L'eta di el-Amarna: politica e diplomazia
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
L’età di el-Amarna (metà del XIV sec. a.C.) rappresenta l’inizio di un periodo storico, che si conclude alla fine del XIII secolo a.C., caratterizzato a livello politico dalla coesistenza di un gruppo ristretto di grandi potenze regionali (Egitto, Babilonia, Mittani, Khatti, Assiria e Alashiya) che esercitano il controllo su una serie di potentati minori. Intense relazioni diplomatiche e alleanze politiche e commerciali garantiscono il mantenimento di una condizione di equilibrio e non-belligeranza, che permette lo sviluppo di intensi scambi a livello interregionale, documentati sia dalle fonti scritte che da quelle archeologiche.
Verso la metà del II millennio a.C. si verifica nel Vicino Oriente una serie di importanti mutamenti che determinano un cambiamento radicale nel sistema politico di tutta la regione. La perdita di centralità politica e culturale da parte di Babilonia, l’assurgere al ruolo di potenze internazionali da parte dei regni di Mittani e Khatti, l’espansione egiziana nell’area siro-palestinese sono alcuni dei fatti più evidenti che condurranno allo stabilirsi di un nuovo ordine, che resterà in vigore fino alla fine del XIII secolo a.C. Questo nuovo ordine è stato efficacemente definito come “sistema regionale”, cioè un sistema politico caratterizzato da un numero ristretto di potenze territoriali di grandi dimensioni che controllano una serie di potentati minori compresi nella loro sfera di influenza. I complessi meccanismi politici e diplomatici su cui si basava il sistema regionale sono documentati al meglio dalle lettere di el-Amarna, che risalgono alla fase iniziale di questo periodo storico (metà del XIV sec. a.C.).
L’archivio fu rinvenuto nell’Ottocento nel sito egiziano di el-Amarna (corrispondente all’antica Akhetaton, la capitale fondata in Medio Egitto dal faraone eretico Amenhotep IV/Akhenaton) rappresenta la corrispondenza intrattenuta da Amenhotep IV (e in piccola parte anche dal suo predecessore Amenhotep III) con gli altri sovrani asiatici indipendenti e con i vassalli egiziani in Siria e Palestina. Al primo gruppo appartengono quelli che nella terminologia dell’epoca venivano definiti “grandi re”: questi sono in un primo momento i sovrani di Egitto, Babilonia, Mittani, Khatti e Alashiya (il regno a cui anticamente corrispondeva l’isola di Cipro), in seguito l’Assiria prenderà il posto di Mittani, quando quest’ultimo verrà assoggettato dagli Ittiti. A livello ideologico i rapporti tra “grandi re” ruotano intorno al riconoscimento reciproco dell’appartenenza allo stesso rango, all’accettazione di una condizione di parità: non a caso i sovrani si rivolgono l’un l’altro chiamandosi fratelli, insistendo sul vincolo di fratellanza e sul sentimento di amicizia che li lega l’uno all’altro. A livello pratico questi rapporti “fraterni” si traducono in vantaggiose alleanze politiche ed economiche, che garantiscono da un lato il mantenimento di una condizione di equilibrio e non-belligeranza, dall’altro l’accesso a prodotti e materie prime caratteristici e spesso esclusivi dei singoli paesi.
Le lettere di el-Amarna mostrano come questo sistema si basi principalmente sul meccanismo dello scambio, che ha come punto di partenza proprio lo scambio di messaggi. Questi sono consegnati sotto forma di lettere redatte in accadico, la lingua diplomatica dell’epoca utilizzata non solo per la corrispondenza, ma anche per tutti gli altri tipi di documenti internazionali, come per esempio i trattati e gli editti. Le lettere provenienti dalla Babilonia e dall’Assiria sono scritte rispettivamente in mediobabilonese e medioassiro, mentre quelle di origine mittanica, ittita, cipriota egiziana e siro-palestinese attestano varianti locali del cosiddetto accadico “periferico”. L’accadico periferico ha come base il mediobabilonese, che in virtù del prestigio culturale di Babilonia si diffonde dalla bassa Mesopotamia in tutte le regioni periferiche del Vicino Oriente e viene adottato come lingua franca in Egitto, Anatolia, Siria e Palestina. Qui il mediobabilonese subisce inevitabilmente l’influenza delle lingue parlate dalle popolazioni locali (egiziano, ittita, khurrico e cananeo), che in modo più o meno significativo intervengono sul lessico e sulla sintassi accadica.
Le lettere scambiate tra “grandi re” seguono un protocollo estremamente rigido, al punto che l’omissione di un titolo o di una formula di saluto, così come la mancanza di rispetto dell’ordine previsto per ogni elemento del formulario può essere motivo di offesa e scatenare le proteste risentite del destinatario.
