L'educazione ai sentimenti
Tra i compiti che la Chiesa considera come prioritari, l’educazione ai sentimenti rientra pienamente nel disegno di formare e modellare l’individuo secondo un progetto educativo che non conosce soste né prevede ostacoli nel corso del tempo.
Dimostrando un’unità di pensiero e azione che presenta sostanziali persistenze di lungo periodo, l’attività delle gerarchie e delle varie associazioni e strutture collaterali cattoliche si concentra sulla necessità di diffondere una sorta di sillabario che funzioni come efficace pedagogia sentimentale.
Dall’Ottocento fino al secondo dopoguerra, con successivi interventi durante gli anni Sessanta e Settanta, si verifica una mobilitazione del mondo cattolico che utilizza vari strumenti e metodi per rivolgersi ai propri interlocutori con la proposta di un modello etico al quale riferirsi. Di qui l’attenzione costante all’universo degli affetti e dei sentimenti che si traduce nella volontà di entrare nel vissuto degli uomini e delle donne, ma ancor di più degli adolescenti, con l’intenzione di occuparsi dei rapporti fra i sessi, dell’amore, del matrimonio, dell’idea di famiglia, della sessualità e dei comportamenti nell’ambito pubblico e privato. Quella che storiograficamente viene definita da Lucien Febvre la «vita emotiva»1 rappresenta per i cattolici un campo di intervento privilegiato, ove esercitare un ruolo determinante nella formazione del ‘buon cittadino’ prima ancora che del ‘buon cristiano’.
I pericoli di scristianizzazione che periodicamente si affacciano nella lettura della realtà contingente sono visti come motivi per incrementare iniziative e attività finalizzate ad arginare tendenze e abitudini destinate a mettere in discussione l’ethos cristiano.
La capillare azione che si intensifica di fronte alla cosiddetta modernizzazione dei costumi è così volta alla costruzione di una morale funzionale all’attribuzione del posto che i cattolici devono assumere dentro la società, o per dirla con Traniello, nella «città dell’uomo»2. Gli interlocutori della politica educativa non sono solo i cittadini appartenenti alla comunità dei credenti, ma individui anche non esplicitamente praticanti, di entrambi i sessi, ripartiti secondo le età, verso i quali è necessario approntare un preciso piano di interventi.
A questo disegno devono concorrere figure diverse: dai genitori agli educatori, dai sacerdoti ai maestri, dai familiari ai pedagoghi, tutti impegnati a vario titolo a fornire le direttive per formare una corretta educazione sentimentale.
Tale impegno, che assorbe le energie e le risorse di un’attività intensa ed efficace, adatta incessantemente le varie politiche educative alle trasformazioni culturali, di costume e di mentalità. Spesso cambiano i soggetti e gli oggetti di questa mobilitazione morale, ma rimane invariata la finalità di costruire l’egemonia cattolica sul terreno della formazione e della trasmissione dei valori.
Se per la prima fase post-unitaria l’intento di trasmettere un codice etico rispettoso dei principi cattolici funziona come collante di un paese in cerca di identità, più difficoltosa ma ugualmente propositiva risulta l’opera di penetrazione nel tessuto della società di fine secolo, allorché le sfide dell’industrializzazione e della modernizzazione pongono l’esigenza di approntare un approccio più innovativo e convincente per rispondere ai mutamenti in atto, non ultimi quelli rappresentati dalla cultura politica dei partiti progressisti.
Una ridiscussione dell’impianto educativo diventa necessaria negli anni Trenta, di fronte a un regime fascista che impone precisi orientamenti sul piano formativo. Nella complessa compresenza di due morali che cercano la supremazia l’una sull’altra nell’irrisolto rapporto fra etica cattolica ed etica fascista, va individuato un rinnovato impegno dei cattolici a mantenere salde le redini della formazione dell’individuo, pericolosamente minacciata dallo ‘stato etico’ di Mussolini.
Confrontandosi con un modello di educatore plasmato con le armi della dittatura che mira a trasmettere valori condivisi quali la serietà, il sacrificio, la disciplina, i cattolici provano a salvaguardare il costume cristiano come indipendente dalla pedagogia fascista, contando su una tradizione dottrinaria di indubbia efficacia. Comune può essere l’obiettivo di contrapporsi alla società borghese considerata come simbolo di «mollezza» morale, ma diverse sono le strategie da intraprendere. Per Mussolini l’impegno maggiore va diretto contro un «edonismo facile e superficiale» in grado di provocare uno «stordimento perpetuo, in una ricerca ardente e mai sazia di nuove emozioni»3, con la promozione di una moralità capace di investire ogni aspetto della vita quotidiana, pubblica e privata, come requisito indispensabile per sentirsi parte di un’Italia che nobilita l’individuo anche attraverso la sua condotta. Il trascurare i propri affetti o il condurre una vita sregolata costituiscono un danno per la famiglia, il partito, lo stato. In questa direzione si rende concreta la politica del privato, tanto da essere giudicata come parte integrante di un’esperienza politica che fonda la propria stabilità anche e soprattutto sul controllo delle emozioni e dei sentimenti attraverso un’educazione funzionale sociale4.
Dovendo fare i conti con questa ferrea politica che investe con vigore l’educazione sentimentale, i cattolici sono chiamati a reagire, non tanto né solo per contrapporsi, ma per ribadire una leadership educativa mai messa in discussione fino in fondo. È per questo che anche durante il Ventennio il fervore cattolico non accenna a frenare, con particolari accenti proprio in merito a comportamenti e moralità.
Il vuoto aperto dalla caduta del regime fascista, nel pur complesso percorso che porta alla rinascita della democrazia, determina la possibilità di recuperare appieno quell’antica egemonia culturale attraverso una campagna che assume come missione il ripristino della moralità, una delle costanti non solo della dottrina religiosa, ma anche dell’impegno politico. Per moralità si intende un ventaglio molto ampio di opzioni comprendenti la famiglia e la sessualità, i comportamenti pubblici e privati, il tempo di lavoro e il tempo libero, in riferimento all’individuo e alla collettività. Sfumature varie e molteplici, che possono rientrare in un giustificato impegno per definire una compiuta opera di educazione ai sentimenti.
Così come era successo per i periodi precedenti, si rinnova l’opera di diffusione di testi di studio, racconti morali, romanzi, libri di cultura religiosa, manuali spirituali, meditazioni per adolescenti, corsi di esercizi spirituali, atti che ribadiscono la volontà dei cattolici di candidarsi come guida per intere generazioni. Le varie case editrici di ispirazione cattolica – Vita e Pensiero, Ave, Pia Società San Paolo, Lice, Sales, Elledici, Marietti, solo per citare le più importanti – accanto ad altrettanto numerose tipografie locali legate agli ordini religiosi, stampano ogni anno centinaia di titoli che affrontano il tema sotto diversi profili, in forma di manuali per educatori o educatrici, e di breviario per i giovani5.
La formazione comincia con l’approfondimento delle direttive dell’alta dirigenza ecclesiastica, a partire dalle encicliche papali, ma poi si allarga a considerare tutti gli aspetti teorici e pratici che coinvolgono la dimensione privata, con testi di cultura religiosa contenenti istruzioni precise sui modi di educare, i mezzi da impiegare, le strategie da mettere in atto per una corretta impostazione del problema.
Nella maggioranza dei casi si utilizzano i tradizionali generi letterari, tra i quali il dialogo con domanda e risposta, i racconti morali di facile lettura, le biografie di sante o beate da prendere come esempio, i romanzi sentimentali: schemi narrativi semplici capaci di alternare le metafore del bene e del male, attraverso la proposizione di una religiosità ascetica e sentimentale di sicura presa sul lettore. Pagine di orientamento e formazione utili a fornire le direttive di una vita emotiva da inquadrare dentro steccati ben precisi, al di fuori dei quali si possono trovare solo pericoli e rischi da evitare.
