L'Eta dei Lumi: la fine della conoscenza naturale 1700-1770. Physique amusante
Physique amusante
di Jessica Riskin
Intorno al 1700, la conoscenza della Natura iniziò a divenire una questione di pubblico interesse. Nel corso della seconda metà del XVII sec., la fondazione delle accademie scientifiche aveva conferito una dimensione istituzionale al fenomeno, ormai non privo di una certa rilevanza commerciale a causa dei crescenti costi della sperimentazione che necessitava di nuovi e dispendiosi strumenti, come, per esempio, la pompa ad aria e i generatori elettrici. In alcuni casi, tali costi erano pagati dal pubblico che assisteva alle dimostrazioni e dagli acquirenti delle versioni volgarizzate degli strumenti. Gli sperimentatori, infatti, avevano iniziato ad attrarre un pubblico di spettatori paganti e a delineare il profilo di una scienza della Natura per il popolo. Tra i primi ideatori dei corsi di fisica sperimentale aperti al pubblico figuravano alcuni divulgatori delle teorie di Newton: Francis Hauksbee (1666 ca.-1713), John Keill (1671-1721) e Jean-Théophile Desaguliers (1683-1744). Tuttavia, i corsi tenuti da questi ultimi furono preceduti da quelli organizzati dai loro colleghi non newtoniani del Continente, Jacques Rohault (1620-1672), Pierre-Sylvain Régis (1632-1707) e Pierre Polinière (1671-1734), che, a partire dalla fine del XVII sec., avevano illustrato al pubblico parigino i principî della fisica cartesiana. I conferenzieri pubblici provenivano da ambienti diversi: alcuni, come, per esempio, Hauksbee, Keill e Desaguliers, erano fabbricanti di strumenti e dimostratori affiliati a società erudite; altri, come Willem Jacob 'sGravesande (1688-1742), erano professori universitari; altri ancora erano liberi professionisti, come, per esempio, l'abate Jean-Antoine Nollet (1700-1770), che in seguito si dedicò all'insegnamento nei collegi e nelle scuole tecniche. Benché fossero di differente nazionalità (inglesi, francesi e olandesi), di differente formazione (newtoniani e cartesiani) e status (accademici e indipendenti), i primi divulgatori dei principî della filosofia della Natura formavano un gruppo ristretto ma coeso.
Nell'ideare i loro corsi, il newtoniano 'sGravesande e il divulgatore itinerante delle teorie cartesiane Nollet presero entrambi a modello quelli tenuti da Desaguliers, che negli anni Trenta si vantava di aver formato ben otto dei dodici pubblici conferenzieri allora attivi nel mondo. Così, un piccolo numero di individui di diverse nazionalità, oltre che tra loro dissimili per formazione filosofica e posizione sociale, si trovarono a operare insieme per definire un corpus comune di concetti e di dimostrazioni, un programma pubblico di studi della Natura, adottando collettivamente un principio più pedagogico che filosofico: quello secondo cui per rendere accessibile al grande pubblico la conoscenza della Natura bisognava far leva sull'esperienza sensibile.
Basandosi su questo assioma, si procedette all'esclusione di una grande quantità di materiale, definendo così in negativo il profilo di questo programma di studi. Nollet, nel Programme, ou, Idée générale d'un cours de physique expérimentale, del 1738, dichiarò che, per rendere i suoi corsi accessibili a "individui di ogni età, sesso e posizione sociale", aveva evitato di cadere sia nel "puro e semplice spettacolo d'intrattenimento" sia in uno "studio troppo serio" (pp. xi-xii). Rivolgendosi a un pubblico molto vasto, la filosofia amusante dovette definire scrupolosamente i limiti intellettuali dei suoi contenuti: la matematica fu eliminata, e con essa tutto ciò che era considerato 'astratto', come sosteneva Isaac Greenwood (1702-1745) nel suo An experimental course of mechanical philosophy del 1726. I fondatori della scienza popolare ritenevano che il grande pubblico avrebbe compreso più facilmente ciò che era percettibile e tangibile e che ne sarebbe stato divertito: il compito principale di un fisico amusant era quindi quello di tradurre le astrazioni filosofiche in esperienze sensibili.
Nell'opera Physices elementa mathematica, experimentis confirmata (1720-1721) 'sGravesande promise di "esporre le conclusioni rigorosamente matematiche" della filosofia newtoniana, rendendole "visibili al pubblico" attraverso il metodo degli esperimenti (I, pp. xvii-xviii) e Desaguliers, a sua volta, in A course of experimental philosophy (1734-1744), affermò che la filosofia newtoniana, benché fondata sulla matematica, poteva essere appresa senza ricorrere al calcolo, citando, a questo proposito, un illustre precedente: "Il grande Locke divenne un filosofo newtoniano senza l'aiuto della geometria; egli, infatti, chiese a Huygens se tutte le proposizioni matematiche dei Principia di Sir Isaac erano vere ed essendogli stato risposto che poteva far affidamento sulla loro certezza, le diede per scontate [...] divenendo così il maestro della fisica" (I, prefazione).
Una volta privato della geometria, il newtonianismo divenne quindi accessibile a "tutte le classi e a tutte le professioni, e persino alle signore [...] attraverso il divertimento" (ibidem). L'elenco dei sottoscrittori di Desaguliers, in cui figuravano contesse e visconti, un muratore, un fabbricante di vetro colorato, un libraio e un commerciante, oltre che "le loro maestà, il re e la regina", conferma questa tesi. La nuova accessibilità si fondava sulle 'macchine' ideate per esemplificare le scoperte compiute da Newton con l'indagine matematica; non si deve tuttavia supporre che questi ricercatori pensassero di poter sostituire la geometria con gli strumenti dimostrativi. Desaguliers riconosceva che certi esperimenti non erano validi dal punto di vista matematico e che 'non dimostravano', ma si limitavano a illustrare un enunciato. Un esempio di questo genere d'illustrazioni era quello riguardante la differenza tra il moto e la velocità offerto da Desaguliers: una molla avrebbe impresso a un peso x la stessa quantità di moto, ma una velocità doppia rispetto a un peso 2x. "N.B. ‒ aggiungeva Desaguliers ‒ Si ricorre a questo esperimento per illustrare più che per dimostrare un tale fenomeno" (ibidem, p. 144).
