L’autonomia finanziaria delle Autorità indipendenti
Con un’articolata ordinanza il Consiglio di Stato ha rinviato, senza troppa convinzione, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale circa la compatibilità delle disposizioni nazionali in materia di finanza pubblica (disposizioni che assoggettano anche le Autorità indipendenti alle regole di contenimento e di razionalizzazione delle spese delle pubbliche amministrazioni) con i principi eurounitari di imparzialità, di indipendenza e di autofinanziamento delle Autorità nazionali di regolamentazione. Nell’ordinanza si è affrontato il problema dell’individuazione dei limiti entro i quali gli Stati membri possono legittimamente intervenire sull’autonomia finanziaria di dette Autorità, senza comprometterne le relative missioni istituzionali. La pronuncia interlocutoria si segnala all’attenzione dell’interprete perché concorre ad arricchire, approfondendone un rilevante aspetto, il mai sopito dibattito circa la natura e lo statuto giuridico delle Autorità indipendenti.
Per una migliore comprensione delle questioni rimesse dal Consiglio di Stato al vaglio pregiudiziale della Corte di Giustizia occorre dedicare qualche cenno alla vicenda processuale nell’ambito della quale è stata pronunciata l’ordinanza n. 2475/2015 e al contesto normativo di riferimento.
In relazione alla vicenda processuale va segnalato che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in poi: AGCOM) propose appello avverso la sentenza con la quale il TAR Lazio, Roma (sez. III, 12.6.2013, n. 5945) respinse il ricorso, promosso dall’Autorità appellante, avverso l’inclusione della stessa AGCOM nell’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite, ai sensi dell’art. 1, co. 3, l. 31.12.2009, n. 196, nel conto economico consolidato per l’anno 2012 (in seguito: Elenco Istat). L’interesse dell’AGCOM a contestare la legittimità di tale inclusione discendeva dal fatto che l’Elenco Istat non ha unicamente finalità statistico-contabili (disciplinate dal Regolamento (CE) n. 2223/1996, cd. “SEC 95”, allo scopo di armonizzare i bilanci delle «amministrazioni pubbliche» di cui al Settore S13 del suddetto Regolamento), ma costituisce, per una scelta in tal senso del Legislatore italiano, anche lo strumento giuridico volto a perimetrare la platea delle amministrazioni pubbliche costituenti, nel loro insieme, il cd. «settore pubblico allargato» da assoggettare alla normativa interna in materia di finanza pubblica. Nello specifico la AGCOM aveva sostenuto che la sua inclusione nell’Elenco Istat, e la conseguente applicazione ad essa di misure, molto specifiche, di contenimento della spesa, fosse in contrasto con il suo statuto soggettivo, garantito dal diritto dell’Unione europea, di Autorità nazionale di regolamentazione (ANR) per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, nonché con il connesso principio di autonomia finanziaria, sancito in funzione della tutela, in via diretta, dell’indipendenza dell’Autorità e, in via indiretta, della imparzialità dei suoi atti.
1.1 La normativa europea di riferimento
L’AGCOM, in particolare, invocava a tutela della propria autonomia finanziaria, contro i vincoli imposti dalla legislazione nazionale, la disciplina dettata dalla direttiva 2002/21/CE, modificata dalla direttiva 2009/140/CE, istitutiva di un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica. Il Considerando 11 della direttiva 2002/21/CE stabilisce infatti che, in conformità al principio della separazione delle funzioni di regolamentazione da quelle operative, gli Stati membri sono tenuti a garantire l’indipendenza delle ANR in modo da assicurare l’imparzialità delle loro decisioni e che le ANR dovrebbero essere dotate di tutte le risorse necessarie per l’assolvimento dei compiti loro assegnati (concetto quest’ultimo ribadito dall’art. 3, par. 3, della direttiva); inoltre il Considerando 13 della direttiva 2009/140/CE sottolinea l’importanza per le ANR di disporre di un bilancio proprio che permetta loro di assumere personale qualificato. Infine l’art. 12 della direttiva 2002/20/CE, in materia di autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, stabilisce che i «diritti amministrativi» sono imposti alle imprese regolate in modo proporzionato, obiettivo e trasparente e che detti diritti debbono coprire i «costi amministrativi».