Ma tale schema educativo che regge per diversi decenni, comincia a essere inadeguato nel periodo successivo, soprattutto fra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, con un’accelerazione ulteriore determinata dagli spunti innovatori del concilio Vaticano II. Le sfide della modernità, rese ancora più acute dal compiersi del miracolo economico, finiscono per mettere in crisi non solo i codici ideologici, ma pure le strutture e i riferimenti concreti dell’organizzazione cattolica. Gli studi di sociologia religiosa mettono in luce comportamenti e pratiche in dissonanza crescente con le direttive della morale cattolica: incremento dei matrimoni civili, decisione di non battezzare i figli, aperture nei confronti del controllo delle nascite, approvazione dei rapporti sessuali prematrimoniali6. Si tratta di orientamenti diffusi, percepiti attraverso gli strumenti delle inchieste, delle ricerche e dei sondaggi che registrano un mondo in movimento, di fronte al quale colpisce «l’immutata, acritica sicurezza» di una dottrina che rivela «la sua evidente insufficienza rispetto ai problemi sociali dell’epoca»7. In questo contesto si inserisce il concilio che, al di là dei suoi esiti dottrinali, contribuisce ad aprire ulteriori solchi nella travagliata riflessione intorno all’identità dei cattolici, favorendo lo sviluppo di un’opposizione nei confronti delle posizioni difensive di una Chiesa preoccupata solo di demonizzare l’offensiva anticlericale e laicista. Di qui l’affermazione delle varie espressioni di quello che ormai comunemente viene definito «dissenso cattolico»8 e «copre intenzioni e posizioni diverse»9, ma in cui si ritrovano coloro che manifestano un bisogno di libertà e ricerca espresso in un sentire religioso maggiormente legato ai temi del vissuto10. I continui appelli a una chiesa più vicina alle necessità dei fedeli, «al servizio dell’uomo», si traducono in posizioni talvolta distanti dai principi codificati, ma capaci di aprire varchi in un’elaborazione che si propone di far prevalere la prassi sulla teoria.
Tale riflessione si amplifica in un confronto necessario anche con il movimentismo degli anni Sessanta che allarga la spinta alla libertà di azione e di pensiero fino a toccare confini che riguardano il privato. Coloro che si professano cattolici cercano di sciogliere i vincoli più rigidi, nei quali stentano a riconoscersi, per intraprendere esperienze autonome in grado di rendere visibili le differenze dalle dirigenze ecclesiastiche. E la «diversità» si misura nella volontà di collegare la fede alla società, cercando di interpretarne le trasformazioni in corso. Un fenomeno esteso, contagioso, che viene compreso in un «vasto movimento spirituale di base definito come un’altra chiesa», non tanto per evidenziare lo scisma dall’istituzione Chiesa, ma per sottolineare la «dimensione comunitaria, il luogo più compiuto del rinnovamento»11. Temi come «il Concordato, il divorzio, la scuola confessionale, il celibato ecclesiastico, il ruolo della donna» vengono introdotti nella vita delle comunità non solo come motivi di discussione, ma pure come dimostrazione dell’impossibilità dei cattolici di rimanere avulsi da un contesto in mutazione. Accanto alle elaborazioni culturali infatti, si manifestano comportamenti religiosi e morali che cercano un contatto meno conflittuale con il mondo moderno ‘modellato’ attraverso una coscienza più avvertita dei cambiamenti in atto. Per questo diventa legittimo discutere di controllo delle nascite, di sessualità e dei vari aspetti legati all’amore, anche e soprattutto dopo la diffusione dell’Humanae vitae, l’enciclica di Paolo VI del 25 luglio 1968 contro l’uso degli anticoncezionali. Non sempre a tali riflessioni corrispondono comportamenti coerenti, anche per la difficoltà dei movimenti di attecchire su larga scala, pur lasciando «tracce impresse» della vitalità di «una presenza diversa nella vita e nelle lotte politiche, sociali e civili»12. Ma il contributo si può misurare nell’aver colto e rielaborato orientamenti e tendenze sociali e morali che riguardano il modo di essere cittadini dentro la nuova società, senza negare la propria coscienza cristiana.
Nuova linfa alla discussione su questi temi viene portata dal dibattito sul divorzio, prima in riferimento all’approvazione della legge 898 del 1970, poi al referendum abrogativo del 1974. Ma si tratta di un confronto che pone come priorità l’aspetto politico e relega in secondo piano la vita vissuta. Un orientamento che caratterizza anche il modo di affrontare i temi etici nell’età contemporanea, riguardanti l’aborto, la procreazione nel caso di fecondazione assistita, l’eutanasia e il testamento biologico. Questioni che concernono l’intero ciclo della vita dalla nascita alla morte nei quali anche l’educazione ai sentimenti ricopre un ruolo determinante per la formazione delle coscienze.
In una società dove puntualmente si presenta il pericolo di un «paganesimo» atto a corrompere le morali individuali e collettive, l’educazione del cuore per intraprendere la strada dell’«amore onesto» rappresenta un imperativo per i cattolici. L’amore non è declinato solo nella dimensione religiosa e spirituale, ma anche in quella sentimentale che in ugual misura deve essere orientata alla realizzazione del buon cristiano.
Parlare di «amore onesto» o «amore vero» vuol dire fornire le coordinate per una morigeratezza di costumi capace di allontanare rischi di lassismo e degenerazione morale. Dopo i ripetuti allarmi di fronte alle «anime perdute» della realtà post-unitaria, all’alba del nuovo secolo si rinnova la necessità di combattere l’«immoralità dilagante»13 che tocca inevitabilmente anche le relazioni sentimentali.
Il tema dell’amore è particolarmente ripetuto in tutte le forme possibili dal momento che dalla giusta considerazione che di esso hanno le coppie discende poi la coesione della famiglia. Ma la difesa dell’armonia familiare non è l’unico motivo della mobilitazione cattolica. L’amore e l’educazione sentimentale sono interpretati come passaggi cruciali per controllare le emozioni e gli istinti sessuali14.
L’avvento della società di massa, proiettata verso la ricerca di nuovi ritmi di vita e di evasione, impone il disciplinamento delle emozioni come una delle armi più efficaci per tentare di conservare i cardini dei codici cattolici impostati sul rigore e sulla compostezza dei costumi. Un principio valido nella nuova realtà sedimentata dallo sviluppo industriale, ma sempre più radicato nei periodi successivi quando il contagio delle tendenze a modernizzare la vita quotidiana va assumendo maggiori spazi. Da tale consapevolezza si sviluppa un’attenzione crescente da parte delle varie strutture cattoliche a vigilare sulle passioni. Come ha rilevato Michela De Giorgio, negli anni fra le due guerre le organizzazioni cattoliche femminili giudicate «le più tenaci nel biasimare il lato notturno e distruttivo dell’amore-passione», svolgono «l’azione pedagogica anti-sentimentale più durevole»15, con l’insistenza sulla colpevolizzazione di coloro che si lasciano traviare dagli impeti irregolari del cuore.
Un impegno che viene rafforzato anche negli anni successivi, prima e dopo il conflitto mondiale. I manuali cattolici si soffermano sull’elencazione dei requisiti dell’amore onesto, come riportato nei primi anni Trenta da una rivista per signorine come «Fiamma viva», distribuita alle socie di Gioventù femminile, che indica senza tanti sottintesi le qualità e i valori che appartengono al «più sacro dei sentimenti umani»: l’amore che «nobilita la donna e redime l’uomo» con l’esclusione delle occasioni che portano ad allontanarsi dal rispetto di tali attitudini sentimentali16.
L’obiettivo principale riguarda proprio la capacità di convincere sulla differenza fra amore e passione, fra sentimento virtuoso e peccato carnale, attraverso una distinzione che poggia sulla dicotomia classica amore cristiano/amore pagano riferito al contegno dei due innamorati.
Ogni figura di riferimento del mondo cattolico, nel rispetto dei propri ruoli e compiti, si fa interprete di una cultura in grado di sedimentare principi da tradurre poi in pratica per una condotta esemplare.
Secondo le direttive della Chiesa, dall’enciclica Casti connubii di Pio XI (1930) al Discorso agli sposi novelli Amore pagano e amore cristiano, tenuto il 30 luglio 1941 da Pio XII, l’amore vero è quello che confluisce nell’unione matrimoniale in cui il rapporto sessuale è finalizzato alla procreazione17. Ogni situazione che esce da questo tracciato viene considerata illecita, trasgredendo un ordine morale nel quale a ciascuno è assegnato un ruolo preciso.
Una scelta fra il bene e il male sottesa a tutte le riflessioni, con una spiegazione ricorrente ben sintetizzata nell’elaborazione di Luigi Civardi: «come tutte le passioni anche l’amore sentimentale è cieco; quindi ha bisogno di essere illuminato dalla mente e guidato dalla volontà»18. L’amore sentimentale degenera quando diventa solo «amore sessuale», ossia «l’unione di due cuori, di due anime, di due corpi», con la prevalenza dell’unione dei corpi su quella del cuore e dell’anima. Una consuetudine, quella di cadere nella tentazione dei sensi, che contraddistingue l’«amore pagano» cercato e perseguito da tutti coloro che antepongono il piacere e la ricerca di voluttà alla morigeratezza dei costumi, fuorviando dall’unico percorso lecito che porta al matrimonio.
