Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nata come una semplice traduzione della Cyclopaedia di Ephraim Chambers, affidata alla cura di Diderot e d’Alembert, l’Encyclopédie si trasforma ben presto in un eccezionale Dizionario Universale delle Scienze e delle Arti. Ispirato al sistema delle conoscenze umane di Francesco Bacone, il progetto dell’opera si basa sulla scomposizione e sulla ricomposizione delle scienze nonché sulla ricostruzione delle loro origini e su tutte le possibili concatenazioni dei loro elementi.
La tradizionale distinzione tra speculazione teorica e conoscenze pratiche è rifiutata come retaggio di una concezione sistematica e sterile del sapere. Le voci, disposte in ordine alfabetico e redatte dalle migliori menti dell’epoca (da Voltaire a Rousseau, a Condillac ecc.), si integrano con un apparato di tavole che costituisce un vero e proprio repertorio del linguaggio visivo. Ma l’opera, che alla fine raggiungerà i 28 volumi (ai quali se ne aggiungono sette di supplementi), costituisce una macchina del sapere e, al tempo stesso, una “macchina da guerra” contro l’ancien règime, come provano le battaglie politiche e culturali, le polemiche e gli attacchi che ne segnano le vicende editoriali.
La grande Encyclopédie di Diderot a d’Alembert, monumento universalmente riconosciuto dell’età dei Lumi, dovrebbe essere, nelle prime intenzioni degli editori, la traduzione di un’enciclopedia che gode di un certo successo in Inghilterra e che, rispetto alle opere analoghe che la precedono, presenta indubbie novità. Si tratta dei due volumi della Cyclopaedia or Universal Dictionnary of Arts and Sciences dovuti a Ephraim Chambers, un poligrafo-giornalista di poca notorietà, stampati a Londra nel 1728.
Il libraio-editore Le Breton che poi, insieme ai colleghi Durand, Briasson e David, si fa carico di stampare l’E. di Diderot e di d’Alembert, acquista infatti i diritti della Cyclopaedia, affida il compito di dirigere l’edizione francese dell’opera a Gua de Malves, matematico, astronomo ed economista di buona levatura, il quale propone di ampliarne il disegno allo scopo di adeguarlo alle esigenze di un pubblico che ha maturato una consuetudine con dizionari enciclopedici di alto profilo. L’annuncio dell’uscita dell’opera è dato al pubblico nel 1745 e suscita subito l’attenzione positiva del “Journal de Trévoux”, influente periodico dei Gesuiti; ma l’impresa, nonostante gli entusiasmi iniziali, si arena per le disavventure economiche e l’inconcludenza di Gua, l’editore è in certo senso costretto ad affidare la direzione dell’opera a due giovani, già chiamati in causa in qualità di revisori per le traduzioni degli articoli della Cyclopaedia Si tratta del poligrafo e saggista Denis Diderot, che l’editore ha potuto conoscere e apprezzare in occasione della collaborazione data all’edizione francese del Lexicon technologicum, or an universal dictionary of the Arts and Sciences di John Harris (1708), e di Jean d’Alembert, precoce ingegno matematico che dà già prova delle sue capacità e della sua attitudine pubblicando, presso l’editore Durand, il Traité de Dynamique (1743).
La proposta di dare corpo a qualcosa di più nuovo e di più importante comincia a farsi strada. D’altra parte è un dato acquisito che in Francia circolino già da tempo opere di grande respiro le quali aspirano a proporsi come dizionari universali o critici e che comunque manifestano chiare intenzioni enciclopediche come il Moreri (Grand Dictionnaire Historique, 1674), il Fourétier (Dictionnaire Universel, 1690), il Corneille (Dictionnaire des Arts et des Sciences, 1694) e soprattutto il Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle pubblicato nel 1694 e ristampato almeno sette volte prima dell’uscita dell’Encyclopédie, nonché il Dictionnaire de Trévoux (1711) legato al potente ordine dei Gesuiti. Inoltre, la massoneria – qualche anno prima – aveva sollecitato i Grandi Maestri delle logge della Germania, dell’Italia e dell’Inghilterra a esortare tutti gli scienziati e gli artisti della “confraternita” affinché si unissero per raccogliere i materiali necessari alla costituzione di un dizionario universale delle arti liberali e di tutte le scienze utili, con esclusione della teologia e della politica.
Si può dire dunque che l’idea è nell’aria: a Diderot e a d’Alembert non sfugge il vento favorevole che spira a favore della realizzazione della loro idea, ma, proprio quando cominciano a mettere mano al nuovo progetto, s’avvedono anche delle notevoli difficoltà che un tale passo potrebbe comportare. In fondo tanto Leibniz, il quale riflette lungamente sul modo di fare una enciclopedia diversa da quella di Alsted (Encyclopaedia septem tomis distincta) che ammira nonostante i suoi evidenti difetti, quanto Chambers, il quale riesce a fare una sua opera enciclopedica di nuova concezione, non sono i soli responsabili dei limiti dei loro progetti e, nel caso di Chambers, della loro realizzazione. Diderot e d’Alembert avvertono che l’enciclopedia alla quale stanno pensando ha bisogno di qualcosa in più: richiede un “secolo filosofico”. E finalmente, affermano all’unisono e con convinzione i due direttori, quel secolo è arrivato!
