Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel generale fenomeno di disgregazione e dispersione del patrimonio culturale greco-romano si diffonde la necessità di recuperare e riordinare organicamente tutto il sapere trasmesso dall’antichità; si fanno interpreti di questa urgenza tre dei maggiori intellettuali del tempo: Boezio, Cassiodoro e soprattutto Isidoro di Siviglia, autore della più grande enciclopedia altomedievale, le Etymologiae.
Isidoro di Siviglia
Denominazione dei libri
Etimologie, Libro I, cap. XIII, 1-3
Un codice si compone di numerosi libri, mentre un libro consta di un unico volume. Il nome codice è stato dato metaforicamente, con riferimento ai codices, ossia ai tronchi, degli alberi o delle viti, quasi a dire caudex, che significa appunto tronco, per il fatto di contenere gran numero di libri, che ne costituiscono per così dire, i rami. Il volume è un libro che prende nome dall’azione di volvere, che significa svolgere: ne sono un esempio, presso gli Ebrei, i volumi della Legge e quelli dei Profeti. Liber è il tessuto interno della corteccia, che aderisce al legno. Di essi parla così Virgilio:
“Il liber è attaccato all’alto olmo”.
Da qui che si dia il nome di liber al libro su cui scriviamo, poiché, prima dell’uso dei fogli di papiro e delle membrane, i volumi si fabbricavano, vale a dire si scompaginavano, a partire dai libri, ossia dalle cortecce interne, degli alberi. Per questo, anche i copisti furono chiamati librari, con riferimento agli stessi libri degli alberi.
(Lib. I, cap. XIII, 1-3)
La parte principale del corpo è il capo: il nome caput deriva dal fatto che tutti i sensi ed i nervi capiunt initium, ossia traggono origine, da esso, e perché da esso nasce ogni principio vitale. Nel capo si trovano infatti tutti i sensi, ragion per cui il capo stesso rappresenta, in certo qual modo, l’anima, custode del corpo. Si denomina vertice la parte del corpo in cui i capelli si attaccano al capo ed in cui vertitur, ossia si divide, la capigliatura, donde anche il nome. Il cranio prende il nome di calvaria dagli ossa calva, ossia dalle ossa prive di capelli: è parola neutra. L’occipite è la parte posteriore del capo, così chiamata quasi a dire contra capitium, dinanzi al cappuccio, ovvero perché capiti retrorsum, parte retrostante il capo.
(Lib. XI, cap. I, 25-27)
Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, trad. it. a cura di A. Valastro Canale, Torino, Utet, 2004
L’elemento che maggiormente caratterizza la cultura del VI e VII secolo è il diradarsi della produzione letteraria originale a vantaggio della tendenza al recupero e alla sintesi del sapere antico. Questa vocazione a compendiare e fornire organicità a tutto il sapere in forma di artes o disciplinae è un tratto distintivo delle artes liberales (in greco enkyklion paideia, cioè la “cultura generale”).
Tutto il patrimonio culturale greco-romano scampato alla caduta dell’impero è disperso in una miriade di opere complesse e di difficile lettura per uomini capaci solo di rapportarsi a conoscenze e nozioni di tipo compendiario e semplificato. Da qui la necessità di recuperare e riordinare tutto il sapere antico (Varrone, Celso, Plinio, Svetonio, Servio, Solino, Aulo Gellio, Macrobio, Nonio Marcello e Marziano Capella), per sottrarlo al fenomeno generalizzato di disgregazione della tradizione culturale, per risollevare l’organizzazione della scuola e soprattutto per venire incontro alle nuove esigenze della cristianità: facilitare la comprensione della Bibbia, preservare le verità teologiche dalle dispute sorte tra cattolici e ariani, trasmettere agli individui investiti di responsabilità politico-pastorali o dediti alla elaborazione di un nuovo sapere tutti gli elementi di cui si è arricchita la storia cristiana (dogmi, teologia, liturgia, esegesi, letteratura cristiana).
Nel generale processo di ridistribuzione e riorganizzazione dei poteri politici le responsabilità legate alla preservazione e alla trasmissione del sapere vengono interamente delegate alle istituzioni ecclesiastiche e monastiche. La dimensione religiosa giunge così a permeare di sé anche la sfera culturale: lo sfondo teologico che guida il processo di trasmissione del sapere antico perseguito dai Patres diventa la ragione stessa del recupero sincretistico della cultura antica, portato avanti separatamente da intellettuali attivi in diverse regioni dell’ex Impero romano.
