Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’endocrinologia si delinea come disciplina autonoma nei primi tre decenni del XX secolo per il convergere di orientamenti di ricerca propri di diverse discipline, dall’anatomia alla fisiologia, dalla patologia alla clinica, alla biochimica. Decisivi a questo proposito sono la definizione del concetto di ormone nel 1905, l’isolamento e la sintesi dei primi messaggeri endocrini, la dimostrazione dell’efficacia dell’insulina nel trattamento del diabete nel 1922. Parallelamente a questi sviluppi, le ricerche sull’ipofisi anteriore indicano i meccanismi della regolazione del sistema endocrino, avviando negli anni Quaranta la comprensione delle funzioni endocrine svolte dal sistema nervoso centrale e giungendo infine a dimostrare il controllo delle funzioni endocrine da parte del sistema nervoso centrale.
Introdotto nel 1855 da Claude Bernard (1813- 1878), il concetto di secrezione interna si è affermato nella seconda metà del XIX secolo grazie a una serie di evidenze cliniche, esperienze terapeutiche e risultati sperimentali. Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, l’isolamento, la cristallizzazione e la sintesi del primo ormone (l’adrenalina), permette di determinare esattamente i rapporti quantitativi nei fenomeni mediati da questo ormone e inaugurava la ricerca sulla biochimica delle sostanze endocrine e faceva sì che le indagini sulle secrezioni interne passassero gradualmente dalla clinica ai laboratori di fisiologia e di biochimica, aggiungendosi al bisturi, alle stimolazioni termiche, elettriche e meccaniche e al resto dell’armamentario analitico in mano al fisiologo sperimentale.
La definizione dell’endocrinologia moderna, tuttavia, doveva fare i conti con un potente ostacolo concettuale: l’idea che le regolazioni funzionali e la trasmissione di messaggi tra organi che essa implica si realizzassero esclusivamente per via nervosa. Per ironia, nondimeno, la scoperta che rivoluzionava la teoria delle secrezioni interne, orientandola nel moderno sistema concettuale dell’endocrinologia, si deve ancora a ricerche sulle funzioni regolatrici del sistema nervoso.
William Bayliss (1860-1924) e Ernest Starling (1866-1927), lavorando nel 1901 all’identificazione delle vie nervose implicate nel rilascio del succo pancreatico, si rendevano conto che in tale processo era in gioco uno stimolo chimico piuttosto che un riflesso nervoso. Estirpando le fibre nervose i due dimostravano nel 1902 che la secrezione pancreatica può essere indotta da una somministrazione di estratto di mucosa duodenale, sostanza attiva che denominarono secretina. Era la prima chiara dimostrazione dell’esistenza di effettori chimici endogeni in grado di innescare e regolare risposte fisiologiche organizzate.
La scoperta e l’interpretazione che a essa davano Bayliss e Starling poneva i presupposti della moderna endocrinologia, mentre il termine e il concetto di ormone che Starling introduce nel 1905 rappresentano la codificazione di un programma di ricerca sperimentale finalmente indipendente dalla clinica, dalla sua metodologia empirica. La caratterizzazione di Starling dell’ormone (dal greco òrmao, “io eccito”) come messaggero ed effettore chimico “trasportato dagli organi dove esso viene prodotto agli organi su cui agisce per mezzo del sangue” delinea finalmente la problematica fondamentale della comunicazione e dell’integrazione cellulare su cui opera la ricerca endocrinologica contemporanea.
Negli anni successivi l’endocrinologia conosce un progresso straordinario che sembra aver seguito un schema ordinato in quattro tappe tipiche: in primo luogo il riconoscimento di una ghiandola o di un organo quale apparato secretorio interno; lo sviluppo di metodi per la rilevazione delle secrezioni interne; la preparazione di estratti in grado di portare alla purificazione dell’ormone; infine l’isolamento dell’ormone puro, la determinazione della sua struttura chimica e quindi la sintesi.