I conferenzieri popolari indussero così il loro pubblico ad adottare nei confronti della conoscenza della Natura un nuovo atteggiamento, fondato su una forma dimostrativa che consentiva agli allievi di comprendere la tesi enunciata, senza spiegare le ragioni su cui si basava il suo contenuto di verità. Gli esperimenti illustrativi prolungarono l'iter espositivo abitualmente adottato dai filosofi della Natura del XVIII secolo. Questi ultimi sottolineavano l'importanza delle basi empiriche della conoscenza, sostenendo che la teoria dovesse essere basata sull'esperienza. I conferenzieri popolari, invece, ritennero di dover ritradurre le teorie così ottenute in esperimenti, ritornando all'empirismo e individuando nell'esperienza sensibile il punto d'arrivo e di partenza della conoscenza popolare della Natura. I fisici amusants indussero così i loro allievi a divenire degli esemplari fenomenologi; promettendo di non andare mai "al di là della fisica percettibile", Nollet nelle Leçons de physique expérimentale (1754) dichiarò di volersi dedicare "soprattutto all'illustrazione delle relazioni esistenti tra i fenomeni" (I, p. 237).
Le proprietà generali della materia
I primi corsi pubblici di fisica sperimentale furono quindi organizzati sulla base di principî sensisti, in termini di proprietà percettibili della materia, e vennero divisi in due grandi sezioni dedicate, rispettivamente, all'illustrazione delle proprietà generali e a quella delle proprietà particolari della materia. La prima includeva nozioni usate sia nella fisica cartesiana sia in quella newtoniana, tra cui, per esempio, le nozioni di estensione, resistenza, divisibilità, attrazione e repulsione. Si trattava proprio di quelle nozioni astratte che, secondo i conferenzieri, sarebbero apparse incomprensibili al grande pubblico in mancanza di un'esauriente illustrazione. Nel suo primo esperimento, in cui si proponeva di trattare la divisibilità della materia, Nollet ricorse a un procedimento chimico che consentiva di scomporre in due parti una moneta: calcinò una certa quantità di zolfo posta intorno a una moneta, estraendo una delle sue leghe sotto la forma di solfuro. La moneta si trovò così a essere divisa in due parti disuguali, una delle quali sembrava non essersi affatto ridotta: la parte più piccola, la cui presenza non era percettibile quando era ancora incorporata in quella più grande, rappresentava concretamente le parti minuscole della materia, rendendo tangibile e quindi dilettevole il principio di divisibilità. La forza d'attrazione fu illustrata durante la prima lezione del corso di 'sGravesande, mediante la fusione di due gocce di un liquido, e da Desaguliers il quale, dopo aver provocato l'ascensione di un liquido rosso in una serie di tubi di sezioni crescenti, dimostrò che il liquido saliva più in alto nel tubo più piccolo, in cui era a più stretto contatto con il vetro. Egli, inoltre, dimostrò che, se sottoposto a un'azione di sfregamento, un tubo di vetro poteva attrarre sulla sua superficie una piuma; nella conferenza successiva, il tubo di vetro respinse la piuma, consentendo così a Desaguliers d'illustrare la forza repulsiva della materia. Infine, egli ricorse all'attrazione e alla repulsione magnetica allo scopo di descrivere l'attrazione e la repulsione in generale. Desaguliers affermò che le cause del moto erano diverse in ciascuno dei tre casi, ma evitò di affrontare la questione della causalità e, a dire il vero, non tentò in alcun modo di spiegare questi fenomeni: i suoi allievi dovevano limitarsi a osservarli e a prendere atto dell'effettiva esistenza delle forze di attrazione e repulsione.
Gettiamo ora uno sguardo sull'atteggiamento degli allievi di Desaguliers verso l'uso dell'illustrazione in sostituzione delle prove. Nella sua quinta conferenza, Desaguliers impiegò una macchina ideata per dimostrare la composizione delle velocità; si trattava di un dispositivo che, combinando il moto orizzontale e verticale di due regoli, consentiva a una matita applicata al congegno di tracciare una linea diagonale. Alcuni allievi osservarono che, per quanto riuscisse a far muovere in diagonale la matita, questo congegno non dimostrava che la Natura agisse nello stesso modo. Questa riserva, che riecheggia la contemporanea controversia dei filosofi naturali sulle cause che inducono un corpo in moto a seguitare a muoversi, mostra che gli allievi di Desaguliers non erano del tutto insensibili alle complessità filosofiche implicite nelle sue illustrazioni. Finché queste complessità rimanevano nell'ombra, Desaguliers e i suoi colleghi potevano concordare sulle illustrazioni anche nei casi in cui vi era una discordanza di opinioni sulle spiegazioni e quindi ideare corsi illustrativi basati su programmi comuni.
Nell'illustrare la conservazione della quantità di moto nelle collisioni elastiche, in cui impiegò una serie di palle d'avorio sospese a caviglie, anche Nollet eluse la questione delle cause che inducono un corpo in moto a seguitare a muoversi. Provocando una collisione tra la prima e la seconda palla, Nollet causò l'oscillazione verso l'alto di quest'ultima che, tornando indietro, entrò in collisione con la prima palla che oscillò a sua volta verso l'alto. Quindi Nollet nelle Leçons consigliò ai suoi allievi di "astenersi" dall'esaminare la Natura del movimento in generale, ma di "seguitare a discutere sul modo in cui la velocità si trasmette da un corpo all'altro" (I, p. 359). Provocando, per esempio, la collisione di palle di dimensioni diverse e in differenti combinazioni, essi avrebbero potuto constatare che nei corpi elastici la trasmissione della velocità lascia invariato il prodotto tra la massa e la velocità. Nollet riteneva che questa fosse una caratteristica osservabile della proprietà dell'elasticità, così come quella che consentiva la trasmissione dell'impulso dalla prima all'ultima palla d'avorio del sistema.
Le definizioni filosofiche e, in particolare, quelle relative alle proprietà generali della materia dovevano essere rese visibili. Desaguliers illustrò la differenza tra il moto e la velocità mediante una molla che lanciava due pesi, le cui dimensioni erano una il doppio dell'altra: il peso più piccolo percorreva una distanza doppia rispetto a quello più grande, benché l'identico grado di compressione della molla indicasse la stessa quantità di moto. Tentando, infine, di rendere manifesta la matematica, Desaguliers illustrò la legge dell'inverso del quadrato ‒ secondo cui le 'qualità' fisiche variano in misura inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla loro fonte ‒ mediante un esperimento. Tenendo sospeso di fronte a un foro praticato in un foglio di cartone, dietro al quale ardeva la fiamma di una candela, un cubo di un pollice (2,54 cm) e ponendolo a un piede (30,48 cm) di distanza dalla candela, dimostrò che l'ombra di quest'ultimo copriva la faccia di un cubo di due pollici posto a due piedi di distanza dalla candela. L'area della faccia del secondo cubo equivaleva al quadruplo di quella del primo, come si poteva constatare sovrapponendo il primo cubo al secondo.
Traducendo una legge matematica in una proprietà percettibile, Desaguliers sostituì la dimostrazione geometrica con la spiegazione empirica, giungendo a dimostrare, empiricamente appunto, il rapporto esistente tra le superfici dei due cubi. Possiamo immaginare il disappunto degli allievi del corso che s'interrogavano sulle cause della legge dell'inverso del quadrato; l'unica spiegazione di cui disponevano, quella secondo cui la candela proiettava l'ombra del cubo di un pollice sull'intera faccia del cubo di due pollici, esemplifica il programma pedagogico di Desaguliers che si basava sul continuo ritorno al particolare tangibile.
