L'economia curtense e la signoria rurale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per economia curtense si intende un sistema di gestione della grande proprietà fondiaria (curtis) che si afferma in età carolingia. Si basa sulla divisione delle terre tra pars dominica, pars massaricia e sul ruolo delle corvées, i lavori obbligatori richiesti sul dominico a servi e coloni del massaricio. A partire dalla curtis i grandi proprietari fondiari iniziano a sviluppare forme di controllo e giurisdizione sulle persone, estese anche ai piccoli proprietari fondiari estranei alla loro proprietà. Si sviluppa così la signoria rurale, una particolare forma di dominio su terre e persone.
Guglielmo I di Aquitania
Un uomo libero entra volontariamente in schiavitù
Recueil des chartes de l’abbaye de Cluny
Io Bertier mi sono messo la corda al collo e mi sono consegnato nelle mani ed in potere di Aleré e di sua moglie Ermengarda affinché da questo giorno voi e i vostri eredi facciate di me stesso e dei miei discendenti tutto ciò che vorrete con facoltà di conservarmi, vendermi, donarmi o emanciparmi e se io un giorno vorrò sottrarmi al vostro servizio voi possiate trattenermi o costringermi, voi o i vostri inviati, come un vostro schiavo di origine.
in R. Boutruche, Signoria e feudalesimo, Bologna, Il Mulino, 1974
Per economia curtense si intende un sistema di gestione della grande proprietà fondiaria (curtis, villa) che si afferma tra i secoli VIII e IX in gran parte dell’Europa carolingia. Essa si basa sulla divisione delle aziende agricole in due ambiti distinti, uno a gestione padronale diretta, definito nelle fonti perlopiù come pars dominica o dominicum (“parte del signore”), l’altro a gestione indiretta, la pars massaricia, così chiamata perché affidata a “massari”, contadini dipendenti di condizione libera o servile. Ambedue queste parti non costituiscono un’unità compatta, ma sono frazionate e sparse nelle campagne e nei villaggi, dove si intercalano ad altre terre, che possono a loro volta far parte di una curtis o costituire una piccola proprietà indipendente (allodio). Esse erano legate strutturalmente dalle prestazioni di lavoro obbligatorie (corvée, operae) che i “massari” dovevano svolgere periodicamente sulla pars dominica.
Nell’organizzazione dell’azienda curtense la pars dominica svolge un ruolo centrale. Essa è il centro collettore (caput curtis) della produzione dell’intera grande proprietà. Qui è posta la residenza del signore o dell’amministratore (villicus, scario o iudex nelle grandi proprietà regie) accanto alla quale vi sono i magazzini, i laboratori artigianali per la produzione di tessuti o attrezzi e i “capannoni” dove vivono le squadre di servi addetti ai vari lavori, perlopiù agricoli, necessari alla riserve padronale. Si tratta dei “servi prebendari”, così chiamati perché “mantenuti” dal loro signore (da praebenda, “cose da offrire”). A seconda delle mansioni svolte essi possono godere di condizioni di vita diversificate, ma sono accomunati dal fatto di non potere avere “alcuna autonomia nelle scelte economiche, né forse personali: il nutrimento, l’alloggio, il vestito, gli strumenti di lavoro sono tutti forniti interamente dal signore” (G. Pasquali, “La condizione degli uomini”, in Uomini e campagne nell’Italia medievale, 2002).
I servi prebendari e i pochi liberi che operano sul dominicum sono, dunque, totalmente sottomessi al loro padrone, che esercita su di loro una forma di dominio (dominatus), che andava al di là dell’ambito economico, definita oggi dagli storici con l’espressione di “signoria domestica”. Non rari, per esempio, sono i casi di signori che nella riserva signorile si impossessano arbitrariamente di funzioni spettanti a “ufficiali” pubblici come i conti e si ergono a giudice nei confronti dei servi prebendari, esercitando una “giustizia signorile” (iustitia dominica) illegittima da un punto di vista giuridico.
