampiamente rimodellata agli inizi del VI secolo –, l’abbandono del teatro – tra le cui rovine sorse un quartiere di abitazioni – e, forse, lo smantellamento della sinagoga per lasciare il posto alla cosiddetta Basilica Centrale, che sorse in quell’area agli inizi del secolo successivo.
La fase di grande sviluppo della città tra IV e VII secolo appare testimoniata anche da una serie di ricchi mosaici pavimentali che decoravano alcune importanti residenze aristocratiche collocate in prossimità del centro monumentale. La penetrazione slava nella Penisola Balcanica nel corso del VII secolo determinò – a Stobi, come in altre città della Macedonia – una crisi profonda, ma probabilmente non una cesura definitiva, come starebbero a testimoniare poche ma significative tracce archeologiche che offrono un sostegno a sparse testimonianze delle fonti che appaiono, nel loro complesso, deporre per una qualche forma di sopravvivenza dell’impianto fino almeno agli inizi dell’XI secolo. Assai meno note dal punto di vista archeologico sono le altre città della regione – Sirmium (Sremska Mitrovica), che rimase peraltro sotto il controllo bizantino solo per pochi decenni, Naissus (Niš) e Serdica (Sofia) – mentre rimane ancora sostanzialmente aperto il problema interpretativo del sito di Gamzigrad, sviluppatosi in almeno due fasi tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, forse come palazzo fortificato di diretta fondazione imperiale, su uno schema quadrangolare con 20 grandi torri circolari, e poi occupato a partire dal V-VI secolo da una comunità di artigiani e agricoltori che lo abitarono fino all’invasione slava dei primissimi anni del VII secolo.
Particolarmente ben conosciuti in questa regione sono inoltre i siti fortificati del limes danubiano, soprattutto quelli dell’area delle cosiddette Porte di Ferro, oggetto di una indagine sistematica negli anni Sessanta e Settanta del Novecento in occasione della costruzione di due grandi dighe sul Danubio. In età giustinianea, l’intero sistema difensivo della riva destra del fiume venne ristrutturato, con la rifortificazione dei siti degli accampamenti romani di età traianea (tra gli altri Karataš, Veliki Gradac, Boljetin, Čezava, Ravna), la trasformazione di alcune torri di avvistamento di epoca romana e tardoantica in fortilizi di maggiori dimensioni (come nei casi di Mihailovac, Mora Vagei e Donje Butorke) e la costruzione di nuovi impianti fortificati a Milutinova, Hajdučka Vodenica, Bosman e in corrispondenza della confluenza nel Danubio della Slatinska Reka. Per quanto riguarda la regione del basso Danubio (corrispondente alle antiche province di Moesia II e Scythia), oltre a un buon numero di siti fortificati lungo la riva sinistra del fiume (Novae, Durostorum, Troesmis, Dinogetia) e lungo la costa del Mar Nero (Histria, Tomis, Mesembria), il sito che negli ultimi decenni ha goduto della maggiore attenzione archeologica è certamente quello di Nicopolis ad Istrum, oggetto di un progetto pluriennale di ricognizioni, prospezioni e scavi mirati che hanno consentito di ricostruire nella sua sostanziale interezza il tessuto dell’insediamento fortificato protobizantino sorto a ridosso delle mura del centro romano abbandonato.
Dopo la rottura determinata dalle invasioni tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo, la rioccupazione da parte bizantina della regione grosso modo corrispondente all’attuale Bulgaria nel corso del IX-X secolo è segnalata archeologicamente soprattutto in alcuni siti fortificati della costa (Nufaru, nel delta danubiano) e della riva danubiana (Dinogetia e Noviodunum). A Nufaru, identificata con la città nota dalle fonti come Piccola Preslav, gli scavi hanno riportato alla luce una porzione delle mura e un ricchissimo corpus di reperti mobili databili appunto a epoca mediobizantina. Aspetti per molti versi analoghi denunciano i siti fortificati di Noviodunum e Dinogetia, dove vennero ricostruite le mura romane e protobizantine, distrutte nel corso dell’invasione dei Cutriguri intorno al 560. Testimonianze nel complesso meno evidenti ma non per questo meno significative indiziano per una parallela attività di riorganizzazione del sistema difensivo illirico anche nel quadrante nord-occidentale (ripresa della circolazione monetale bizantina sui siti di Belgrado, Veliki Gradac, Sirmium). La ripresa del controllo bizantino sulla regione appare ben leggibile anche in alcune città di medie dimensioni lungo la costa del Mar Nero: il centro più significativo in questo senso è certamente quello di Mesembria (Nessebar), dove le tracce della fase mediobizantina si colgono tuttavia quasi esclusivamente negli edifici religiosi conservatisi nel tessuto della città moderna. Per quanto riguarda infine l’estrema propaggine della penisola di Tracia, oltre ovviamente a Costantinopoli, meritano di essere ricordati almeno due complessi archeologici particolarmente significativi: quello costituito dal cosiddetto Lungo Muro, costruito all’epoca di Anastasio I (491-518), disposto a tagliare trasversalmente l’intera penisola e a costituire il primo baluardo a difesa della capitale e delle sue principali fonti di approvvigionamento idrico, e quello del sito costiero di Ganos, che si sta rivelando come uno dei principali centri di produzione anforaria del Mediterraneo orientale in età mediobizantina.