Le proprietà particolari della materia
Allo stesso modo della legge dell'inverso del quadrato e del principio di conservazione della quantità di moto, bisognava rendere accessibile all'esperienza sensibile anche la geometria dell'ottica. Desaguliers dedicò un buon terzo del programma del suo primo corso di lezioni pubbliche all'ottica amusante e soprattutto alla geometria dei raggi luminosi. L'attrazione più ricercata dell'ottica amusante era la "lanterna magica", oggi nota col nome di 'diascopio': si trattava di una scatola contenente una lampada a olio, la cui luce veniva concentrata, grazie a una combinazione di lenti e specchi, su una serie di lastre di vetro dipinte disposte su un lato della scatola e proiettata su uno schermo esterno da una serie di lenti inserite nel lato opposto. Fu 'sGravesande a scoprire la lanterna magica, in origine ideata come strumento di magia naturale, nel corso della sua ricerca di macchine interessanti costituite dalla combinazione di specchi e lenti, in grado di mostrare immagini gradevoli e utili che avrebbero illustrato le leggi dell'ottica geometrica; nel secondo decennio del XVIII sec., la introdusse nel programma della fisica amusante.
Nollet impiegò un'altra di queste macchine nel suo corso: lo strumento rendeva visibile oltre un ostacolo l'immagine di un oggetto, riflettendola lungo un condotto dal percorso tortuoso. In altre parole, si trattava di un periscopio, a quel tempo noto con il nome di 'polemoscopio'. Così, oltre a decorare i loro salotti con microscopi e telescopi, i parigini iniziarono a inserire i polemoscopi nelle finestre delle loro case per non farsi sorprendere da visitatori inattesi e a uscire a passeggio con polemoscopi portatili per osservare, senza averne l'aria, quelli che si trovavano alle loro spalle.
L'ottica rientrava nella seconda parte del programma di studi dedicata alle proprietà particolari della materia; le altre componenti di questa parte del corso erano la pneumatica e l'idrostatica. Il più richiesto, e replicato, 'numero' idrostatico era la "tazza di Tantalo", un congegno dotato di un sifone che serviva a illustrare le relazioni esistenti tra l'acqua e la pressione dell'aria. La figura cava di Tantalo nascondeva un sifone inserito nel fondo della tazza; il gomito del sifone si trovava sotto il mento di Tantalo. Se l'acqua versata nella tazza superava il gomito del sifone, quest'ultimo svuotava la tazza fino al fondo. Riempita fino al torace di Tantalo, la tazza tratteneva l'acqua per un tempo illimitato; se però si tentava di riempire la tazza fino a consentire a Tantalo di dissetarsi, essa si svuotava completamente. La pneumatica prometteva numeri molto più divertenti di quelli dell'idrostatica, grazie soprattutto alla pompa ad aria, uno strumento affascinante, che agiva su una proprietà ben percettibile ‒ l'elasticità dell'aria ‒, e dotato di una serie di accessori atti a illustrare in molti modi questa proprietà. Gli esperimenti con la pompa ad aria occupavano una posizione di rilievo nel programma dedicato alle proprietà particolari della materia dei primi corsi popolari; uno degli esperimenti più praticati era quello che consentiva attraverso l'aspirazione dell'aria di restituire la primitiva freschezza a una mela vecchia. Nel suo corso, Desaguliers condusse cinquanta esperimenti con la pompa ad aria, in molti casi riprendendo con alcune modifiche quelli di Robert Boyle e presentandoli quasi sempre come semplici 'illustrazioni' dell'elasticità e della pressione dell'aria. Egli fece esplodere una bottiglia vuota posta sotto una campana di vetro e aspirò l'aria contenuta in un boccale di birra, invitando i suoi allievi a verificare, assaggiandola, che aveva perso del tutto il gas disciolto nel liquido. Creò molte graziose fontane collegando un recipiente svuotato dell'aria a un contenitore d'acqua o di mercurio attraverso un tubo; molestò alcuni pesci, facendoli sollevare e abbassare in una bacinella d'acqua alterando la pressione dell'aria sovrastante; quindi condusse lo stesso esperimento con alcune figure concave di vetro. Soffocò topi e uccelli; posò la metà inferiore di un guscio d'uovo sotto un recipiente e gli restituì l'aspetto di un uovo intero provocando l'espansione dell'aria contenuta nella bolla che si trova tra la membrana testacea e il guscio. Alcuni degli esperimenti condotti da Desaguliers con la pompa ad aria non si limitavano a svolgere una funzione illustrativa; ci riferiamo a quegli esperimenti che non mostravano soltanto gli effetti dell'elasticità dell'aria, ma fornivano anche alcune indicazioni sulle sue cause e sulle sue funzioni, la ponevano in relazione con altre proprietà o ne verificavano i limiti in situazioni diverse. Dopo aver dimostrato, per esempio, che una siringa non poteva funzionare in un recipiente privo d'aria, Desaguliers sostenne che tutti i fenomeni di aspirazione e pompaggio non derivano dall''orrore del vuoto' della Natura, ma dalla pressione dell'aria. Tuttavia, gli allievi del corso di Desaguliers studiarono la pressione dell'aria limitandosi quasi sempre a osservarne gli effetti. La macchina che aveva reso visibile un principio teorico da sempre considerato astratto ‒ la pompa ad aria ‒ divenne una fonte di divertimento.
Svago e ricerca: gli automi e l'elettricità
Nel corso degli anni Trenta, anche alcuni particolari tipi di macchine ‒ gli automi ‒ iniziarono a essere considerati illustrazioni di un certo genere di conoscenza, come una teoria resa manifesta. Come la lanterna magica, gli automi erano stati ideati in un campo estraneo alla filosofia della Natura, ossia quello dell'intrattenimento e dei giochi di prestigio. Nella prima metà del XVIII sec., tuttavia, il loro status si modificò grazie al loro valore di congegni amusants, o, piuttosto, grazie alla nuova importanza che la pedagogia sensista iniziò ad attribuire all'amusement. Nel 1733, un meccanico francese, Maillard ‒ il cui nome e le cui date di nascita e morte sono ignoti ‒ presentò alcuni automi all'Académie Royale des Sciences: un cigno che, mosso da un congegno a orologeria e da un sistema di ingranaggi, nuotava ruotando lentamente il capo e due cavalli, uno dei quali trainava una carrozza e l'altro una gondola, mossi rispettivamente da un sistema di pesi e da una manovella, a cui l'Académie concesse la sua approvazione ufficiale. Tuttavia l'evento che segnò una svolta decisiva nell'ammissione degli automi nel campo della filosofia fu l'esposizione inaugurata a Parigi nell'inverno del 1738, nel corso della quale un meccanico, Jacques de Vaucanson (1709-1782), presentò tre automi: un suonatore di flauto, un suonatore di piffero e tamburello e un'anatra. Per più di un anno Vaucanson intrattenne una folla entusiasta a Parigi, prima d'intraprendere con le sue creazioni un viaggio attraverso la Francia e l'Europa.
