Vedi L'Eu e la governance dell'economia dell'anno: 2012 - 2013
Non essendo l’Eu uno stato in senso proprio, le attività di governo - e tra queste la governance dell’economia - che le competono sono condotte in condizioni particolari per quanto riguarda i rapporti con gli stati membri dell’Unione.
Un primo rilevante aspetto da tener presente è che - in quei campi dove i trattati le conferiscono la competenza - direttive, regolamenti e decisioni dell’Eu sono vincolanti per gli stati membri (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea - Tfeu, art. 288).
Il secondo aspetto riguarda i campi di competenza dell’Eu nella governance dell’economia. Due principi precedono la definizione delle competenze: (i) «L’Unione persegue i suoi obiettivi […] in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati» (Trattato sull’Unione Europea – Teu, art. 3,6; (ii) «Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli stati membri» (Teu, art. 4,1; vedi anche art. 5). Quanto alle competenze, i settori di attività sono poi distinti per la tipologia: le competenze possono essere esclusive, concorrenti (con gli stati membri), di coordinamento (tra stati membri), e infine di sostegno o completamento dell’attività degli stati membri (Tfeu, art. 2). In ambito economico, le competenza attribuite all’Eu sono (Tfeu, artt. 3-6):
Esclusive, per quanto riguarda:
(i) l’unione doganale e la politica commerciale comune;
(ii) le regole di concorrenza per il mercato interno;
(iii) la politica monetaria per i paesi che hanno adottato l’euro;
(iv) per la politica di conservazione delle risorse biologiche marine.
Concorrenti, per quanto riguarda principalmente:
a) mercato interno,
b) politica sociale,
c) coesione economica, sociale e territoriale,
d) agricoltura e pesca,
e) ambiente,
f) protezione dei consumatori,
g) trasporti,
h) reti trans-europee,
i) energia.
In tali settori, «gli stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria». I settori in cui le competenze dell’Eu e degli stati membri sono concorrenti, ma l’esercizio delle competenze dell’Eu non può impedire agli stati membri di esercitare le loro, anche in modo autonomo comprendono: la ricerca, lo sviluppo tecnologico, l’esplorazione dello spazio, la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario.
Di coordinamento, per quanto riguarda principalmente le politiche economiche (in particolare per gli stati membri che hanno adottato l’euro), occupazionali e sociali. Una questione rilevante è il criterio per l’attribuzione delle competenze all’Eu. Esistono in proposito due impostazioni teoriche: le teorie della sussidiarietà e quelle del federalismo fiscale. L’approccio della sussidiarietà sostiene che un’autorità centrale debba farsi carico solo di quei compiti che non possono più efficacemente essere svolti a un livello locale o comunque decentrato.
L’art. 5 del Teu stabilisce esplicitamente che «L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità». Il federalismo fiscale, con un approccio di economia pubblica, sostiene che il governo centrale debba occuparsi di fornire alla collettività solo quei beni pubblici, in relazione ai quali le comunità locali (in questo caso, gli stati membri dell’Eu) non abbiano diversità di preferenze, e per la produzione o distribuzione dei quali vi siano rilevanti economie di scala, tali appunto da rendere assolutamente più efficiente la centralizzazione del servizio. In diversa misura, ambedue le impostazioni, e in primo luogo l’approccio della sussidiarietà, hanno trovato un recepimento abbastanza condiviso. Il dibattito si è fatto però acceso in relazione a due politiche: la politica agricola comunitaria (Pac) e le politiche regionali. Per quanto riguarda la prima, da più parti si è obiettato, in modo condivisibile, che gli obiettivi iniziali siano stati storicamente superati e che sarebbe tempo di riconsegnare agli stati membri la responsabilità di sostenere i redditi dei produttori agricoli, qualora lo desiderino. A questa obiezione è facile rispondere che, in effetti, la politica agricola è (o meglio sarebbe) un settore di competenza concorrente fra Unione e stati membri, e che una ‘nazionalizzazione’ di tale politica è una decisione presa a livello politico intergovernativo (in particolare, su richiesta della Francia) e non ha rilevanza costituzionale.
Un terzo aspetto da considerare sono gli obiettivi perseguiti dalla governance economica dalle istituzioni europee. Essi possono essere riassunti nel processo di costruzione del mercato interno, in relazione al quale si possono distinguere i seguenti passi:
(i) la costituzione dell’Unione doganale e l’adozione della politica commerciale comune (completata nel 1968); (ii) il completamento del mercato interno, con l’abolizione progressiva delle barriere non tariffarie (dal 1987) e il rafforzamento della politica di concorrenza; (iii) l’adozione di un sistema di tassi di cambio tendenzialmente stabili (Sme, dal 1979) e (iv) l’adozione di una moneta unica e di una politica monetaria unica, dal 1999; infine (v) l’ampliamento su base geografica del mercato interno, attuato con i successivi allargamenti avvenuti fra il 1973 e il 2007 (ma non ancora esauriti). Da ultimo, un giudizio complessivo sulla governance economica attuata dall’Eu deve tener conto dell’articolazione complessiva di tali attività. In estrema sintesi: Il mercato interno, formalmente entrato in vigore nel 1993, garantisce sostanzialmente le quattro libertà fondamentali – libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali – anche se vi sono tuttora aspetti di incompletezza per quanto riguarda la circolazione dei servizi. Il bilancio dell’Eu, per quanto di ammontare limitato (l’1,12% del reddito lordo comunitario, per le prospettive finanziarie 2007-13) è dedicato principalmente a due settori di attività economica: per il 45% alle politiche per la crescita sostenibile, l’occupazione e la coesione, attuate soprattutto su base regionale; per il 42% alla gestione e tutela delle risorse naturali (l’80% del quale è dedicato al sostegno diretto alla politica agricola).
La politica monetaria unica, affidata alla Banca centrale europea, ha realizzato in gran parte gli obiettivi proposti, in relazione ai 17 paesi che hanno adottato l’euro, e contribuito al rafforzamento e alla diffusione su scala internazionale dell’euro e successivamente ha partecipato in modo costruttivo alla assai complessa gestione della crisi finanziaria e della recessione manifestatesi a partire dal 2008.
Più critico e spesso assente il contributo dell’Eu alla governance in altri settori di attività, nonostante le ambizioni manifestate nel 2000 con l’adozione della ‘Strategia di Lisbona’, che poneva rilevanti obiettivi di sviluppo economico, sociale e ambientale, basandosi sull’idea di una crescita trainata dalle innovazioni tecnologiche e dall’economia della conoscenza. I risultati sono stati sconfortanti, soprattutto per l’assenza di strumenti d’azione corrispondenti agli obiettivi, e hanno rivelato l’insufficienza del modello di governance basato sull’attività di coordinamento da parte dell’Unione delle politiche degli stati membri. L’insufficienza di un modello di governance basato sul coordinamento degli stati e su deboli strumenti di intervento diretto si è rivelata in modo più drammatico nel coordinamento delle politiche fiscali nazionali, che avrebbe dovuto assicurare la disciplina fiscale degli stati membri, in particolare (per quanto riguarda l’area dell’euro) attraverso il ‘Patto di stabilità e crescita’: più volte disatteso e conseguentemente riformato, da ultimo nel 2011, il Patto si è rivelato in particolare inadeguato a prevenire prima e a gestire poi le emergenze fiscali della Grecia, ma anche di altri stati membri.
Da ultimo, la gravità e le emergenze poste dalla crisi finanziaria del 2008, dalla recessione del 2009 e dalla crisi del debito sovrano di alcuni stati iniziata nel 2010 hanno posto in luce l’inadeguatezza di alcuni strumenti di governance previsti dai trattati, smentendo le opinioni di quanti consideravano il processo di costruzione istituzionale dell’Unione concluso con l’entrata in vigore, nel dicembre 2009, del Trattato di Lisbona. L’emergenza delle crisi ha richiesto, nel 2010, la predisposizione di nuovi strumenti d’intervento, e in particolare del Meccanismo europeo per la stabilità finanziaria (Efsm, che in modo istituzionalmente innovativo autorizza l’indebitamento diretto della Commissione europea sui mercati finanziari) e dello Sportello europeo per la stabilità finanziaria (Efsf), a carattere intergovernativo, destinato a essere sostituito nel 2013 dal Meccanismo europeo di stabilità (Esm). L’adozione di quest’ultimo strumento dovrà essere recepita nel Trattato di Lisbona.