L'Europa tardoantica e medievale. I territori entro i confini dell'Impero. I Carolingi in Europa
Con il termine Carolingi si individua la dinastia il cui esponente principale è Carlo Magno. I limiti cronologici non sono univoci e soprattutto non sono uguali per tutto l’Occidente: convenzionalmente per l’area franca e per le aree comprese nel nucleo centrale dell’impero si intende il periodo compreso tra il regno di Pipino (751) e la disgregazione dell’impero nell’887. Nelle regioni occidentali e meridionali, invece, sovrani di stirpe carolingia continuano a governare anche fino al X secolo. Dal punto di vista geografico questa fase storica investe direttamente o indirettamente tutto l’Occidente, costituendo il primo fenomeno politico, ma anche economico, artistico e monumentale, unitario dopo la caduta dell’Impero romano. Alla base di questo processo che è stato definito “rinascenza carolingia” si colloca la volontà di Carlo Magno di recuperare e vivificare l’istituzione imperiale romana (renovatio Romani imperii). Tale operazione ha come presupposto ed elemento cardine della sua attuazione lo stretto legame tra il regno carolingio e il Papato.
Sul piano culturale si realizza pertanto una generale ripresa con la formazione di una classe di intellettuali, costituita essenzialmente da ecclesiastici, strettamente legata alla corte che recupera e rielabora in una stretta fusione di contenuti politici e religiosi il concetto di sovranità, con una particolare attenzione al valore e ai contenuti di cui ogni produzione artistica, architettonica e culturale si deve fare portatrice. Tratto distintivo di questa rinascenza è il recupero dell’antico, soprattutto nelle sue componenti tardoantiche e cristiane. L’impero che si vuol far rivivere non è tanto quello romano classico, quanto quello cristiano realizzato da Costantino. Un tale messaggio investe tutti gli aspetti della vita del tempo, ma per quanto riguarda le problematiche di interesse archeologico esse sono connesse principalmente con lo sviluppo della città altomedievale, con l’assetto insediativo delle campagne e con la produzione di manufatti.
Le notizie relative a questi aspetti fino a non molto tempo fa erano costituite soprattutto dai dati forniti dalle fonti scritte e dai rari elementi materiali, ma le indagini archeologiche a partire dal secondo dopoguerra e soprattutto in questi ultimi decenni hanno ampliato notevolmente le conoscenze per quanto riguarda sia la topografia e l’architettura, sia i manufatti in genere. In tutte queste realizzazioni un ruolo fondamentale è svolto dalla committenza che in alcuni casi è costituita direttamente dagli stessi re carolingi, in altri invece è rappresentata da promotori che risentono dell’atmosfera culturale dell’epoca e che ne materializzano lo spirito pur non avendo attestato un legame diretto con membri della dinastia. Uno degli aspetti più caratteristici e qualificanti la nuova classe dirigente è la scelta e la realizzazione delle proprie residenze, in cui si coniugano istanze politiche, di rappresentanza e prestigio, e infine abitative. Carlo Magno e i suoi successori non ebbero una residenza fissa e pertanto un centro del potere unico e definito; ciò portò alla creazione di un gran numero di residenze reali: le fonti solo per Carlo Magno ne citano sessantacinque. Nella maggior parte dei casi esse non si collocano all’interno di centri urbani preesistenti, ma privilegiano località rurali, ad esempio, ville di caccia, come a Compiègne sull’Oise, oppure sorgono in relazione a importanti monasteri o santuari, come è attestato, ad esempio, per il palazzo voluto da Carlo Magno presso la chiesa di S. Pietro in Vaticano.