Le innovazioni introdotte da Vaucanson nella progettazione di queste macchine erano più filosofiche e pedagogiche che tecniche. Per organizzare il loro movimento, impiegò sistemi di pesi e alberi a camme; si trattava, in entrambi i casi, di tecniche già conosciute. Tuttavia, invece di mascherare, come gli altri costruttori di automi, i meccanismi interni con rivestimenti decorativi, Vaucanson volle riprodurre il reale funzionamento dei suoi soggetti: il suonatore di flauto, per esempio, non nascondeva un carillon, ma suonava un vero flauto ed era stato costruito prendendo a modello e osservando attentamente un suonatore di flauto in carne e ossa. Tra i molti numeri dell'anatra si può segnalare in particolare la capacità di mangiare, digerire ed espellere il cibo, riproducendo perfettamente il funzionamento degli organi interni presi a modello. Dal momento che le sue macchine riproducevano sia i processi naturali sia i loro effetti, Vaucanson le pubblicizzò come teorie rese manifeste dai loro modelli, affermando che gli spettatori avrebbero potuto apprendere queste teorie limitandosi a osservare le sue macchine. Il suonatore di flauto costituiva una teoria acustica in versione amusante e l'anatra era uno studio anatomico; in entrambi i casi le teorie erano perfettamente visibili: le penne di rame dell'anatra presentavano alcuni fori che consentivano di scrutare al suo interno.
Lo sviluppo dei congegni automatici rientra in un'area d'indagine che ricevette un forte impulso dal nuovo interesse per il divertimento come metodo didattico: un altro esempio è l'elettricità. Benché, come si è già detto, l'elettricità venisse presa in esame nella prima parte del corso di Desaguliers per spiegare l'attrazione e la repulsione, essa era scarsamente rappresentata nella seconda parte del suo corso, e non appariva affatto in quello di 'sGravesande. Verso la metà del secolo il programma di studi della fisica amusante, precedentemente basato sulle proprietà generali della materia, iniziò a incentrarsi sulle sue proprietà particolari e, in questa trasformazione, i dispositivi elettrici finirono per uguagliare e in alcuni casi persino superare l'importanza della pompa ad aria. Indubbiamente, il nuovo interesse per le dimostrazioni e la possibilità di idearne di graziose con l'elettricità contribuirono a concentrare l'attenzione dei filosofi e dei pedagoghi sui fenomeni elettrici. Verso la metà del secolo, il metodo illustrativo dell'insegnamento della scienza naturale iniziò a influenzare anche la ricerca, richiamando l'attenzione dei fisici sulle più facilmente dimostrabili proprietà particolari della materia. Nel corso degli anni Quaranta, le scoperte elettriche, molte delle quali compiute da divulgatori, diedero un forte impulso a questa scienza e fecero delle dimostrazioni elettriche la parte più attraente dei programmi dei conferenzieri. Stephen Gray (1666-1736) fu un pioniere nell'uso della bacchetta di vetro che, sottoposta a un'azione di sfregamento, produceva elettricità; Gray fece volteggiare alcuni fogli di ottone con la sua bacchetta, elettrificò penne e sughero e inventò il condensatore umano, elettrificando il corpo di un ragazzo appeso al soffitto con corde di seta.
Nello stesso periodo, un professore di storia naturale dell'Università di Wittenberg, Georg Matthias Bose (1710-1761), inventò un generatore più potente, costituito da un globo di vetro che veniva fatto girare su una ruota. La carica si trasmetteva a un primo conduttore, costituito da una bacchetta di ferro o da una canna di fucile, tenuta sospesa sopra la macchina da corde di seta. Con l'aiuto di questa macchina, Bose ideò molte esperienze divertenti; collegò il primo conduttore al suo posto a sedere a tavola con un filo metallico e, durante una cena, afferrò il filo metallico con una mano e posò l'altra sul tavolo, provocando l'emissione di scintille dalle forchette dei suoi ospiti. In un'altra occasione, dopo aver chiesto a un uomo di tenere una moneta tra i denti, Bose lo costrinse a lasciarla cadere, scaricando su di essa il primo conduttore. In seguito, Benjamin Franklin (1706-1790) ideò e interpretò una versione per signore di questo gioco, il 'bacio elettrificato'. La bottiglia di Leida, inventata nel 1746, consentì di escogitare i più ingegnosi divertimenti; si trattava di un congegno costituito da un contenitore d'acqua legato alla terra e caricato da un filo metallico che lo collegava al primo conduttore. Se il circuito di collegamento fra l'interno e l'esterno veniva chiuso, per esempio, da qualcuno che prendeva in mano la bottiglia toccando al tempo stesso il filo metallico, il dispositivo produceva una scossa violenta. Il dimostratore londinese William Watson (1715-1787) scaricò la bottiglia lungo un circuito costituito da un filo metallico che passava per il ponte di Westminster e riattraversava il fiume, trasmettendo la scossa elettrica a schiere di persone disposte lungo entrambe le rive e dando fuoco a un contenitore di alcol. Anche Nollet trasmise la scossa elettrica a un gran numero di persone; secondo i resoconti del 1746 dell'Académie Royale des Sciences, Nollet diede simultaneamente la scossa a 240 persone riunite davanti al re a Versailles e a più di 200 monaci cistercensi nel loro monastero a Parigi.
Si ricorse a ogni sorta d'innovazioni per giungere all'ideazione di nuovi modelli della bottiglia di Leida; in una di queste, il circuito era chiuso da due persone che si scambiavano uova crude. Franklin costruì con lamine di metallo e vetro condensatori che avevano l'aspetto di dipinti incorniciati; uno di questi raffigurava il re cinto da una corona rimovibile. Toccando con una mano la cornice e strappando con l'altra la corona dalla testa del re, si chiudeva il circuito e si era puniti per il tradimento. Franklin, inoltre, fabbricò con un tappo di sughero e fili di lino un ragno che saltava avanti e indietro tra la bottiglia di Leida caricata e un conduttore costituito da un filo metallico. Nollet ideò un altro tipo di gioco: dopo aver formato con piccoli quadrati di peltro immagini e messaggi scritti scaricò su di essi la bottiglia di Leida, creando dipinti e messaggi scritti elettrici che splendevano nell'oscurità. Concepì, senza realizzarla, l'idea di convogliare la carica di un fulmine verso una casa e di impiegarla per scrivere a lettere di fuoco 'morirai' su uno dei suoi muri. La bottiglia di Leida divenne lo scherzo alla moda degli anni Quaranta del Settecento. Come i polemoscopi, questi congegni vennero installati sui portoni d'ingresso delle case, in modo da trasmettere la scossa elettrica ai visitatori che, posando i piedi sullo stuoino e suonando il campanello, completavano il circuito.