Anche se la loro erudizione è ormai più incline alla quantità che alla qualità dei dati raccolti, l’esperienza di Boezio, Cassiodoro e Isidoro di Siviglia testimonia il tentativo di dare voce a questa nuova e comune visione del mondo; la cultura cristiana medievale si gioverà a lungo del loro sforzo e anche se tutti e tre hanno contribuito in varia misura alla trasmissione ordinata del sapere, solo l’ultimo merita a pieno titolo la definizione di autore enciclopedico per l’ampiezza degli interessi e dei risultati raggiunti. Il loro impegno sociopolitico e culturale costituisce l’indispensabile anello di congiunzione tra quanto resta della cultura antica (nella contestuale separazione tra Oriente bizantino e Occidente latino) e il successivo sviluppo delle cultura medievale.
Isidoro di Siviglia trova nell’indagine dedicata alle origini delle parole e delle cose la base da cui la cultura della sua epoca acquista nuova coscienza, dando compimento a un progetto che, iniziato con Agostino e continuato da Boezio, Cassiodoro e Beda, porterà la cultura classica e scientifica a essere soltanto cristiana.
Il maggior rappresentante dell’erudizione medievale è Isidoro, fratello minore di Leandro (vescovo di Siviglia dal 576 e responsabile della conversione dei Visigoti ariani al cristianesimo). Nato da una famiglia romana originaria di Cartagena, viene cresciuto dal fratello, che provvede a impartirgli un’educazione vasta e articolata. Nel 600 circa gli succede sulla cattedra episcopale e per 40 anni si dedica al rafforzamento della fede cattolica e alla riorganizzazione della Chiesa iberica, curando anche la raccolta di canoni detta Hispana, importante fonte di diritto dell’alto Medioevo. L’impegno politico e culturale perseguito da Isidoro nell’arco della sua vita non ne fanno un intellettuale isolato e tanto meno un nostalgico dell’Impero romano in contrasto con i nascenti regni germanici: unico e vero continuatore degli ideali politici di Cassiodoro, egli individua nei Visigoti i custodi del presente e i fondatori dello Stato nazionale del futuro.
Più che un pensatore dotato di spirito critico e originalità di pensiero, Isidoro è un compilatore che grazie a robuste letture ha acquisito una solida formazione letteraria e scientifica e che riesce a maneggiare come nessun altro il sapere antico; dedicandosi con abnegazione alla ricerca e alla raccolta dei testi tramandati dall’antichità, compie un poderoso lavoro filologico ed erudito. Generalmente considerato inferiore per statura intellettuale a Boezio e Cassiodoro, Isidoro realizza un progetto pervaso da un vero impegno politico, che tuttavia non è riducibile a un asettico prodotto concepito a tavolino, ma è piuttosto una proposta organica di sistemazione della cultura ai fini della formazione delle nuove classi dirigenti; il recupero dell’antichità infatti non è sentito come fine a stesso, ma è dettato da un’unica urgenza: preparare le nuove generazioni fornendo loro i mezzi necessari per accedere al sapere antico in forme comprensibili e di facile assimilazione.
La produzione di Isidoro è molto ampia e abbraccia molteplici generi letterari (esegesi, teologia, scienze naturali, storiografia ecc.), ma a dispetto della quantità dei generi trattati se ne trae una sostanziale impressione di coerenza. Il catalogo delle sue opere, compilato da Braulione di Saragozza, offre una panoramica esaustiva della sua attività, ma sfugge a qualunque tentativo di ricostruzione cronologica (perché solo poche opere risultano databili in modo attendibile).
Il De natura rerum (613-621) è un trattato scientifico basato sulla Bibbia, e su testi di Arato, Igino, Giustino, Lucano, Sallustio; a questa opera si affianca per affinità di contenuto il De ordine creaturarum. Si ricordano anche tre opere storiografiche: l’Historia Gothorum, Vandalorum, Sueborum (624), la Chronica (esposizione sommaria della storia dall’origine del mondo fino al 615 seguendo la ripartizione in sei età di Agostino) e il De viris illustribus (616-618), le cui fonti sono Vittore da Tunnuna e Idazio.