L’assenza di un quadro concettuale chiaro e unitario, tuttavia, ha fatto sì che sino agli anni Trenta l’endocrinologia si sviluppasse allo stesso tempo secondo grandi correnti di ricerca, e secondo un ritmo proprio a ciascun organo. Le grandi linee di ricerca rimandano in generale alla tradizione anatomo-clinica, alla prospettiva fisiologica dello studio delle correlazioni endocrine e all’ambito biochimico. Il primo filone di studio ha costituito spesso la base di partenza dell’identificazione delle ghiandole endocrine, nell’osservazione del legame di talune sindromi, come il gozzo, la malattia di Graves-Basedow, con anomalie negli organi a secrezione interna. La prospettiva fisiologica invece ha promosso la ricerca sperimentale usando in particolare il mezzo dell’ablazione delle ghiandole e l’osservazione delle disfunzioni conseguenti, ovvero degli effetti della somministrazione delle sostanze prodotte dalla ghiandola stessa. La corrente di ricerca biochimica infine si è rivelata fondamentale per la purificazione, l’isolamento e la caratterizzazione chimica degli ormoni.
Ancora sino agli anni Trenta la ricerca endocrinologica ha avuto difficoltà a interpretare e a mettere in correlazione la pletora di fatti emersi nei diversi approcci di indagine. A ostacolare questo sviluppo è stata l’eterogeneità di vari organi endocrini, come il pancreas o il testicolo, che elaborano una secrezione interna e una secrezione esterna da cellule istologicamente differenziate, ovvero come l’ovaio, sede di due diverse funzioni endocrine, localizzate nei follicoli di Graaf e nel corpo luteo. Questa difformità nel rapporto tra strutture e funzioni ha reso molto complessa la messa a punto di protocolli di fisiologia sperimentale e la comprensione dei loro risultati. Altro elemento di difficoltà è stata la diversificazione delle azioni ormonali nelle modalità, nella durata e nella natura. L’attività degli ormoni è talora molto rapida e marcata, come nel caso dell’insulina e dell’adrenalina, in altri casi lenta, persistente e progressiva, come ad esempio nell’ormone della crescita. Ulteriore ostacolo alla comprensione è stata la regolazione incrociata, le relazioni a feedback, l’associazione e l’antagonismo tra ormoni in processi funzionali analoghi, come ad esempio nel caso degli ormoni sessuali.
Nel 1915 l’isolamento allo stato puro della tiroxina ottenuto da Edward Calvin Kendall, fa compiere un eccezionale balzo in avanti alla ricerca sulle funzioni della tiroide, rendendo possibile, finalmente, una precisa valutazione quantitativa delle regolazioni funzionali messe in atto da questa ghiandola endocrina. Kendall tenta negli anni successivi di determinare la struttura chimica della tiroxina, ma viene preceduto da Charles Robert Harington nel 1926, che riesce a sintetizzarla l’anno successivo.
Altro importante capitolo della ricerca endocrinologica della prima metà del Novecento, anche per la sua straordinaria portata in clinica e nella terapia, è la scoperta e l’isolamento dell’insulina. La ricerca sulla sostanza glico-regolatrice rilasciata dal pancreas era stata aperta dalle indagini di Josef von Mering e Oskar Minkowski, i quali nel 1889 avevano provocato una forma di diabete sperimentale in un cane, con l’asportazione del pancreas. Nel 1908, il fisiologo tedesco, George Ludwig Zuelzer, arriva a controllare i livelli di zucchero in cani depancreatizzati somministrando estratti pancreatici. Tenta quindi di somministrare estratti di pancreas a pazienti diabetici, ma esaurisce presto le piccole scorte di cui dispone. Negli stessi anni, all’Università di Bucarest, Nicolas Constantine Paulesco, lavora all’isolamento dell’ormone antidiabetico da estratti di pancreas. Interrotte le ricerche per la guerra, Paulesco pubblica nel 1921, un lavoro in cui illustra l’azione ipoglicemizzante di una sostanza attiva ricavata dagli estratti di pancreas e che chiama pancreina.