In questo disegno la donna assume una decisiva centralità, sia come soggetto sia come oggetto dell’amore onesto, depositaria e veicolo di virtù e qualità morali19. Sono numerosissimi i testi che, partendo dall’elenco dei pregi del carattere e del comportamento della donna, arrivano a definire i criteri per la scelta del fidanzato. Titoli quali Amore di sposa, Alle spose di domani, Istruzioni per fidanzate, La fidanzata ideale dimostrano come siano considerati basilari i manuali capaci di sintetizzare obblighi e divieti. Attraverso toni a volte perentori a volte suadenti, si mira alla costruzione di un’identità, quella cristiana femminile, finalizzata ai soli ruoli che alla donna spettano all’interno della famiglia e della società, ovvero quelli di sposa e madre. La scelta del marito deve essere il risultato di un corretto equilibrio fra età, condizione sociale, carattere, grado di cultura, partendo però dal principio base del rispetto dell’autorità dello sposo e della sottomissione della donna.
Si tratta di una vera e propria crociata contro ogni possibile cedimento all’emancipazione, considerata la fonte di tutti i mali nel processo di scristianizzazione. Per contrastare le inclinazioni modernizzanti va studiata una preparazione morale, e in alcuni casi anche fisica, con lo scopo di costruire il modello di fidanzata e moglie perfetta. La donna deve «saper tacere», «saper adattarsi», «saper rispettare», ponendo la volontà del marito al di sopra di qualsiasi altro imperativo. Proprio per questo esistono alcune categorie di donne destinate a essere respinte dai futuri compagni di vita. Le «passionali», le «capricciose», le «civette», le «litigiose», le «mondane», le «nevrasteniche», solo per riportarne alcune del lungo elenco, non solo recano danno a se stesse con una vita dissoluta e amorale, ma pure incontreranno difficoltà insormontabili nel realizzare il fine naturale al quale tutte le donne devono aspirare rappresentato dal matrimonio e dalla maternità. La donna deve essere la «vestale dell’amore», capace di «penetrare ed interrogare se stessa intorno all’adempimento della nobilissima sua missione», attraverso un percorso segnato da tre tappe: la preparazione, la realizzazione, l’incoronamento, ovvero i passaggi che portano a nuzialità e maternità20.
È chiaro che dietro a questi ripetuti allarmi si legge la precisa volontà di reprimere ogni forma di emancipazione delle donne, a partire dalla consapevolezza della propria sessualità. La percezione degli istinti sessuali da parte delle donne è inaccettabile e dove viene avvertita, scatta immediatamente la colpevolizzazione accompagnata alla certezza di andare incontro a un destino infausto. L’insistenza sulla malattia come risultato di un mancato controllo delle pulsioni diventa il mezzo più diretto per porre divieti e promuovere convincimenti. I consigli dei fisiologi vertono sulla necessità di non sprecare le energie da impiegare invece nella maternità. Ogni altra attività che esce da tale prospettiva viene condannata, finendo per legittimare la convinzione che la «passività» della donna sia «iscritta nel codice biologico femminile»21.
Ma affinché l’amore onesto funzioni, occorre anche il contributo dell’uomo. Se la donna risulta determinante nel non cedere o indurre in tentazione, anche il giovane deve fare la sua parte nel saper scegliere la ragazza giusta e comportarsi adeguatamente. A questo proposito anche per il futuro sposo vengono riservati libri educativi che da un lato riportano consigli e ammonimenti sulla scelta della futura compagna, dall’altro insistono su come sfuggire a tutte le occasioni e agli incontri con donne che si rivelerebbero poi inadatte allo scopo.
«La donna per l’uomo è un puledro bisognoso di redini e di morso», argomenta Icilio Felici, ribadendo ancora una volta l’autorità maschile, chiamata a forgiare carattere e personalità dell’ipotetica fidanzata22. E subito dopo avverte i giovani a diffidare di alcune categorie di donne: la prima riguarda le donne lavoratrici, un’attività che le ha spinte a «mascolinizzarsi», cioè a negare la propria natura per cercare una parità e un’indipendenza in contrasto con la visione cattolica che vuole la donna accanto al focolare; la seconda è quella delle donne «facili», che usano le armi della «civetteria» solo per vanità femminile; la terza è costituita dalle giovani che si fanno tentare dalla mondanità, uscendo di casa per frequentare cinema e feste. Si tratta di ammonimenti che solo in maniera esplicita sono rivolti agli uomini, ma in realtà hanno come riferimento i ruoli femminili da condannare, in una gerarchia di ruoli ben identificabile.
L’educazione sentimentale riguarda però anche i dettagli del comportamento amoroso che deve essere regolato attraverso un decalogo con l’elenco di tutto ciò che è lecito o illecito, fino a entrare nel merito dei gesti e delle effusioni concesse. Niente baci appassionati e carezze sensuali, ma solo «baci e abbracci che si usano tra persone che s’amano veramente e insieme si rispettano, cioè tra parenti», con l’attenzione a non «accendere pericolosamente la concupiscenza»23. Si arriva pure a ipotizzare il «perimetro» quotidiano all’interno del quale si devono muovere i giovani innamorati. In questo senso anche gli incontri tra fidanzati, seppure necessari per conoscersi meglio, non devono essere né troppo frequenti né troppo lunghi, e soprattutto in luoghi non isolati, partendo dalla considerazione che anche i giovani più virtuosi possono cadere in tentazione. Regole, ammonimenti e pure minacce che concorrono a mantenere alto l’ideale di una moralità da rispettare nel cosiddetto periodo di prova dell’amore onesto. Dopo i consigli su come preparare i giovani al matrimonio, soffermandosi sulle illusioni e i peccati sentimentali, sui metodi della scelta e sui comportamenti durante il fidanzamento, si entra nel merito della condotta matrimoniale. Anche in questo caso le direttive non divergono più di tanto dalle premesse, insistendo sul senso di sacrificio richiesto alla coppia che ha deciso di intraprendere questo nuovo percorso fatto di gioie e dolori, di soddisfazioni e rinunce.
Secondo i principi espressi da Pio XII, nel matrimonio si compie l’«amore coniugale» che deve essere «effettivo, totale, reciproco, esclusivo, duraturo, soprannaturale», ma anche capace di soddisfare «i godimenti del cuore e dei sensi», affinché il legame non sia mai messo in discussione. Ogni componente della famiglia dovrà rispettare il proprio ruolo per mantenere l’armonia giusta: la donna nei panni di moglie comprensiva e paziente, l’uomo in quelli di lavoratore instancabile e rispettoso che gestisce le risorse economiche e fa da tramite fra la famiglia e il mondo esterno. Se entrambi si manterranno dentro i confini della morale cattolica del matrimonio, l’unità familiare sarà garantita. E con essa l’egemonia della cultura cattolica, affermata attraverso una solida ed efficace educazione agli affetti che produce un riflesso anche sulla stabilità di una classe dirigente impegnata nel difficile compito di offrire una identità morale al paese24.
Quando si intraprende la strada per un’efficace politica di educazione sentimentale si insiste sulla trasmissione di valori funzionali a cementare una moralità coerente con l’etica cristiana. Parole quali purezza, semplicità, onestà, rettitudine, pudore, compaiono in ogni ammonimento a combattere il vizio e la degenerazione dei costumi.
I pericoli della ‘scristianizzazione’ che si evidenziano nella tendenza ad adagiarsi alle varie forme di materialismo devono essere sventati attraverso il recupero di uno stile di vita improntato a una severa serietà morale. Il confronto/scontro con la secolarizzazione25 impone un’impostazione coerente che comprende ogni dettaglio per articolare una risposta completa sul piano del vissuto, coinvolgendo pienamente il privato.
La società industriale che ha sostituito la semplicità della cultura contadina incentivando la ricerca della ricchezza e dei piaceri mondani, richiede un approccio diverso da parte dei cattolici, in direzione di un richiamo ai pilastri dell’agire individuale e collettivo. Non a caso viene ripetutamente sollecitato l’insegnamento di s. Francesco come esempio da imitare «per il nobile distacco dalle cose terrene, dal lusso in ispecie, dalle mode e dal piacere, contro la ingordigia della ricchezza e la sete insaziabile della voluttà»26.
Anche se mai abbandonato nel vocabolario cattolico, il termine purezza diventa parola programmatica a partire dalla metà degli anni Venti, quando un appello lanciato sul giornale Le nostre battaglie viene recepito da parrocchie, associazioni e circoli cattolici che trasformano il problema morale in una «crociata di purezza», avviata in principio dal Consiglio diocesano di Milano e poi diffusa in tutto il territorio nazionale.