Il blocco centrale della produzione isidoriana è occupato da tre testi enciclopedici, che rispondono nei titoli e nella partizione a tre precisi capitoli della grammatica tardoantica: le differenze tra parole simili, i sinonimi e le etimologie.
Il De differentiis verborum in due libri elenca e analizza le parole omofone o di significato simile, nonché le differenze intercorrenti tra uomini e bestie, demoni angeli e uomini ecc.
Nei Synonyma (noti anche come De lamentatione animae peccatricis) in due libri (il primo in forma di dialogo tra uomo e ratio) sono affiancate nella trattazione questioni riguardanti esigenze grammaticali e problemi spirituali. Lo scopo è di dimostrare che lo studio della lingua è una guida indispensabile per il perfezionamento morale dell’uomo, in una perfetta osmosi tra amore per la cultura classica e pratica della devozione cristiana.
Le Etymologiae (o Origines), rimaste incompiute per la morte dell’autore (come dimostra l’assenza di prefazione), sono una sintesi ragionata di tutta la produzione scientifico-letteraria precedente; superando i limiti costrittivi del ciclo delle sette arti liberali ed estendendo la loro indagine a infiniti ambiti di conoscenza, restano la più grande summa altomedievale del sapere antico. Se ne conservano almeno due diverse redazioni: una prima recensione in tre libri allestita da Isidoro stesso e dedicata a Sisebuto e una seconda divisa in 20 libri da Braulione di Saragozza. Quest’ultima versione, codificata dalle moderne edizioni, è ripartita come segue: grammatica (I), retorica e dialettica (II), aritmetica, geometria, musica e astronomia (III), medicina, diritto e computo (IV-V), religione (VI-VIII), lingue e popoli (IX), un glossario di termini difficili (X), uomini e mostri (XI), animali (XII), universo (XIII), geografia (XIV), architettura (XV), geologia (XVI), agricoltura (XVII), guerra e giochi (XVIII), abbigliamento e mezzi di trasporto (XIX), cibarie e utensili (XX).
Il piano di lavoro è grandioso (frutto di vent’anni di ricerche e incessante attività), ma tradisce uno sforzo immane, che si palesa soprattutto nelle defaillances che affiorano dal testo (sviste, travisamenti, ingenuità). Il modus operandi è sistematico: per ogni termine si parte dall’etimo (da cui il titolo dell’opera) per giungere a una vera e propria descrizione fisica.
L’uso dell’etymologia non è una novità assoluta, perché già applicato nel De lingua latina di Varrone, ma del tutto originale è il suo impiego in un’opera di dimensioni enciclopediche, in cui viene usata come principio conoscitivo della realtà, nella convinzione (di matrice platonica) che le parole abbiano una funzione epistemologica, cioè che esista un nesso indissolubile tra una parola e ciò che essa designa.
Le fonti riprese da Isidoro sono vaste: antiche e coeve, cristiane e pagane, letterarie, tecniche e scientifiche (Varrone, Celso, Cicerone, Sallustio, Quintiliano, Virgilio, Ovidio, Marziale, Lucrezio, Svetonio, Plinio, Gellio, Marziano Capella, Ambrogio, Agostino, Lattanzio, Boezio, Cassiodoro, Servio), ma quasi mai il materiale passato in rassegna è stato sottoposto a lettura diretta, essendo di seconda o addirittura terza mano; spesso, inoltre, i passi estratti sono copiati parola per parola, recepiti passivamente o interpretati in modo acritico, il che rende le informazioni fornite da Isidoro semplicistiche e non sempre degne di fede.
Opera di grande diffusione manoscritta, le Etymologiae hanno riscosso una grande fortuna fino a tutto il XII secolo, rimanendo “l’enciclopedia” medievale per eccellenza, insuperata da altri trattati enciclopedici di età carolingia, come il De naturis rerum di Rabano Mauro e il Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena.
Nel complesso è possibile sostenere che l’opera di Isidoro guarda avanti, non indietro; in lui si percepisce una vivida passione per il mondo romano, ma in concreto non c’è posto per forme di utopia sterile e nostalgica: al contrario viene formulata una proposta culturale organica e funzionale, che mira alla formazione delle nuove generazioni e dei ceti dirigenti (laici ed ecclesiastici) di un futuro ormai alle porte.