Nel maggio dello stesso anno, all’Università di Toronto, Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best iniziano a lavorare su estratti pancreatici. È John James Richard Macleod a indirizzare i due verso il metodo più efficace per estrarre secrezioni pancreatiche e grazie al quale, nel settembre del 1921 riusciranno a trattare un cane con diabete sperimentale. Macleod arruola allora James Bertram Collip, un giovane biochimico, che alla fine dell’anno purifica gli estratti pancreatici sino a renderne possibile la somministrazione umana. Nel gennaio 1922 Leonard Thompson, un ragazzo di 14 anni, diabetico e prossimo alla morte, riceve la prima iniezione di insulina, nome che Edward Albert Sharpey-Schafer, aveva dato nel 1916 all’allora ipotetica sostanza endocrina per il controllo del metabolismo degli zuccheri. L’insulina viene infine isolata alla John Hopkins University nel 1926 dal biochimico e farmacologo statunitense John Jacob Abel e quindi sintetizzata nel 1965 da Yueh-ting Kung.
Negli anni seguenti, il ritmo delle scoperte accelera. Collip ottiene estratti paratiroidei ipocalcemizzanti; nel 1929 si arriva alla preparazione della cortina, un estratto surrenale depurato dall’adrenalina; lo stesso anno viene isolata la follicolina; nel 1931 è la volta dell’androsterone; nel 1934, con la scoperta del corticosterone da parte di Edward Kendall si apre l’epopea della ricerca sugli ormoni della corteccia surrenale; nel 1935 viene isolato il testosterone.
Parallelamente alla scoperta di nuove secrezioni ormonali e di correlazioni endocrine di diversa natura, nei primi tre-quattro decenni del Novecento le ricerche sulle funzioni dell’ipofisi anteriore evidenziano un livello ulteriore di complessità nella regolazione ormonale. L’adenoipofisi, oltre a secernere alcuni ormoni effettori – come l’ormone della crescita o somatotropina, la melanotropina e la prolattina – rilascia secreti che regolano e integrano le funzioni di tutte le ghiandole endocrine periferiche attraverso una serie di sofisticati meccanismi di controllo a retroazione.
Il programma di ricerca sulle funzioni dell’ipofisi, come era già stato per la tiroide, cominciò a delinearsi a partire dalla clinica negli ultimi anni dell’Ottocento. Nel 1886 il neurologo parigino Pierre Marie nota l’associazione tra i tumori dell’ipofisi e l’acromegalia, la sindrome, da lui stesso definita, dovuta a ipersecrezione di ormone della crescita e caratterizzata da un ingrandimento abnorme delle estremità del corpo.
Nel 1909 Harvey Cushing interviene su un caso di acromegalia rimuovendo chirurgicamente un terzo del lobo anteriore dell’ipofisi. L’anno successivo, Cushing, Samuel James Crowe e John Homans conducono, al John Hopkins Hospital di Baltimora, studi sistematici sugli effetti dell’ipofisectomia nei cani. Tali indagini, dimostravano che la rimozione completa dell’ipofisi nei cani conduce “inevitabilmente alla morte dell’animale con un caratteristico e peculiare complesso di sintomi”, che essi chiamano cachessia strumipriva, caratterizzata da debolezza progressiva, coma con gravi riduzioni della temperatura e del ritmo cardiaco a poche ore dalla morte. Sintomi identici si manifestano in seguito alla rimozione del solo lobo anteriore dell’ipofisi e vengono mitigati dal trapianto della ghiandola in altri siti corporei, mentre nessuna alterazione fisiologica significativa sembra conseguire dall’asportazione del lobo posteriore.