Nel maggio 1926 la crociata diventa «iniziativa nazionale», con invito a pronunciare la preghiera/promessa in occasione della consacrazione alla Vergine, simbolo scelto per ribadire la necessità di anteporre l’innocenza e il candore a «corruzione e fango che avvolgono il mondo»27. La purezza è intesa come un baluardo che sappia unire castità e moralità, volontà e sacrificio, rinuncia e aspirazione religiosa, con la finalità di «governare i propri sensi e comandare ai propri istinti»28.
La tendenza a conservarsi puri riguarda uomini e donne (anche se l’attenzione principale è rivolta alla figura femminile), che devono saper respingere le tentazioni per mantenere l’integrità dello spirito strettamente correlata a quella del corpo. Una preoccupazione tanto più sentita da che l’industrializzazione comincia a diffondere le sue conseguenze anche sul piano dei comportamenti in pubblico. Uno dei rischi maggiori per la purezza è rappresentato infatti dalla cosiddetta promiscuità negli ambienti di lavoro che, facendo diventare abituali i contatti fra lavoratori di sessi diversi, finisce per compromettere la castità: un atteggiamento che rivela la difficoltà di interpretare i cambiamenti in atto in difesa di una visione immutata della società e delle sue gerarchie sociali, comprese quelle di genere.
Ma non è solo il lavoro a costituire un possibile attentato alla purezza. Negli ambienti esterni, e in modo particolare in quelli dedicati al tempo libero e al divertimento, si concentrano rischi altrettanto gravi. Nei testi religiosi di preparazione al matrimonio vengono elencati i «nemici pratici della purità», individuati nelle letture immorali, nella moda, nelle compagnie viziose, negli eccessi nel bere, nell’ozio: pratiche da contrastare con una «igiene conveniente di vita che bandisce mollezza e inerzia»29.
Le passioni incontrollate, insieme ai piaceri e ai divertimenti, costituiscono dunque i principali responsabili di una vita dissoluta in cui l’immagine di castità viene compromessa. Il conflitto tra fede e società moderna passa proprio dall’accettare o meno tali tendenze che incidono profondamente sul costume nazionale. Chi segue le regole della moda, frequenta feste da ballo e cinema, socializza nei luoghi di lavoro, apprezza ambienti equivoci o anche semplicemente affollati di individui di entrambi i sessi, si pone inevitabilmente sulla via della perdizione. Per questo i manuali insistono sui «castighi dell’impurità», individuati nei «danni nel corpo e nell’anima», nella perdita di acutezza nell’intelligenza, di sensibilità del cuore, di forza nella memoria, fino ad arrivare all’indebolimento del fisico che attraverso «impuri contatti» è destinato a «contrarre malattie terribili»30, con l’utilizzo del consueto metodo della minaccia fisica per scongiurare un comportamento contrario alla morigeratezza cristiana.
Partendo da questi presupposti, si giunge a una riflessione meditata sui valori positivi della purezza, con consigli e avvertenze pratiche su come conservarla. Le interlocutrici principali sono le donne che possono disporre pure di un modello virtuoso da imitare: Maria Goretti, la fanciulla che ha accettato di perdere la vita pur di mantenersi casta con una difesa che legittima il sacrificio, anche estremo, in nome della salvaguardia del bene più prezioso della donna31. A tal fine, soprattutto negli anni Trenta, l’esempio di Maria Goretti si presta come sprone per tutte le donne a fornire «il coraggio di dire il vostro “no” energico e costante a tutte le insidie della moda, dei cattivi esempi, delle cattive letture, della insana e pagana corrente del mondo»32, dimostrando di saper sorvegliare la propria onestà.
Quando è intesa come salvaguardia della propria rettitudine, l’educazione alla purezza viene estesa anche agli uomini, nell’accezione di disciplinare le passioni e le reazioni più istintive. Se per le donne il richiamo alla verginità rappresenta l’appello diretto, la purezza maschile riguarda invece la «capacità di regolare il proprio istinto sessuale e mantenerlo nel rigido binario delle leggi morali». Non vengono negati i «diritti della carne», peraltro ritenuti legittimi solo quando si riferiscono agli uomini, ma a condizione che siano compresi dentro il percorso del matrimonio. Il riferimento alla castità maschile riguarda soprattutto la «purezza prematrimoniale»33, ribadendo la necessità per il giovane di opporsi al principio di godersi la vita prima di arrivare all’altare. È vero che spesso l’istinto sessuale maschile viene giustificato di fronte alle lusinghe avanzate dal diavolo tentatore personificato dalla donna «leggera», ma la capacità di sapersi controllare determina poi l’armonia della vita a due.
A partire da tali presupposti che sono costanti fino allo scoppio della guerra, si avvia la battaglia per la purezza legittimata dalla lettera datata 10 maggio 1941, inviata per volere di Pio XII e firmata dal segretario di stato, cardinale Maglione, alla presidente di Gioventù femminile di Azione cattolica Armida Barelli. Una vera e propria «crociata» giustificata dalla necessità della «lotta per il buon costume», rivolta soprattutto alla gioventù femminile, «il settore più esposto, più insidiato, più indifeso di tutti mentre è quello ove la virtù può avere la più fiorente ed edificante manifestazione». Il significato e le finalità dell’intervento vengono spiegate dallo stesso pontefice: «è una crociata contro gli insidiatori della morale cristiana, contro i pericoli, che al tranquillo scorrere del buon costume in mezzo ai popoli vengono creando i potenti flutti dell’immoralità traboccanti per le strade del mondo e che investono ogni condizione di vita»34.
Di fronte a questo aperto intervento della Santa Sede, si moltiplicano le iniziative volte a presentare la purezza come «dovere» e come «ideale di vita», capace di coinvolgere i soggetti più deboli e inclini a cadere nelle tentazioni della società e di approntare per tutti una «cosciente resistenza al male».
L’invito a mantenersi puri non è solo un voler ripristinare i valori cardine del sentire religioso, ma una necessità determinata dalle insidie di una modernità che impone altre priorità35. Una preoccupazione ancora più avvertita nei periodi successivi quando la battaglia per la purezza rivela la propria inadeguatezza di fronte alle sfide della liberazione sessuale.
Educare alla serietà morale che implica saper dosare sentimenti e affetti, diventa una priorità quando gli interlocutori sono i giovani, i soggetti più sensibili ai pericoli della società moderna, con una personalità ancora fluida da poter forgiare. Di qui un’attenzione crescente a tutti i luoghi e ai riti destinati a far deviare dal percorso di rettitudine previsto.
Non c’è differenza sensibile nel corso degli anni nell’approntare i mezzi e le campagne per arginare gli allarmi che progressivamente si manifestano. La società moderna è quella coinvolta dalla scristianizzazione, quindi giudicata pervasa dal continuo pericolo dell’immoralità.
Si possono dunque identificare dei tratti comuni capaci di attraversare almeno cento anni di storia, compresi fra la fine dei due secoli. Per modernità si intende un concentrato di tentazioni racchiuse nell’esposizione di sé e del proprio corpo, insieme alla frequentazione di ritrovi in grado di trasformarsi in occasioni di peccato, attraverso la vicinanza promiscua di uomini e donne. Tra i mali della società «pagana» vanno annoverati il lusso, la mondanità e l’ozio, interpreti di uno spirito che legittima atteggiamenti troppo liberi, immagini e pose audaci, contenuti lascivi, contatti pericolosi.
Partendo dalla sempre demonizzata seduzione, uno dei primi pericoli sui quali si sofferma la mobilitazione cattolica è rappresentata dalla moda, caratterizzata dall’uso di abbigliamenti sconvenienti da parte delle donne. La moda indecente e «procace» definita «sconcia» per la capacità di attentare alla «santità dei costumi»36 attraverso la scoperta di parti del corpo finora nascoste, rappresenta un campo in cui le reprimende degli educatori cattolici sono più severe. Chi indossa un «abito pagano che mette in vista in modo procace la donna, la femmina, la mala femmina!» abbandona la moralità cristiana, finendo per «seminare il mal costume»37. Per questo diventa impellente organizzare una difesa convincente per anteporre l’«eleganza cristiana» alla tendenza a indossare «vesti impudiche che fanno perdere il pudore»38.
La moda viene considerata fra le cause maggiori del «malessere moderno», con la responsabilità di minare moralmente la società, insidiata dalla caduta dei valori legati al decoro e alla misura. Per impedire gli eccessi si invitano le donne a evitare abiti troppo corti o attillati, scollature e trucco vistoso: un abbigliamento destinato ad attirare su di sé gli sguardi, ma al prezzo di un’attenzione che condurrà a un isolamento coincidente con l’inevitabile zitellaggio. L’unico obbligo da seguire riguarda la «modestia cristiana» che individua nella compostezza e nel rigore estetico i puntelli nella costruzione di un’identità femminile basata sulla volontà di anteporre la bellezza spirituale a quella materiale.