Il nuovo progetto al quale cominciano a lavorare non trascura nessuno degli insegnamenti che avrebbero potuto essere assunti dalla riflessione di Leibniz, dal Dictionnaire di Bayle e, soprattutto, dall’opera del poligrafo britannico che aveva lavorato con un occhio rivolto a Bacone e con l’altro alle novità gnoseologiche ed epistemologiche proposte da Locke e da Newton.
Diderot e a d’Alembert non tengono nascosto il loro apprezzamento per l’originalità del lavoro di Chambers, ma con la stessa schiettezza non esitano a enunciare gli argomenti che avrebbero differenziato il loro lavoro. Intanto la Cyclopaedia non risolve in maniera soddisfacente il più importante dei problemi che si pongono a chi si accinge a un’impresa di questo genere: quello del rapporto tra l’ordine alfabetico del dizionario e l’ordine sistemico dell’enciclopedia. Del pari non adeguatamente risolta sembra tanto la funzione dei rinvii quanto quella della liaison tra le discipline, la quale dovrebbe rendere possibile una effettiva concatenazione delle conoscenze capace di discendere dai primi principi di una scienza o di un’arte alle sue conseguenze più remote. In sostanza il problema che si pone innanzi al nuovo progetto è quello di sfuggire al labirinto senza uscita generato dalla nuova disposizione delle materie individuando la sequenza dei criteri ai quali affidare il compito di rovesciare l’impostazione di Chambers e questo richiederebbe di necessità, per giustificare l’ordine alfabetico, di procedere da quello enciclopedico.
L’ordine enciclopedico, per d’Alembert, dovrebbe ricomporre “l’aurea catena delle scienze” e illustrare la coerenza razionale dell’intero sistema delle conoscenze umane; tuttavia, l’autore del Discours mette subito in guardia il lettore circa l’impossibilità di disegnare tanto un universo conoscitivo fedele all’ideale pansofico, quanto il sistema onnicomprensivo di un sapere che si nutre solo di catene deduttive, quanto infine uno strumento chiamato a rispecchiare fedelmente il mondo creato. L’unità, la semplicità, la continuità dei fenomeni si propongono ormai come postulati e la conoscenza certa non consiste più nell’idea a priori, ma nell’evidenza sensoriale.
L’unico procedimento metodologico capace di rendere qualche ragione dell’origine, della concatenazione e dell’unità delle scienze appare dunque a d’Alembert quello analitico, che consentirebbe di ripercorrere la genesi delle scienze e delle arti, come pure quella delle facoltà, o meglio delle operazioni, dello spirito e di disporre in serie quello che alla comune osservazione appare come un tutto. Il processo di scomposizione e di ricomposizione delle scienze e delle arti muove sia in senso orizzontale, e allora conduce dalla simultaneità, alla successione; sia in senso verticale, e in questo caso conduce dall’insieme delle percezioni ai principi delle singole scienze. Le operazioni complesse che l’intelletto esegue nella effettiva costruzione del sapere sono così ridotte ai loro elementi essenziali e generalissimi: quelli che costituiscono, nel loro insieme, l’histoire philosophique delle scienze, la quale offre un’immagine efficace della loro successione, della loro concatenazione e della loro unità.
L’espediente dell’histoire philosophique, il quale consente di semplificare operazioni oltremodo complesse, può indubbiamente contribuire alla costruzione di un ordine enciclopedico delle scienze, ma non ha la possibilità di prescindere dalle discontinuità, dalle incertezze, dalle incongruenze dell’effettivo cammino della ragione, dalla sua storia concreta; né può dar luogo a campi di conoscenza che non risultino strettamente legati all’esperienza e alla ragione. L’unità della natura e il perfetto concatenamento delle scienze appaiono a d’Alembert ipotesi limite tanto necessarie quanto indimostrabili.
Per concepire l’universo come un fatto unico, come una sola grande verità, aggiunge d’Alembert, sarebbe necessario abbracciarlo da un unico punto di vista; ma chiaramente questo unico punto di vista si dà solo in via di ipotesi. Sul tema dell’unico punto di vista, d’Alembert si dichiara convinto che tutte le cose hanno tra di loro un rapporto che ci sfugge e che, nel grande enigma del mondo, noi conosciamo solo alcune parti di cui possiamo farci un’idea. “Se le verità presentassero al nostro spirito una concatenazione ininterrotta, non ci sarebbe bisogno degli elementi, tutto si ridurrebbe a una verità unica di cui le altre sarebbero solo differenti traduzioni. Le scienze sarebbero allora un labirinto immenso, ma privo di mistero, del quale l’intelligenza suprema abbraccerebbe il tracciato con un colpo d’occhio e noi ne terremmo in mano il filo” (art. “Elémens des Sciences”). Analogamente a quanto avrebbe poi scritto Diderot all’articolo “Encyclopédie” a proposito della chimerica ipotesi astronomica centrale, d’Alembert ribadisce che questa guida così necessaria ci manca e la catena delle verità è spezzata in mille luoghi e soltanto a prezzo di enormi sforzi possiamo percorrerne le maglie. E tuttavia, sebbene il quadro generale delle scienze e dei rapporti tra le cose ci sfugga, sebbene la catena sia spezzata in mille punti, è possibile “distinguere le proposizioni o verità generali che fanno da fondamento alle altre e nelle quali queste ultime sono implicitamente contenute. Tali proposizioni, organicamente connesse, costituiranno propriamente gli elementi della scienza, poiché siffatti elementi saranno come un germe che sarà sufficiente sviluppare onde conoscere gli oggetti della scienza stessa in modo particolareggiato” (art. “Elémens des Sciences”).