Oltre a fungere da scambio di saluti e cortesie reciproche, i messaggi solitamente servono a introdurre la richiesta o ad accompagnare l’invio di un ulteriore oggetto di scambio, ovvero i doni. Questi possono essere di entità relativamente modesta, e in questo caso si tratta di doni augurali, oppure ben più consistenti, e in questo caso il dono maschera una forma di commercio tra corti. Si tratta di un commercio “ritualizzato”, che implica lunghe trattative e un cerimoniale ben preciso, in base al quale per esempio i “doni” vengono mandati e richiesti per occasioni specifiche, come la costruzione di palazzi e templi. Domanda e richiesta seguono la distribuzione delle materie prime di cui ogni paese dispone maggiormente: all’Egitto vengono richiesti oro, ebano e avorio, in cambio dei quali Cipro offre soprattutto lingotti di rame e legname per la costruzione di navi, Mittani, Assiria e Babilonia offrono lapislazzuli, agata, cavalli, carri e armi, mentre Khatti è il principale esportatore di argento.
L’insistenza con cui i “grandi re” richiedono l’invio di questi doni dimostra quanto la loro acquisizione fosse importante per l’ideologia regale dell’epoca, in base alla quale la capacità di ottenere questi beni esotici era considerata una dimostrazione di potere e prestigio nei confronti sia dei propri pari rango che dei propri sudditi.
A livello archeologico l’immagine forse più vivida degli scambi commerciali nel Mediterraneo orientale durante l’età di el-Amarna è offerta dall’eccezionale ritrovamento del relitto di una nave affondata al largo della costa sud-occidentale turca, presso il sito di Uluburun, presumibilmente nella seconda metà del XIV secolo a.C. Il carico della nave, che giungeva probabilmente dalla costa levantina, consisteva soprattutto di lingotti di rame e stagno, i due metalli necessari per la produzione del bronzo: le analisi dei lingotti hanno permesso di stabilire che il rame proveniva per lo più da Cipro, dove si trovavano i giacimenti più importanti, mentre non è ancora stato identificato il luogo di origine dello stagno. Il carico della nave era composto anche da anfore cananee contenenti resina di pistacchio, probabilmente proveniente dalla regione del Mar Morto, e pithoi contenenti a loro volta ceramica cipriota. Tra le merci trasportate vi erano anche numerose barre di pasta vitrea di colore blu e turchese, la cui produzione inizia proprio durante il Tardo Bronzo ed è destinata a fornire un sostituto artificiale per pietre dure quali il lapislazzuli, molto richiesto e di difficile approvvigionamento. Nel relitto di Uluburun sono stati ritrovati anche oggetti di lusso quali ebano, avorio di elefante e ippopotamo, uova di struzzo, perle di agata, faïence, cristallo di rocca, ambra, oggetti d’oro.
Non solo i “grandi re”, ma anche i “piccoli re” a loro sottomessi sono coinvolti in questo clima favorevole agli scambi internazionali e paradossalmente sono proprio i ritrovamenti effettuati nelle capitali di questi regni minori a rappresentare al meglio la ricchezza accumulata in questo periodo da alcune delle corti vicino-orientali. Due siti in particolare possono essere considerati esempi tipici della cultura e dell’economia palatina di quest’epoca: Qatna (attuale Tell Mishrifeh) ai margine della steppa siriana e Ugarit (attuale Ras Shamra) sulla costa siriana settentrionale.
Qatna, sede di un regno indipendente durante il Medio Bronzo, alterna nel Tardo Bronzo fasi di sudditanza nei confronti di Mittani, Egitto e Khatti. La città vive una delle fasi di massimo splendore urbanistico nel periodo iniziale del Tardo Bronzo, prima di essere distrutta dagli Ittiti intorno alla metà del XIV secolo a.C. La ricchezza della corte di Qatna è rappresentata al meglio dagli oggetti preziosi sia di importazione che di produzione locale rinvenuti nelle tombe reali. Gli artefatti prodotti localmente sono particolarmente interessanti poiché dimostrano come elementi della tradizione siriana si mescolassero con altri tipici di altri stili e culture, da quella egiziana a quella mesopotamica. Questo stile ibrido, che è stato definito “internazionale”, inizia a diffondersi in tutto il Mediterraneo orientale già durante il Medio Bronzo, ma raggiunge il suo apogeo proprio durante il Tardo Bronzo, quando la circolazione di tecniche specialistiche, motivi iconografici, materiali preziosi e oggetti lavorati viene favorita al massimo dal clima di intensa interazione fra aree talvolta anche molto distanti tra loro. Gli scavi archeologici condotti a Qatna hanno portato alla luce anche un altro prodotto tipico dello stile internazionale, ovverosia numerosissimi frammenti di pitture murali in stile minoico che decoravano il palazzo reale, secondo un gusto molto diffuso in quest’epoca. Affreschi simili sono infatti stati rinvenuti in palazzi reali dispersi in tutto il Levante, da Tell el-Dab’a nel delta del Nilo a Tel Kabri sulla costa palestinese, fino ad Alalakh in Siria settentrionale. Lo stile internazionale giunge fino all’Alta Mesopotamia, come testimoniano le pitture parietali con motivi di bucrani di gusto minoico intercalati a teste hathoriche che decoravano le pareti del palazzo reale di Nuzi.
