L'Eta dei Lumi: l'avvento delle scienze della Natura 1770-1830. I parafulmini
I parafulmini
L'idea del parafulmine, verso la metà del XVIII sec., era ormai matura. Essa implicava due elementi concettuali principali: l'analogia tra l'elettricità e il fulmine, e il potere delle punte metalliche di attrarre e disperdere il 'fuoco' elettrico. Il primo elemento concettuale, l'analogia, fu adottato da diversi studiosi di fenomeni elettrici, tra cui il fisico parigino Jean-Antoine Nollet (1700-1770), l'avvocato bordolese Jacques de Romas (1713-1776), il sacerdote ceco Prokop Diviš e il tipografo di Filadelfia Benjamin Franklin (1706-1790). Un avvocato di nome Thomas Hopkinson (1709-1751), uno degli studiosi che, con Franklin, effettuava esperimenti sui fenomeni elettrici, osservò, invece, il potere delle punte metalliche nel 1747, come pure, forse autonomamente, fece Diviš diversi anni dopo.
I suddetti due elementi furono associati in uno scritto del 1750, in cui Franklin propose un esperimento per catturare i fulmini provenienti dalle nubi. Per effettuare l'esperimento, si sarebbe dovuta montare una garitta su di una torre o un campanile, e innalzare un'asta di ferro isolata dalla garitta. L'asta avrebbe attirato i fulmini dal cielo, e un uomo all'interno della garitta avrebbe quindi potuto raccogliere le scintille dall'asta. Romas sottopose un'idea simile all'Académie des Sciences di Bordeaux l'anno seguente, e forse il dispositivo fu ideato in modo autonomo anche da Diviš nel 1754. Probabilmente Romas precedette Franklin nell'uso di un aquilone per attirare i fulmini; quest'ultimo raccontò infatti di aver utilizzato tale sistema nel giugno del 1752, ma Romas ottenne una certificazione di priorità da parte delle accademie delle scienze di Parigi e di Bordeaux.
L'apparato di Franklin basato sulla garitta presentava una differenza fondamentale rispetto a un parafulmine: l'asta era isolata, invece di essere collocata a terra, dovendo catturare il fulmine a scopo sperimentale e non per disperderlo. Tuttavia, nello stesso periodo, Franklin propose anche l'uso di un'asta posta a terra come protezione sicura contro i fulmini. La versione isolata, intanto, si rivelava un dispositivo piuttosto pericoloso; il primo a catturare la scarica di un fulmine (e non una delle perturbazioni elettriche minori provocate da un temporale) con un conduttore isolato fu il tedesco Georg Wilhelm Richmann (1711-1753), professore di fisica presso l'Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana il quale ne rimase però ucciso. Lo stesso Franklin non effettuò mai l'esperimento della garitta; tuttavia, nel maggio 1752, il suo traduttore francese, Thomas-François Dalibard (1703-1779), montò un'asta metallica elettricamente isolata a Marly-la-Ville, una cittadina fuori Parigi. Prima di far ritorno nella capitale, Dalibard lasciò a un dragone di nome Coiffier un filo di ottone che fuoriusciva da un'impugnatura di vetro. Il 10 maggio, durante un temporale, Coiffier collegò il filo all'asta e ne trasse una scintilla, andò quindi a chiamare il parroco, Raulet, che replicò immediatamente l'esperimento e ne confermò i risultati. Dalibard li presentò all'Académie Royale des Sciences di Parigi tre giorni dopo.
Le notizie sugli esperimenti dell'aquilone e della garitta si diffusero velocemente, e ispirarono tentativi simili sia in America sia in diversi paesi europei, tra cui Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania e Russia. In Italia, l'abate Giambattista Beccaria (1716-1781) effettuò esperimenti analoghi con aste metalliche e soprattutto con aquiloni, per studiare sistematicamente l'elettricità atmosferica. Beccaria utilizzò aquiloni in volo ad alta e bassa quota, in condizioni di tempo sia sereno sia perturbato, attaccati a un rocchetto di spago fissato a un supporto isolante di vetro. Dopo una serie di esperimenti, nel 1756, affermò che "perfino in condizioni di tempo sereno […] si aveva permanentemente una moderata attività elettrica" (Cohen 1990, p. 107), e divenne un attivo promotore dell'uso del parafulmine in Italia.
