L'Europa islamica
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’Europa conosce più volte una stabile presenzaislamica. Ai circa otto secoli andalusi, agli oltre due secoli dellaSicilia, vanno infatti aggiunti i più effimeri emirati pugliesi diBari e Taranto, l’insediamento di Agropoli e le colonie militari del Garigliano in Campania e del Frassineto in Provenza. I conquistatori aghlabidi della Sicilia sono soppiantati nel 909 dai Fatimidi che, assorbiti dal loro determinato impegno di strappare agli Abbasidi il califfato, lasciano ai Kalbiti l’incarico per oltre un secolo di governare l’isola.
Lungi dall’essere un monolite istituzionale, il mondo islamico ha espresso nella sua storia diversi califfati (o imamati), tra loro politicamente e religiosamente ostili.
Il primo caso vede protagonista la penisola iberica in cui, dopo alcune incursioni, i musulmani penetrano fin dal 711 col berbero Tàriq ibn Ziyàd, liberto del governatore di Qayrawàn, Musa ibn Nusayr. Egli sbarca con 7000 uomini a Gibilterra (la cui rocca è da essi chiamata Giàbal at-Tàriq, “monte di Tàriq”) e, rinforzato presto da altri 5000 soldati, sconfigge i Visigoti nella battaglia del Rio Barbate (o di Guadalete), sfruttando le forti tensioni interne al regno, sorte con l’ascesa al trono di Roderigo, e l’aperto sostegno degli ebrei, che dai Visigoti erano stati perseguitati e infine condannati all’espulsione. La conquista, conclusa da Musa ibn Nusayr, porta alla creazione della provincia di al-Andalus, con capitale Cordova, dipendente dal governatorato di Qayrawàn. Le sconfitte forze cristiane non possono che ritirarsi a nord del fiume Duero e il nobile Pelayo si asserraglia coi suoi seguaci fra i monti Cantabrici e leAsturie, gettando le basi del futuro regno di León.
Il governatore di Cordova, allora in carica, valica vent’anni dopo i Pirenei per depredare le ricche offerte votive del santuario di San Martino a Tours e il territorio circostante, ma è sconfitto a Poitiers dal franco Carlo, che prende poi il soprannome di Martello. Sarà un pesante smacco per l’orgoglio islamico (anche se è assai improbabile che quell’azione preludesse alla conquista dell’Europa) e un fondamentale tassello per le ambizioni dei Carolingi, che intendono atteggiarsi a supremi difensori della cristianità nel mondo latino.
Alla strage in Siria della famiglia omayyade, perpetrata dai vincitori abbasidi, scampa il giovane ‘Abd al-Rahman ibn Mu‘àwiya che nel 756 ottiene rifugio e sostegno in Nord Africa dai suoi parenti materni berberi. Con essi e altri legittimisti entra in al-Andalus e sbaraglia le forze del governatore che, in quegli agitati anni, s’è reso di fatto indipendente.
Pur assumendo il semplice titolo di emiro, la sua discendenza non rinuncia mai alle pretese califfali, reclamate infatti nel 927 da ‘Abd al-Rahman III, cui gli Abbasidi, impegnati a consolidare il loro impero, reagiscono solo con qualche blando complotto, facilmente sventato.
‘Abd al-Rahman I, detto ad-Dàkhil, “l’Immigrante”, è politico non meno fine del suo nemico abbaside al-Mansur ed è assai abile nell’espandere e consolidare i suoi domini, garantendo a sé e ai suoi discendenti un solido potere durato 275 anni, dal 756 al 1031. Di assai maggior durata è però il positivo connubio realizzatosi nella penisola iberica, per oltre 800 anni, fra cultura cristiana, ebraica eislamica che, con l’aggiunta dell’elemento greco, si attua anche inSicilia nei 204 anni di governo islamico (827-1031). Nella penisola iberica, come in Sicilia, l’islam mostra la propria forte indole simbiotica verso le altre culture, già espressa con Himyariti sud-arabici, Ebrei, Greci, Siriaci, Mesopotamici, Copti, Berberi, Africani, Persiani, Indiani, Turchi, Mongoli e persino Cinesi – di cui incorpora senza remore moralistiche quanto di meglio gli viene offerto.