1.2 La disciplina nazionale
La disciplina nazionale rilevante può essere distinta in tre plessi, rispettivamente relativi: a) al riconoscimento dell’autonomia dell’AGCOM quale ANR; b) all’istituzione del meccanismo di finanziamento dell’Autorità; c) all’assoggettamento dell’AGCOM (e, più in generale, la gran parte delle Autorità indipendenti) a taluni vincoli di spesa in vista del raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica.
Con riguardo al primo plesso normativo, va richiamato, innanzitutto, l’art. 1, co. 9, l. 31.7.1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) che riconosce all’AGCOM ampi margini di autonomia organizzativa (da declinare con atto regolamentare della medesima Autorità) e pure la facoltà di derogare alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato; poi rileva anche l’art. 7, co. 2, d.lgs. 1.08.2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) che attribuisce all’AGCOM le funzioni di ANR di cui all’art. 13 della succitata direttiva 2002/21/CE.
In riferimento al secondo gruppo di norme, va ricordato che l’art. 1, co. 65, l. 23.12.2005, n. 266 (Legge finanziaria 2006) ha previsto, con decorrenza dal 2007, che le spese di funzionamento dell’AGCOM, ma anche di altre Autorità indipendenti, siano finanziate – per la parte non coperta dallo Stato – dai mercati di competenza, sulla base di contributi versati dagli operatori.
Infine, della pletora di disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica rilevano, in relazione alla vicenda esaminata dal Consiglio di Stato:
a) l’art. 1, co. 5, l. 30.12.2004, n, 311 (Legge finanziaria 2005), che fissa un limite all’incremento della spesa complessiva delle amministrazioni incluse nell’Elenco Istat, stabilito nella misura del 2% rispetto alle corrispondenti previsioni dell’anno precedente;
b) l’art. 22, co. 1, d.l. 4.7.2006, n. 223, con il quale sono stati ridotti del 10% gli stanziamenti, relativi a spese per consumi intermedi, dei bilanci di enti e organismi inseriti nel ridetto Elenco Istat.
1.3 I quesiti rivolti alla Corte di Giustizia
Nell’ambito del tratteggiato quadro normativo di riferimento, il Consiglio di Stato è stato chiamato a decidere sull’appello dell’AGCOM, i cui motivi poggiavano sui seguenti argomenti:
• le richiamate disposizioni in materia di finanza pubblica, alcune delle quali recanti misure molto specifiche, sarebbero incompatibili con l’autonomia finanziaria garantita all’AGCOM quale ANR nel settore delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica;
• il Legislatore avrebbe dovuto dettare per l’AGCOM norme più elastiche, come quelle relative alla Banca d’Italia1, o almeno avrebbe dovuto limitare l’applicazione delle norme in parola alla sola quota di bilancio derivante da finanziamento statale2;
• il principio di autonomia finanziaria riposerebbe sull’art. 12 della direttiva 2002/20/CE, che prevede la corrispondenza fra «diritti amministrativi» e «costi amministrativi».
Una volta dato atto della sopravvenuta irrilevanza ai fini del decidere dell’inclusione dell’AGCOM nell’Elenco Istat, dal momento che l’art. 5, co. 7, d.l. n. 16/2012 aveva nel frattempo espressamente stabilito l’applicazione nei confronti delle Autorità indipendenti delle disposizioni in materia di finanza pubblica (a prescindere cioè dall’inserimento nell’Elenco), il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover sottoporre alla Corte di Giustizia alcuni dubbi circa la compatibilità della normativa interna in tema di finanza pubblica, in quanto applicabile anche alla ANR, con i richiamati principi del diritto dell’Unione europea in materia di imparzialità, indipendenza e di autofinanziamento delle ANR; in particolare, il Consiglio di Stato ha chiesto al Giudice di Lussemburgo se, onde osservare tali principi, il Legislatore italiano avesse dovuto sottrarre integralmente le ANR all’applicazione delle suddette disposizioni o, quantomeno, limitare la loro applicazione unicamente alle quote di bilancio di fonte statale o, ancora, in via alternativa, imporre alle ANR esclusivamente vincoli e obiettivi di risultato, lasciando invece le Autorità libere di individuare, nell’ambito della loro autonomia, le modalità concrete del loro concorso al perseguimento delle finalità generali di finanza pubblica.