La fama di Franklin beneficiò più dell'esperimento effettuato a Marly-la-Ville che di qualsiasi altro evento. L'analogia tra il fulmine e l'elettricità, però, non era necessariamente legata alla descrizione data da Franklin dell'azione elettrica, né le forniva un particolare supporto. Egli ipotizzava l'esistenza di due specie di materia: la materia comune, con proprietà di reciproca attrazione, e la materia elettrica, mutuamente repulsiva. Inoltre questi due tipi di materia si attraevano reciprocamente, ed era necessario che ciascuna di esse fosse presente in ogni oggetto comune per bilanciare l'altra. Nel caso in cui fosse stata presente troppa elettricità, il fluido in eccesso si sarebbe raccolto in modo da formare un''atmosfera' elettrica attiva. Franklin spiegava così tutte le manifestazioni dell'elettricità attraverso la 'carenza' o l''abbondanza' di fluido elettrico nei corpi; in particolare attribuiva il funzionamento del parafulmine al ristabilimento di una distribuzione equilibrata di elettricità tra le nubi e il suolo.
Romas diede invece una spiegazione alternativa del funzionamento del parafulmine, utilizzando la teoria di Nollet. Questi sosteneva che, poiché qualsiasi corpo elettrificato attraeva alcuni oggetti e al tempo stesso ne respingeva altri, l'elettrificazione doveva coinvolgere due flussi di fluido elettrico percorrenti direzioni opposte: una corrente 'effluente' che porta gli oggetti respinti lontano dal corpo carico e una corrente 'affluente' che trasporta gli oggetti attratti verso di esso. Romas ipotizzò, di conseguenza, che l'efflusso proveniente dall'asta elettrificata respingesse l'efflusso proveniente dalle nubi temporalesche; questa descrizione, anche se insoddisfacente, non era certo peggiore di quella proposta dallo stesso Franklin.
Egli avanzò inizialmente l'ipotesi che le aste raccogliessero cariche elettriche dalle nubi, ripristinando in modo continuo e graduale la condizione di equilibrio e impedendo così il formarsi del fulmine. Stabilì poi che le aste potevano funzionare anche se non riuscivano a impedire la scarica del fulmine, incanalandola verso terra e facendola disperdere. Successivamente Franklin concluse che, quando si produceva un fulmine, il terreno di solito era carico positivamente e le nubi negativamente, cosicché sembrava fosse la terra a colpire con il fulmine il cielo e non il contrario. In questo caso la proprietà significativa sarebbe stata il potere delle aste non di attrarre ma di disperdere la scarica elettrica: veniva così fornita una terza spiegazione possibile del funzionamento del parafulmine.
In risposta a questa possibilità, l'abate Pierre Bertholon de Saint-Lazare (1741-1800), tenace difensore e progettista di parafulmini, inventò un nuovo tipo di 'aste ascendenti' che avrebbero dovuto funzionare al contrario, scaricando i fulmini che salivano da terra verso le nubi. Bertholon propose inoltre alcune nuove audaci applicazioni dei conduttori elettrici, il 'para-terremoto' e il 'para-vulcano', sulla base della teoria secondo la quale l'elettricità era all'origine anche di questi disastri naturali. I sostenitori del parafulmine seguaci di Franklin non riuscivano a spiegare perché le aste potessero sia attirare sia respingere le scariche elettriche, e non erano in grado di stabilire quale di questi poteri (se non entrambi) fosse essenziale al fine di proteggere dai fulmini la popolazione.
Quel che è peggio, la possibilità che i parafulmini funzionassero attirando il fulmine comportava che essi potessero essere fonte di pericolo così come di protezione. In Inghilterra, il timore di causare "proprio lo stesso danno che intendiamo impedire" (Cohen 1990, p. 131) diede luogo a una disputa degna della 'controversia dell'uovo di Lilliput' narrata da Jonathan Swift, nella quale si discuteva su quale estremità dell'uovo dovesse essere rotta, la più piccola o la più grande. In questo caso, si trattava di stabilire se fossero preferibili i conduttori smussati o quelli a punta. I guai cominciarono nel 1772, quando il Comando di artiglieria chiese alla Royal Society una consulenza sulle modalità per proteggere dai fulmini i propri depositi di polveri a Purfleet. La Royal Society nominò un comitato presieduto dall'aristocratico chimico e specialista di elettricità Henry Cavendish. Tra i componenti del comitato figuravano Franklin, William Watson (1715-1787), lo sperimentatore e dimostratore di fenomeni elettrici più in vista in Inghilterra, e Benjamin Wilson (1721-1788), uno studioso di fenomeni elettrici e sostenitore del parafulmine.
Il comitato propose aste alte, sottili e a punta, ma Wilson non condivise la decisione. Egli sosteneva infatti che gli strumenti avrebbero dovuto essere corti, tozzi e sormontati da sfere di rame per attenuare il loro potere attrattivo; adottando la decisione del comitato, la maggior parte delle nubi avrebbe quindi sorvolato la zona, senza che i loro fulmini potessero essere attratti dalle aste. Secondo Wilson, se una nube fosse stata così carica da colpire anche il conduttore sferico, l'asta da lui proposta avrebbe funzionato altrettanto bene di una alta e a punta per condurre a terra l'elettricità. Altri proposero persino sfere isolanti di vetro al posto di quelle di rame indicate da Wilson. Il Comando di artiglieria accolse l'opinione della maggioranza, ma quando il deposito di Purfleet fu colpito nel 1777, malgrado i suoi parafulmini a punta, il re chiese una dimostrazione del modello proposto da Wilson, dimostrazione che si svolse nella grande sala del Pantheon di Londra. Wilson provò che le barre alte e a punta attraevano elettricità da distanze maggiori rispetto a quelle corte e con il pomello in cima. Questi esperimenti furono "così chiari", disse il re, "che avrebbero convinto persino la venditrice di mele in strada" (Heilbron 1979, p. 382). Il re ordinò che i parafulmini a punta dei sostenitori di Franklin fossero rimossi da Buckingham House e che al loro posto fossero installati quelli a sfera di Wilson.
Il fatto che i parafulmini potessero attrarre i fulmini era doppiamente preoccupante poiché molti credevano, seguendo Bertholon, che il fulmine fosse la causa di altri disastri naturali, come i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Il terremoto di Boston del 1755 focalizzò l'attenzione su questo pericolo; il reverendo Thomas Prince (1687-1758) ne incolpò i parafulmini con argomentazioni che fondevano la filosofia naturale con la teologia. Egli riteneva che i parafulmini attiravano l'elettricità dentro il terreno, esponendolo a "terremoti più violenti"; vi erano più parafulmini a Boston che in qualsiasi altra località nel New England, e la città era stata "terribilmente colpita" dal terremoto del 1755. La conclusione di Prince fu che non c'era modo di evitare la possente mano di Dio, e che se l'uomo pensasse di sfuggirle nell'aria, non riuscirebbe a farlo sulla Terra. John Winthrop (1714-1779), professore all'Harvard College, rispose a Prince con una Lecture on earthquakes, negando che i fulmini svolgessero un qualsiasi ruolo nel provocare i terremoti e ridicolizzando la "moda imperante" di spiegare "tutto attraverso l'elettricità". Molti studiosi di fenomeni elettrici, compresi Beccaria e Bertholon, continuarono però a credere in un possibile ruolo dei fulmini nei terremoti.
Queste incertezze impedirono al parafulmine di essere generalmente accettato; ciò avvenne in modo lento e conflittuale nei tre decenni che seguirono l'esperimento di Marly-la-Ville. Perfino la Chiesa, importante sostenitrice del parafulmine, incontrò resistenza. Lo stesso papa non riuscì a essere abbastanza persuasivo quando Giovanni Giuseppe Veratti (1707-1793), marito del fisico Laura Bassi (1711-1778), installò alcuni parafulmini all'Istituto di fisica dell'Università di Bologna poco dopo l'esperimento di Marly-la-Ville. Gli abitanti infatti erano così allarmati da questi dispositivi che Veratti fu costretto a smantellarli. Benedetto XIV, che era nativo di Bologna e particolarmente venerato in città, scrisse una lettera per raccomandare l'uso dei parafulmini di Veratti; questi però rimasero impopolari e Veratti abbandonò il progetto.
D'altra parte, dopo che la guglia della chiesa di St. Bride a Londra fu distrutta da un fulmine nel 1764, il decano e il Capitolo di St. Paul si rivolsero alla Royal Society per avere un consiglio sul modo migliore per proteggere la loro chiesa. La Royal Society nominò il solito comitato, che comprendeva Franklin, Wilson e Watson, insieme a Edward Delaval (1729-1772), della Cambridge University, e John Canton (1718-1772), insegnante londinese e principale sostenitore in Inghilterra della teoria dell'elettricità di Franklin negli anni intorno al 1750. Il comitato raccomandò un parafulmine e diede istruzioni su come costruirlo (questo accadeva diversi anni prima della controversia sui pomelli e le punte), che furono debitamente seguite. Analogamente, il campanile della basilica di S. Marco a Venezia ricevette un parafulmine nel 1766, dopo essere stato danneggiato da un fulmine per la nona volta, quattro anni prima. Un altro papa ebbe più successo di Benedetto XIV nel sostenere i metodi moderni: nel 1791, quando un fulmine colpì una basilica fuori Assisi, Pio VI ordinò che dopo il restauro fossero aggiunte "le aste elettriche di Franklin".
I sostenitori del parafulmine attribuivano tutte le resistenze incontrate a pregiudizi e superstizione. Franklin, per esempio, fece notare che Nollet, il quale si opponeva all'uso dei parafulmini, doveva credere alla conduzione del fulmine; egli infatti avvertiva di non suonare le campane delle chiese durante i temporali come avveniva di norma, dato che la fune usata avrebbe potuto condurre elettricità verso la persona che suonava la campana e ucciderla. Franklin si chiedeva "fin quando perfino i filosofi, uomini di vaste conoscenze e grande ingegno, avrebbero potuto resistere all'evidenza di nuove conoscenze che non quadrano con i loro preconcetti" (Franklin a Winthrop, 2 luglio 1768, Labaree 1959). L'opinione che i sostenitori di Franklin avevano a proposito di dubbi come quelli espressi da Nollet tendeva ad affermarsi; eppure l'obiezione di Nollet era solida dal punto di vista filosofico, in quanto egli si appellava alla sproporzione esistente tra la causa e l'effetto: montare un parafulmine sarebbe stato come collegare un torrente impetuoso a un piccolo tubo, nella speranza di impedire un'inondazione.
Non solamente le spiegazioni teoriche, ma anche gli stessi fatti erano ambigui. Louis-Bernard Guyton de Morveau (1737-1816), fisico e membro dell'Académie di Digione, e giurista nel Parlamento della città, ne elencava alcuni nel suo articolo intitolato Le tonnerre per il supplemento dell'Encyclopédie pubblicato nel 1777. Il caso di un fulmine caduto a Digione dimostrava l'eccellente conducibilità dello stagno: il fulmine aveva colpito una casa ed era stato condotto lungo le grondaie di lamiera, esplodendo solo alle loro estremità. Il fulmine si era diviso in due correnti e ognuna aveva provocato un grosso buco all'estremità delle grondaie, danneggiando le pareti della costruzione da entrambi i lati su una vasta area. Questo preciso incanalamento del fulmine faceva pensare che un parafulmine sarebbe stato efficace nel proteggere la casa.
Il "Journal de physique" riferì nel 1777 che un parafulmine era stato colpito sulla torre della cattedrale di Siena. L'abate Giuseppe Toaldo (1719-1789), professore di fisica presso l'Università di Padova e autore di un trattato sul parafulmine, aveva supervisionato l'installazione della cattedrale di Siena e il comportamento del dispositivo in quella circostanza fu analizzato a fondo: quest'analisi produsse risultati ambigui. Secondo l'articolo del "Journal de physique", una palla di fuoco purpurea era stata vista scendere lungo il parafulmine; c'erano però dei particolari inquietanti: prima di scomparire a terra la sfera aveva liberato grosse scintille, che avevano abbattuto un uomo in piedi sulla porta del suo negozio dall'altra parte della strada. A ulteriore detrimento della reputazione del parafulmine Jean-Paul Marat (1743-1793) affermò, nelle sue Recherches physiques sur l'électricité (1782), che una costruzione nel Kent era stata incenerita nel 1774 malgrado fosse dotata di un parafulmine. Nel 1780, inoltre, il "Journal de physique" riportò che a Mannheim si era fusa la punta di un parafulmine; il che indicava come gli stessi parafulmini potessero essere distrutti dal fulmine.
Le incertezze teoriche e le ambiguità nei fatti contribuirono a ritardare l'adozione generalizzata di questo sistema di protezione. Nel 1781, Bertholon ne contò complessivamente undici in Francia, e tutti in provincia: uno a Valence, nella regione del Delfinato, tre a Digione e nella zona circostante e uno a Bourg-en-Bresse, in Borgogna; uno su una casa di campagna in Anjou; Voltaire ne aveva uno a Ferney; ve n'erano infine quattro a Lione, installati dallo stesso Bertholon l'anno precedente. Un'asta elettricamente isolata era stata posizionata presso il cabinet de physique del re a Passy, installata dal noto studioso francese di fenomeni elettrici Jean-Baptiste Le Roy (1720-1800) della scuola di Franklin. Nella capitale però non vi furono aste contro i fulmini di alcun tipo prima del dicembre 1783, quando Bertholon installò le prime due.
Nel mese di maggio si era prodotta una svolta decisiva, sotto forma di battaglia legale, nella provincia di Arras. La vicenda era iniziata diversi anni prima, nella primavera del 1780, quando M. de Vissery de Boisvallé di Saint-Omer, un anziano avvocato e fisico dilettante, aveva installato un parafulmine sul suo tetto. I vicini ne avevano paura, gli fecero causa per costringerlo a rimuoverlo e la vinsero. Il caso fu ereditato per l'appello da un giovane e sconosciuto avvocato di Arras, Maximilien Robespierre. Questi, all'epoca ancora uno studente, aveva dimostrato una tale inclinazione per la scienza sperimentale che tutti ad Arras avevano preso a chiamarlo con il soprannome di 'Barometro'. Nella preparazione della sua difesa si avvalse della consulenza di studiosi dell'elettricità, compresi Bertholon e Le Roy. In ultima analisi Robespierre contava sulla tendenza empirista delle scienze naturali dell'epoca. Egli espose i fatti alla base della scienza dell'elettricità: argomentò che l'elettricità aveva una "predilezione" per i metalli; gli oggetti a punta avevano "la capacità di attrarre materia elettrica"; i materiali potevano essere "adatti per loro natura" o meno a ricevere elettricità; risultava quindi "fisicamente impossibile" per la materia elettrica passare da un'asta di metallo a una casa di legno. Riguardo alle spiegazioni teoriche di questi fatti, Robespierre si mostrò abbastanza noncurante, sostenendo che contava poco immaginare come potesse funzionare il parafulmine dal momento che la sua efficacia era attestata dall'esperienza.
L'arringa di Robespierre fu esaminata nel "Mercure de France" e nelle Causes célèbres, e le sue tesi di difesa vennero stampate e vendute a Parigi. Il successo ottenuto nella causa, oltre a fungere da trampolino di lancio per la sua carriera, consolidò la reputazione del parafulmine, non solo come protezione dai fulmini, ma anche come simbolo dell'Illuminismo.