Qui lo strumento dell’enciclopedia sembra contraddire se stesso: le uniche conoscenze possibili, ci diranno i direttori, scaturiranno dalla conoscenza dell’insieme dei rapporti che intercorrono tra le proprietà dei corpi: la sola conoscenza certa nella natura è quella che scaturisce dallo studio ben meditato dei fatti, dalla messa al bando di ogni ipotesi arbitraria, dalla comparazione dei dati, dall’arte di ridurre “un gran numero di fenomeni a un solo fenomeno, principio di tutti”. È questo quel livello di conoscenza che d’Alembert chiama della “metafisica ragionevole” e che Diderot ritiene indispensabile per la costruzione di un dizionario filosofico. Dunque la metafisica si propone come “scienza universale che contiene i principi di tutte le altre; poiché se ogni scienza non ha né può avere che nell’osservazione i suoi veri principi, la metafisica d’ogni scienza non può consistere se non nelle conseguenze generali risultanti dall’osservazione, presentate sotto il punto di vista più ampio possibile” (Discours préliminaire). E tuttavia la possibilità di costruire una scienza dei principi non porta con sé alcuna pretesa di conoscenza totale.
In entrambi i direttori dell’impresa vi è la piena consapevolezza che la molteplicità infinita della natura è costituita esclusivamente di individui e di corpi. Alla ricerca della mathesis universalis come scienza generale dell’ordine e della misura o della clavis universalis come mezzo per cogliere l’essenza e la trama ideale della realtà, come logica enciclopedica, si è ormai sostituita quella relativa alle origini e alla genesi intesa vuoi come analisi della costituzione degli ordini che procede dalle successioni empiriche, vuoi come disvelamento delle ragioni dell’esistenza di questo o quel fenomeno. E tuttavia questa conoscenza, considerata entro i limiti indicati, può raggiungere gradi di evidenza e di certezza soddisfacenti e registrare continui progressi e perfezionamenti. Ma occorre rigore anche nell’ordinare e nel comunicare le conoscenze acquisite; un’enciclopedia che raccoglie i risultati dell’ars inveniendi verrebbe meno a uno dei suoi scopi essenziali se non inventariasse secondo un certo ordine le scienze, se non tentasse una loro concatenazione. Tale compito, nel Discours, è affidato alla logica in quanto strumento che consente di “disporre le idee nell’ordine più naturale, di collegarle tra loro nel modo più immediato, di scomporre quelle che racchiudono troppe idee semplici, di considerare sotto tutti i punti di vista e finalmente di presentarle agli altri in una forma che li renda facilmente assimilabili” (Discours Préliminaire). Le operazioni della logica sono essenziali non solo per lo sviluppo della conoscenza, ma anche per la costruzione stessa dell’enciclopedia poiché essa dispone, collega, scompone, considera sotto tutti i punti di vista possibili le nostre idee. La logica, tuttavia, non s’accontenta di questo ruolo pure fondamentale; a essa è legata altresì la comunicazione del sapere che fa leva sulla comune origine delle sensazioni e sulle comuni procedure dell’arte di combinare e di raggruppare le idee che insegna a manifestare ogni idea nel modo più netto possibile e, di conseguenza, a perfezionare i segni che devono esprimerla.
L’ordine enciclopedico offre il vantaggio di stabilire il maggior numero possibile di rapporti interni tra le scienze, di disporle secondo un grado di generalità decrescente e di complessità crescente, di raccogliere il massimo di conoscenze realizzando il più alto grado di intelligibilità nello spazio mentale più ristretto. Quest’ordine colloca il filosofo al di sopra del vasto labirinto “in un punto di osservazione assai elevato donde si possa abbracciare tutte insieme le principali arti e scienze”. Tale ordine è semplice, chiaro, evidente e ammette tanta varietà quanta “non è possibile all’architetto più geniale e fecondo introdurre nella costruzione di un edificio, nella decorazione di una facciata, nella combinazione degli stili, in una parola in tutta la sua struttura” (art. Encyclopédie). L’ordine enciclopedico che l’opera adotta tende a riflettere “la concatenazione mediante la quale è possibile discendere dai primi principi di una scienza e di un’arte fino alle sue conseguenze più remote; da queste risalire ai primi principi; passare impercettibilmente dall’una scienza o arte all’altra e – se è permesso dire così – fare il giro del mondo letterario senza smarrirsi” (Prospectus). A questo punto chi intende cogliere l’unità e la concatenazione delle scienze deve trasformarsi in un paziente cartografo che, postosi in un punto d’osservazione privilegiato, può abbracciare tutte le scienze e le arti, osservare gli oggetti delle sue meditazioni e rendere presente alla mente l’intera gamma delle operazioni che su di essi può svolgere; distinguere le direzioni che assumono le conoscenze umane e ancora registrare i loro punti di connessione e di rottura. Ma come ogni cartografo avveduto, l’osservatore deve sapere che il suo mappamondo è di necessità incompleto e per di più varia e presenta aspetti nuovi e diversi a seconda del punto di vista, della prospettiva prescelta; dunque vi è la possibilità di immaginare “tanti diversi sistemi della conoscenza umana, quanti sono i mappamondi che si possono costruire secondo differenti proiezioni; e ciascuno di tali sistemi potrà avere persino, ad esclusione di altri, qualche particolare vantaggio” (Discours préliminaire). Il numero dei sistemi possibili della conoscenza umana – fa eco Diderot – è tanto grande, quanto il numero dei punti di vista.