Connesso alla moda, l’altro pericolo riguardante le donne concerne sempre l’aspetto fisico, ma riferito al luogo di lavoro. Quando si diffonde il modello della società di massa che registra l’ingresso delle donne nei vari ruoli professionali, viene guardato con sospetto il lavoro femminile che sottrae tempo ed energie alla famiglia e, soprattutto, unisce promiscuamente sessi diversi nello stesso ambiente39. Per denigrare e scoraggiare tali tendenze viene utilizzato il modello della donna «mascolina» come antitesi a ogni forma di femminilità. Il «mascolinismo» è una definizione ricorrente per descrivere gli atteggiamenti di quelle donne che fumano, si tagliano i capelli corti, fraternizzano con i compagni, accettano di lavorare e conversare negli stessi ambienti degli uomini. Chi decide di imitare l’uomo avrà come risposta il rifiuto dell’uomo stesso che può scherzare e ridere con la donna mascolina, ma non ipotizzare un futuro insieme, con l’insistenza sulla prospettiva di una condizione di solitudine e isolamento. La mascolinità è associata al desiderio di indipendenza che dai cattolici è interpretato come un «abuso contro il buon senso», indirizzando le giovani verso quella «sete di piacere» proiettata verso la dissoluzione morale. Una conferma di come la cognizione del cambiamento del ruolo della donna all’interno della società sia chiara, ma proprio per questo ancora più rigida nel tentare di mantenere l’antica gerarchia.
Se l’ambiente di lavoro può trasformarsi in fonte di peccato, altrettanto pericoloso è considerato l’ozio, soprattutto nella condizione in cui venga riempito da abitudini insane. Fra queste figura la lettura, riferita a testi capaci di indurre pensieri impuri, soprattutto nella fantasia dei giovani. Le «cattive letture» quali i giornalini, i fumetti, i rotocalchi, ma soprattutto i romanzi, finiscono sotto l’occhio vigile dei cattolici, che tentano di arginare la diffusione di pubblicazioni contrarie alla morale, facendo dei consigli alla lettura una delle priorità da rispettare nell’opera di formazione dei giovani, attraverso la netta separazione fra ciò che si deve o non si deve leggere. In particolare è il romanzo, e prima di tutto il romanzo d’amore, a costituire oggetto di attenzione. Il linguaggio, i contenuti delle storie d’amore e spesso anche le illustrazioni trasformano questo tipo di letteratura in un genere inadatto alla formazione di un individuo retto e morigerato. A maggior ragione tale considerazione vale per gli adolescenti, attratti dalle letture romanzesche e dalle favole intrise di amori e sentimenti. Si sprecano gli ammonimenti a diffidare dei romanzi moderni, considerati come il «peggior veleno» per le giovani generazioni40. La paura principale riguarda il coinvolgimento dei lettori, ma ancor più delle lettrici, in una trama narrativa che possa essere scambiata come una realtà raggiungibile e induca a identificarsi nei personaggi di finzione, sognando di poter aspirare anche nella vita quotidiana alle stesse storie d’amore ambientate in luoghi e atmosfere giudicati immorali.
Di qui parte l’impegno degli educatori cattolici a vietare un certo tipo di letture, alle quali sono contrapposti romanzi consoni alla formazione morale così come testi prescrittivi e militanti che rinunciano alla funzione di intrattenimento per acquistare invece quella ben più importante di strumento di trasmissione dei valori codificati dall’etica cattolica. I manuali di formazione giovanile pubblicano gli elenchi dei testi concessi in materia di letteratura, letteratura amena, ascetica, morale, dogmatica, filosofia, agiografia, arte e scienze, mettendo all’indice le letture pericolose che si riferiscono soprattutto alla letteratura straniera e in modo particolare ai romanzi che «difendono e sostengono tesi anticristiane e immorali»41. L’immoralità è rintracciata nei racconti che esaltano amori senza freni, dove ogni senso del pudore viene abbandonato in nome del libero sfogo di istinti e passioni. A questi vanno contrapposti titoli alternativi rintracciabili ne I grandi romanzi della Salani, nei Romanzi dell’alba dell’Istituto di propaganda libraria, nella collana Il Fiordaliso e nei Romanzi del biancospino della Pia Società San Paolo, la collana del Messaggero di S. Antonio: solo alcuni esempi di una ricca produzione che si iscrive nell’universo molto più vasto delle letture contro i «pericoli della modernità»42.
Un altro terreno dove si avvia la «bonificazione morale» come nerbo della mobilitazione cattolica riguarda la cosiddetta mondanità, giudicata come carattere specifico della società moderna. Per contrastare la promiscuità fra i giovani di sesso diverso, vengono messi sotto osservazione e criticati i luoghi di socialità. Nell’Ottocento la crociata cattolica si rivolge soprattutto contro le osterie che non solo si trasformano in ritrovi rivoluzionari dei socialisti, ma minano il bagaglio di educazione e cultura necessario a formare gli «onesti padri di famiglia»43. Attraverso l’abuso di alcol e di vino, pratica diffusa per coloro che frequentano le bettole, vengono dimenticati i principi della sobrietà cristiana, attentati anche da un linguaggio che fa uso smodato della bestemmia, uno dei sintomi diretti della cultura anticlericale e antireligiosa. In realtà, mettendo in guardia i giovani (e non solo) sui pericoli dell’osteria, i cattolici insistono sulla bontà dell’alternativa rappresentata dagli oratori, il più idoneo ritrovo per la «sana e onesta» gioventù.
Se l’osteria rappresenta fino al Ventennio lo spazio dove la formazione cattolica rischia di essere appannata, negli anni successivi sono i luoghi dell’evasione e del divertimento a costituire una minaccia ancor più grave, anche e soprattutto in riferimento alla corruzione dell’educazione sentimentale.
Se un’efficace e incisiva educazione ai sentimenti deve passare dal controllo della vita privata, ogni momento trascorso dentro o fuori le mura domestiche diventa motivo di attenzione da parte dei cattolici. Il tempo libero quindi, dedicato al cinema o allo sport, al teatro o al ballo, alle feste o alle gite, assume un ruolo determinante a fini educativi e di controllo sociale.
Il movimento cattolico attribuisce al tempo libero significati formativi, utilizzando strumenti come il cinema o il teatro di parrocchia in funzione di complemento dell’esperienza religiosa e cristiana. Viceversa, vengono contrastati come fonte di immoralità e peccato tutti i divertimenti che la società moderna incentiva.
Affrontando il tema del tempo libero, i cattolici dimostrano di capire l’importanza sempre maggiore da esso acquisita, senza però riuscire a sottrarsi alla logica della contrapposizione a ciò che esula dal loro controllo. Ne deriva un impegno a diffondere divieti e rimproveri che, insieme a suggerimenti di percorsi alternativi, vanno a comporre i tasselli di un mosaico che mira a delineare i contorni della morale cristiana in tema di ricreazione ed evasione.
I divertimenti vengono guardati con diffidenza per due motivi: in primo luogo per il rischio di minare alle fondamenta la morale cattolica; in secondo luogo, perché si teme che i fedeli, distolti dai piaceri e dagli svaghi, siano sottratti alle pratiche di culto. A tali ragioni si aggiunge la volontà di mantenere il controllo educativo, ma anche politico e sociale, nel quale la vigilanza sui divertimenti ricopre uno spazio rilevante.
Fra i momenti di evasione considerati dannosi vanno individuati tutti quelli in grado di incrinare la moralità attraverso la proposizione di situazioni che incentivano la libertà di oltrepassare la misura, anche e soprattutto in campo etico e amoroso. Ogni luogo di intrattenimento racchiude germi di pericolosità. Nel cinema si intravede la possibilità di coinvolgere gli spettatori in scene e contenuti che scatenano fantasie e turbamenti, con l’aggravante di avvicinare le coppie nell’oscurità. In teatro e nel varietà si privilegiano spettacoli con attrici e ballerine dagli abbigliamenti poco consoni all’austerità cristiana. Nei balli non è difficile rintracciare quei rischi di eccitamento determinati dal contatto dei corpi. Nelle località di vacanza si indulge a comportamenti disinibiti, incoraggiati da abbigliamenti «scandalosi» e da quel clima di mondanità deleterio a una condotta moralmente corretta.
Partendo da tali considerazioni, si arriva alla conclusione che sia d’uopo un richiamo costante e attento a respingere i divertimenti malsani. A più riprese, ma con un’intensità crescente a partire dalla metà degli anni Trenta, le varie figure che compongono la galassia cattolica si occupano del divertimento da inquadrare «nei giusti limiti, moderato così che non nuoccia all’adempimento dei doveri»44. Non a caso la parola «allegria» viene associata a «onestà», creando un connubio che determina l’unica strada possibile nell’impiegare il tempo libero: in caso contrario, ossia cedendo alla «smania dei godimenti», si incorre nella «turpe disonestà» che «imbratta e infracidisce gl’individui, le famiglie, la società»45.