La penisola di Crimea e in particolare la sua porzione meridionale ebbero un ruolo di rilievo nella geografia politica ed economica del mondo protobizantino e i suoi siti sono stati oggetto di indagini archeologiche e di studi approfonditi da parte di studiosi sovietici prima e poi, in anni più recenti, di missioni archeologiche internazionali.
La città di Chersoneso (Cherson), posta all’estremità sud-occidentale della penisola, alla periferia dell’attuale Sebastopoli, può essere considerata il più importante sito bizantino sul territorio dell’ex URSS. La città conservò il suo impianto antico almeno fino all’età giustinianea e, più in generale, mantenne il suo carattere urbano anche nei secoli immediatamente successivi e fino all’età mediobizantina quando, tra IX e X secolo, vennero costruite almeno tre importanti chiese. Negli ultimi anni il panorama delle conoscenze archeologiche sulla città si è arricchito soprattutto grazie allo sviluppo degli studi sulla prima architettura cristiana – sono state scavate e pubblicate diverse chiese di varia tipologia risalenti per lo più al VI secolo – e all’avvio della pubblicazione sistematica dei corredi provenienti dalla grande necropoli e dei reperti stratificati provenienti da recenti scavi urbani. In parallelo si sono sviluppate anche le ricerche territoriali nella regione immediatamente circostante il centro antico, che hanno portato al riconoscimento di alcune decine di insediamenti rurali di varia dimensione. Le ricerche condotte nella porzione sud-occidentale della penisola di Crimea hanno inoltre interessato i siti delle fortezze costiere di Alouston e Gorzoubites (Alouchta e Gourzouf); nel primo caso, in particolare, sono stati riportati alla luce resti significativi degli alloggiamenti delle truppe e importanti contesti ceramici che testimoniano del raggio degli scambi economici legati al sostentamento dell’esercito nelle sue sedi periferiche. Un secondo gruppo di fortificazioni, poste sulle alture dell’immediato entroterra – il sito meglio studiato è quello di Theodoros (Mangup), dove una basilica conserva una iscrizione con il nome di Giustiniano –, lascia supporre l’esistenza di un sistema difensivo territoriale ben organizzato in quell’area, caratterizzata anche dalla presenza di numerosi insediamenti di epoca bizantina a carattere rupestre.
Il panorama complessivo che i dati archeologici restituiscono per la regione storica sostanzialmente coincidente con il territorio dell’odierna Albania (Prevalitania ed Epirus Nova) in età protobizantina è quello di un’area caratterizzata da importanti scali marittimi sulla costa adriatica, da insediamenti rurali, in qualche caso anche di grandi dimensioni, seppure decisamente mal conosciuti, nell’immediato entroterra, e di una serie di impianti fortificati disposti a difesa delle città e a controllo delle principali vie di comunicazione.
Tra le città costiere spicca Dyrrachium (Durazzo), dove sono ancora riconoscibili cospicui tratti della cinta muraria con torri pentagonali forse databile nell’ambito della prima metà del VI secolo, mentre all’interno delle strutture superstiti nell’anfiteatro romano si leggono le tracce di una trasformazione in funzione religiosa, con la costruzione all’interno di uno dei vomitoria, tra VI e VII secolo, di una cappella funeraria decorata da importanti mosaici parietali e collegata a una necropoli che occupava gran parte del terreno circostante. A Dyrrachium, come in altri centri, il disordinato sviluppo urbano delle città moderne ha di fatto cancellato le tracce meno evidenti degli abitati di età tardoantica, ma resti significativi di cinte urbiche di epoca protobizantina sono stati inoltre riconosciuti a Lissus, Scutari e, soprattutto, a Byllis, dov’è particolarmente evidente il fenomeno del restringimento della cinta muraria (la città protobizantina arriva a occupare meno di un terzo della superficie della città ellenistica), che va però letto nel contesto di una progettualità ben precisa, come testimoniano alcune iscrizioni. Decisamente meno conosciute, ma oggetto di ricerche recenti che promettono di cambiare questo panorama nel prossimo futuro, sono le altre due tipologie insediative, quella degli insediamenti rurali (il cui ruolo centrale nel popolamento della regione risulta però evidente da altri indicatori archeologici, a partire dalle carte di distribuzione delle iscrizioni latine e greche) e quella degli impianti difensivi di piccole e medie dimensioni, per lo più caratterizzati dal riuso di postazioni d’altura di epoca illirica, talvolta con reimpiego delle mura antiche come fondazione delle nuove cinte (il caso meglio noto in questo senso è quello di Kanina, da identificarsi con la fortezza di Kionin citata nel De aedificiis di Procopio di Cesarea).