Jean-Baptiste d’Alembert
Discorso preliminare
Encyclopédie, Vol. I, Discorso preliminare
L’opera che iniziamo – e che speriamo di portare a termine – ha due scopi: in quanto "enciclopedia", deve esporre nel modo più esatto possibile l’ordine e la connessione delle conoscenze umane; in quanto "dizionario ragionato" fornirà il piano e la partizione di questo discorso introduttivo. [...] Primo passo da fare in tale ricerca è esaminare, ci si passi il termine, la genealogia o filiazione delle conoscenze [...] risalire, in breve, all’origine e alla genesi del nostre idee. [...] Tutte le nostre conoscenze dirette si riducono a quelle che riceviamo ttraverso i sensi: ne consegue che tutte le nostre idee provengono dalle sensazioni.
Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, a cura di P. Casini, Bari, Laterza, 1968
Dunque l’ordine del dizionario avrebbe dovuto poter contare su una serie di punti di riferimento in grado di indicare le linee lungo le quali procedere per sfuggire al caos dell’ordine alfabetico per procedere alla collocazione funzionale degli oggetti e alla loro concatenazione.
Gli strumenti di cui si serve il Dictionnaire a questo proposito sono molteplici; il primo e più importante sarà il Système figuré. che assume un ruolo di collegamento fra i due ordini; il système baconiano che viene adottato, infatti, per un verso sembra dover giustificare l’intera impostazione epistemologica dell’Encyclopédie, mentre per l’altro avrebbe dovuto costituire il punto di riferimento essenziale per la collocazione degli oggetti entro il quadro di una conoscenza in fieri dell’uomo e della natura. In fondo, quando il gesuita Berthier accusa gli enciclopedisti di “plagio” e di “infedeltà” sembra, in un certo senso, cogliere nel segno: sul piano dell’ordine enciclopedico, infatti, il sistema figurato di Bacone consente ai direttori di non finire nel caos di Chambers. Letto secondo una direzione orizzontale il Système dice chiaramente che il criterio che guida la disposizione degli oggetti entro l’ambito della conoscenza non è riconducibile agli oggetti in quanto tali, ma alle facoltà, o meglio, alle operazioni mentali dell’intelletto. Ne derivano per un verso un ordinamento e una classificazione non naturali ma artificiali e convenzionali degli oggetti, donde una loro conoscenza parziale e progressiva; per l’altro una centralità dell’uomo che diventa allora il vero “ministro” e “interprete” della natura. Tant’è che d’Alembert al termine del Discours introdurrà entro il sistema una serie di modifiche, la più importante delle quali è quella relativa alla collocazione centrale assunta dalla “ragione” e al relativo spostamento dell’“immaginazione” nel ruolo di terza operazione dell’intelletto.
Letto in senso verticale, il sistema consente di trasferire al piano dell’ordine del dizionario l’essenza non solo di quell’ordine genetico (l’histoire philosophique e la logique) di cui parla d’Alembert, ma soprattutto di assumere (plagio) e di completare (infedeltà) il quadro delle scienze che Bacone ha descritto mescolando le cose già conquistate e i desiderata posti entro il necessario progresso del sapere, onde l’ampliamento notevolissimo della Storia naturale e della Logica, e anzi il completamento ovvero l’estensione della dimensione verticale dell’albero, che avrebbe dovuto dare il senso dei progressi registrati dalla scienza e del ruolo fondamentale esercitato dall’uomo che ne conosce e ne combina tutte le articolazioni. E così ogni lemma collocato entro il dizionario alfabetico, registrerà, tra parentesi, i riferimenti relativi al dominio scientifico al quale deve essere ricondotto. Ma la rete delle indicazioni interne a ogni lemma non s’arresta qui, anzi è questo il compito che rende indispensabile il ruolo dell’editor addetto alla “simmetrizzazione” dei criteri e degli ordini. Il lemma dunque trae da queste operazioni la sua collocazione tanto sul piano linguistico quanto su quello dell’arbor scientiarum, ma prevede anche una serie di segni, di riferimenti che costituiscono, allo stesso tempo, la traduzione sul piano del dizionario delle premesse poste da quello enciclopedico, ivi comprese le indicazione delle modalità di costruire infiniti percorsi per le infinite esigenze del lettore pur restando entro un circuito di verificabilità dei percorsi scelti.