Le indagini archeologiche hanno arricchito notevolmente le conoscenze di questi impianti, rilevandone anche alcuni caratteri ricorrenti. In primo luogo si evidenzia la stretta connessione tra gli edifici laici di rappresentanza e gli edifici ecclesiastici; è infatti costante la presenza di un edificio di culto con funzioni di cappella palatina in prossimità dell’ambiente che più di ogni altro è espressione dell’autorità e del prestigio regale, l’aula regia. Ad Aquisgrana i due elementi sono ad esempio paratatticamente collocati ai lati di un ingresso monumentale e collegati da un lungo corridoio; la medesima situazione doveva presentare anche la residenza di Ingelheim. L’aula si presenta generalmente come un ampio ambiente absidato che in molti casi doveva essere riccamente decorato anche con pitture, come dimostrano i ritrovamenti di numerosi frammenti di rivestimento dipinto nell’aula di Ingelheim. La cappella palatina invece, se si esclude quella di Aquisgrana che presenta caratteri architettonici originali che rimandano ad esempi tardoantichi, è di solito di dimensioni non ampie, ad aula unica e con abside semicircolare. A questi edifici principali si affiancavano gli ambienti residenziali privati, che le fonti scritte identificano con il termine camera e gli annessi di servizio; ad Aquisgrana è attestata inoltre la presenza di un impianto termale con piscina. Soprattutto nelle residenze degli ultimi esponenti della dinastia tende a divenire sistematica la presenza di strutture difensive, costituite da fossati e recinti difensivi, in muratura o semplici palizzate (Compiègne, Château-Thierry).
Per quanto riguarda invece le strutture urbane l’operato dei Carolingi si rileva in modo poco marcato; non mancano d’altra parte fondazioni di nuove città, come il caso di Karlsburg sulla Lippe a opera di Carlo Magno, ma si tratta di interventi eccezionali. Generalmente l’impegno della dinastia carolingia in ambito urbano si concretizza attraverso alcuni interventi mirati a potenziare gli apprestamenti difensivi, come nel caso delle mura leonine del Vaticano a Roma, a valorizzare con ristrutturazioni o nuove realizzazioni i complessi episcopali e a costruire, dove se ne senta l’esigenza, residenze per il soggiorno reale. In questo ambito un ruolo certamente particolare, anche se non proprio centrale in quanto in questo periodo non ha funzioni di capitale e la sua importanza politica risiede solo nell’essere il luogo di residenza del pontefice, è svolto da Roma. Proprio all’interno del patriarchio lateranense viene realizzata una delle costruzioni più significative e rappresentative della renovatio promossa da Carlo Magno, il triclinio di Leone III, dove a fianco della scena musiva di Missio Apostolorum che decora l’abside sono rappresentati proprio Carlo e papa Leone, come eredi di Costantino, che compare, insieme con papa Silvestro e s. Pietro sull’altro lato dell’abside.
Il richiamo all’impero cristiano di Costantino doveva essere anche evidente nella decorazione purtroppo perduta della cappella di S. Petronilla, chiesa nazionale del popolo franco, presso la chiesa di S. Pietro in Vaticano. Oltre a questi interventi nella città restano ancora alcune chiese che conservano nella loro struttura tracce evidenti della fase carolingia sia per quanto riguarda il tipo di impianto, caratterizzato dalla presenza delle cripte, per lo più semianulari (S. Prassede, S. Crisogono, S. Marco, S. Cecilia, S. Stefano degli Abissini, S. Martino ai Monti), sia nella tecnica edilizia in cui sono impiegati, ad esempio, i grandi blocchi di peperino di riuso nelle fondazioni, mentre i paramenti sono realizzati con laterizi anch’essi di riuso posti in opera a filari ondulati. A fianco di questi interventi legati strettamente alla committenza carolingia o comunque all’atmosfera culturale dell’epoca, le ricerche archeologiche di questi ultimissimi anni stanno evidenziando con sempre maggiore frequenza i livelli di frequentazione e le strutture abitative che caratterizzano le realtà urbane di quest’epoca. A titolo di esempio si possono ricordare le case scoperte nel Foro di Nerva datate a età carolingia, costruite in muratura con materiale di reimpiego, a due piani, circondate da ampi spazi aperti, probabilmente coltivati.
Nelle campagne l’intervento dei Carolingi si concentra soprattutto sugli insediamenti monastici, che possono essere fondati ex novo o ricevere nuovo impulso grazie alla munificenza dei re. L’interesse per i centri monastici risponde a una ben precisa istanza di ordine politico per cui essi diventano la più importante forma di manifestazione del controllo laico sul territorio, divenendo strumenti diretti del progetto politico carolingio. Sul piano monumentale e architettonico il nuovo ruolo assunto da questi centri si concretizza in nuove costruzioni e soprattutto nella progressiva affermazione di un nuovo modello di impianto monastico, molto più articolato, planimetricamente organizzato attorno alla struttura del chiostro, che può essere unico o essere moltiplicato a seconda della grandezza del cenobio. Questa organizzazione degli spazi claustrali, comprendenti anche impianti artigianali, strutture di servizio e di accoglienza anche per gli ospiti di riguardo, ha il suo modello nella pianta di San Gallo e trova realizzazione in molte fondazioni carolingie. Gli scavi hanno riportato in luce il chiostro con strutture lignee, l’unico di questo tipo noto per questa epoca, del monastero di Aniane e quello in muratura di St.-Gwénolé di Landevénnec. Le chiese monastiche sono le parti meglio conosciute di questi complessi, che in molti casi presentano ancora ampie parti attribuibili a età carolingia. L’icnografia pur nella varietà degli impianti è spesso a tre navate con un abside, a volte preceduta da un transetto con chiari richiami al modello di S. Pietro in Vaticano, almeno in alcune realizzazioni di stretta committenza reale (ad es., Fulda, Saint-Denis), o a tre absidi libere o incluse nel muro di fondo (ad es., S. Giovanni di Müstair, S. Benedetto di Malles, Sant’Emmeram a Ratisbona). Esse vengono dotate di dispositivi idonei alle nuove forme della liturgia promosse da Carlo Magno, che trovano applicazione anche nelle altre chiese; si ha così lo sviluppo del coro, anche con forme di duplicazione sul lato opposto al presbiterio, la creazione di cripte legate al culto delle reliquie e la realizzazione di strutture idonee ad accogliere gli stessi esponenti del potere laico.
A questa ultima funzione si tende attualmente ad attribuire alcuni edifici di rilevante importanza architettonica costruiti all’interno dei monasteri o degli stessi edifici di culto: tra i primi va menzionata la Torhalle di Lorsch, edificio antistante l’ingresso della chiesa, che richiama nelle forme le porte urbiche di epoca romana, con evidenti funzioni auliche e di rappresentanza, mentre tra i secondi vanno ricordati soprattutto i Westwerke inseriti nelle facciate delle chiese. Questi ultimi caratterizzano non solo le chiese monastiche, ma anche le chiese urbane, soprattutto le cattedrali, tra queste si possono ricordare quelle di Minden, di Hildesheim, di Halberstadt e la chiesa di S. Pantaleone a Colonia. Tra gli esempi più noti di Westswerk va ricordato quello di Corvey ancora conservato nella sua complessa struttura, quasi un corpo autonomo rispetto alla chiesa, datato tra l’873 e l’885, mentre gli esempi più antichi sono quello della chiesa di S. Nazario dell’abbazia di Lorsch e forse quello di Saint-Denis, se se ne accetta l’identificazione con le possenti strutture rimesse in luce dagli scavi nell’area antistante la facciata dell’edificio ricostruito da Carlo Magno e consacrato dall’abate Fulrado nel 775. Sulla base di ricostruzioni grafiche si è potuto risalire anche a quello dell’abbazia di Centula/Saint-Riquier.
Una radicale trasformazione subisce in queste chiese la zona presbiteriale con l’inserimento della cripta legata al culto delle reliquie che proprio in età carolingia ha il suo maggiore sviluppo con consistenti fenomeni di traslazione dei corpi venerati. Alla forma più comune anulare di derivazione romana (ad es., Sant’Emmeram a Ratisbona, S. Lucio a Coira, St.-Denis, St.-Maurice d’Agaune, Ss. Salvatore e Liudger a Werden) si affiancano quelle a galleria (ad es., chiesa di Willibrord a Echternach, St.-Médard a Soisson), a navate (ad es., Fulda) e strutture anche molto articolate e complesse come quelle di St.-Germain di Auxerre. Fenomeni estremi dell’espansione di questi organismi sono costituiti da alcuni esempi in cui gli spazi ipogei si estendono ben oltre la zona del presbiterio, con ambienti annessi che si sviluppano esternamente all’edificio di culto (ad es., cattedrali di Hildesheim, Halberstadt, Corvey). Un altro elemento che caratterizza alcune chiese carolingie è l’inserimento di un altro coro opposto a quello nell’area presbiteriale, da cui deriva un tipo di impianto ad absidi contrapposte che trova espressione anche nella pianta di San Gallo. Gli scavi hanno rimesso in luce quello di St.-Maurice d’Agaune della fine dell’VIII secolo, mentre altri esempi sono quelli di Fulda, di S. Salvatore di Paderborn, della abbazia di Echternach. A Fulda questo coro preceduto da un ampio transetto è in relazione con il culto della tomba di s. Bonifacio.
Oltre ai complessi monastici, il quadro delle campagne sta in questi ultimi decenni, almeno per quanto riguarda l’area francese, arricchendosi di numerose testimonianze relative a insediamenti rurali di età carolingia (Annapes, Kootwijk, Déols, Herblay, Villiers-le-Sec, Allonne). I dati archeologici evidenziano come elementi costanti la presenza di edifici di legno, testimoniati dalle buche di palo, con funzioni varie che vanno da quella abitativa a quella artigianale, al semplice annesso agricolo, utilizzazioni queste non sempre rilevabili con precisione in mancanza di materiale archeologico. Frequenti sono i silos per l’immagazzinamento delle derrate e i forni sia per uso alimentare che artigianale: entrambi i tipi sono stati, ad esempio, individuati nello scavo di Allonne nell’Oise. Qui sono stati scavati diversi settori di un abitato, ognuno con specifiche funzioni: una parte era destinata probabilmente all’allevamento, una alle abitazioni, un’altra infine ad attività artigianali che i dati archeologici hanno permesso di legare a una forgia e alla tessitura. Un altro rilevante insediamento rurale è stato scavato nei dintorni di Chambly (Le-Pré-des-Paillards), in una zona dove le ricerche recenti stanno individuando un capillare popolamento di epoca carolingia. Anche in questo caso l’abitato risulta organizzato in aree funzionali distinte, con attestazioni di attività artigianali (lavorazione dei metalli, tessitura, lavorazione del cuoio); sulla riva di un corso d’acqua è stato rinvenuto anche un mulino, databile però nell’ambito del X secolo. Non mancano anche le attestazioni di edifici di culto legati a questi insediamenti, come quello scavato a Saint- Sebastian-de-Maraiol presso Aniane, attribuibile a età carolingia, di cui si sono rinvenute le fondazioni relative a un edificio a navata unica con abside rettangolare.
Per quanto riguarda infine i manufatti di epoca carolingia, quelli più noti e maggiormente trattati negli studi riguardano la ricchissima e raffinata produzione di oggetti suntuari, le cui più pregevoli realizzazioni sono relative a elementi dell’arredo liturgico, come l’altare del vescovo Vuolvinio della chiesa di S. Ambrogio a Milano, oppure all’attività dei numerosissimi scriptoria annessi alle cattedrali e ai monasteri, che con i loro codici garantirono la trasmissione del patrimonio culturale dell’antichità. Accanto a questi manufatti legati direttamente all’élite carolingia va ricordato il ricchissimo patrimonio scultoreo, in particolare quello relativo all’arredo liturgico di numerosissime chiese, che in molti casi costituisce l’unica attestazione delle fasi carolingie di questi edifici. Tale produzione legata all’attività di botteghe artigiane è caratterizzata per quest’epoca dall’impiego sistematico del motivo a intreccio, combinato con motivi geometrici e vegetali. Gli scavi di questi ultimi anni stanno infine fornendo determinanti contributi per la definizione delle produzioni ceramiche e in generale della suppellettile domestica di questo periodo. Sono state individuate anche alcune botteghe per la produzione di vasi, come quella scoperta a Saint-Maurice-Montcouronne (Essonne), che produceva essenzialmente pentole e – anche se in misura minore – ciotole, scodelle, mortai, con fornaci scavate direttamente nel terreno.
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