Meno diretto è, almeno in una prima fase, il dominio signorile sulla pars massaricia, costituita dall’insieme di piccole unità produttive (mansi, hobae) formate a loro volta da una casa colonica e da campi posti presso un villaggio o sparsi nella campagna.
Ogni manso è assegnato dal signore a una famiglia di contadini, servi (“servi casati”) o liberi (“coloni”). Al di là della condizione giuridica, i contadini dei mansi sono obbligati a versare annualmente al signore o al suo amministratore tributi in natura, censi in denaro (più raramente) e, come si è accennato prima, prestazioni di lavoro (corvées) sul dominicum in momenti di particolare bisogno, come per esempio l’aratura o la mietitura. Tributi e prestazioni di lavoro dei coloni sono perlopiù fissati da un contratto scritto (“livello”, da libellum, “libretto”) che obbliga i contraenti per 29 anni. Privi di contratto sono invece i servi casati, essendo di proprietà del loro signore, dal quale possono essere venduti come semplici cose.
A lungo gli storici hanno discusso sulla redditività dell’azienda curtense che, secondo interpretazioni perlopiù abbandonate, sarebbe stata assai scarsa e avrebbe permesso la mera sussistenza dei servi e dei coloni, garantendo un surplus, in ogni caso limitato, al solo signore fondiario. In base a una più attenta lettura delle fonti oggi prevalgono analisi che mettono in risalto il relativo dinamismo dell’economia curtense, la quale grazie alla sua articolazione in più unità sarebbe stata in grado di produrre eccedenze che potevano essere rivendute, assieme ai prodotti artigianali, in mercati locali posti nel dominicum o nei villaggi. L’azienda curtense, di conseguenza, avrebbe dato un contributo importante al risveglio vissuto dall’economia di scambio a partire dal secolo VIII, quando inizia una fase di crescita economica testimoniata anche dal costante aumento demografico e dalla messa a coltura di nuove terre.
L’articolazione interna delle aziende curtensi può essere ricostruita a partire dal IX secolo soprattutto grazie ai polittici, dei registri o inventari di beni così chiamati in base a una tradizione amministrativa d’età tardoantica, quando col medesimo nome (derivato dal greco poly, “molte”, e ptyches, “pieghe”, nel senso di “foglio ripiegato”), iniziano a essere designati dapprima delle liste fiscali e poi degli inventari dei beni ecclesiastici. Proprio all’ambito ecclesiastico appartengono anche i polittici che ci sono stati tramandati dall’età carolingia, che si riferiscono perlopiù a curtes abbaziali, descritte in maniera particolareggiata, con l’elenco dei vari mansi con i relativi servi casati o coloni e l’indicazione precisa di tributi, censi e corvées. Tra i polittici altomedievali più famosi possiamo ricordare quello dell’abbazia parigina di Saint-Germain-des-Prés o, in Italia, dell’abbazia di Santa Giulia di Brescia.
I polittici testimoniano l’adozione anche da parte degli enti ecclesiastici del modello curtense di gestione della grande proprietà fondiaria. Altre fonti, in particolare diplomi imperiali o atti di compravendita, attestano la diffusione di tale modello gestionale tra i grandi proprietari laici d’età carolingia. Ma quale fu l’origine del sistema curtense e quando si affermò a livello generale? L’opinione prevalente tra i medievisti è quella secondo la quale il modello gestionale curtense si sia affermato inizialmente nel regno franco merovingio, in particolare nella regione tra la Loira e il Reno, e abbia riguardato in primo luogo le grandi proprietà regie.
È in questo contesto, particolarmente adatto da un punto di vista geomorfologico a un’agricoltura estensiva, che si sarebbe sviluppato il sistema curtense bipartito, il quale in parte raccoglieva una tradizione gestionale d’età tardoantica, quando la villa – nel senso di grande proprietà fondiaria – si disgregò, assumendo il ruolo di centro di organizzazione della produzione di un insieme di piccole unità rurali coltivate da coloni in condizione di dipendenza.