Si potrebbe dire che, oltre a questa qualità di catalogo dei desiderata, agli occhi degli enciclopedisti lo schema baconiano mostra una flessibilità tale da consentire una reale adesione all’estrema mutevolezza della natura, da ricomprendere i caratteri di novità che le scienze maturano dopo Newton e da poterle ricondurre, insieme alle arti, alla crescita dell’uomo e al progresso della società.
Al regista dell’opera tocca un lavoro complesso e delicato, in tutto analogo, come dirà nell’articolo “Encyclopédie”, a quello di chi è chiamato a costruire ex novo una città. È necessario stabilire una serie di raccordi (quelli denominati piani di simmetria e rinvii) tra i diversi settori della stessa città e costruire un sistema di relazioni tra queste e le altre città poste nello stesso territorio. Le funzioni che Diderot affida agli ordini di simmetria proposti, sono in fondo le stesse che l’urbanista assegna a quei piani di intersezione che trasformano un insieme di spazi e di costruzioni in una città il più possibile vicina al progetto complessivo. Questi ordini risultano disposti secondo il principio della generalità decrescente e hanno il compito di stabilire un rapporto di concatenazione tra realtà omogenee.
Il primo è quello enciclopedico: questo piano complessivo del sapere che Diderot emblematizza nel mappamondo stesso delle conoscenze, si fonda sull’uomo, sulle facoltà e sulle operazioni della sua mente. Meno generale del primo, ma altrettanto importante è il piano cui viene affidata la determinazione dell’ampiezza delle varie parti di cui l’opera si compone, ovvero quale spazio da attribuire alle matematiche, alla morale, alle arti. Ma considerata la stessa dignità che hanno tutti gli oggetti e tutti i fenomeni, l’armonia tra le parti sarà il risultato di un lento processo e sarà affidata alla dinamica stessa delle discipline, le quali, accanto all’esposizione della propria storia critica, debbono riservare grande attenzione alle recenti scoperte. E a questo proposito lo scarto rispetto al modello predefinito di Chambers, dove tutto sta al suo posto, pone in primo piano gli squilibri e le sproporzioni inevitabili che tuttavia stanno a mostrare la situazione originaria dalla quale si dovrebbe partire per una riforma del sapere come work in progress. Un terzo piano di simmetria riguarda la distribuzione di ciascuna parte e i suoi collegamenti interni. Ovviamente qui entrano in gioco tanto la destrezza e il bagaglio di conoscenze dei singoli collaboratori i quali, tuttavia, dovranno attenersi a criteri il più possibile oggettivi, quanto l’abilità dell’editor al quale spetta stabilire i raccordi tra gli alberi particolari e assolvere all’opera del cartografo che deve saper tracciare le mappe generali del mondo come quelle dei regni, delle province, delle contrade, delle città. Il quarto avrebbe dovuto presiedere alla dislocazione nel dizionario degli articoli composti che nascono dal contributo di diversi collaboratori e che fungono per così dire da cerniere, da ponti tra contrade diverse di una stessa regione o regioni diverse dell’intero mappamondo del sapere. Si tratta di articoli chiave per lo stesso funzionamento dell’ordine enciclopedico. Il quinto piano riguarda i rapporti di generalità minima e di particolarità massima; esso affronta il problema della disposizione secondo cui, all’interno dei singoli articoli che nel loro insieme costituiscono una scienza, deve occupare ciascuna nozione. Su questo piano la responsabilità spetta solo all’autore.
Maggiore importanza per gli scopi che si propone, l’Encyclopédie è destinata ad avere la rete dei “rinvii” alla quale spetta il compito di tracciare alcune delle molteplici rotte di viaggio che si possono tracciare tra gli oggetti e che sono legate agli interessi,alle esigenze e alle capacità critiche del lettore. Quattro sono i tipi di rinvio chiamati in causa: quelli di parole, che hanno il compito di far convergere più articoli nel punto in cui viene fornita la definizione più chiara di un oggetto o di un fenomeno; quelli di tipo satirico o epigrammatico che possono svelare pregiudizi e superstizioni e costituiscono, talora, un modo delicato ed elegante per respingere, accuse e ingiurie oltre a smascherare “certi gravi personaggi”. Indubbiamente più rilevante sembra a Diderot il piano dei rinvii detti di cose e quelli definiti come congetturali. I primi “illuminano l’oggetto”, nel senso che consentono di richiamare analogie, nozioni comuni, rapporti di vario genere che si pongono tra articoli vicini o lontani, e che altrimenti rimarrebbero isolati; essi “avvicinano il ramo al tronco e conferiscono al tutto quell’unità così propizia alla scoperta del vero e alla persuasione”. Nettamente più spostata sul terreno dell’ars inveniendi appare invece la funzione affidata ai rinvii di tipo congetturale; un loro impiego oculato e misurato solleciterà i rapporti tra le scienze, sottolineerà qualità analoghe nella storia naturale e procedimenti tecnici simili nelle arti, farà scoprire nuove verità speculative e, infine, perfezionerà le arti conosciute oltre a richiamare alla memoria quelle antiche o dimenticate. Questo ultimo tipo di rinvii, gli unici in grado di innovare e modificare lo stesso ordine enciclopedico, è tutt’altro che facile: essi infatti, secondo Diderot, sono opera del genio, o meglio possono scaturire solo da un collaboratore che dispone di una notevole capacità di combinare, di un sicuro istinto così vicino alla teoria della scoperta di cui parla Bacone nella caccia di Pan, in un suo scritto da poco concluso come le Pensées sur l’Interprétation de la nature (1754).