In termini cronologici, sono principalmente due i campi sui quali si concentrano, in successione, le preoccupazioni in merito al tempo libero: il ballo e il cinema. Due consuetudini che diventano di massa nella società novecentesca, richiedendo quindi un’oculata vigilanza con la conseguente politica educativa in proposito.
Essendo le feste da ballo una costante del costume nazionale, si trasformano da subito in occasioni di intervento da parte dei cattolici. «Il ballo è indegno di un vero cristiano»: questa conclusione, contenuta in un opuscoletto scelto e pubblicato dalla Società per la diffusione gratuita dei buoni libri nel 1878, può essere citata come esempio di un motivo ricorrente nelle riflessioni che interessano il mondo cattolico da fine Ottocento all’età contemporanea46.
L’accanimento contro il ballo, pur avendo origini antichissime, si manifesta con una certa intensità a metà dell’Ottocento, con la nascita dei cosiddetti balli moderni, definiti anche «balli esotici», individuati come i maggiori responsabili del tramonto di sentimenti quali pudore e serietà morale. La Chiesa intraprende la dura battaglia contro i balli sia in riferimento alla corruzione operata da questo «insano vizio» sulla morale cattolica, sia nel timore che il ballo, soprattutto quello domenicale, possa distogliere il parrocchiano dai doveri del buon cristiano e quindi dalla fedele presenza ai momenti di preghiera. Le due ragioni si intrecciano frequentemente nelle omelie e negli scritti cattolici, ma anche durante la confessione, per convincere i credenti a non lasciarsi tentare. Partecipare alle feste danzanti diventa sinonimo di peccato, tanto che il ballo viene associato spesso alla presenza del diavolo, la figura che meglio incarna il senso della colpa da espiare all’inferno47.
Le preoccupazioni nei confronti delle danze vanno ricercate in quell’unione e contatto fra ballerini di sessi diversi che nei volteggi e negli abbracci finiscono per essere travolti dalla passione. I balli provocano inevitabilmente «i cattivi pensieri, i cattivi desideri, i cattivi affetti», favorendo atteggiamenti scomposti che vescovi e parroci non esitano a definire «accoppiamenti schifosi», «orgie pagane», «basse turpitudini».
In quello che Miccoli ha individuato come impegno per la «ricostruzione cristiana della società»48, anche la campagna contro la diffusione dei balli è funzionale allo scopo. In gioco sono la salvaguardia della moralità e la capacità di aggregazione e consenso della comunità parrocchiale: due valori, l’uno etico l’altro politico, che contribuiscono a cementare la forza e la leadership della Chiesa.
Su questo tema intervengono pure i pontefici, affrontando la pericolosità dei balli anche nelle encicliche. Prima Benedetto XV che nella Sacra propediem (6 gennaio 1921) condanna i «balli esotici e barbari, uno peggiore dell’altro, venuti or di moda nel gran mondo elegante»49, poi Pio XI che, nell’enciclica Ubi arcano Dei (23 dicembre 1922), individua nelle «danze invereconde» i «mali che affliggono la società e la famiglia»50: due interventi che dimostrano quanto sia sentito il bisogno di arginare la passione per le danze.
Recependo le direttive dei vertici ecclesiastici, anche i vescovi e i parroci si impegnano a propagandare la nocività dei balli attraverso un’opera di proselitismo che si diffonde a macchia d’olio nelle periferie. Vivendo a stretto contatto con i fedeli, i sacerdoti cercano di convincere i parrocchiani che i balli portano a contrarre mali fisici come menomazioni e sordità, ma anche mali psicologici come perdita della memoria e ansia continua, determinata dall’eccitamento dei nervi. Per le donne poi i rischi toccano direttamente l’apparato riproduttivo, contagiato dai «delitti contro la maternità» causati dagli incontri in balli peccaminosi.
È forte anche il timore che le feste danzanti portino i credenti a trascurare gli obblighi e le pratiche religiose. Facendosi inebriare prima dal valzer, poi dal tango, più tardi da fox-trot e charleston, o nel dopoguerra dal rock and roll, i fedeli possono essere allontanati dai doveri richiesti dalla fede; il primo effetto, quello più vistoso, è l’assenza delle masse nella parrocchia: sia la domenica, in occasione della messa, disertata a causa delle feste prolungate fino al mattino, sia per altre iniziative promosse in loco. La conseguenza è l’allontanamento dalla chiesa, il rifiuto della preghiera, l’insofferenza verso tutte le reprimende, per tuffarsi invece in quella che da voce cattolica viene definita «una vita dissipata e frivola» che rende i protagonisti «disobbedienti, superbi, smaniosi di comparse e di divertimenti, sfacciati e immodesti nelle parole, nel vestito, negli atti»51.
Numerosi sono i danni morali che vengono aggiunti all’atto già in sé immorale del ballare: i litigi fra genitori e figli sul permesso da accordare per le feste; il furto di denaro da parte dei giovani alle famiglie che si oppongono ai divertimenti; le invidie e le gelosie fra ballerini; le risse a causa di qualche invito mal interpretato; le intemperanze nel bere che da sempre accompagnano i veglioni. Ma soprattutto si insiste sul fatto che nel ballo si stringono relazioni amorose destinate a fallire, riproponendo l’eterno motivo della colpevolizzazione sentimental-sessuale.
Se il ballo costituisce il primo pericolo da affrontare, negli anni Venti inizia una campagna serrata anche verso il cinema che incontra una fortuna crescente. Dimostrando di recepire l’importanza del cinema, considerato «la più attrattiva delle attrattive», i cattolici sono consapevoli della possibilità di utilizzare quello che la Divini illius magistri definisce uno dei «potentissimi mezzi di divulgazione» e dunque come strumento di educazione. Il problema nasce quando il contenuto delle pellicole non corrisponde ai valori cristiani. La linea di condotta viene ufficialmente suggerita da Pio XI che nella Vigilanti cura del 29 giugno 1936, riconosce la capacità del cinema di «esercitare influsso sulle moltitudini», pur insistendo sulle «cattive cinematografie» che hanno effetti deleteri sugli spettatori: «inducono i giovani nelle vie del male perché sono la glorificazione delle passioni; espongono sotto una falsa luce la vita; offuscano gli ideali; distruggono il puro amore, il rispetto per il matrimonio, l’affetto per la famiglia». Di qui la decisione di attivare organismi come il Centro cattolico cinematografico e altri uffici a esso legati, con il compito di selezionare, censurare e classificare le pellicole. La preoccupazione dei cattolici riguarda da una parte il rischio di veder sottratti i fedeli al pubblico dei cinema di parrocchia, dall’altra il fatto che le pellicole presentino mondi in cui domina la libertà di agire senza limiti e regole. Per evitare il cinema come «scuola di vizio e di spaventosa corruzione», in grado di traviare i giovani già a partire dai manifesti illustrati che espongono fotografie immorali fatte per «adescare i clienti», occorre vietare visioni sconvenienti rintracciate in due tipologie di pellicole: la prima legata a temi e comportamenti immorali che «contengono e giustificano, almeno implicitamente, errori dogmatici e colpe morali come il divorzio, il duello, il suicidio, l’infanticidio, la maternità illegittima ecc.», o che indugiano su «scene immorali gravemente provocanti oppure nudità complete o quasi, anche se presentate in siluetta, oppure danze che eccitano passioni e mettono in rilievo movimenti indecenti»; la seconda invece nociva per la formazione dei giovani, turbati da «scene capaci di eccitare i sensi, come baci e abbracci prolungati e sensuali; scene, riviste e balli in abiti succinti, come quelli in locali notturni; scene di svestimento; motti salaci, frasi a doppio senso»52. Divieti che aumentano di fronte al successo del cinema americano, considerato responsabile di presentare una società senza regole, dove l’esaltazione del consumo e della libertà dei costumi costituisce il filo conduttore della narrazione. Come rileva Scoppola, il modello americano è recepito solo nei suoi «aspetti esteriori»53, ma funzionali a una battaglia che mira a salvaguardare la moralità della famiglia nella società. Viene dunque giudicato lodevole ogni tentativo che miri a contrastare l’«infausto americanesimo» che si è «largamente infiltrato anche presso di noi in tutti gli strati sociali, con la conseguente caduta del naturale riserbo, del pudore, della modestia, della serietà»54.
