Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del quindicennio napoleonico l’Europa assiste a un processo di aggregazione territoriale e di ammodernamento amministrativo che in parte risponde alla nuova ispirazione dell’età rivoluzionaria e in parte al disegno personale di Napoleone. La confluenza di motivazioni assai diverse in questo processo ne determina il finale fallimento, ma anche la sopravvivenza degli aspetti più propriamente innovativi.
Già nel corso della prima campagna d’Italia è evidente come l’allargamento dell’orizzonte rivoluzionario oltre i confini della Francia e l’idea di affratellare i popoli europei nei nuovi ideali di libertà e di eguaglianza vada mescolandosi con un disegno espansionistico, erede in parte dell’antica politica francese e in parte delle nuove ambizioni di Napoleone. Già nelle complicate trame diplomatiche che portano – con il trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) e gli accordi di Rastatt – al rimaneggiamento della carta politica dell’Italia e della Germania e, successivamente, nella campagna d’Egitto appare chiaro che è di nuovo in atto un confronto tra le grandi potenze europee che rimette ancora una volta in discussione gli equilibri continentali. L’Inghilterra, l’Austria e la Russia si presentano, quindi, come interlocutori e avversari di una Francia che, superata la crisi della Rivoluzione francese, si ripropone con quella vocazione egemonica a essa appartenuta per tutto il corso dell’età moderna e particolarmente durante il regno di Luigi XIV. Anzi, le forme assunte dallo sviluppo economico nel corso del XVIII secolo ampliano le prospettive del conflitto al di là dei confini europei e trasformano apertamente il contrasto tra Francia e Inghilterra (già rivelatosi con la guerra dei Sette anni) in una rivalità che ha per oggetto l’espansione coloniale e il controllo dei traffici extraeuropei. Questo è il senso della singolare impresa egiziana e questo, soprattutto, è il significato del disegno imperiale che Napoleone impone alla Francia e all’Europa all’indomani del fallimento dell’assai precaria pace conclusa ad Amiens con la Gran Bretagna nel 1802.
Infatti, al di là dei palesi motivi di ordine interno, la nascita dell’Impero (1804) risponde all’esigenza di una forte e ampia unità territoriale che sia in grado di assicurare – oltre a un sufficiente respiro economico – una forte coesione politica e militare nel momento in cui la natura globale e planetaria del conflitto con l’Inghilterra assume il suo massimo rilievo.
All’impero propriamente detto – i cui confini si mantengono d’altronde estremamente mutevoli, seguendo le alterne vicende della diplomazia e delle guerre – si aggiunge una costellazione di Stati a esso legati ed essi pure assai variabili nel corso del tempo, alla cui guida vengono posti uomini che godono dell’assoluta fiducia di Napoleone e spesso suoi diretti congiunti, in una strategia accusata spesso di puro “nepotismo ” familiare, ma che più in generale può essere giudicata come un modo ragionevole per assicurarsi la fedeltà delle diverse articolazioni del sistema imperiale. Il blocco continentale, adottato a partire dal novembre del 1806 e con il quale si intende impedire ogni relazione commerciale con l’Inghilterra, in quanto vieta l’approdo di qualsiasi nave proveniente dall’Inghilterra nei porti della Francia e dei suoi alleati, rappresenta la traduzione di questo disegno politico sul piano della vita economica. Al blocco viene affidato infatti un duplice compito: da un lato creare un grande mercato europeo protetto, avviando processi di modernizzazione imprenditoriale che si giovino anche del diretto aiuto dello Stato e delle sue committenze, dall’altro piegare l’industria inglese, sottraendole il naturale sbocco sul continente.
In questa prospettiva le guerre combattute con le potenze continentali, e soprattutto con Austria e Russia, sembrano dettate dal desiderio d’integrare anche queste potenze nel sistema imperiale, mentre la lotta con la Gran Bretagna, diventata sin dal 1806 l’anima e il motore economico delle coalizioni antifrancesi, assume caratteri crescenti di reciproca irriducibilità e si risolve soltanto nella crisi militare che conclude il progetto napoleonico.
