L'Europa tardoantica e medievale. I territori entro i confini dell'Impero. Le Isole Britanniche
Le Isole Britanniche hanno ereditato il nome attribuito, fra il IV e V secolo, alla Britannia maior (odierne Inghilterra e Galles, sino al limes romano sulla linea dal Firth of Clyde al Firth of Forth, in Scozia), distinguendole dalla Britannia minor (la Bretagna) ed estendendosi anche all’Hibernia (attuale Irlanda) in base alla comune appartenenza dei rispettivi popoli all’etnia celtica.
Le circostanze che, agli inizi del V secolo, vedono entrare nell’uso ufficiale tale criterio di distinzione geografica, in vigore sino alla costituzione del regno normanno d’Inghilterra compiuta da Guglielmo il Conquistatore (1066-1087), si legano al ridispiegamento delle legioni nelle province, deciso dall’imperatore Onorio (395-423) all’indomani del sacco di Roma di Alarico (410), con l’invito alle regioni periferiche a provvedere autonomamente alla difesa. Le difficoltà che l’Impero d’Occidente incontra nel fronteggiare il continuo passaggio del Reno da parte delle diverse etnie germaniche si riflettono immediatamente sull’isola di Britannia, privata delle sue legioni, per evitare anche il rischio della nascita di nuovi aspiranti al trono imperiale, dopo Marco (406) e Graziano (407), ed esposta agli sbarchi dei Sassoni, maggiormente frequenti dalla metà del III secolo. Tali difficoltà si riflettono anche sulla Britannia minor, dove la popolazione celtica, rimasta tenacemente legata alle proprie origini e rafforzata da elementi provenienti dall’altra parte della Manica, portatori forse persino del nome attribuito alla regione, approfitta del disordine creatosi nella prefettura gallica con l’acclamazione dell’usurpatore Costantino (407-411) per cacciare le autorità amministrative romane e darsi un ordinamento proprio (Zos., VI, 5, 2). Nonostante il successivo ripristino del potere imperiale, la Bretagna cerca di organizzarsi al proprio interno per resistere al meglio alla disgregazione inesorabile dell’unità dell’Impero, divenendo indipendente intorno al 450 e, nella seconda metà del V secolo, il trampolino di lancio per quella che la tradizione medievale definisce la liberazione della Britannia meridionale dai Sassoni, che l’avevano occupata alcuni decenni prima. Qui la storia, a seconda delle fonti che la riportano, si mescola in parte alla leggenda e vede comparire i personaggi di un vescovo, da un lato, e di un cittadino romano di nobile stirpe, dall’altro, trasformato poi nell’antenato di un re su cui, nell’XI e XII secolo, vengono costruiti dei poemi epici (ciclo bretone). Gli eventi, raccontati talvolta in maniera fantasiosa e accresciuti da situazioni ispirate alla cultura cavalleresca medievale, coprono l’intero arco temporale compreso tra la metà del V secolo e i primi decenni del VI.
La diffusione dell’eresia del monaco Pelagio, originario forse dell’Irlanda e sostenitore dell’ininfluenza del peccato originale sull’uomo alla nascita, sollecita i vescovi della Gallia all’invio in Britannia di s. Germano, della cattedra di Auxerre e governatore della Britannia minor, sostenuto da alcuni compagni, per compiere con la predicazione una conversione generale. Il santo, oltre a operare miracoli in diverse località, peraltro non specificate, e a diffondere ovunque la Parola, si trova negli anni tra il 446 e il 449 a guidare i Britanni contro le forze riunite dei Pitti e dei Sassoni. La battaglia, successivamente detta “dell’Alleluja”, si risolve nella sconfitta piena ma incruenta dei nemici, in ritirata precipitosa dopo avere udito sul campo, in una valle chiusa fra le montagne, ripercuotersi l’eco dell’Alleluja intonata tre volte dai combattenti (Beda, Historia ecclesiastica gentis Anglorum, I, 20). A questa figura, di estrazione cristiana, sembra contrapporsi o sovrapporsi nello stesso periodo l’altra, laica, derivata forse da una differente tradizione, di Ambrogio Aureliano (gallese Emrys), definito persona di modesta condizione, unico sopravvissuto della propria famiglia e i cui genitori, uccisi dai Sassoni nelle stragi operate poco dopo lo sbarco e l’insediamento di questo popolo nella Britannia orientale, autorizzato da Valentiniano III intorno al 449 contro la minaccia costante dei Pitti, “portavano il nome regio e l’insegna” (Beda, Historia ecclesiastica gentis Anglorum, I, 15- 16). Proveniente dalla gens degli Aurelii, attestata a Treviri (CIL XIII, 4385-4394) e con la quale è imparentato anche s. Ambrogio (339- 397), e adottato da un Ambrogio-padre, al quale deve il proprio nome, muove anch’egli, come s. Germano, dalla Britannia minor dove nel frattempo ha ristabilito il governo romano sotto il proprio comando, e sull’isola conduce i soldati britanno-romani in una serie di battaglie contro gli invasori, guidati dai capi Hengist e Horsa, alternando vittorie e sconfitte, sino allo scontro finale e all’occupazione del Mons Badonicus, avvenuta secondo Beda il Venerabile quarantaquattro anni dopo l’arrivo in Britannia, nel 493/4 (Beda, Historia ecclesiastica gentis Anglorum, I, 16).