In questi stessi anni studi anatomici e istologici, inoltre, mettono in evidenza che l’ipofisi anteriore possiede le stesse caratteristiche citologiche delle altre ghiandole a secrezione interna e che durante stati fisiologici alterati o patologie, essa va incontro a evidenti modificazioni istologiche e morfologiche.
Gli studi di Cushing, inoltre, hanno avuto il merito di scoprire dettagli decisivi per la comprensione delle funzioni ipofisarie e delle complesse coordinazioni e regolazioni che essa mette in atto. Egli, infatti, aveva rimarcato nei resoconti le gravi atrofie delle ghiandole endocrine riscontrate negli esami autoptici. Era un indizio fondamentale per la comprensione della funzione regolatrice e tonica della cosiddetta “ghiandola maestra”.
Nel 1921 due allievi di Harvey Cushing, Herbert McLean Evans e Joseph Long scoprono il primo ormone ipofisario, un effettore però: l’ormone della crescita. È nel 1944 lo stesso Evans, con Choh Hao Li, a isolare dall’estratto di adenoipofisi la somatotropina, fattore stimolante la secrezione dell’ormone della crescita.
L’esistenza di ormoni adenoipofisari con funzioni tropiche, cioè a dire di regolazione delle ghiandole endocrine periferiche viene, invece, provata per la prima volta, tra il 1926 e il 1927, da Philip Smith. Grazie a una sua nuova tecnica chirurgica che permette di asportare l’ipofisi senza ledere l’ipotalamo nei topi, egli dimostra l’azione di un fattore stimolante la crescita della tiroide e la secrezione di tiroxina (la tireotropina) e delle gonadotropine, gli ormoni pituitari che regolano la produzione e il rilascio dei secreti delle gonadi. Il metodo di indagine è quello classico della produzione di un deficit ghiandolare, della sua correzione con una terapia di rimpiazzo e dell’osservazione delle conseguenze di stimolazioni eccessive.
Due eleganti studi sperimentali eseguiti nel 1930 dettagliano quantitativamente questo tipo di relazioni, dimostrando che le funzioni endocrine sono governate da un preciso meccanismo di controllo a retroazione. Karl Meyer e collaboratori, infatti, scoprono che l’azione gonado-stimolante dell’ipofisi negli animali varia in rapporto alla concentrazione ematica di estrogeni. Mentre il francese Max Aron prova che è possibile sopprimere la secrezione tiroidea indotta dall’iniezione di estratto pituitario se, contemporaneamente a esso, si somministra tiroxina. Tale fenomeno, secondo Aron, è dovuto all’interazione antagonistica tra le due ghiandole che si realizza, tramite i loro secreti, a livello del sangue.
Già verso la fine degli anni Venti la rilevazione dell’esistenza di alcune correlazioni anatomo-funzionali tra ipotalamo e ipofisi porta a ipotizzare attività secretorie di tipo endocrino a livello del sistema nervoso. L’ipotesi viene corroborata tra gli anni Venti e Trenta da osservazioni morfologiche e citologiche su alcuni neuroni dell’ipotalamo fortemente vascolarizzati e dotati di granuli secretori simili a quelli delle cellule endocrine. Questi studi, inoltre, dimostrano che il materiale secretorio prodotto da questi “neuroni gigantocellulari”, è presente nelle fibre assoniche (nervose) che conducono al lobo posteriore dell’ipofisi. Soltanto nei primi anni Cinquanta, tuttavia, si dimostra negli animali l’esistenza e la direzione di un flusso assonico in queste fibre, verificando definitivamente che gli ormoni rilasciati dalla neuroipofisi, ossitocina e vasopressina sono elaborati a livello ipotalamico dai neuroni gigantocellulari.
L’idea che il cervello sia in qualche modo coinvolto nel controllo delle funzioni ipofisarie si impone a partire dagli anni Trenta. Nel 1943 il fisiologo inglese Geoffrey Wingfield Harris ipotizza per la prima volta che le funzioni endocrine sono controllate dal cervello attraverso fattori umorali prodotti dall’ipotalamo e agenti sull’ipofisi.