Nonostante la straordinaria importanza che rivestirono nel sistema economico e strategico della talassocrazia bizantina, le isole grandi e piccole del Mediterraneo centrale e orientale rimangono a tutt’oggi poco note nei loro aspetti archeologici relativi all’età bizantina.
A Creta, scavi estensivi hanno riguardato praticamente solo la città di Gortina, dove sono state riportate alla luce diverse chiese (particolarmente rilevanti quella di S. Tito e la grande basilica di Mitropolis), il grande complesso del cosiddetto Pretorio, che conservò in parte la sua vocazione pubblica fino alla piena età protobizantina, e una porzione significativa dell’abitato, ancora ben organizzato tra VI e VII secolo, come testimoniano la continuità funzionale delle strade che ricalcano spesso i tracciati antichi, la costruzione di uno spettacolare sistema di adduzione e distribuzione delle acque e la vitalità del grande quartiere di abitazioni e botteghe che occupava in quell’epoca una porzione centrale della città. Sempre a Creta, monumenti e abitati di epoca protobizantina sono stati meno estensivamente indagati sui siti di Cnosso, Eleftherna, Itanos, Aptera, Kyssamos e Argyroupolis. A Cipro, le indagini archeologiche più significative hanno riguardato in primo luogo gli edifici di culto cristiani e solo in anni più recenti una specifica attenzione si è concentrata su altri due aspetti particolarmente rilevanti proprio in ragione della peculiarità del contesto insulare: gli impianti fortificati e gli impianti produttivi. Per quanto riguarda l’archeologia degli edifici di culto, sono state finora censite sull’isola quasi 80 basiliche di varia dimensione e tipologia, il cui arco cronologico spazia tra il IV e il VII secolo; va però rilevato che solo pochi di questi edifici sono stati oggetto di indagini archeologiche mirate e che solo pochissimi hanno goduto di una pubblicazione esaustiva. Tra i complessi monumentali più significativi possono essere citati quelli di Campanopetra a Salamina-Costanza, della basilica della Chrysopolitissa a Paphos, con diverse fasi di ricostruzione tra IV e VI secolo, e delle basiliche episcopali di Kourion (V sec.) e di Amathus.
Per quel che attiene allo studio dei complessi fortificati, fasi proto- e mediobizantine di riorganizzazione delle cinte urbiche delle città di tradizione antica sono state riconosciute sui siti di Lapithos, Salamina-Costanza, Paphos, Amathus e Kyrenia, mentre l’impianto di una rete di castelli di nuova edificazione in epoca mediobizantina è testimoniato dai casi di Sant’Ilarione, Buffavento e Kantara. Per quel che riguarda infine l’archeologia degli insediamenti produttivi va segnalata in particolare la recente scoperta di alcune fornaci per anfore nel territorio di Paphos, che testimoniano come Cipro fosse ben inserita nel contesto della produzione di una delle anfore da trasporto (Late Roman 1) più diffuse nel Mediterraneo bizantino tra V e VII secolo.
Indicatori preziosi della vitalità economica del mondo bizantino lungo tutto l’arco della sua storia sono costituiti dai relitti navali, che offrono una testimonianza archeologica diretta in termini sia quantitativi che qualitativi della circolazione di merci e prodotti nel Mediterraneo. Tra i relitti più significativi indagati negli ultimi decenni vanno ricordati almeno quello di Marzamemi (VI sec.), che trasportava marmi lavorati provenienti dalle cave del Mar di Marmara e destinati probabilmente all’allestimento di una chiesa in Africa settentrionale; quello di Yassi Ada (sulla costa occidentale della Turchia, VII sec.), che trasportava anfore di diversa tipologia contenenti probabilmente vino siriano destinato a Costantinopoli, e quelli di Bozburun e Serçe Limani (anch’essi sulla costa occidentale della Turchia, XI sec.) che rappresentano invece i più significativi punti di riferimento per ricostruire attraverso i dati archeologici gli scambi transmarini in epoca mediobizantina.
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