Ma anche il piano dei rinvii, pure così accidentato, viene infine ricomposto e ricondotto a unità; Diderot sottolinea a questo proposito la profonda analogia di metodo che si pone fra opere di natura tanto diversa come di fatto erano l’Encyclopédie e un trattato di geometria. Proprio come un trattato di geometria rinvia con una sola citazione da un teorema o da un problema all’altro, così un dizionario ragionato come quello che sta prendendo corpo rinvia con una sola parola da un articolo all’altro: entrambe le opere dunque, grazie a un medesimo metodo, che è poi lo stesso con il quale l’Encyclopédie tratta le matematiche, giungono a formare “un insieme molto serrato, ben connesso, continuo […]; grazie all’ordinamento enciclopedico, all’universalità delle conoscenze e ai frequenti rinvii, i rapporti aumentano, si intrecciano i legami in ogni direzione, si accresce la forza della dimostrazione, la nomenclatura si completa, le conoscenze si riuniscono e si rafforzano; si valutano i nessi o le lacune del sistema; i suoi punti deboli, le sue parti solide; e con un’occhiata sola ci si rende conto su quali argomenti valga la pena di lavorare per la propria gloria e per la maggior utilità del genere umano” (art. “Encyclopédie”).
Nel 1751 l’Encyclopédie incomincia la sua avventurosa storia con la pubblicazione del primo volume, che comprende il Discours préliminaire di d’Alembert e il testo, rivisto e corretto, del Prospectus, di Diderot oltre a una serie di articoli (“Aius Locutius”, “Anima”, “Arte”, “Autorità politica”) il cui contenuto è destinato ad allargare il ventaglio delle critiche che il periodico dei Gesuiti ha inaugurato l’anno precedente e dunque, quando nel 1752 esce il secondo volume, molto meno ricco di spunti polemici rispetto al primo, la guerra ai philosophes è già dichiarata. Fin dal primo apparire, l’Encyclopédie non nasconde la propria intenzione polemica e critica nei confronti della tradizione e delle religioni rivelate e dell’alleanza politica fra trono e altare: un carattere originario che è senza dubbio messo in maggiore evidenza dalle forti contrarietà manifestate dagli ambienti ecclesiastici e da quelli conservatori più vicini alla corte, i quali vedono nel gruppo dei collaboratori all’impresa un partito organizzato contro la monarchia e contro la Chiesa: a ben poco valgono, a tale proposito, le precisazioni e le smentite di Diderot. Da macchina del sapere, quale in effetti è, l’Encyclopédie diventa una pericolosa “macchina da guerra”. Del gruppo entrano via via a far parte, oltre ai due direttori, personaggi come Montesquieu, Condillac, Buffon, Haller, Daubenton, Deslandes, Bonnet, Lacondamine,Voltaire, Rousseau, Hélvetius, Lalande, d’Holbach, Quesnay, Turgot, Necker, Condorcet, Morellet, de Jeaucourt, Yvon, Bernoulli, Formey, Vaucanson.
Le critiche cominciano con i Gesuiti. Padre Berthier, dalle colonne del “Journal de Trévoux”, accusa Diderot di “plagio” e allo stesso tempo di “infedeltà” nei confronti del cancelliere Bacone che il Prospectus chiama così apertamente in causa. Dopo l’uscita del primo tomo, i Gesuiti trovano alleati agguerriti nei dottori della Sorbona, irritati tanto dagli accenti eterodossi della tesi sostenuta dall’abate de Prades, quanto dalla sua collaborazione all’Encyclopédie quando chiedono e ottengono il ritiro dei primi due volumi e la sospensione dell’opera; sospensione che non ha alcun effetto per la protezione che l’Encyclopédie trova presso il responsabile della censura reale Malesherbes e, soprattutto, presso influenti ambienti di corte. Ma le polemiche non cessano anche perché i volumi III, IV e lo straordinario volume V (si apre con l’“Elogio di Montesquieu dovuto alla penna di d’Alembert”) giungono regolarmente ai sottoscrittori fra il 1753 e il 1756. Fanno seguito, negli anni immediatamente successivi, il VI e il VII, che non abbandonano i toni polemici contro la rivelazione, la chiesa, la vecchia filosofia e gli stessi pilastri del potere, consegnati ad articoli come “Diluvio”, “Diritto Naturale”, “Eclettismo”, “Enciclopedia”, “Elementi delle Scienze”, “Economia Politica”, “Esistenza”, “Fanatismo”, “Ginevra”, “Governo”.