Il cinema non va criticato in toto, ma ammesso e incentivato quando è moralmente educativo. A tale scopo si promuovono abbonamenti a periodici quali la «Rivista del cinematografo» o «Segnalazioni cinematografiche», vengono distribuiti moduli con le segnalazioni delle pellicole adeguate e si predispongono cartelli e manifesti con i suggerimenti da diffondere nelle parrocchie, negli istituti e nelle congregazioni. Una politica che mira a recuperare il valore del cinema di parrocchia, dove il luogo e il fine concorrono all’unico obiettivo di utilizzare il grande schermo come strumento formativo.
Un altro dei motivi ricorrenti della pedagogia cattolica riguarda i comportamenti nei periodi dedicati alla vacanza, intesa come evasione, e per questo degna di un’attenzione particolare sul piano del controllo morale. In villeggiatura, soprattutto al mare, i corpi si scoprono per godere dei benefici del sole, si praticano giochi e sport all’aria aperta, si partecipa alle feste danzanti. Riti che fanno parte del costume nazionale che dagli inizi del secolo, passando per le vacanze irreggimentate dal fascismo e approdare alla vacanza di massa negli anni Sessanta, promuove la trasferta estiva o invernale come prerogativa non riservata solo a ristrette èlite. Frivolezza e attentato alla serietà costituiscono i tratti insiti in un’evasione da tenere sotto controllo. L’attenzione dei cattolici si rivolge soprattutto al nuovo abbigliamento balneare, sempre meno casto e incline a mostrare parti del fisico, suscitando la reazione indignata dei moralisti che denunciano «l’esibizione della carne». La paura che la vacanza si trasformi nella ricerca di una vuota o, peggio ancora, pericolosa mondanità è espressa già negli anni Trenta sulle colonne di «Fiamma viva», che condanna l’evasione vacanziera come «ricerca affannosa d’una gioia che il mondo non può dare»55. Di qui la necessità di comprendere il tempo libero passato al mare o in montagna nell’elenco dei passatempi da regolamentare, come tassello educativo in cui il controllo pedagogico cattolico possa diventare esclusivo.
Nella pedagogia degli affetti, l’amore rappresenta il campo più delicato, a fronte dell’amplificarsi del rischio di veder temperato l’impegno dottrinario rispetto alla pratica, aprendo un solco fra amore teorizzato e amore vissuto.
Quando si analizza l’educazione sentimentale non è importante solo evidenziare le modalità di trasmissione dei principi base, ma anche registrare i livelli di ricezione da parte di coloro ai quali è diretta. Ovvero capire se e come tali insegnamenti siano condivisi, oppure se vengano disattesi per rendere più spontanea l’espressione dei sentimenti. Nel pur rigoroso universo dei credenti, rimane aperto il problema della ricerca di sintonia con la modernizzazione, recependo le trasformazioni di una società che anche sul piano della mentalità stava celermente cambiando i connotati. In un confronto, anche di rottura, con una rigidità imposta dall’alto, si afferma una cultura popolare con maggiori aperture e con una percezione del privato meno inflessibile e dogmatica, finendo per interpretare una via autonoma del «vivere la fede»: non in contrasto aperto con le direttive, ma con la necessità di interagire con il mutamento dei costumi, anche sul piano sentimentale. In questo senso il ruolo dei preti «fra tradizione e innovazione»56 risulta fondamentale.
L’amore diventa il tema sul quale concentrarsi per fornire le più convincenti linee di indirizzo, pur dovendo fare i conti con la prospettiva di fallire proprio di fronte a una diversa interpretazione dei medesimi insegnamenti.
Il percorso che porta alla realizzazione di un amore che rispetti il modello cristiano parte dalla conoscenza reciproca dei componenti della coppia, finalizzata al fidanzamento che confluisce nel matrimonio, senza cedere alle tentazioni sessuali. L’insistenza sulla fedeltà coniugale e sui pregi e sulle qualità del cammino in due è fondamentale per fortificare un pilastro del cattolicesimo come quello del matrimonio e dell’unità della famiglia. Una tappa alla quale occorre arrivare mantenendo una correttezza di comportamento durante il fidanzamento. Si ripetono esempi e inviti per sottolineare come il fidanzamento sia un periodo di preparazione in cui i giovani sono tenuti a non compiere azioni illecite come baci appassionati e carezze sensuali, a favore invece di un rispetto reciproco in grado di prevenire ogni contatto pericoloso.
Le insidie riguardano sempre parole bandite dal vocabolario cattolico come piacere, istinto, passione, concentrate attorno all’esplicazione della sessualità. Già dal primo incontro infatti è necessaria un’autodisciplina che temperi i possibili eccessi. I manuali educativi non divergono nei contenuti e nel corso del tempo nel convincere i giovani a trattenersi, non facendosi ispirare solo dal senso del piacere immediato, ma da una cautela che sarà premiata con una relazione più duratura. Occorre dunque evitare la «precipitazione sconsiderata» che porta i giovani innamorati a cercare luoghi adatti ad «appuntamenti segreti», come prerogativa indispensabile per far prevalere la ragione sugli istinti. In caso contrario, si avvera non l’amore, ma un semplice «flirt» destinato a non approdare all’unico porto possibile quale quello del matrimonio. L’amore vero richiede invece serietà, obbedienza, senso del pudore, capacità di rinuncia: requisiti che concorrono a irrobustire quella moralità che è alla base di una concezione fondata sui valori cristiani.
Perché l’amore funzioni diventa indispensabile il contributo di entrambi i soggetti coinvolti. La donna deve abbandonare ogni velleità di indipendenza ed emancipazione per dedicarsi esclusivamente al modellamento di un carattere finalizzato alla costruzione della mansione di moglie e madre: né «ochetta né leggera», né «maschietta né lavoratrice», né «vanitosa né irascibile», ma pronta a rifiutare gli agi e le tentazioni della vita moderna.
Anche l’uomo, pur riconosciuto in un inalterato ruolo di superiorità sulla donna, deve concorrere a creare le condizioni per indirizzare se stesso e la potenziale innamorata verso il compimento di un rapporto serio e duraturo, accondiscendendo a sfuggire ogni tipo di tentazione.
A questi precetti però, i fedeli non si adeguano con totale abnegazione. Anche i sacerdoti e gli stessi educatori sono costretti ad ammettere come sia difficile «parlare ai sordi»57. Nella confessione, ma pure negli incontri in parrocchia, si rileva la difficoltà crescente a rispettare il rigore richiesto. Da più parti viene lanciato l’allarme di fronte a un «vissuto sentimentale» molto distante dagli steccati tracciati nei trattati. «Il peccato è dilagante fra gli innamorati», registra negli anni Venti un sacerdote che pubblica un opuscolo dal titolo eloquente: Quando l’amore è peccato58. Un peccato che viene amplificato di fronte all’aumento delle occasioni di avvicinamento fra i sessi determinate dai cambiamenti della società. Quelle tentazioni che i sermoni cattolici individuano nella frequentazione dei luoghi di aggregazione e socialità diventano ancora più esplicite allorché la società di massa allarga le maglie dei divieti. Le possibilità di incontro si moltiplicano con il trascorrere degli anni, sia con la varietà di ritrovi e passatempi, sia con l’accettazione di una morale più aperta alle modificazioni. In questo contesto si uniscono due variabili come la modernizzazione e la laicizzazione che contribuiscono a cambiare il costume, influenzando pure i cattolici con la messa in discussione di principi consolidati.
Pure nel rispetto della tradizione, risulta complicato obbedire pedissequamente senza farsi contagiare dal mondo che cambia. Di fronte all’incapacità di leggere le sfide della modernità, l’apparato gerarchico cattolico dimostra un ritardo difficile da colmare. Anche rispetto alle palesi perplessità manifestate dagli stessi fedeli, non si verifica una risposta in grado di recepire le aperture determinate dall’intreccio di elementi che vanno a incidere sulla morale individuale e collettiva.
Occorre aspettare gli anni Sessanta per assistere ai primi timidi tentativi di considerare in modo diverso i temi sentimentali, cercando di rispettare il vissuto amoroso. Si comincia a parlare in termini meno rigidi di sesso, di controllo delle nascite, di ribaltamento dei ruoli fra uomo e donna, di amori prematrimoniali. Non tanto e solo per un confronto-scontro con la morale laica, ma perché «il problema non era più il dialogo con l’altro, ma il cambiamento»59. Non si è in presenza di una contrapposizione ai pilastri della morale cattolica, ma di un’impostazione nuova che prevede linguaggio e metodologia differenti nell’affrontare il rapporto fra la comunità credente e la vita privata.