Se il disegno politico-territoriale e quello economico tramontano con l’Impero napoleonico, non altrettanto succede con i mutamenti amministrativi e istituzionali, dove Napoleone dimostra di saper cogliere i caratteri fondamentali della Grande Rivoluzione. È nell’ambito amministrativo e istituzionale, infatti, che il tentativo napoleonico di dare unità all’Europa nel segno dell’egemonia francese ottiene i suoi risultati più significativi e storicamente duraturi, raggiungendo infine anche quegli Stati non immediatamente toccati dalle sue conquiste militari. Quasi ovunque nell’Europa napoleonica scompaiono le ultime vestigia della feudalità, e con esse quelle molteplici forme di rappresentanza e di giurisdizione per ceti che avevano caratterizzato la società per ordini dell’ancien régime. In Germania, in particolare, la dissoluzione del plurisecolare Sacro Romano Impero e la semplificazione della sua variegata mappa politica determinano le condizioni per la modernizzazione economica e istituzionale dell’Europa centrale.
La generalizzata adozione nei territori dell’impero – come negli Stati alleati – del Codice civile, elaborato in Francia già nei primi mesi del 1804 e nel quale trovano concreta affermazione i principi dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e del diritto alla proprietà, segna il momento di maggiore rottura rispetto al passato e, dunque, il momento nel quale l’Europa comincia a riconoscersi in una nuova e comune civiltà delle istituzioni e delle forme giuridiche. A questo contribuisce anche la nuova fisionomia dei poteri amministrativi che riproduce su scala continentale lo schema delineatosi in Francia nel periodo rivoluzionario e portato a compimento da Napoleone. Il dipartimento diventa allora la fondamentale articolazione territoriale dello Stato e su di esso veglia il prefetto, funzionario di nomina governativa chiamato a rappresentare il potere esecutivo in provincia. Al prefetto fanno poi capo i diversi esponenti, a livello locale, delle principali amministrazioni dello Stato, dalle finanze alle opere pubbliche e alla scuola, secondo un modello fortemente centralizzato volto ad assicurare il massimo controllo pubblico sulla vita civile. L’Europa vede, così, semplificarsi o scomparire per sempre il caotico sovrapporsi di competenze e poteri burocratici e si ritrova, alla fine di quegli anni, assai più simile nelle sue parti di quanto fosse alla vigilia dell’avventura militare napoleonica. Un ulteriore elemento di omogeneità è dato, del resto, proprio dall’estensione della coscrizione obbligatoria, secondo il modello della Francia rivoluzionaria, resa necessaria dal continuo succedersi di guerre. L’esercito, formato da tutti i cittadini e non più legato nelle carriere a privilegi di rango, diventa un potente fattore di amalgama sociale, inserendosi progressivamente in quell’universo di valori e di istituzioni tipici dell’Europa borghese nata negli anni di Napoleone.
L’Europa di Napoleone è anche l’Europa di Hegel, di Goethe e di Beethoven, un continente cioè nel quale comincia a intravedersi, attraverso il declino della grande cultura illuminista, la vigorosa stagione del romanticismo. L’esperienza napoleonica, in ciò che essa significa sul piano dell’eccezionalità eroica, del culto delle passioni individuali, del sentimento di patria e di nazione, risulta decisiva per la formazione della cultura romantica. Questi valori circolano, affidati talvolta a esuli politici o più spesso a quegli stessi militari che le avventure della guerra disperdono ai quattro angoli del continente e solo in parte sono il risultato di una politica consapevolmente voluta da Napoleone attraverso la creazione di istituti e accademie strutturate sull’esempio francese dell’Institut de France e delle Grands Écoles, dal momento che in questi – soprattutto durante gli anni dell’impero – prevale un modello classicista in contrasto con le nuove sensibilità del tempo.
Tuttavia, il risveglio delle nazionalità e delle culture nazionali, che caratterizza la nuova Europa romantica, se da una parte è frutto delle novità che la Francia rivoluzionaria esporta ovunque con le vittorie napoleoniche, d’altra parte costituisce anche la reazione a ciò che di oppressivo e di omologante quelle vittorie vogliono imporre a popoli dotati di un’identità faticosamente scoperta che viene ora tenacemente difesa.