Le proprietà dell'elettricità, la sua forza attrattiva e repulsiva, la sua trasmissibilità, le sue manifestazioni che variavano a seconda delle sostanze in cui operava, la sua natura ignea, divennero familiari al grande pubblico. Il corso di Nollet e gli altri corsi popolari avevano insegnato che una vasta e ricca osservazione dei fenomeni elettrici s'identificava con la loro conoscenza. Il pubblico aveva assistito agli spettacolari effetti creati dall'elettricità e si era abituato a spiegarli con le proprietà riconosciute all'elettricità, proprietà osservate e quindi comprensibili: l'osservazione degli effetti veniva così a coincidere con la loro spiegazione.
Alla fine del secolo, l'abitudine d'identificare le esperienze straordinarie con la conoscenza della Natura avrebbe finito paradossalmente con l'esasperare i dimostratori della fisica amusante. Uno di essi scrisse: "Ci sono persone a cui i più straordinari effetti sembrano indegni di attenzione, soprattutto quando possono, con una sola parola, assegnar loro una causa, vera o falsa; ho visto, per esempio, un uomo rifiutarsi di assistere al gioco della scatola dei numeri, sostenendo che "è un gioco che tutti conoscono". "Come ‒ gli domandai ‒ lei sa in che modo si può riuscire a conoscere anticipatamente l'ordine di successione di numeri estratti a caso?". "Sì, naturalmente ‒ replicò ‒ con l'elettricità"" (Decremps, Codicile de Jérôme Sharp, 1791, p. 5). La fisica amusante aveva creato una diffusa propensione ad attribuire gli effetti straordinari a proprietà naturali della materia non ancora spiegate. Un conferenziere di argomenti fisici espresse, in un testo redatto nel 1799, la propria delusione per l'atteggiamento dei suoi allievi che desideravano soltanto osservare e non apprendere qualche nozione di fisica; nel corso del secolo, infatti, era stata loro insegnata l'identità di osservazione e apprendimento.
di Alice Walters
Nell'Europa del XVIII sec., la filosofia della Natura non solo divenne una disciplina socialmente accettata, ma s'impose come una vera e propria moda grazie ai tentativi d'individuare i punti di contatto esistenti tra la ricerca scientifica e quella dell'eleganza, intrapresi dagli scrittori, dai fabbricanti di strumenti, dai conferenzieri e da altre figure di divulgatori, e soprattutto grazie alla pratica di un'arte estremamente raffinata: quella della conversazione. Nel Settecento, infatti, la politesse s'impose come modello di comportamento sociale sia nella sfera pubblica sia in quella privata delle società europee. Benché, applicato alla scienza, il significato di questa nozione tenda a trasformarsi a seconda delle diverse aree culturali, nelle nazioni europee del XVIII sec. si possono rilevare alcune costanti. In primo luogo, nella sua versione 'da salotto', la letteratura scientifica tentò di associare la ricerca nel campo della filosofia della Natura ai valori, alle attività e alle aspirazioni culturali e sociali del suo pubblico. Dal momento che la conversazione era considerata la principale attività delle persone di mondo, le opere riconducibili a questo genere si proposero soprattutto di perfezionarla, finendo nella maggior parte dei casi con l'adottare la forma letteraria del dialogo. Per conformarsi alle convenzioni che regolavano la conversazione elegante, questo genere di letteratura scientifica evitò la matematica e il suo linguaggio eccessivamente tecnico; illustrò le problematiche scientifiche con brani di poesia classica e contemporanea, collegandole a temi sociali e morali appropriati. In secondo luogo, ricorrendo quasi sempre alla forma della conversazione, la scienza da salotto doveva necessariamente essere rivolta a un pubblico formato da entrambi i sessi, dal momento che la conversazione elegante era un campo dominato dalle donne. In tal modo, queste ultime furono apertamente incoraggiate a svolgere un ruolo attivo nella ricerca scientifica, mentre si tentò di rendere la scienza attraente e accessibile alle donne, un tentativo che s'inseriva in una dichiarata strategia volta a introdurre e legittimare il discorso scientifico nella società elegante. Nel secolo che vide nascere la cultura di consumo, infine, la scienza che ricorreva a uno stile espositivo di tipo 'mondano' mise in luce la funzione dei libri, degli strumenti e persino degli utensili domestici, come mezzi diretti ad agevolare l'esplorazione della Natura e a facilitare l'interazione sociale. Ciò contribuì a mettere in rilievo i rapporti esistenti tra l'acquisizione di una conoscenza scientifica socialmente utile e quella dei beni materiali che illustravano e simboleggiavano tale genere di conoscenza.
Nella sfera pubblica, la scienza da salotto si manifestò nelle lezioni dimostrative tenute da conferenzieri come Jean-Théophile Desaguliers e l'abate Jean-Antoine Nollet; in quella privata, domestica, invece, essa integrò e approfondì le esperienze che questi conferenzieri presentavano al loro pubblico. Ritroviamo l'espressione letteraria della scienza domestica da salotto nelle numerose opere dialogiche pubblicate in Europa nel corso del Settecento, che si proponevano d'introdurre l'élite ‒ e coloro che aspiravano a farne parte ‒ alla conoscenza della filosofia della Natura. Il modello di queste opere va indubbiamente ricercato negli Entretiens sur la pluralité des mondes (1686) di Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757). In questo libro, che conobbe un grande successo, Fontenelle svela il contenuto delle lezioni impartite alla Marchesa di G *** ‒ un'avvenente e colta dama dell'aristocrazia francese ‒ da un personaggio della corte che si era recato a farle visita da Parigi; nel corso di cinque serate, passeggiando con la marchesa nel parco della sua residenza di campagna, l'anonimo visitatore introduce la sua ospite alla conoscenza della filosofia cartesiana ‒ all'epoca molto diffusa in Francia ‒ in conversazioni scandite da schermaglie amorose e digressioni letterarie.
Gli Entretiens di Fontenelle illustrano il fascino che poteva esercitare un'esposizione pittoresca e romantica, in lingua volgare, dei temi della filosofia della Natura; le sue numerose riedizioni in francese nel corso del XVIII sec., così come le sue traduzioni in inglese, italiano, tedesco, russo e greco, testimoniano la fortuna di questo tipo di approccio. Inoltre, quest'opera fu frequentemente imitata; nell'elenco dei dialoghi scientifici proposti all'attenzione del pubblico nel XVIII sec. figurano gli Astronomical dialogues (1719) di John Harris, i molti volumi dell'opera di Noël-Antoine Pluche, Le spectacle de la nature (1732-1750), Il newtonianismo per le dame (1737) di Francesco Algarotti, The young gentleman and lady's philosophy (1755-1756) di Benjamin Martin e The young gentleman and lady's astronomy (1768) di James Ferguson. Tra le opere che presentavano la filosofia della Natura in una veste garbata, ma senza ricorrere alla forma del dialogo immaginario, ricordiamo gli élémens de la philosophie de Neuton (1738) di Voltaire, le Lettres à une princesse d'Allemagne (1768-1772) di Leonhard Euler e la Introduction to astronomy (1786) di John Bonnycastle.