Mentre Qatna soccombe agli sconvolgimenti politici della prima età del Tardo Bronzo, il regno di Ugarit vive invece in quest’epoca il proprio apogeo. La cittá costiera, che sin dal Medio Bronzo aveva saputo approfittare della propria posizione geografica privilegiata per i commerci, è tra il XIV e XIII sec. uno dei principali empori del Levante e svolge la funzione di centro di raccordo e smistamento delle merci tra Mediterraneo ed entroterra: dai testi ritrovati negli archivi della città sappiamo di pietre semipreziose inoltrate alla volta di Amurru, di carichi di lana, argento, pesce e curcuma inviati nella regione di Karkemish, di stagno, rame ed allume destinati alla città di Emar, sull’Eufrate. I mercanti, che inizialmente dipendevano dall’amministrazione palatina, diventano sempre più autonomi e creano delle vere e proprie imprese commerciali con soci attivi in altre città sia nell’entroterra (Emar) che lungo la costa (Biblo, Tiro, Sidone ecc.).
Gli scambi di doni tra corti mantengono comunque un ruolo importante, come è testimoniato per esempio da una lettera del re di Alashiya al re di Ugarit, con cui si annuncia l’invio di un’importante quantità di lingotti di rame. Il quadro ricostruibile in base ai testi si integra ed arricchisce grazie a quello fornito dai ritrovamenti archeologici: i rapporti con Alashiya sono confermati dalla presenza non solo di lingotti di rame, ma anche e soprattutto di ceramica di fattura cipriota; grandi quantità di ceramica di lusso micenea e minoica testimoniano i contatti con la Grecia e Creta; le decine di giare di uso comune del tipo cosiddetto “cananeo”, rinvenute nei magazzini di Ras Ibn Hani (moderno Minet-el-Beida), il porto di Ugarit, indicano l’intensità del commercio di prodotti deperibili quali vino, olio e cereali. Questo ruolo privilegiato negli scambi commerciali del Mediterraneo orientale fa di Ugarit uno dei centri più ricchi della regione e l’opulenza della città è ampiamente testimoniata dai numerosi oggetti di lusso di squisita manifattura ritrovati sia nel palazzo reale che nei templi principali.
L’importanza del commercio per l’economia dei palazzi fa sì che sia i grandi che i piccoli re fossero interessati a garantire le migliori condizioni possibili per il prosperare di questa attività. Un tema particolarmente frequente nella corrispondenza tra grandi re sia in età amarniana che durante il XIII secolo a.C. è dunque quello della sicurezza dei mercanti, le cui carovane sono spesso oggetto di aggressioni e rapine.
Proprio nel tentativo di regolare questo tipo di problemi, intorno alla metà del XIII secolo a.C. il re di Karkemish Ini-Teshshup emana una serie di editti con i quali vengono definite le procedure giudiziarie da adottare nei casi di omicidio di mercanti di Karkemish nel territorio di Ugarit e viceversa.
Il commercio è anche utilizzato come strumento di ritorsione in caso di conflitti tra due potenze, come accade all’epoca di maggiore ostilità tra Khatti e Assiria. Nel trattato di sottomissione emanato dal re ittita Tutkhaliya IV per il re di Amurru viene esplicitamente proibito al vassallo di inviare i propri mercanti in Assiria e di accogliere mercanti assiri nel proprio territorio, impedendo così loro l’accesso al mare. Tuttavia, gli interessi economici prevalgono ben presto sui contrasti politici, come dimostra la menzione di mercanti ittiti diretti in territorio assiro attestata in documenti di poco successivi all’epoca del trattato.
Va infine ricordato un tipo particolare di merce molto richiesta nelle corti vicino-orientali del Tardo Bronzo, cioè gli specialisti: artigiani esperti di tecniche per cui il paese di provenienza era particolarmente famoso, nonché medici, esorcisti e musici venivano “prestati” da un re all’altro secondo l’ideologia dello scambio reciproco di favori, mentre personale di palazzo e servitori di origini “esotiche” venivano inviati in dono oppure comprati.