Nel 1955, Murray Saffran, Andrew Schally dimostrano sperimentalmente l’esistenza del primo fattore di controllo ipotalamico, il releasing factor – questo il nome dato ai fattori umorali ipotizzati da Harris – della corticotropina. Il programma di ricerca giunge infine al suo apice alla fine degli anni Sessanta, quando viene provata conclusivamente l’esistenza di un fattore di rilascio ipotalamico di natura peptidica – i peptidi sono macromolecole costituite da un numero limitato di aminoacidi – per ogni ormone dell’ipofisi anteriore, e viene anche scoperta la presenza di prodotti ipotalamici con azione inibente la secrezione di quattro ormoni di tale ghiandola: la prolattina, l’ormone della crescita, la tireotropina, l’ormone stimolante la tiroide, e la melanotropina, l’ormone in grado di stimolare la produzione di melanina.
Da un punto di vista funzionale, la graduale delucidazione dei meccanismi endocrini e della natura chimica di un crescente numero di ormoni – che nei decenni successivi si scopre vengono secreti da organi tradizionalmente non ritenuti endocrini, come l’intestino e il cuore – alimenta nei fisiologi una generale consapevolezza del ruolo dei fattori chimici nei meccanismi di regolazione fisiologica. Dalla metà degli anni Cinquanta, quando viene accolto il concetto che la trasmissione nervosa è mediata da fattori chimici, gli ormoni vengono funzionalmente distinti dai neurotrasmettitori, correlandoli alle diverse modalità d’azione spaziale: un neurotrasmettitore dimostra un’azione locale definita, cioè agisce a una distanza molto corta dal punto di rilascio, mentre l’ormone esercita i suoi effetti a distanze maggiori rispetto al sito di produzione, in quanto viene trasportato dal circolo sanguigno. Dagli anni Settanta in poi, questa distinzione è diventata una nozione biologica di base.
Negli anni Ottanta è diventato possibile, grazie alle nuove tecnologie per lo studio delle membrane fisiologiche, definire meglio il significato del concetto, enunciato da Bayliss e Starling, secondo cui gli ormoni sono messaggeri chimici. È diventato possibile, cioè, comprendere la natura dei recettori che riconoscono i messaggi, la maggior parte dei quali si sono rivelati dei polipeptidi idrosolubili chimicamente simili agli altri recettori. Sono anche stati identificati degli ormoni steroidei liposolubili che possono penetrare nella membrana cellulare per agire a livello di specifici siti all’interno della cellula, incluso il DNA di cui possono direttamente attivare la trascrizione, innescando quindi la sintesi proteica.
L’endocrinologia ha fornito importanti strumenti terapeutici alla medicina, come gli estratti tiroidei che già nel 1892 si dimostrarono efficaci per il trattamento del cretinismo, o gli estratti pancreatici per la cura del diabete (1921-1922). Inoltre, nel 1951 consente di trasformare la fisiologia umana con l’invenzione della contraccezione. Più recentemente ormoni come l’eritropoietina o l’ormone della crescita sono stati utilizzati in modi meno compatibili con la salute, ovvero si sono imposti per un’utilizzazione fisiologica nel contesto del dopaggio sportivo. Infine, l’endocrinologia si è incontrata con l’oncologia e la genetica, in quanto specifici ormoni sono stati riconosciuti come marcatori della trasformazione neoplastica di particolari tessuti, come il tessuto mammario o quello tiroideo, indicando peraltro alla ricerca farmacologica dei bersagli da colpire per impedire la progressione del cancro, mentre lo studio dei geni che li codificano ha consentito l’elucidazione delle mutazioni genetiche caratteristiche e responsabili della ricorrenza familiare di tali forme tumorali.