La letteratura scientifica da salotto, così come è rappresentata in queste opere, esprimeva la convinzione che per partecipare alle conversazioni eleganti fossero necessarie alcune cognizioni di filosofia della Natura.
In questo tipo di conversazioni, infatti, erano affrontati temi come il commercio, lo stato dell'Impero e altre questioni di interesse pubblico; quindi per potervi partecipare attivamente era necessario essere al corrente delle difficoltà poste da alcuni problemi ancora da risolvere come, per esempio, quello relativo alla determinazione della longitudine. Si riteneva che una certa familiarità con l'astronomia, la storia naturale e la geografia animasse le conversazioni che vertevano fin troppo spesso su temi storici, letterari e artistici. Inoltre, la società elegante seguiva le mode, come, per esempio, quella degli esperimenti elettrici che si affermò verso la metà del secolo. Così, nelle sue Lettres à une princesse d'Allemagne, Leonhard Euler (1707-1783) apre la sezione dedicata all'elettricità osservando che da qualche tempo quest'ultima è divenuta un tema così importante nella fisica che non è più consentito a nessuno di ignorarne gli effetti; quindi, poiché la principessa ne ha certamente sentito parlare molto spesso, Euler non può tollerare il pensiero di lasciarla nell'ignoranza di una parte così importante della fisica.
Tuttavia le convenzioni sociali dell'epoca richiedevano solo alcune cognizioni di filosofia della Natura e non una conoscenza approfondita di questa: infatti chi era troppo competente veniva considerato con diffidenza, soprattutto se ostentava il proprio sapere. In effetti nella letteratura dell'epoca coloro che cercavano di inserire in ogni conversazione argomenti di tipo scientifico spesso erano descritti come maleducati; in particolare erano considerati inopportuni i pedanti che non esitavano a usare il linguaggio tecnico della scienza nelle conversazioni eleganti. A questo proposito, ne Il newtonianismo per le dame Algarotti (1712-1764) mostra come si potesse ridurre al silenzio un noioso matematico:
Avendomi un giorno costui assalito con alcuni altri, ch'erano meco in un Giardino, si preparava già, siccome dimostrava la sua aria, di farne l'ultimo strazio colle sue dimostrazioni, e co' suoi corollarj. Io e gli altri che lo conoscevamo perfettamente, a forza di parlar di Poesia, e di citar passi de' Poeti, linguaggio che egli non intendeva, senza lasciargli mai aprir bocca, riuscimmo in una delle più difficili imprese, com'era quella, di non essere infastiditi, e d'infastidire anzi uno de' più fastidiosi del mondo. (p. 140)
La poesia s'inserisce nella letteratura della scienza da salotto non soltanto come un'arma da utilizzare contro il noioso linguaggio filosofico (e contro coloro che lo usavano), ma anche come un abbellimento retorico che rendeva la scienza socialmente attraente e quindi accettabile. La letteratura della scienza da salotto è imbevuta di poesia: come spiega John Harris (1667-1719) nella prefazione agli Astronomical dialogues, "le digressioni, le riflessioni, la poesia e i motti di spirito sono introdotti per rendere più attraenti e gradevoli quelle nozioni che prive di questa veste potrebbero apparire troppo contorte e astratte" (p. V). Così, per esempio, osservando che "l'antico linguaggio della filosofia" si esprimeva in versi, nella sua discussione dei cambiamenti geologici subiti dalla Terra nel corso del tempo, negli Élémens de la philosophie de Newton, Voltaire cita un lungo brano di Ovidio. Nell'opera di Algarotti, l''esplorazione' delle teorie newtoniane della luce e del colore da parte della Marchesa di E*** e del suo precettore iniziano con una digressione nata da una discussione sulla poesia inglese e in seguito l'autore ricorre frequentemente alla poesia per illustrare e sottolineare alcuni brani della conversazione.
La versione da salotto della scienza si avvaleva anche del sostegno di altre arti. Interrompendo la discussione sul suono che apre le sue Lettres, Euler si chiede perché la buona musica suscita in noi il sentimento del piacere e sostiene che, sebbene la comprensione della struttura armonica di un brano di musica bello e ben composto indubbiamente accentui il piacere intellettuale che si prova ascoltandolo, la ragione da sola non è sufficiente a spiegare il piacere che esso suscita nell'ascoltatore.
Se le opere dell'uomo erano frequentemente menzionate per illustrare i meriti culturali della scienza da salotto, il valore religioso di quest'ultima era messo in luce attraverso il riferimento alle opere di Dio. Benché gli autori delle opere riconducibili a questo genere letterario appartenessero a nazionalità diversamente orientate dal punto di vista religioso, come l'Inghilterra, la Francia, l'Italia e la Germania, e che quindi non potevano trovarsi d'accordo sui dettagli dottrinali, tutti sostenevano che la contemplazione delle meraviglie della Creazione divina conduceva a un più profondo apprezzamento del potere e della saggezza di Dio. Ritroviamo questo tipo d'approccio in un passaggio dell'Introduction to astronomy di Bonnycastle (1750-1821), che conclude il suo esame del Sistema solare esaltando la forza ispiratrice della visione delineata nella sua opera:
Che meravigliosa idea del Creatore e della sua opera viene qui presentata all'immaginazione! Il Sole, un superbo corpo di fuoco, è collocato al centro del Sistema e attorno alla sua sfera i pianeti, i satelliti e le comete effettuano le loro rivoluzioni, con un ordine e una regolarità che deve ispirare alle nostre menti le più entusiaste concezioni sul loro divino Creatore. Chi può contemplare le dimensioni e le distanze di questi grandi corpi e la meravigliosa armonia dei loro moti senza rimanere colpito dalla magnificenza di questa scena e dalla grandiosa forza dell'onnipotenza? (p. 43)
Alla religiosità entusiasta ma innocua della letteratura scientifica da salotto corrispondeva un analogo rinsaldarsi delle convenzioni dell'élite sociale; gli autori si sforzavano di operare una distinzione tra rendere la scienza accessibile e renderla 'popolare' (termine, quest'ultimo, inteso in senso peggiorativo), ponendo l'accento sulla superiorità sociale del loro pubblico. Questa strategia li condusse a dedicare le opere ai membri dell'aristocrazia e a dipingere la filosofia della Natura come uno svago che ben si addiceva alla loro nobile indole; gli autori di questo genere di opere si preoccuparono in particolare di fare una distinzione tra il loro pubblico 'illuminato' e i lettori 'volgari'. Così, nel suo esame delle teorie scientifiche contemporanee sulle comete, Benjamin Martin (1704-1782) confermò il valore sociale dell'indagine filosofica che "suscita nelle menti ingegnose e liberali il piacere di ammirare i fenomeni del meraviglioso operare della Natura, che gli animi volgari e superstiziosi interpretano come funesti presagi e prodigi del fato" (The young gentleman, ed. 1781-1782, p. 111). Il messaggio sociale delle Lettres di Euler era, a dire il vero, più sottile; a proposito della certezza delle testimonianze dei sensi, egli domanda alla principessa di immaginare i disordini sociali che avrebbero potuto nascere se questa certezza fosse stata messa in discussione: "Se i contadini osassero dubitare dell'esistenza del loro balivo, o i soldati dell'esistenza dei loro ufficiali, in quale confusione precipiteremmo!" (Lettres, II, p. 178). Queste "assurdità" potevano "dissolvere tutti i legami sociali", ed era quindi necessario riconoscere la verità delle testimonianze dei sensi ‒ e di conseguenza dell'esistenza dei balivi e degli ufficiali ‒ "come una delle principali leggi della Natura" (ibidem, p. 179).