Si introduce così il terzo tipo di scambi tra corti, quello matrimoniale. La pratica del matrimonio interdinastico è attestata nel Vicino Oriente preclassico sin dal III millennio a.C. e non fa che intensificarsi durante il Tardo Bronzo. I matrimoni interdinastici sono spesso celebrati per sancire un’alleanza tra “grandi regni”: è il caso delle principesse mittaniche mandate in sposa a Thutmosi IV e Amenhotep III, così come dell’unione tra la figlia di Khattushili III e Ramesse II, che corona l’accordo di pace stipulato tra i due sovrani. Anche Babilonia attua un’intensa politica matrimoniale ed invia le proprie principesse sia presso la corte del faraone che presso quella del sovrano ittita Shuppiluliuma I, la cui sposa babilonese rivestirà anche un importante ruolo politico alla corte di Khatti. Il rango che verrà riconosciuto a queste spose straniere presso la corte del futuro marito è spesso oggetto di disaccordo: dal punto di vista asiatico l’unione tra la figlia di un grande re e un altro grande re è considerata un matrimonio paritetico, dunque la principessa dovrà diventare regina; dal punto di vista del faraone, invece, l’arrivo di queste principesse presso il proprio harem non è altro che un’ulteriore dimostrazione del proprio potere e prestigio, indipendentemente dal fatto che esse siano figlie di un grande o di un piccolo re, e non è concepito che sostituiscano la sposa egiziana nel ruolo di prima moglie e madre dell’erede al trono. Inoltre, con grande disappunto dei sovrani asiatici, il faraone non concepisce di concedere le proprie figlie in sposa a re stranieri, mettendo così in discussione il principio della reciprocità su cui si fondano i rapporti tra grandi re.
Le trattative matrimoniali tra grandi re che precedono la conclusione dell’accordo sono estremamente lunghe e complesse, come testimoniano sia il dossier amarniano che quello più tardo tra Khattushili III e Ramesse II. La fase più delicata è quella relativa alla definizione dell’aspetto economico dell’accordo, ovvero dell’entità di dote e contro-dote: si tratta sostanzialmente di negoziazioni commerciali, in cui entrambe le parti in causa (padre della sposa e futuro marito) cercano di ottenere il massimo profitto con la minima spesa. È interessante notare come anche le regine madri venissero coinvolte in queste trattative, in particolare è ben documentato il ruolo centrale svolto dalla regina ittita Pudukhepa in vista del matrimonio tra sua figlia e il faraone Ramesse II.
I matrimoni interdinastici non vengono celebrati solo tra grandi re, ma anche tra sovrani e vassalli. Anche in questo caso l’approccio egiziano è ben diverso da quello asiatico, in particolare ittita. Il faraone si limita ad “acquisire” nuove mogli, ordinando ai propri vassalli di inviargli le loro figlie allo stesso modo in cui poteva ordinare che gli fosse mandato un dono o versato il tributo.
Presso gli Ittiti, invece, si tratta di vere e proprie alleanze matrimoniali, concepite come uno strumento politico utilizzato per rafforzare i legami di fedeltà tra sovrano e vassallo, dal momento che le principesse ittite sposate ai re sottomessi diventeranno regine ed i loro figli erediteranno il trono. A dimostrazione del valore strategico attribuito dagli Ittiti a questi matrimoni, si noti che vengono celebrati soprattutto in situazioni politicamente delicate e potenzialmente pericolose per l’autorità ittita: per esempio, il principe mittanico Shattiwaza viene affiancato da una figlia di Shuppiluliuma I nel momento cruciale in cui Mittani passa dallo status di regno indipendente a quello di vassallo ittita; quando Khattushili III restaura il traditore Benteshina sul trono di Amurru, viene celebrato addirittura un doppio matrimonio tra la famiglia reale ittita e quella del regno vassallo, tra Benteshina e una figlia di Khattushili III da un lato e tra una figlia di Benteshina ed un principe ittita dall’altro. Questa politica matrimoniale rispecchia d’altronde la tendenza ittita a insediare membri della famiglia reale nelle posizioni chiave di controllo e gestione dei territori dell’impero.
Naturalmente anche le famiglie reali dei regni minori si legano tra loro tramite alleanze matrimoniali. Un caso ben documentato è quello dei matrimoni interdinastici tra Amurru e Ugarit, che però non ebbero sempre buon esito. È noto infatti un episodio che ha quasi le proporzioni di una piccola crisi diplomatica internazionale, dal momento che la protagonista è contemporaneamente figlia del re di Amurru, moglie del re di Ugarit e nipote del re di Khatti. Secondo le fonti, la principessa amorrea è colpevole di aver commesso un non meglio precisato “grande peccato” nei confronti del marito, che la ripudia e rimanda in Amurru. In seguito, però, il re di Ugarit ne chiede l’estradizione, aprendo così una controversia legale e diplomatica tra i due regni vassalli, che richiede addirittura l’intervento del re di Karkemish e del sovrano ittita. Dopo lunghe negoziazioni, la principessa verrà infine sacrificata alla ragion di stato e rimessa alla volontà dell’ex-marito, che invierà navi e truppe per giustiziarla.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia