L'estensione delle terre coltivate e l'economia rurale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Espansione dei coltivi, crescita della produzione, innovazione negli strumenti e nelle tecniche, ridefinizione delle organizzazioni produttive e dei rapporti di lavoro sono sospinti dalla crescita demografica e ne sostengono la prosecuzione, fino a modificare gli assetti insediativi e ridare impulso alla crescita cittadina: il mondo rurale gioca un ruolo fondamentale nell’espansione durante il Medioevo centrale, ma proprio in questa fase verranno innescate trasformazioni profondissime, il cui risultato finale sarà la perdita della centralità assoluta dell’agricoltura nell’economia e nella struttura sociale europea.
Una notissima leggenda, elaborata intorno al XVI secolo, narra di un’Europa medievale in attesa dell’Apocalisse che – secondo l’interpretazione del testo di Giovanni – sarebbe giunta nell’anno Mille. La paura della fine avrebbe mantenuto la popolazione compressa, incapace di esprimere attività e vigore; dopo aver superato lo spartiacque del millennio, invece, il pericolo scampato avrebbe liberato un’immensa energia vitale, provocando nell’XI secolo un’esplosione demografica e produttiva.
Il racconto è solo una delle molte versioni del disprezzo che la cultura rinascimentale ha manifestato per i presunti “secoli bui”: non può fornire alcun elemento esplicativo per la crescita, ma può essere accettato come testimonianza di una fase di ripresa, poiché in questa direzione vanno ben altri segnali.
Gli indicatori della crescita sono numerosi e di varia natura: l’addensarsi dell’abitato delle città, l’allargamento delle cinte murarie, il sorgere dei borghi extramuranei, l’infittirsi della microtoponomastica, il moltiplicarsi di nuovi nuclei insediativi (le Villaenovae che popolano la carta geografica europea), la frantumazione del possesso fondiario, la presenza di coltivazioni in aree designate da nomi che rimandano a una precedente fase di incolto (come Querceto, Palude, Castanetum) e che quindi attestano operazioni di diboscamento, messa a coltura e bonifica.
Alcuni indizi di questa natura, in realtà, sono riscontrabili anche nei due secoli precedenti, ma a partire dall’XI secolo la crescita assume un ritmo più rapido: secondo stime quantitative certamente suscettibili di forti variazioni locali, è possibile sostenere che la popolazione europea sia raddoppiata o addirittura triplicata.
Una popolazione così cresciuta si traduce in uno stimolo per l’aumento della produzione agricola, che, a propria volta, sostiene la continua crescita. Il primo dato da segnalare è l’espansione dei coltivi. Nuove terre vengono messe a coltura: talvolta si comincia col ridurre i terreni irregolarmente sfruttati che si interpongono alle aree già valorizzate; in altri casi si procede al dissodamento e alla coltivazione di terre più distanti, con il conseguente spostamento di interi gruppi di contadini, che danno vita a nuovi insediamenti e stipulano con i proprietari fondiari contratti che – più spesso di quanto avvenisse in passato – vengono messi per iscritto.
Sono ben documentate, grazie agli archivi ecclesiastici, le iniziative di colonizzazione intraprese per iniziativa di enti religiosi: fra le più note, nel XII secolo, quelle di Cistercensi e Certosini. Ciò non implica, però, che l’iniziativa dei grandi proprietari laici sia assente, o che non si debba tener conto anche del contributo diretto di semplici famiglie di coltivatori, spinte dalla pressione demografica che aumenta le bocche da sfamare, ma anche la capacità lavorativa.
Non possono essere certamente private, invece, le iniziative che richiedono enormi investimenti e grandiosi sforzi collettivi, come quelli della colonizzazione germanica al di là dell’Elba o quelli che conducono alla bonifica dell’area costiera dei Paesi Bassi, attraverso un imponente sistema di dighe e di canali di drenaggio, realizzati tra X e XII secolo grazie all’impegno dei conti di Fiandra e delle grandi fondazioni cistercensi.
Sulla spinta della pressione demografica, anche le aree già coltivate sono sottoposte a uno sfruttamento più intenso, realizzato per mezzo di innovazioni tecniche. Anch’esse erano in qualche caso già note, ma poco diffuse, prima dell’XI secolo.
La fertilità della terra viene migliorata grazie ad arature meno superficiali, ottenute con aratri muniti di ruote e dotati di parti metalliche che penetrano in profondità nel terreno e rivoltano le zolle; la forza degli animali da lavoro viene sfruttata meglio, grazie al collare rigido e alla ferratura degli zoccoli.
A metà fra innovazione tecnica ed espansione dei coltivi si colloca una delle novità più importanti dell’epoca: il passaggio dalla rotazione biennale a quella triennale. I campi vengono divisi in tre parti: una è destinata alla semina tradizionale (frumento e segale, cereali autunnali), un’altra a quella di cereali primaverili e legumi (avena, orzo, fave, piselli), la terza al riposo. Negli anni successivi le destinazioni vengono variate: in questo modo la superficie incolta si riduce dalla metà a un terzo, la produzione si diversifica, si ottiene disponibilità di foraggio per gli animali, il suolo si impoverisce più lentamente per la varietà delle colture: si tratta di grandi vantaggi, che però non si distribuiscono in modo uniforme, poiché interessano soprattutto l’Europa centrosettentrionale. Le rese agricole crescono: non solo e non tanto in valori assoluti, ma soprattutto perché i risultati migliori, che in epoca altomedievale erano legati solo alle annate favorevoli, diventano più stabili e regolari.
Lo sforzo produttivo è ancora ampiamente indirizzato a soddisfare la domanda di base, quella di prodotti cerealicoli; nelle zone più vicine ai mercati urbani, però, si comincia a prestare attenzione alle colture specializzate (vite, lino, canapa) e alle vocazioni colturali dei terreni.
Anche l’organizzazione produttiva più nota in età altomedievale, la curtis, esce trasformata dai processi in corso. L’equilibrio fra pars dominica e pars massaricia si altera: la presenza di una produzione più abbondante consente ai coltivatori di accantonare maggiori eccedenze produttive per il mercato; la redditività del mercato li induce a tentare progressivamente di svincolarsi dalle corvées, in modo da concentrare il lavoro sulle proprie terre e non su quelle del signore, così da farle fruttare di più a proprio vantaggio. Contemporaneamente, l’incremento produttivo dà loro anche i mezzi per farlo, favorendo l’accantonamento del denaro necessario per riscattarle.
Questo processo non va immaginato come sospinto unicamente dal basso, poiché anche i proprietari fondiari vi trovano il proprio interesse e vi prendono parte: la maggiore produttività della terra e la riduzione della riserva padronale (sostituita dall’affitto) riducono la necessità delle corvées, rimpiazzate all’occorrenza da un lavoro salariato che la crescita demografica rende non troppo costoso; il rianimarsi dei traffici e delle città rende più conveniente riscuotere contribuzioni in denaro o canoni parziari in natura, che garantiscono i proprietari dalla svalutazione della moneta e consentono loro di vendere i prodotti sul mercato urbano; in ogni caso la rinegoziazione dei contratti agrari permette di fissare durate molto minori di quelle altomedievali (ventinovennali, vitalizie o “per tre generazioni”) e più adatte a tempi in cui la manodopera non è rara come in passato.
Alla produzione e allo scambio, i proprietari fondiari contribuiscono anche con la costruzione e la tutela di infrastrutture che facilitano i trasporti e gli scambi; ne hanno infatti un importante ritorno economico grazie ai poteri signorili di cui sono detentori, che consentono loro di imporre prelievi fiscali su tutto quel che transita da e per le loro terre.
Per più aspetti, in definitiva, contadini e proprietari di età medievale si adattano con plasticità alle esigenze del momento, trasformando modi e luoghi della produzione e ridefinendo il proprio ruolo e i propri rapporti all’interno di un quadro economico che, pur rimanendo eminentemente rurale, ha cominciato a non poter più prescindere dal legame con le città.