In al-Andalus è elemento grandemente positivo il buon rapporto con la comunità cristiana iberico-latina che aveva preferito rimanere sotto il governo islamico. I mozarabi (da must‘arib, “arabizzato”, tanto per costumi esteriori, quanto per aver affiancato l’arabo al loro idioma) vivono per lunghi secoli in un clima di tranquilla operosità, eccezion fatta per una breve parentesi nel IX secolo in cui l’ala più oltranzista delcristianesimo locale entra in conflitto coi suoi governanti musulmani.
Non meno importanti sono gli intrecci politici, economici e culturali che si creano con le conversioni, più o meno convinte, all’islam di non pochi cristiani, definiti muladíes (dall’arabo muwallad, “adottato”). Un illuminante esempio sono i Banu Qasi (“Figli di Cassius”), imparentati col casato cristiano diNavarra, dal momento che la conversione di Cassius, conte della Marca Superiore ispanica al tempo dei Visigoti, consente a lui di restare alla guida dei suoi domini e ai suoi discendenti di lucrare non piccoli vantaggi nel nuovo quadro politico venutosi a creare.
Il contributo di al-Andalus all’architettura, alle varie scienze e tecniche, alla letteratura, alla mistica, alla filosofia, alla musica, alla storia, alla geografia, all’artigianato o alla traduzione è non trascurabile humus per la successiva rinascita europea.
Il potere omayyade rivaleggia in grandiosità con quello abbaside, specialmente quando nel X secolo l’emirato si trasforma in califfato, ma anche sotto la reggenza di Almanzor, che dal 978 alla morte governa con capace energia per conto del debole califfo Hisham II. Almanzor condurrà 52 spedizioni contro i cristiani asturleonesi e navarresi, saccheggiando Barcellona nel 985 e León nel 988, l’anno dopo essersi spinto in Galizia per depredare a Compostela il remoto santuario di Santiago, immaginato come Matamoros (uccisore di musulmani), protettore della cristianità iberica.
In modo imprevedibile tuttavia il califfato, nel volgere di pochissimi anni, si sbriciola per una ingovernabile crisi dinastica e per gli egoismi dei maggiorenti. Come già verificatosi nel mondo abbaside, la frammentazione politica origina una moltitudine di esperienze istituzionali che, se politicamente sono insignificanti, sono però produttive di cultura a causa del benefico proliferare di tante munifiche corti.
Il secondo caso è quello della Sicilia. Lo sbarco nell’827 di una flotta musulmana nei pressi di Mazara, è un’azione mirante a procacciare ricco bottino più che stabile conquista ma, più ancora, l’intento degli Aghlabidi – che dall’800 erano stati delegati dal califfo Harùn al-Rashid a governare l’inquieta provincia dell’Ifriqiya (all’incirca l’attuale Tunisia, più alcune propaggini tripoline e algerine) – è quello di tenere occupato oltremare un buon numero di loro litigiosi sudditi arabi e berberi.
La conquista della Sicilia bizantina non è opera semplice e rapida e ci vuole più di mezzo secolo per far capitolare nell’878 Siracusa, capitale dell’isola.
I musulmani si scelgono nel frattempo come loro capitale Palermo, distruggendo il latifondo parassitario ereditato da Romani e Bizantini, facilitando rapporti costruttivi con le componenti latina, greca ed ebraica, depositarie a vario titolo di un sapere di alto profilo che non manca di essere appieno assorbito e rielaborato dall’islam siciliano.
I sunniti Aghlabidi sono ai primi del X secolo soppiantati dagli sciiti-ismaelitiFatimidi ma l’attenzione dei nuovi signori è prioritariamente rivolta alla conquista dell’Egitto e dellaSiria per poi andare a deporre l’imbelle potere abbaside inIraq, da essi considerato illegittimo.