Nel IX secolo l’intera vicenda risulta già abbondantemente arricchita di particolari, a cominciare da una più dettagliata ambientazione, tra il Galles sud-orientale, la Cornovaglia, la valle del Tamigi e l’East Anglia. I nomi dei personaggi si moltiplicano, tramandati in latino o trasposti nella dizione locale, e a fianco di Ambrogio Aureliano vengono posti un fratello minore, Uther, suo successore nel governo della Britannia, e un altro consanguineo (forse un figlio), chiamato alternativamente Ambrogio o Merlino (gallese Myrddin) e celebre in qualità di ingegnere, poeta e veggente. L’unione fraudolenta di Uther e di Ygraine, moglie di Gorlois, duca di Cornovaglia, genera Artù, il mitico re vincitore di dodici battaglie decisive contro i Sassoni, morto nei primi decenni del VI secolo a seguito della ferita infertagli a Camlann dal figliastro Mordred. Partendo da elementi della storia e del territorio evidentemente reali (la collina, la sorgente e il tumulo di Bryn Myrddin, presso Carmarthen; l’abitato tardoantico di South Cadbury, sul fiume Camel, da cui forse l’idea di Camelot; il deposito di anfore del V-VI secolo rinvenuto a Tintagel, in Cornovaglia, e i resti di un’iscrizione nella quale si legge Artos), l’intera vicenda – nella quale queste figure combattono per preservare a livello politico l’unità dell’isola, rimediando all’abbandono nel quale l’hanno lasciata gli imperatori d’Occidente – sembra costruita quasi appositamente per nobilitare le origini della monarchia inglese, rinviando al titolo di Bretwalda (“capo di tutti i Britanni”) assunto dai re sassoni sino all’XI secolo. Tale vicenda viene usata anche per giustificare o sottolineare, nel V e VI secolo, la sostanziale continuità di vita e di abitudini della popolazione britanno-romana, insediata nelle città, nei centri rurali e in alcune delle ville rimaste dai secoli precedenti (monogramma cristiano nei blocchi di fondazione del complesso romano di Chedworth, nel Gloucestershire; identico simbolo sul mosaico dell’aula absidata della villa di Frampton, presso Dorchester; villa di Barton Court, nell’Oxfordshire), usufruendo di una rete stradale e di infrastrutture conservatesi in buone condizioni e mettendo a frutto la terra senza subire i danni di un assetto idrografico forse non più curato con la medesima attenzione del passato. In questo quadro, confermato da Beda ancora nei primi decenni dell’VIII secolo (Historia ecclesiastica gentis Anglorum, I, 11-12), si inseriscono in maniera prevalentemente non conflittuale gli stanziamenti dei nuclei di Juti, Angli e Sassoni, al momento indagati solo nell’Inghilterra orientale.