La sola convenzione sociale che la letteratura scientifica di tipo divulgativo sfidò fu quella relativa alla presunta incapacità delle donne di apprendere la filosofia della Natura e di trarre vantaggio da questa conoscenza: in effetti, nel Settecento, alcuni osservatori della società dell'epoca sostenevano che le donne erano costituzionalmente e intellettualmente inadatte per tale apprendimento, mentre altri temevano che la scienza avrebbe potuto allontanare i membri del 'gentil sesso' dai loro obblighi domestici e familiari, trasformando le donne di casa in filosofi. Le opere letterarie della scienza da salotto affrontavano tali questioni a diversi livelli. Naturalmente, esse ritraevano donne che discutevano di filosofia naturale in ambienti eleganti; tutte le opere dialogiche qui citate (con la significativa eccezione dello Spectacle de la nature di Pluche) descrivono donne avvenenti e colte ‒ alcune appena adolescenti ‒ che apprendono un po' di filosofia della Natura conversando in modo informale con amici o familiari in visita di cortesia. Lo stesso titolo dell'opera di Euler esprime la convinzione secondo cui quella filosofia si addiceva perfettamente alle donne, mentre Voltaire dimostrava esplicitamente di approvare il fatto che esse la studiassero dedicando i suoi Élémens de la philosophie de Neuton alla marchesa Gabrielle-Émilie du Châtelet, la "Minerva di Francia, l'immortale Émilie, l'amica di Neuton [sic] e della verità" (ed. 1824), oltre che essa stessa esperta studiosa della filosofia naturale newtoniana.
Nel caso del citato Spectacle de la nature di Noël-Antoine Pluche (1688-1761) i doveri sociali delle donne, così come gli obblighi di coloro che conversavano con loro, sono ben illustrati ma, al contrario della maggior parte delle opere riconducibili a questo genere letterario, nell'opera di Pluche la figura dell'allievo è rappresentata da un giovane gentiluomo; l'elenco dei personaggi include il cavalier de Breuil, tutore del giovane, il priore di Jonval e il conte e la contessa di Jonval. Anziché assumere il ruolo di allieva, la contessa contribuisce alle lezioni impartite al cavaliere con la sua esperienza nel campo dell'allevamento dei bachi da seta e in altre arti domestiche. Inoltre la sua partecipazione consente al cavaliere di apprendere alcune regole della società elegante; all'inizio del dialogo, la contessa esprime il desiderio di partecipare alle conversazioni filosofiche, affermando, tuttavia, che ciò sarà possibile solo se gli uomini saranno disposti a non affrontare temi che esulano dalla sua competenza. Il priore risponde nominandola 'presidente' dell'improvvisata società, una carica che le conferiva il privilegio di decidere il tema del convegno.
La partecipazione della contessa di Jonval alle lezioni impartite al giovane cavaliere illustra un altro argomento avanzato dalla letteratura della scienza da salotto a favore dell'istruzione scientifica delle donne: il loro ruolo di educatrici. Solo le madri potevano educare i fanciulli secondo i principî di una istruzione 'illuminata'. Nell'opera di James Ferguson (1710-1776) The young gentleman and lady's astronomy, per esempio, Eudosia, il personaggio della giovane signora che si dedica all'apprendimento della filosofia naturale, all'inizio delle lezioni si chiede con timore: "Non sarò forse derisa per aver cercato di imparare ciò che, secondo gli uomini, si addice solo a loro?" (p. 2). Neander, fratello ed educatore della giovane donna, la rassicura: "Non da un uomo che ragioni correttamente" (ibidem). Lo studio della Natura, spiega Neander, "[infonde nelle nostre menti] le più nobili idee sulla grandezza del Creatore e della sua opera, e di conseguenza ci [porta] più vicino a Lui" (ibidem). L'astronomia, inoltre, favoriva l'armonia domestica e il rispetto dei valori familiari; se fosse più studiata dalle donne, continua Neander, "la conseguenza sarebbe che le signore disporrebbero di un modo razionale di trascorrere il tempo a casa e non sarebbero attratte da ordinari e dispendiosi passatempi, andando alla ricerca di carte, palle e altri giochi; esse diverrebbero quindi mogli, madri e amanti molto migliori; ciò dovrebbe sembrare ovvio a chiunque sia dotato di buon senso" (ibidem, pp. 45-46).
Tuttavia, non tutti concordavano con questa tesi e le signore che si dedicavano allo studio della filosofia della Natura sapevano che le loro ricerche erano disapprovate da un certo settore della società elegante. Così, il precettore dell'opera di Algarotti Il newtonianismo per le dame avverte la Marchesa di E*** di essere prudente nella scelta dei suoi interlocutori: "E a voi non mancherà forse [...] chi dica, che molto più ne sapete, che non conviensi per avventura ad una Dama [...]. Ben per lei che voi saprete dissimular talora il vostro sapere con coloro, che si beffan di ciò che dovrebbono imparare, e che alla Scienza della Fisica voi congiungerete anco quella del Mondo" (pp. 299-300).