Pieni poteri per l’isola sono quindi affidati dai Fatimidi, nel 948, al fedele al-Hasan b. ‘Ali al-Kalbi e ai suoi discendenti (kalbiti) che governano in modo del tutto autonomo per 105 anni. Oltre un secolo di progresso artistico e scientifico, di saggia e moderata amministrazione, facilitata dall’essere la Sicilia lontana dalle aspre contese politico-religiose in atto nel resto del mondo islamico. Anche qui, però,come in al-Andalus, il quadro istituzionale finisce col frammentarsi in modesti potentati, latori di un’angusta visione politica che agevola l’impresa ambiziosa di un pugno di avventurosi guerrieri normanni che s’impadroniscono infine dell’isola.
Originari della lontana Scandinavia e pragmaticamente aperti (al pari dell’islam) alle contaminazioni culturali, i Normanni s’erano già illustrati in altre parti d’Europa. Quando giungono inSicilia nel 1061, anche Roberto il Guiscardo e il fratello Gran Conte Ruggero non hanno vita facile nel sottomettere l’isola e sarà solo vent’anni dopo che cadranno Noto e Butera, ultimi lembi sovrani islamici in Trinacria, dopo la disperata difesa del siracusano Ibn Abbàd – il Benavert delle cronache cristiane.
Al contrario dei cristiani spagnoli, i nuovi dominatori non cedono alla pulsione vendicativa auspicata dalla Chiesa e dall’aristocrazia cristiana, avvantaggiandosi delle superiori conoscenze tecnologiche e artistico-letterarie dei vinti, messe senza alcuna remora moralistica al proprio servizio, come appare ancor oggi chiaro a chi ammiri il castello della Zisa (allora immersa in un enorme parco reale), dalla Cuba o dalla Cappella Palatina di Palermo. Allo stesso modo si comporterà l’imperatore Federico II, figlio di Enrico VI di Hohenstaufen e di Costanza d’Altavilla, nipote di re Ruggero II che aveva fatto coniare monete bilingui, con l’epiteto reale (di orgoglioso sapore arabo-islamico) di al-Mu‘tàzz bi-llàh, “il Potente per grazia divina”, e che aveva ostentato (come il nipote Guglielmo II) persino un harem di sapore fin troppo islamico.
Non paragonabile all’esperienza islamica in Sicilia, ma pur sempre d’un certo interesse è la presenza islamica nell’Italia peninsulare (la “Terra Grande” degli Arabi).
Si parla di due emirati in Puglia e d’una colonia inCampania, dove s’insediano musulmani nordafricani e siciliani che infestano allora varie isole tirreniche e adriatiche, la Sardegna, la Calabria, la Basilicata, il Lazio, il Molise, le Marche, l’Umbria, laToscana, la Liguria e il Piemonte, per non parlare della Provenza francese, in cui impiantano a Frassineto (La Garde-Freinet, vicino aSaint-Tropez), una colonia militare attiva tra l’889/890 e il 975.
Tali stanziamenti sono resi possibili dalla capacità dei musulmani d’inserirsi nei tortuosi giochi di potere dei vari signori e signorotti cristiani locali, che non hanno remore nell’assoldarli per scagliarli contro i correligionari loro nemici, come ad esempio è il caso di Lamberto, duca longobardo di Spoleto, o delle città campane che vogliono contrastare l’espansionismo longobardo-beneventano, o di Napoli che nell’880 arruola musulmani di Sicilia per sventare le mire annessionistiche di papa Giovanni VIII – a sua volta costretto due anni prima a pagare profumatamente una tregua ai musulmani.
Il loro insediamento non è subito contrastato anche per motivi economici, se non altro per le consistenti quantità d’oro che i musulmani coniano o recano con sé (mancusi, dinàr aghlabidi e fatimidi, tarìsiciliani e bisanti) e del quale l’Italia tutta è carente e bramosa, come in qualche misura mostrano i conii longobardi, salernitani e amalfitani di monete bilingui in latino e arabo. Motivo ulteriore potrebbe infine essere stato l’abolizione da parte musulmana in Puglia dell’antico, odiato e rovinoso latifondo, che tante sofferenze e guasti aveva prodotto, e seguiterà a produrre, nel Meridione italico.