L’innovazione franca di tale sistema è costituita principalmente dall’introduzione delle corvée, funzionale in un sistema nel quale non era possibile ricorrere alla mano d’opera salariata. Ciò sarebbe avvenuto dapprima nelle grandi proprietà regie, poi, per emulazione, in quelle ecclesiastiche e infine in quelle laiche. L’importanza delle curtes regie per l’affermazione del sistema curtense è testimoniato agli inizi del secolo IX dal Capitulare de villis, una disposizione legislativa che descrive in modo dettagliato come dovevano svolgersi le attività e le coltivazioni nelle grandi proprietà dei sovrani carolingi.
Nell’Impero carolingio il sistema curtense spesso si sovrappone nei territori di nuova conquista a precedenti forme di gestione della proprietà fondiaria, dando vita a numerose varianti locali. Esso, in ogni caso, non appare mai l’unico sistema di gestione delle terre e convive sempre con la piccola proprietà.
Questa convivenza diventa particolarmente difficile man mano che, nel corso del secolo IX, i poteri pubblici si indeboliscono. In questo contesto i proprietari fondiari iniziano ad assumere poteri giurisdizionali non solo sul dominicum, ma anche sul massaricium, dando luogo alla cosiddetta “signoria fondiaria”. Il frazionamento delle curtes determina, di conseguenza, una realtà complessa, nella quale la giurisdizione signorile è estremamente spezzettata, con conseguenze negative per il suo esercizio. Per questo i proprietari fondiari cercano di estendere la loro giurisdizione, illegittima da un punto di vista giuridico, sui piccoli proprietari e le loro terre.
In particolare tra il IX e il X secolo, in una situazione di endemica conflittualità, i grandi proprietari, in grado di fortificare le proprie residenze e di possedere seguiti militari, con l’intimidazione o, al contrario, con l’offerta di protezione territorializzano la loro giurisdizione, che si estende ora anche su terre e uomini non di loro pertinenza. Si afferma così la cosiddetta “signoria rurale” (o territoriale), che caratterizzerà le campagne europee sino al XIII secolo.
L’affermazione della signoria rurale è favorita dal processo di diminuzione della riserva padronale delle aziende curtensi, una riduzione che si spiega con la maggior produttività dei mansi. Questa trasformazione permette un’omologazione tra le proprietà signorili, articolate in molte piccole unità, e le piccole proprietà.
Forte del proprio potere di coercizione, il signore territoriale trasforma il suo possesso in potere. In particolare assume i poteri di banno, termine, quest’ultimo, che designa in età altomedievale il potere regio (e dei funzionari regi) che si esprime nella capacità di giudicare e “costringere” (chiamata alle armi; potere di punire). Per questo molti storici definiscono la signoria rurale anche come “signoria bannale”. Nei territori sotto il suo dominio – compresi quelli non di sua proprietà – il signore si comporta come un conte carolingio, convocando giudizi, punendo chi condanna, chiedendo esazioni quali i pedaggi su ponti e strade, esigendo diritti quali l’albergaria (diritto di essere ospitato a spese dell’ospite) o il fodro (diritto di ottenere il foraggio per i propri cavalli). A questi “diritti” egli spesso aggiunge altre esazioni, come il “focatico”, una sorta di imposta (taglia), che grava su ogni gruppo familiare (“fuoco”).
La signoria rurale non si afferma ovunque allo stesso modo e nello stesso momento. Spesso convive con la signoria fondiaria e altre forme di potere e controllo di terre e persone. La sua affermazione va di pari passo con la localizzazione dei poteri, che si manifesta anche visivamente attraverso la costruzione di castelli, le residenze fortificate signorili che fungono, al contempo, da strumento di controllo e difesa del territorio e da centro gestionale della grande proprietà.