Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per tradizione accademica l’egittologia e l’orientalistica sono due discipline distinte. In realtà, le due sono strettamente collegate fra loro e i legami fra l’Egitto e i popoli del Vicino Oriente sono ben testimoniati dai ritrovamenti archeologici e dalle reciproche rappresentazioni che si trovano costantemente nella letteratura e nelle opere d’arte.
Gli antichi Egizi credevano che la loro terra fosse la collina sorta dalle acque primordiali del Nun, avente al centro il tempio di Eliopoli. Questo spiega la loro visione quasi insulare del mondo. L’Egitto è maat, ordine, e i deserti e il mare che lo circondano servono a proteggerlo dal resto del mondo, che è caos. Gli Egizi si autodefiniscono remeteh, la gente e, più che per etnia, s’identificano per cultura: chi non ne è partecipe, è un potenziale nemico, che va o distrutto o sottomesso e sfruttato.
I primi contatti fra l’Egitto e il Vicino Oriente datano al periodo protodinastico e i segni dell’influenza mesopotamica sono visibili un po’ dovunque, sia in Nubia sia nell’area del delta del Nilo. Fra il 3400 e il 3000 a.C. ca., durante il periodo identificato come cultura Gerzeh o Naqada II, appaiono sigilli a cilindro e la metallurgia del rame si evolve velocemente, si producono vasi in pietre dure e s’introducono nuove forme ceramiche e motivi iconografici, come le processioni di animali e la lotta con o fra fiere, tipiche della cultura Uruk. Non si tratta di pedissequa imitazione; la civiltà egizia si sta già formando e i suoi artisti non assimilano semplicemente i tipi ma li ricreano, trasformandoli e adattandoli alla propria cultura: le raffigurazioni sui sigilli includono scene funebri, l’eroe invece di affrontare i leoni combatte coi coccodrilli, i mattoni crudi sono utilizzati per costruire edifici più complessi e monumentali di quelli mesopotamici.
A stabilire il contatto fra i due popoli potrebbero essere stati i mercanti mesopotamici alla ricerca di nuove fonti d’approvvigionamento di materiali preziosi come l’oro, di cui doveva essere ricca Naqada, nota in epoche successive come la città d’oro. Improvvisamente, alla fine del IV millennio a.C., alla vigilia dell’unificazione di Basso e Alto Egitto, questi contatti s’interrompono.
Le relazioni commerciali con la Siria e la Palestina riprendono nei secoli successivi e s’intensificano nel corso del Medio Regno (fine XXI-XVII sec. a.C.). La città costiera di Biblo, alle pendici del Libano, diventa per l’Egitto la principale fonte di approvvigionamento del legname, in particolare di quello di cedro, utilizzato per la costruzione di monumentali edifici. Durante la XII Dinastia (XX-XIX sec. a.C.) le influenze e le importazioni egiziane sono diffuse in tutta l’area levantina, e gli aamu, gli asiatici, che da qualche tempo hanno iniziato ad immigrare in Egitto, sono già numerosi nel Paese Basso; sono pastori, mercanti o fuoriusciti e molti di loro sono attestati dai testi al servizio di famiglie egiziane. Nella tomba di Khnumhotep, il governatore di Beni Hasan, per la prima volta sono raffigurati una quarantina di aamu portatori di stibium, il cosmetico nero che gli Egizi mettono attorno agli occhi. Sono riconoscibili per le tipiche barbe e i sandali, nonché per il colore della pelle, di un marrone più intenso e meno rossastro di quello utilizzato per raffigurare gli egiziani. A guidarli c’è il loro hika-khoswet, cioè un “governatore di una terra straniera”.
Il termine è utilizzato da Manehto, storico egiziano, per designare gli asiatici che nel XVII secolo a.C. assumono il potere in Egitto, gli Hyksos. Contrariamente a quanto ci dice lo storico, non ci sono tracce d’invasioni violente ed è probabile che un gruppo d’immigrati siro-palestinesi, da secoli immersi nella cultura egizia, abbia assunto il controllo del Basso Egitto in un momento di debolezza del potere faraonico, stabilendo ad Avaris la loro capitale. Fino a questo momento l’Egitto è rimasto isolato rispetto agli avvenimenti del Vicino Oriente e solo in seguito alle guerre intraprese per cacciare gli Hyksos, s’intromette prepotentemente nella sua storia.
Per evitare nuove intrusioni di “principi stranieri”, i faraoni della XVIII Dinastia (XVI-XIV sec. a.C.) sottomettono gran parte della Palestina ed estendono la loro influenza in Siria, fino a giungere a scontrarsi prima con Mitanni e poi con gli Ittiti. Il più agguerrito è Tuthmosi III (faraone dal 1479 al 1425 a.C.), che nei suoi 54 anni di regno conduce 17 campagne in Oriente, arrivando ad attraversare l’Eufrate.
Parte del ricco bottino ottenuto con le campagne militari o portato in seguito come tributo dai nuovi vassalli, è impiegato dal faraone per ampliare il Grande Tempio di Amon a Karnak, fondato da Sesostri I (faraone dal 1971 al 1926 a.C.) ai tempi della XII Dinastia e diventato, con il trasferimento della capitale a Tebe, uno dei più importanti luoghi sacri egiziani.
Il tempio è la struttura più grande e meglio conservata di un complesso dedicato alla triade composta da Amon, la sua sposa Mut e il figlio Khonsu, comprendente anche altri templi e un lago sacro. Il recinto trapezoidale nel quale sorge misura circa 400x600 metri, con il tempio vero e proprio, voluto da Tuthmosi I, posto circa al centro e regolarmente orientato est-ovest. Per accedervi bisogna attraversare una serie di piloni, disposti sia lungo l’asse principale del tempio che su quello perpendicolare nord-sud, costruiti in varie epoche e intervallati da sale e cortili.
Su alcuni piloni del tempio trovano posto varie liste toponomastiche, elenchi più o meno lunghi di città assoggettate dal faraone, che a partire dall’epoca di Tuthmosi III iniziano ad apparire accanto alle classiche rappresentazioni grafiche di stranieri catturati. La più nota si trova sul VI pilone, fatto erigere dallo stesso Tuthmosi III di fronte al tempio, e comprende i nomi delle 119 città, “tutte le inaccessibili terre dell’Asia”, che guidate dal re di Qadesh si ribellarono al faraone nel suo 22° anno di regno. È la “lista dei paesi del Retenu superiore racchiusi da sua Maestà nella vile Megiddo”. I capi delle città rivoltose furono portati poi dal faraone “come prigionieri nella città di Tebe per riempire i magazzini di suo Padre Amon, nella sua prima campagna di vittoria”.
La lista è riprodotta praticamente identica sul lato esterno del VII pilone, che assieme all’VIII racchiude il cortile designato per la sosta dell’imbarcazione sacra del faraone, mentre una versione estesa della lista, comprendente oltre 350 toponimi, che vanno dalla Palestina alla zona del medio Eufrate è incisa sul lato interno dello stesso VII pilone. I nomi delle città sono racchiusi in cartigli, sormontati dal torso di uno straniero, raffigurato con le mani legate dietro la schiena e sono scolpiti nella parte inferiore del pilone, sotto a un rilievo nel quale si vede il faraone con un gonnellino da battaglia, un ampio collare e il cappello del Basso Egitto, nell’atto di colpire con la mazza un gruppo di asiatici che regge per i capelli. Gli asiatici sono raffigurati inginocchiati e sovrapposti, quasi tutti con gambe e volti di profilo, solo i cinque centrali hanno il volto frontale come i torsi. I prigionieri sollevano una mano per chiedere pietà al faraone e alcuni reggono con l’altra un’ascia a becco d’anatra, arma tipicamente levantina, ma non più utilizzata all’epoca di Thutmosi III. Una scena simile è descritta pochi anni più tardi su una sfinge di Amenofi II (faraone dal 1427 al 1401 a.C.), sulla quale si legge: “Li ha raccolti tutti nel suo pugno, la sua mazza ha abbattuto con fragore sulle loro teste”, ma l’iconografia è antica e si trova già sulla paletta di Nemer (3000 a.C. ca.), l’unificatore di Alto e Basso Egitto.
Liste simili si trovano anche nella Sala delle Cerimonie, l’Akh-menu, “il più glorioso dei monumenti”, fatta costruire da Tuthmosi III sul retro del tempio per festeggiare il suo giubileo, e in cartigli sovrapposti incisi su un obelisco posto vicino al lago sacro, parallelo ad un altro obelisco contenente toponimi africani.
Le oltre 400 tombe tebane, concentrate sulla sponda occidentale del Nilo di fronte a Karnak, sono spesso scavate nella roccia e sono formate generalmente da un paio di stanze, una larga e una lunga, precedute da un cortile, nel quale è scavato il pozzo che conduce alla camera sepolcrale. Inserire nelle tombe iscrizioni o dipinti con accenni alla vita e alle imprese del defunto è un’usanza antica, ancora molto praticata in epoca tutmoside ma che scompare in epoca ramesside, quando al loro posto si preferiscono incidere brani di testi propiziatori per la vita ultraterrena.
La tomba di Men-heper-Re-seneb, Gran Sacerdote di Amon ai tempi di Tuthmosi III, presenta una serie di scene dipinte accompagnate da brevi testi. Si vedono i principi di Kefitu e di Hatti prostrati in adorazione e il principe di Tunip (Siria centrale) nell’atto di presentare suo figlio neonato mentre il principe di Qadesh offre un vaso decorato. Segue una processione di Asiatici, “con il loro tributo sulle spalle, tributo di ogni bene della Terra di Dio”, che proclamano al faraone: “Tu hai annichilito le terre di Mitanni”.
Fra le tombe tebane, una delle più grandi è quella di Rekhmire, visir ai tempi di Tuthmosi III e Amenofi II. Nel vestibolo, organizzati su cinque registri, si trovano dipinti i vassalli stranieri che recano il loro tributo all’Egitto. Ogni registro è dedicato a un distinto gruppo di persone: in alto c’è la gente di Punt, che porta incenso, scimmie e pelli; sotto ci sono i Cretesi, con pentole e bestiame; al centro sfilano i Nubiani con le loro offerte di avorio, oro e animali esotici; i vassalli siriani, nel quarto registro, recano vasi colmi d’olio e di vino, avorio, armi, carri e animali tenuti al guinzaglio (cavalli bianchi, un piccolo elefante e un orso); chiudono la serie, nell’ultimo registro, persone di varia provenienza.
Osservando le persone rappresentate sui vari registri si possono notare le convenzioni utilizzate dagli artisti egizi per rendere i diversi tipi etnici. Fra i tratti distintivi, si ha prima di tutto il colore della pelle: marrone scuro per i Nubiani, più chiaro per i Siriani e rosso per i Cretesi; le vesti variano dai corti gonnellini nubiani a quelli più elaborati cretesi, per arrivare alle lunghe tuniche bianche nord-siriane; i visi possono essere perfettamente sbarbati (cretesi e nubiani) o dotati di lunghe barbe a punta, con i capelli raccolti da un nastro o coperti da un cappello a calotta (siriani).
Due particolari liste topografiche provengono da un carro ligneo scoperto nella tomba di Tuthmosi IV (faraone dal 1401 al 1391 a.C.). Sulle sue pareti interne, sotto la rappresentazione del re in forma di leone dalla testa umana, nell’atto di saltare su tre nemici, si trovano su ogni lato sei cartigli sormontati dal torso del prigioniero; un lato è dedicato a città asiatiche, l’altro a città africane. Sulle pareti esterne si vede il faraone su un carro trainato da due cavalli, da una parte accompagnato dal dio Horus mentre attacca i nemici con arco e frecce, dall’altro mentre li minaccia con una mazza. La scena è affollata e confusa, coi nemici a piedi o su carro travolti e schiacciati dalla potenza del faraone, che “calpesta tutti i barbari dell’oscuro nord”.
I rilievi raffiguranti enormi scene di battaglia, accompagnati da testi per lo più stereotipati, nei quali variano quasi esclusivamente i nomi dei nemici coinvolti, si trovano scolpiti sempre in luoghi di grande afflusso, dove la visibilità e l’effetto propagandistico sono maggiori. Il genere, già presente all’epoca dei Tutmosidi, diventa tipico della XIX Dinastia e giunge al suo culmine ai tempi di Ramsete II (faraone dal 1290 al 1224 a.C.), il restauratore dell’impero coloniale egiziano, nonché il protagonista della battaglia di Qadesh, il più noto scontro armato di epoca pre-classica. Il suo complesso funerario, costruito sulla sponda occidentale del Nilo, chiamato Ramesseo, ha una strana forma a parallelogramma, adottata per mantenere sia l’orientamento del piccolo tempio della madre Tuia, a ridosso del quale è costruito, sia i piloni frontali al tempio di Amon a Luxor, sull’altra sponda del Nilo. La successione classica di cortile, atrio ipostilo, vestibolo e santuario è rispettata, ma ingrandita. I cortili diventano due e i vestiboli tre, con il luogo destinato ad accogliere l’imbarcazione sacra collocato fra di essi e il santuario. Intorno si trovano stanze secondarie, magazzini oblunghi e il tradizionale palazzo del tempio.
Sui piloni d’entrata e sulle pareti dell’atrio sono scolpiti molti rilievi inerenti alla battaglia di Qadesh. Sulla torre orientale del primo pilastro sono raffigurate fortezze siro-palestinesi, i cui capi sono catturati dagli Egizi. Solo 16 scene sono preservate, ma sono praticamente identiche fra loro: la fortezza è sempre uguale, con modificato solo il nome della città ed eventualmente il tipo di prigioniero, per lo più un asiatico barbuto. Altre scene ricordano per composizione quella del carro ligneo di Tuthmosi IV: gli Ittiti, convenzionalmente dipinti con la pelle gialla, attaccati dal faraone sul carro o assediati e sconfitti a Dapur, oppure la vittoria del faraone a Qadesh, con gli Ittiti caduti che giacciono a terra fuori dalle mura della città.
La struttura del Ramesseo è ripresa nel tempio funebre di Ramsete III (faraone dal 1194 al 1163 a.C.), costruito a Medinet Habu, di fronte a Luxor. La struttura è cinta da un possente muro di mattoni e comprende molti edifici fra i quali il tempio di Amon e varie abitazioni per funzionari e sacerdoti. Un canale collega l’imbarcadero costruito all’esterno della porta meridionale con il Nilo. Il palazzo del tempio, in mattoni, era decorato al suo interno con eleganti piastrelle invetriate dipinte, molte delle quali raffigurano prigionieri in vincoli. Sono riconoscibili tutti i tipi sopra descritti, ma a loro si aggiungono quelli che sono chiamati Popoli del Mare. Tutti indossano un gonnellino e molti portano i tipici elmi cornuti e armature ad aragosta, brandiscono lunghe spade e reggono scudi rotondi di varie misure. Si differenziano i Pelest, identificati coi Filistei, che hanno il capo coperto da elmi a criniera di cavallo e brandiscono lunghe lance.
Non tutte le rappresentazioni degli stranieri sono negative. Nella realtà, se si escludono i periodi di guerra, i rapporti con il Levante dovevano essere abbastanza rilassati. Della situazione nel Bronzo Medio si è già detto; per il Bronzo Tardo, a livello statale, abbiamo le lettere di el Amarna, missive inviate al faraone, che ci testimoniano delle pacifiche relazioni diplomatiche che Amenhotep III e Akhenaton tengono con i grandi regni di Mitanni, Babilonia e Assiria. A livello privato, ci sono testimonianze di tranquilla convivenza fra Egizi ed immigrati asiatici, giunti nella valle del Nilo come maestranze specializzate. Uno dei casi più particolari è quello del barbiere di Tuthmosi III, che concede la figlia di sua sorella in sposa ad un suo schiavo asiatico, rendendolo parte della famiglia.
Nella Storia di Sinuhe, uno dei testi letterari più diffusi nell’antico Egitto, composto durante il Medio Regno ma utilizzato per secoli come libro di testo nelle scuole scribali, si racconta, sotto forma di autobiografia, il viaggio compiuto dal protagonista alla morte del faraone Ammenemhat I (faraone dal 1991 al 1962 a.C.), per sfuggire alla guerra civile che si prospettava per la successione. Scappa in Siria, dove viene accolto da un principe dei nomadi locali, che lo tratta con ogni gentilezza e lo mette a capo di una sua tribù. E per quanto l’Egitto sia ritenuto superiore ad ogni altra terra e Sinuhe alla fine decida di tornarvi, il testo descrive le meraviglie della terra che lo ha accolto ed esalta la cordialità, la correttezza e la generosità dell’ospite.
Profezia di Neferti
Quindi un re verrà dal Sud,
chiamato Ameny, il misericordioso,
figlio di una donna di Ta-Seti, figlio dell’Alto Egitto;
prenderà la corona bianca,
indosserà la corona rossa,
unirà le Due Potenze.
Rallegratevi, gente del suo tempo:
il figlio dell’uomo lascerà il suo nome per l’eternità.
Gli Asiatici cadranno per la sua spada,
i Libici cadranno per la sua fiamma,
i ribelli per la sua ira, i traditori per la sua potenza.
Quando il serpente sulla sua fronte sottometterà per lui i ribelli,
qualcuno costruirà il Muro del Sovrano
per impedire agli Asiatici di entrare nell’Egitto.
Ode celebrativa alla divinità solare egizia
Inno ad Aton
Tu hai plasmato la terra secondo il tuo desiderio quando eri solo.
Tutti gli uomini, bestiame e animali selvatici,
tutto ciò che sulla terra si muove sulle gambe
e ciò che in alto vola con le ali,
le terre straniere di Khor e Kush
e la ricca terra d’Egitto,
tu hai messo ognuno al suo posto,
tu hai provveduto ai loro bisogni,
ognuno con il suo cibo
e ognuno il suo tempo di vita assegnato
e lingue diverse nel parlare.
Ugualmente la loro natura e i colori della pelle hai distinto
cosicché tu possa distinguere i popoli.
Descrizione della terra di Iaa
Le avventure di Shinue
Era una bella terra, Iaa è il suo nome: vi erano fichi e uva, il vino vi era più abbondante dell’acqua. Molto era il suo miele, abbondante il suo olio; ogni specie di frutta era sui suoi alberi. C’era orzo e frumento, e bestiame di ogni tipo, senza numero. Ebbi grandi privilegi, invero, per l’amore che si aveva verso di me.