Intanto, le critiche nei confronti del gruppo dei philosophes crescono di intensità: nel 1756 Charles de Palissot indirizza contro Diderot e i suoi collaboratori il libello intitolato Petites lettres contre les grands philosophes e, l’anno dopo, il presunto partito degli enciclopedisti diventa, sotto la penna di Nicolas Moreau, la colonia dei Cacouacs, animata dal solo desiderio di sabotare e distruggere ogni cosa. Diderot reagisce contro l’uno negando che gli enciclopedisti potessero essere considerati alla stregua di un partito e contro l’altro rifiutando l’appellativo di colonia e rivendicando il diritto di critica insieme a quello di piena ed effettiva cittadinanza. Ma per l’Encyclopédie si annunciano tempi difficili: alle polemiche esterne si affiancano quelle interne e i contraccolpi prima dell’affaire Hélvetius, ossia della pubblicazione e della condanna del volume De l’esprit, e poi della tempesta provocata dalla pubblicazione dell’articolo “Ginevra” (al quale viene attribuita una interpretazione del deismo in chiave apertamente razionalistica e antidogmatica, che porta a una dura presa di posizione dei pastori ginevrini sostenuti da Rousseau, il quale rinfocola così la sua polemica nei confronti di d’Alembert e di Voltaire, considerato l’ispiratore dell’articolo). Queste dispute lasciano il segno: nel 1757 d’Alembert, pure riconfermando la sua collaborazione scientifica, abbandona la direzione dell’impresa. E a peggiorare le cose, dopo l’attentato alla vita di Luigi XV, sopraggiungono gli inasprimenti della censura che hanno tra i suoi effetti anche quello della soppressione, nel 1759, del privilegio di stampa. Ovviamente la situazione si fa estremamente delicata per gli editori, i quali aprono con le autorità preposte alla stampa una trattativa che avrebbe condotto a una situazione di compromesso: fino a quando sarebbe durato l’effetto della censura i sottoscrittori avrebbero ricevuto, raccolte in fascicoli, le planches comprese nel piano dell’opera. Per cautela, tuttavia, gli editori invece dei due tomi previsti chiedono a Malesherbes, che la concede, l’autorizzazione a stamparne quattro, ma, come si vedrà, i volumi finiscono con il diventare molti di più.
Nel 1765 Diderot dichiara concluso il suo lavoro licenziando per la pubblicazione i volumi che vanno dall’VIII al XVII ai quali faranno seguito, nel 1776 e nel 1777, i tomi I, II, III, IV dei Suppléments (stampati dal libraio-editore Panckoucke il quale si vede concedere il permesso di ristampare l’Encyclopédie). I tempi sembrano cambiare. Nel 1762 viene soppresso l’ordine dei Gesuiti, la censura autorizza il completamento dell’opera e tuttavia i volumi che ora vedono la luce con il tacito assenso dell’autorità sono redatti clandestinamente, risultano stampati a Neuchâtel e non recano nel frontespizio l’indicazione degli autori e contengono articoli particolarmente significativi come “Hobbismo”, “Libertà Naturale”, “Machiavellismo”, “Ngombos”, “Preti”, “Potere”, “Rappresentanti”, “Tolleranza”. Nell’“Avvertenza al tomo VIII” Diderot ritiene necessario rivolgersi ancora una volta al lettore per informarlo che le difficoltà e le peripezie che l’opera ha incontrato non sono imputabili né alla vastità del suo progetto e neppure alle remore dei suoi esecutori, ma a una serie di “ostacoli morali” e di persecuzioni intessute di menzogne, di ignoranza e di fanatismo alle quali non sono preparati. “In fondo, ridotto alle sue pretese essenziali, il nostro lavoro”, aggiunge Diderot, “è stato all’altezza del secolo in quanto l’uomo più illuminato vi troverà idee che non conosce e fatti che ignora […] Possa la cultura generale progredire in modo così rapido che fra vent’anni, su mille nostre pagine, resti impopolare appena un rigo! [...] I padroni del mondo devono affrettare questa felice rivoluzione. Felice il tempo in cui essi avranno compreso che la loro sicurezza consiste nel comandare uomini istruiti”.
Il progetto iniziale dell’Encyclopédie prevede solo due volumi di planches le quali dovrebbero essere strettamente legate agli articoli del Dictionnaire in virtù della rete dei rinvii, ma sono le circostanze a decidere che esse assumano una dimensione di gran lunga superiore a quella che Diderot stesso avrebbe osato sperare. Alla fine i percorsi delle arti e dei mestieri, nonché quelli delle loro intersezioni, assumono la dimensione e i caratteri di un’opera parallela e, in certo senso, autonoma rispetto ai tomi dei Discours ed è proprio la loro estemporanea autonomia che fa lievitare la quantità delle tavole e con esse il numero dei volumi i quali alla fine, nel 1772, con aperta soddisfazione degli editori che ne hanno constatato il successo anche sul piano economico, saranno diventati undici ai quali se ne aggiungeranno due di “Supplementi”. Il linguaggio non è quello dei Discours, ma quello dell’ immagine che accentua il carattere analitico che già percorre gli articoli; l’ordine è sempre quello alfabetico; i temi quelli di una società avviata alla piena valorizzazione delle arti e delle scienze; l’intento quello di mettere in rilievo la stretta connessione che si pone tra il conoscere e il fare, tra l’uomo e l’oggetto della sua conoscenza e della sua azione. Nonostante l’apparente disordine, la continuità e la contiguità con il progetto di Diderot è notevole; le tavole infatti danno ulteriore conferma di quel rilievo che la “filosofia dell’oggetto” assume entro il quadro dell’intera impresa. A questo proposito, sempre nell’avvertenza al tomo VIII, egli scrive che i nostri posteri avrebbero saputo certamente fare di meglio, ma che intanto l’Encyclopédie lascia loro “la più bella raccolta di strumenti e di macchine che sia mai esistita, la descrizione più completa mai data delle arti meccaniche e una quantità ragguardevole di pagine dedicate a tutte le scienze”». Al di là di quello che ne può pensare Rousseau, la tecnica appare a Diderot un fatto progressivo, la macchina è alleata dell’uomo, essa avrebbe alleviato le sue fatiche e propiziato il suo benessere.