Se i dialoghi immaginari di Fontenelle, Algarotti, Ferguson e di altri autori, insieme al contributo meno originale di Euler e Bonnycastle, illustrano l'ideale della scienza da salotto, l'effettiva pratica di quest'ultima non è facilmente definibile. Una delle più acute descrizioni di questa nella vita reale è quella offerta dallo scambio epistolare, risalente all'inizio degli anni Sessanta del Settecento, tra la figlia di una proprietaria di immobili della borghesia londinese, Polly Stevenson, e un locatario americano della madre di quest'ultima, il celebre Benjamin Franklin (1706-1790). Lo scambio epistolare ha inizio quando Polly chiede a Franklin di guidarla nello studio della filosofia della Natura. Lo scienziato acconsente e per lei traduce in inglese Le spectacle de la nature di Pluche, che, a suo parere, era scritto "nello stile semplice e accessibile nel quale si distinguono i francesi [...] [e] fornisce un gran numero di conoscenze filosofiche e pratiche, senza addentrarsi nell'arida matematica a cui non possono non ricorrere gli autori di studi più esatti, ma che può scoraggiare i giovani che iniziano a dedicarsi a questa materia". Inoltre le consiglia di "legger[lo] tenendo una penna in mano", dal momento che questo era "il miglior metodo di imprimere questo genere di particolari nella memoria, dove rimarranno in attesa di essere impiegati nella pratica in una futura occasione, se riguardano questioni utili, o abbelliranno e perfezioneranno la vostra conversazione, se si tratta di semplici curiosità" (Franklin a Stevenson, 17 maggio 1760, Papers). Franklin, quindi, la invita a scrivergli a Londra da dove egli le avrebbe risposto nel caso in cui avesse sentito il bisogno di ricevere spiegazioni più approfondite su ciò che leggeva.
Inizia così uno scambio epistolare nel corso del quale è affrontata un'ampia gamma di temi scientifici e da cui sono stati estratti alcuni dei saggi pubblicati nelle ultime edizioni degli Experiments and observations in electricity (1750 ca.) dello stesso Franklin. Questa corrispondenza ci consente di gettare uno sguardo sul ruolo svolto dalla scienza da salotto nella vita sociale e intellettuale di una giovane ed elegante signora. In una delle sue lettere, per esempio, Franklin ricorda a Polly che benché "la conoscenza della Natura possa ornare le maniere ed essere utile", tuttavia ella doveva moderare i propri studi, in modo da "non trascurare la conoscenza e la pratica dei principali doveri", come quelli materni e quelli coniugali (Franklin a Stevenson, 11 giugno 1760, ibidem). Polly, invece, si rammarica del tempo che è costretta a sottrarre allo studio per far fronte ai suoi obblighi sociali: "Frequenti impegni mi impediscono di dedicare tutto il tempo che desidererei alla ricerca della conoscenza. Non vorrei che pensaste che le mie parole siano dettate da un'affettazione della saggezza, o dall'insoddisfazione per la mia situazione; ma non posso impedirmi di desiderare di poter sottrarre una parte del mio tempo al gioco delle carte, per consacrarlo alla lettura" (Stevenson a Franklin 13 gennaio 1761, ibidem).
Le lezioni impartite a Polly non solo assumono la forma di uno scambio epistolare 'mondano', ma si svolgono in ambienti 'mondani'. In una sua lettera, Polly scrive a Franklin dalla stazione termale che si era recata a visitare, per chiedergli spiegazioni sugli effetti prodotti dall'innalzamento della temperatura dell'acqua. In un'altra, nell'osservare che "il libro della Natura è sempre aperto, e io ho frequentemente osservato cose che eccitano la mia curiosità", la giovane donna descrive un esperimento, compiuto nel corso di alcune conversazioni e con un apparato molto particolare:
Avevo spesso osservato, mentre sedevo al tavolo dove si serve il tè, che quando una tazza viene rovesciata e nel piattino cade un po' di tè, la tazza si solleva, nel tè appaiono alcune bollicine. Penso di aver scoperto che la causa di ciò sia il calore che provoca la rarefazione dell'aria nella tazza, che tentando di espandersi fa sollevare la tazza, spingendo dal fondo da dove il tè sale in bollicine. Per confermare la verità di questa intuizione ho tentato di condurre lo stesso esperimento con l'acqua fredda e il fenomeno è cessato. (Stevenson a Franklin, agosto 1760, ibidem)
L'uso di oggetti ordinari ‒ come, per esempio, la tazza da tè e il piattino di Polly ‒ per illustrare e spiegare il funzionamento del mondo naturale è una caratteristica che si ritrova spesso nelle opere della scienza da salotto, tanto più se gli oggetti in questione erano affascinanti articoli di lusso; infatti, così come sono descritti in queste opere, anche gli orologi, i ventagli, i nei posticci e altri oggetti personali e domestici potevano contribuire alla comprensione dei fenomeni naturali. Ma, come è ovvio, gli oggetti più citati per la loro utilità nelle indagini filosofiche erano gli strumenti scientifici. Concentrato nelle più interessanti capitali europee, Londra e Parigi, il commercio settecentesco degli strumenti scientifici appagò la curiosità entusiasta suscitata dalla scienza nella società elegante. Erano fabbricati diversi generi di strumenti ideati soprattutto per i consumatori dell'élite e delle classi medie, incluse le versioni ridotte e meno potenti degli strumenti abitualmente impiegati nelle lezioni dimostrative ‒ in particolare pompe ad aria e macchine elettriche ‒, destinate all'uso domestico. Inoltre erano costruiti 'giocattoli scientifici', quasi sempre basati sui principî del magnetismo oppure dell'ottica, come i planetari e i globi terrestri, che fungevano sia da strumenti didattici sia da accessori decorativi; erano infine realizzati strumenti pratici o sperimentali ‒ inclusi i microscopi, le scatole da disegno, i sestanti per la navigazione e altri congegni ‒ che si distinguevano da quelli impiegati dai ricercatori per la loro ornamentazione sofisticata.
Nelle mani del consumatore elegante, questi oggetti servivano sia da elementi di interazione sociale, sia da segni distintivi di un certo status sociale. Così, la funzione del barometro, come scriveva Edward Saul nel 1730 in An historical and philosophical account of the barometer, non era solo quella di misurare la pressione atmosferica: questo strumento, soprattutto, poteva essere messo in mostra "nelle case eleganti e distinte, dove può essere esposto come un accessorio filosofico o decorativo dell'arredo, oltre che fornire frequentemente argomenti di discussione sui diversi e improvvisi cambiamenti da esso subiti" (p. 1). Ritroviamo la descrizione di un'analoga scena di società in un quadro di Pietro Longhi, La lezione di geografia (1750 ca.), in cui un gentiluomo impartisce lezioni di geografia a giovani signore in un ambiente domestico aristocratico. Una signora maneggia un piccolo globo terrestre ‒ lo strumento più usato nell'educazione in campo geografico ‒ mentre il gentiluomo aiuta l'altra a ripassare le lezioni. La tensione galante e forse persino seduttiva ‒ da che cosa è attratto lo sguardo del precettore? ‒ dimostra che non sempre la sensualità era estranea alla diffusione della scienza da salotto nell'Europa del XVIII secolo.