Meno d’una quarantina d’anni vive l’emirato costituito, verso l’846, sul territorio di Taranto strappato ai Bizantini da musulmani andalusi esiliati a Creta e comandati da un non meglio identificato Saba. L’entità, sopravvissuta fino all’883, tre anni dopo risulta comandata da Apoiaffar (Abu Ja’far) e possiamo solo dedurre la momentanea caduta della città in base a un documento cristiano che parla di una nuova occupazione islamica di Taranto nell’851-852. Quasi null’altro conosciamo, salvo che, al momento della definitiva riconquista da parte del bizantino Leone Apostyppes, la città pugliese è governata da un personaggio di nome Uthmàn.
L’ultimo emirato, costituito ai danni del duca di Benevento, è nell’847 quello di Bari, eretto dal mawlà berbero Khalfùn – forse anch’egli proveniente dalla Sicilia e precedentemente al soldo proprio del duca Radelchi nel suo confronto con Siconolfo di Salerno – che s’impadronisce della città con un’azione che coglie di sorpresa le autorità longobarde. ÈMufarraj b. Sallam, succedutogli alla sua morte nell’852, noto per aver costruito una grande moschea a Bari e 24 castelli nel suo circondario, a sollecitare il riconoscimento dell’emirato al califfo abbaside al-Mutawakkil. Le convulse vicende della corte abbaside rallentano l’iter della pratica. Ciò nonostante l’emirato seguita a vivere anche dopo che al-Mufarraj viene assassinato nell’857 e rimpiazzato dal berbero Sawdàn che ottiene infine nell’863 dal califfo al-Musta‘in quanto richiesto anni prima.
Ciò non impedisce che l’emirato, molto attivo in razzie e violenze di varia natura e coinvolto nel lucroso mercato schiavistico, finisca comunque i suoi giorni il 3 febbraio 871, dopo una protratta azione militare condotta dall’imperatore carolingio Ludovico II, alleato per l’occasione al duca longobardo Adelchi di Benevento.
Non un emirato ma un semplice insediamento militare, formato nell’882, è quello di Agropoli. Nell’880 s’era costituito presso Napoli, col beneplacito del bellicoso vescovo Atanasio II, usurpatore del titolo ducale del fratello, un campo fortificato musulmano per colpire i nemici dell’alto prelato (Capua, Salerno, Benevento e Spoleto, i cui confini s’allungavano fino alla Campania), e saccheggiare lo stesso agro romano, taglieggiando viandanti e popolazioni.
Atanasio, sottoposto a forti pressioni, dispone il loro allontanamento dalle falde vesuviane (Resina, Cremano, Portici, Torre del Greco) ma due anni dopo troviamo quei musulmani ad Agropoli, presso Salerno, fin quando un emiro aghlabide non li dirotta in Calabria per rafforzarvi l’insicura presenza islamica, col solo risultato di farli cadere tra l’885 e l’886 sotto i colpi del bizantino Niceforo Foca, omonimo avo del grande basileus del successivo secolo.
Altra collettività militare organizzata è quella formata nell’883 alla foce del Garigliano, sotto la collina di Traetto, da un folto gruppo di musulmani su autorizzazione degli abitanti di Gaeta e del suo console Docibile.
Da tale località – su cui sorgono moschea e abitazioni per le famiglie dei musulmani – quei guerrieri, su commissione del vescovo e duca di NapoliAtanasio, attaccano Capua e Salerno, colpendo duramente paesi e abitanti di Terra di Lavoro, finché nell’agosto 916 una crociata ante litteram, voluta dal re d’Italia Berengario, dall’imperatrice bizantina Zoe, dai duchi di Camerino e di Spoleto e dal duca del Friuli, con la benedizione di papa Giovanni X – che partecipa di persona alla battaglia –, mette fine a quell’esperienza.