È all’idea dell’homo faber che l’alter ego di Diderot, Louis-Jacques Goussier, fa riferimento quando copia, trasforma, rielabora, ricerca nelle botteghe e nelle campagne e dà corpo e sostanza a un linguaggio che è più diretto, più preciso, più efficace perché più analitico, di quello dei Discours. E le tavole relative alle arti e ai mestieri, che per molti aspetti sembrano adottare una logique de la machine, per altri prestano il loro linguaggio essenziale anche allo studio dell’uomo e a quello della natura, non diventano tuttavia né telai, né fonderie ma cantieri aperti come, del resto, l’intera opera. La macchina sembra porsi al centro di questo cantiere e, nella sua sintesi di materia, di movimento e di umanità, ne rappresenta il momento più originale e più complesso; essa, infatti, non nasconde, anzi, per un verso mostra ben evidenti tutti i suoi ingranaggi e i suoi meccanismi, e, per l’altro, l’atto mediante il quale l’uomo ne propizia le funzioni.
Per questa via il linguaggio degli oggetti corre naturaliter verso l’inventario che non si presenta come un’idea neutra ma come la denominazione dell’oggetto, la nomenclatura, la classificazione e, infine, come la sua effettiva appropriazione.
C’è un rapporto tra le tavole disposte in ordine alfabetico (un dizionario dell’immagine) e il livello dell’enciclopedia (una filosofia dell’immagine) e lo si può trovare ancora una volta nella successione genealogica dei saperi ovvero nella loro histoire philosopique. Le tavole infatti possono abbandonare la loro disposizione alfabetica e lasciarsi ricomporre secondo uno schema che procede dall’agricoltura, passa per la caccia e per la pesca, transita attraverso la status di stanzialità dell’uomo rappresentato dall’architettura e dall’arte, per giungere infine alla tecnologia e alla scienza. La scarsa consuetudine sia a scrivere che a leggere testi sulle arti, sostiene Diderot, rende difficile spiegare le cose in maniera intelligibile, di qui l’esigenza di illustrazioni. Goussier, in sostanza, che porta a compimento almeno un terzo delle incisioni e si sobbarca il compito di coordinare tutti i volumi delle planches, è abile nel rimaneggiare tavole tratte da altre opere, conduce indagini, ricerche, interviste in provincia per giungere alla rappresentazione di cartiere, fonderie, vetrerie, fucine, fabbriche di specchi; sa come restituire, anche attraverso il disegno, una forte dignità alle arti meccaniche; come aderire al loro linguaggio tecnico, talora non lontano dal gergo; come scomporre nelle loro parti gli strumenti di lavoro e le macchine, il loro impiego e gli oggetti ai quali danno luogo quasi a evidenziare la logica che è riposta nella mano e nel gesto dell’artista o nelle operazioni della macchina. E anche in questo sembra volersi mettere in sintonia con il coordinatore generale dell’opera, il quale, nell’articolo “Art” scrive “in quale sistema di fisica o di metafisica si osserva maggiore diligenza, sagacia, logica che nelle macchine per filare l’oro o fare le calze, nei telai per tessere passamanerie, garze, stoffe o sete? Quale dimostrazione matematica è più complessa del meccanismo di certi orologi o delle varie operazioni cui vengono sottoposte le fibre della canapa o il bozzolo del baco da seta, prima di ottenere un filo adatto alla tessitura? Quale proiezione è più bella, delicata e singolare di quella di un disegno sulle maglie d’un liccio o delle maglie del liccio sui fili dell’ordito?”.
Denis Diderot
Prospectus
“Prospectus” dall’ Encyclopédie
Le diverse mani delle quali ci siamo serviti hanno impresso ad ogni articolo il suggello del loro proprio stile e quello dello stile appropriato al contenuto e all’oggetto di una data parte (...) Ogni cosa ha il suo colorito, e ridurre i diversi generi ad una certa uniformità significherebbe confonderli. La purezza dello stile, la chiarezza e la precisione sono le sole qualità che possono essere comuni.
Diderot e d’Alembert, Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, a cura di P. Casini, Bari, Laterza, 1968