In tale contesto entra a far parte del vocabolario il termine «felicità», legato non tanto e solo all’esperienza di fede, ma «al senso di liberazione, soprattutto in campo sessuale», derivante dai movimenti di protesta giovanili che hanno «una forte rifrazione anche nel mondo cattolico»60. Non sempre questo confronto con il ‘movimentismo’ porta a posizioni più concilianti con il modello etico che si va affermando in quel periodo. Anzi, in molti casi i venti ‘ribellistici’ producono l’effetto di un arretramento e arroccamento su posizioni intransigenti, rappresentate per esempio dal movimento di Gioventù Studentesca guidato da don Luigi Giussani.
Ma il fatto stesso che si cominci esplicitamente a trattare di amore e sentimenti legati alla richiesta di maggiori libertà sul piano dei comportamenti, significa che anche le autorità cattoliche sono costrette a riconoscere le novità prodotte nel costume e nella mentalità, inducendo la cultura cattolica ad approntare, o almeno a tentare di approntare, una forma di difesa.
1 L. Febvre, La sensibilità e la storia, in Problemi di metodo storico, a cura di F. Braudel, Roma-Bari 1973, pp. 40-41.
2 F. Traniello, Città dell’uomo. Cattolici, partito e Stato nella storia d’Italia, Bologna 1990.
3 F. Azzali, La cultura e la vita, «Critica fascista», 15 aprile 1938, 4, p. 190.
4 Su questi temi cfr. E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari 2008.
5 F. Traniello, L’editoria cattolica tra libri e riviste, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze 1997, pp. 310-25.
6 Sugli studi di sociologia religiosa cfr. C. Falconi, La Chiesa e le organizzazioni cattoliche in Italia (1945-1955), Torino 1956, pp. 30-55; G. Alberigo, La chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, in Chiese italiane e Concilio, Genova 1988, pp. 15-34.
7 G. Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, Roma-Bari 1988, p. 253.
8 A. Santagata, Il dissenso cattolico in Italia, «Cristianesimo nella storia», 31, 2010, 1, pp. 207-241.
9 G.E. Rusconi, C. Saraceno, Ideologia religiosa e conflitto sociale, Bari 1970, p. 217.
10 Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, in Storia del cristianesimo. L’età contemporanea, a cura di G. Filoramo, D. Menozzi, Roma-Bari 1997, pp. 230-245.
11 L’altra chiesa in Italia, a cura di A. Nesti, Milano 1970, p. 12.
12 G. Verucci, Cattolicesimo e laicismo nell’Italia contemporanea, Milano 2001, p. 201.
13 R. Casadei, L’immoralità trionfante, «La Civiltà cattolica», 1 novembre 1902, 7, p. 263.
14 Per una riflessione di lungo periodo cfr. M. Pelaja, L. Scaraffia, Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, Roma-Bari 2008.
15 M. De Giorgio, Raccontare un matrimonio moderno, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio, C. Klapisch-Zuber, Roma-Bari 1996, p. 340.
16 V. Romanelli, Incontro alla vita. L’amore, «Fiamma viva», maggio 1933, 13, pp. 289-291.
17 Sulle encicliche che affrontano i vari aspetti della questione femminile da Leone XIII a Pio XII si veda il volume che raccoglie i vari testi, Il problema femminile, Roma 1962.
18 L. Civardi, Cristianesimo e vita familiare, Roma, 1946, p.18.
19 M.C. Giuntella, Virtù e immagine della donna nei settori femminili, in Chiesa e progetto educativo nell’Italia del secondo dopoguerra 1945-1958, Brescia 1988, pp. 274-300.
20 I. Da Castellanza, Nuzialità e maternità, Bergamo1946, pp. 208-209.
21 B.P.F. Wanrooij, Storia del pudore. La questione sessuale in Italia 1860-1940, Venezia 1990, p. 172.
22 I. Felici, Fidanzati, Milano 1940, p. 24.
23 F. Prosperini, Il cammino in due, Roma 1939, p. 32.
24 Cfr. A. Giovagnoli, Le premesse della ricostruzione. Tradizione e modernità nella classe dirigente cattolica del dopoguerra, Milano 1982.
25 Per un inquadramento di lungo periodo, cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993.
26 A. Baliati, La missione sociale del Terz’ordine di San Francesco, «La Civiltà cattolica», 19 febbraio 1921, 2, p. 301.
27 F. Olgiati, I fiori di un decennio. Ideali e conquiste della Gioventù femminile cattolica, Milano 1928, pp. 148-149.
28 F. Prosperini, La purezza dei figli, Roma 1941, p. 9.
29 A. Gemini, Estrema unzione ordine e matrimonio. Testo di cultura religiosa per i soci effettivi della Gioventù italiana di Azione Cattolica, Roma 1938, pp. 98-99.
30 Fratel Leone, La morale. Testo di cultura religiosa per le socie effettive della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, Milano 1946, p. 65.
31 Si vedano per esempio M. Di Pietro, Maria Goretti, Milano 1929; A. Gualandi, Maria Goretti martire della purità. La santa Agnese del secolo XX, Roma 1931.
32 G. Palau, A te che vuoi essere cattolica: pensieri e consigli, Milano 1935, p. 125.
33 F. Solinas, Regole d’amore. Elevazioni spirituali sulla Regola degli Juniores, Roma 1946.
34 Centro nazionale Gioventù femminile di A.C., La crociata per la purezza. Direttive e linee organizzative, Milano 1941, p. 11.
35 La Chiesa e la modernità, a cura di D. Menozzi «Storia e problemi contemporanei», 12, 2000, 26, nr. monografico.
36 Il problema della moda femminile, «Rivista del clero italiano», agosto 1924, 5, pp. 449-457. Il tema è sviluppato in un’inchiesta sulla «sconcia moda femminile» pubblicata nei numeri di settembre e ottobre 1924 e febbraio 1925.
37 A. Gemelli, Il problema della moda femminile. La nostra inchiesta, «Rivista del clero italiano», settembre 1924, 5, p. 515.
38 M. Sticco, Eleganza cristiana, Milano 1926, p. 28.
39 C. Jeglot, La giovane e la professione, Torino 1944.
40 A. Pilla, Il peggior veleno, Roma 1944.
41 R. Mattei, Leggere. Consigli pratici alle studentesse, Milano 1945, p. 3.
42 A. Prandoni, Fiori sparsi. Meditazioni per signorine, Roma 1945, p. 49.
43 C. Recalcati, L’osteria e il vizio del bere, Milano 1928, p. 35.
44 L’espressione usata da Pio XI diventa un esempio da seguire, come riporta M. Mazzel, Boccioli in fiore, istruzioni per adolescenti, Roma 1946, p. 269.
45 E. Zanotelli, Allegria e onestà, Verona 1936, p. 8.
46 Il ballo. Dialogo, Savona 1878, p. 2.
47 G. Vincent, I cattolici: l’immaginario e il peccato, in La vita privata. Il Novecento, a cura di P. Aries, G. Duby, Roma-Bari 1988, pp. 221-227.
48 G. Miccoli, «Vescovo e re del suo popolo». La figura del prete curato tra modello tridentino e risposta controrivoluzionaria, in St.It.Annali, IX, p. 884.
49 Tutte le somme encicliche dei sommi pontefici, I, raccolte e annotate da E. Momigliano, G.M. Casolari, Milano 1986, pp. 735-736.
50 Ibidem, pp. 801-803.
51 Lettera enciclica del SS. Signor nostro pio per Divina Provvidenza Papa XI, «La Civiltà cattolica», 20 gennaio 1923, 1, p. 124.
52 Norme del centro cattolico cinematografico, «Rivista del cinematografo», 1941, 1, p. 7.
53 P. Scoppola, Le trasformazioni culturali e l’irrompere dell’«American way of life», in Chiesa e progetto educativo nell’Italia del secondo dopoguerra 1945-1958, cit., pp. 491-492.
54 L. Brioni, Spiritualità della famiglia, Roma 1946, p. 92.
55 Vacanze, «Fiamma viva», luglio 1931, 7, p. 412.
56 La definizione storiografica è di M. Guasco, Il modello di prete fra tradizione e innovazione, in Le chiese di Pio XII, a cura di A. Riccardi, Roma-Bari 1986, pp. 75-117.
57 A. Crespi, Il malessere dell’amore, Roma 1925, p. 18.
58 L’opuscolo è firmato semplicemente Don Marco, Quando l’amore è peccato, Milano 1923, p. 23.
59 M. Impagliazzo, Il dissenso cattolico e le minoranze religiose, in Culture, nuovi soggetti, identità, a cura di F. Lussana, G. Marramao, Soveria Mannelli 2003, p. 246.
60 R. Cerrato, Dal Concilio al ’68, in Il lungo decennio: l’Italia prima del ’68, a cura di C. Adagio, R. Cerrato, S. Urso, Verona 1999, p. 312.