Una trasformazione, rispetto alla cultura e agli usi romani, si registra semmai a partire dagli inizi del VI secolo, con la costituzione dei regni di Northumbria, Mercia, East Anglia, Kent, Essex, Sussex e Wessex, nel settore centrale e meridionale della Britannia (palazzi di Cowdery’s Down, nell’Hampshire; di Malmesbury, nel Wiltshire, e di Yeavering, nel Northumberland; abitato di Dorchester), all’interno dei quali, direttamente sulla costa, all’imbocco dei fiumi o lungo il loro corso, fioriscono una serie di nuovi centri a carattere commerciale (Ipswich, nell’East Anglia, con la necropoli di Hadleigh Road), in contatto con le coste franche e con un entroterra nel quale le fattorie si distribuiscono in aree precedentemente non occupate. Altri centri risalgono al VII secolo (empori di Hamwic, Lundenwic e Eoforwic), contestualmente all’incremento dato alla costruzione di nuove chiese e di centri religiosi (Bradwell nell’Essex, St. Martin presso Canterbury), a seguito delle missioni di s. Agostino di Canterbury, inviato da Gregorio Magno nel 597, e di Mellito, nel 601, con lo scopo di estendere la disposizione, in vigore nelle Gallie, sulla presenza di un vescovo in ciascuno dei poli amministrativi (civitates) riconosciuti nell’antica provincia romana (cattedrale di Canterbury, nella probabile area di una necropoli urbana) e di consolidare la cristianizzazione dell’isola, evangelizzando le nuove popolazioni e intervenendo nelle zone ancora inclini a preservare i culti pagani legati agli elementi della natura e ai megaliti ereditati dalle civiltà preistoriche (Greg. M., Epist., XI, 56; Beda, Historia ecclesiastica gentis Anglorum, I, 30).
Dietro l’influenza delle comunità cristiane scozzesi e irlandesi (regno scoto di Dalriada, nell’Argyllshire; apostolato di s. Colombano e fondazioni dell’abbazia di Iona nell’isola omonima, nel 563, e dei monasteri di Lindisfarne, nel 635, di Mellrose, Lastingham, Gilling, Hartlepool e Whitby, nel Northumberland), vengono erette le croci di pietra, riutilizzando talvolta i menhir, gli elementi costruttivi delle camere funerarie dell’età del Bronzo e del Ferro (sepoltura monumentale di Cairnholy, nella baia di Wigtown) e gli anelli di pietre (le Laggangairn Standing Stones presso Stranraer, nel Dumfries e Galloway), anche con l’adozione di elementi confinari (la cd. St. Peter Stone, con l’iscrizione [L]OCI / PETRI APU/STOLI, a Whithorn, nel Dumfries e Galloway) e aggiungendo semplici incisioni oppure elaborati decori a bassorilievo, con intrecci, figure geometriche e motivi sia vegetali sia ispirati alle Scritture, come i Quattro Evangelisti (Aberlemno, nel Tayside; Ruthwell Cross, Bewcastle Cross, nel Cumberland; Acca’s Cross, nel Northumberland; Ilkley, nello Yorkshire). L’Irlanda costituisce il punto di partenza per questi fenomeni, iniziati tra il V e il VI secolo. Conosciuta ai Romani (Caes., Bell. Gall., V, 13) ma lasciata al di fuori dei confini dell’Impero (anfore della seconda metà del IV secolo a Reask, nella penisola di Dingle), accoglie nel corso del V secolo la nuova religione senza particolari opposizioni (apostolato di s. Palladio e di s. Patrizio, dal 431 al 461; insediamento di Gallarus, presso Ballyferriter), appoggiandosi a un cospicuo numero di fondazioni ecclesiali (irlandese derthech, “casa di quercia”) e monastiche (Killenny nell’isola di Aran e Inchcleraun nel Lough Ree, agli inizi del VI sec.; Clonard, presso Dublino, e Kildare, nel 520; Moville e Bangor nell’Ulster, rispettivamente nel 540 e nel 558; Glendalough, Clonmacnoise e Clonfert nel Leinster, tra il 541 e il 554), veri e propri centri di spiritualità e cultura all’interno di vasti regni, divisi fra molteplici tribù (Uladh a nord, Connacht e Midhe al centro, Mumain e Laighin a sud) e nominalmente sottoposti a un capo supremo (irlandese ard righ). Questi centri della spiritualità, costruiti per un certo tempo in legno e costituiti da alcuni recinti circolari racchiudenti gli oratori e i fabbricati di servizio, come nelle terre del Galles (esempi di Cymer, Cwm Hir, Landovery e Talyllychau), vengono trasformati dalla seconda metà dell’VIII secolo in solide costruzioni di pietra (chiesa di Armagh). L’edificio di culto si limita così a una struttura a pianta rettangolare, coperta con assi di legno e paglia, all’interno di una struttura di pietra (Oghil, nella contea di Innishmore). Talvolta viene aggiunta la torre campanaria (irlandese cloigtech, “casa per le campane”), di forma cilindrica e con copertura conica, lasciandola separata dalla chiesa. La particolarità di questa costruzione, diffusa in Inghilterra e Scozia non prima della fine dell’XI secolo, e la sua solidità hanno generato l’equivoco che si trattasse di un particolare tipo di apprestamento difensivo contro le scorrerie vichinghe (dal 792, con lo sbarco a Rathlin, alla battaglia di Clontarf, nel 1014).
Sono invece una costante le croci (di St. Oran, St. John e St. Martin a Iona), anche monumentali, alte sino a 7 m (esempi a Monasterboice, Moone e Arboe, rispettivamente nelle contee di Louth, Kildare e Tyrone), le ringed heads (soprattutto nel IX e X sec.), dove i quattro bracci sono uniti da un anello, in una sorta di sincretismo del motivo solare celtico e del simbolo cristiano (cimitero di Ahenny, nel Leinster), e le scripture crosses, caratteristiche dell’Irlanda centrale e decorate con figure e situazioni tratte dalla Bibbia e dalle vicende dei padri del monachesimo locale.
Nonostante la permanenza di comunità cristiane distribuite nel territorio (iscrizioni funerarie da Whithorn e Kirkmadrine), questo stesso processo, nei regni sassoni, non avviene senza traumi e resistenze, testimoniate anche dall’accostamento del nuovo simbolo della fede ai precedenti, in uso localmente o importati (bacile copto di bronzo e ciotole d’argento ornate di croci provenienti dalla nave funeraria di Sutton Hoo, attribuita a Redwaeld, m. 624/5), e alla fine dell’VIII secolo legate alla rivalità sorta fra i regni di Mercia e del Wessex, opposti all’introduzione della regola benedettina e variamente schierati nei confronti dell’impero carolingio, riprendendone i dettami nella costruzione dei complessi basilicali di Old Minster a Winchester e di Brixworth (Northamptonshire), sul sito di una chiesa datata circa al 650 e costituita da un unico vasto ambiente a pianta rettangolare.
L’invasione danese della Britannia inizia nell’870, ma è preceduta da molteplici incursioni, avviate alla fine dell’VIII secolo partendo dalle coste scozzesi, con l’occupazione delle Isole Shetland, Orcadi ed Ebridi e delle foci del Moray e del Forth, e con pesanti ripercussioni sulle comunità monastiche (saccheggio dell’abbazia di Iona e suo trasferimento a Kells, nel Meath, a nord-ovest di Dublino). Conclusasi con il trattato di Etheldun (878), con il quale si sancisce la costituzione del Danelaw, un regno esteso all’intero settore centrale dell’odierna Inghilterra e contrastato solo dal Wessex del re Alfred il Grande (palazzo di Cheddar, nel Somerset; fortezza di Pilletune e abitato di Barnstaple, nel Devon, con la chiesa di S. Maria Maddalena), introduce cambiamenti sostanziali nell’organizzazione del territorio. Le fattorie, gli empori, nel frattempo, con la crisi dell’impero carolingio, ridottisi di numero e importanza, e le stesse capitali reali anglo-sassoni (ristrutturazione di Ipswich, Norwich, Winchester, Lincoln e York), vengono affiancati da una serie di nuovi abitati, molti dei quali fortificati (i burhs), costituenti il nucleo da cui si sviluppano altrettanti centri a vocazione commerciale, nonché da un gran numero di villaggi, stretti attorno alla chiesa rurale, costruita solitamente in pietra, e di residenze padronali all’interno delle proprietà fondiarie.
Il processo non si esaurisce con la riconquista dei territori da parte dei sovrani del Wessex, Alfred (871-901), Edward il Vecchio (901- 924) e Athelstan (924-940), e la ricostruzione di molte delle chiese profanate o distrutte nel corso dei conflitti, ma prosegue con la seconda occupazione danese e il regno di Canuto (1016-1035), al quale comunque si deve la fondazione dell’edificio ecclesiastico di Bury St. Edmunds, nel Suffolk, e l’ampliamento della cattedrale di Canterbury, dotata di una doppia abside, come alcuni esempi di architettura ottoniana, oltre che affiancata da un monastero. Tuttavia, a livello territoriale, politico, sociale ed economico, sono ormai state gettate le basi per il passaggio delle Isole Britanniche da un coacervo di popoli e comunità dalle sedi mutevoli a realtà ben definite nella lingua, nella cultura e nell’estensione, convalidate anche dalla successiva conquista normanna (1066) e dalla raggiunta supremazia inglese, al tempo di Enrico II Plantageneto (1154-1189), nella costituzione di una compagine sostanzialmente rimasta, da qui in avanti, invariata, sino alla costituzione dei moderni Stati europei, con l’esclusione delle isole minori, Orcadi e Shetland, possedute dalla Norvegia sino al XV secolo.
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