Va osservato, tuttavia, che il Consiglio di Stato si è mostrato molto poco convinto dell’effettiva incompatibilità prospettata, posto che la motivazione in diritto dell’ordinanza contiene un’ampia esposizione delle ragioni della ravvisata infondatezza dei dubbi sollevati (come, in effetti, consente il punto 24 delle “Raccomandazioni” relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale3). Difatti si trova affermato che:
• i principi di indipendenza e di imparzialità non sarebbero automaticamente vulnerati per il solo fatto dell’applicazione alle ANR di norme di contenimento della spesa pubblica, posto che le ANR non godrebbero ancora di uno status radicalmente differenziato rispetto a quello riconosciuto alla generalità delle altre amministrazioni pubbliche;
• in ogni caso, la AGCOM non aveva dimostrato che, in concreto, le norme nazionali contestate avessero comportato un impedimento effettivo alla possibilità di disporre delle risorse necessarie ad assolvere i suoi compiti istituzionali;
• non era ravvisabile alcuna disparità rispetto al trattamento riservato alla Banca d’Italia, non avendo l’AGCOM offerto convincenti elementi tali da far ritenere la sua piena assimilabilità alla Banca centrale;
• peraltro le misure limitative imposte dal Legislatore, giacché fissate in misura percentuale, non azzeravano del tutto la discrezionalità dell’AGCOM nell’allocare i tagli di spesa;
• inoltre il principio di corrispondenza tra “diritti amministrativi” e “costi amministrativi” non comporterebbe il divieto, per gli Stati membri, di applicare anche alle ANR misure di contenimento della spesa, ma mirerebbe piuttosto a impedire che, attraverso la previsione dell’obbligo del versamento di diritti amministrativi, si finisca per distorcere la concorrenza nel mercato di riferimento;
• detti diritti, nel diritto italiano, hanno comunque la natura di tributi e, quindi, la loro introduzione rientra nella generale potestà impositiva dello Stato-Legislatore.
L’ordinanza n. 2475/2015 si pone all’attenzione dell’interprete perché, seppure relativa alla sola AGCOM, affronta tematiche che interessano, in generale, tutte le Autorità indipendenti e, in modo specifico, quelle c.d. “di regolazione” dei servizi di pubblica utilità (ossia, oltre all’AGCOM, anche l’Autorità di regolazione dei trasportiART e l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idricoAEEGSI) le quali rinvengono la fondamentale disciplina di riferimento nella l. 14.11.1995, n. 481. Più in dettaglio, i profili intercettati dalla pronuncia del Consiglio di Stato riguardano: 1) il rilievo dell’autonomia finanziaria delle Autorità indipendenti quale elemento caratterizzante il loro peculiare regime giuridico4; 2) la valutazione critica delle attuali modalità di finanziamento delle predette Autorità; 3) la ricostruzione dei connotati della “specialità” delle Autorità indipendenti nel quadro dell’attuale evoluzione giuridica.
2.1 L’autonomia finanziaria delle Authorities
Non è contestabile che l’autonomia finanziaria delle Autorità indipendenti costituisca un tratto ineliminabile del loro statuto giuridico e, del resto, siffatta autonomia è pure menzionata nelle leggi istitutive di alcune Authorities (v. i già citati artt. 1, co. 9, della l. n. 249/1997 per l’AGCOM e 1, co. 67, della l. n. 266/2005 per l’AVCP, ora ANAC). In assenza di autonomia finanziaria sarebbe, invero, fin troppo facile per i Governi degli Stati membri ostacolare il pieno assolvimento dei compiti istituzionalmente assegnati a dette Autorità, riducendo il flusso delle risorse destinate al loro funzionamento. A fortiori l’autonomia finanziaria deve essere assicurata a quelle Autorità indipendenti che godano di una “copertura eurounitaria” (cioè la cui istituzione negli ordinamenti degli Stati membri sia imposta da una normativa europea: così avviene, ad esempio, per l’AGCOM, l’AEEGSI, l’Antitrust e il Garante per la privacy), dal momento che tali Autorità, di norma collegate tra loro in network sovranazionali, operano anche come “amministrazioni indirette” dell’Esecutivo europeo.
Chiarito, dunque, che le Autorità indipendenti, per essere effettivamente tali, necessitano di uno stabile meccanismo di finanziamento adeguato all’assolvimento dei compiti ad esse assegnati, il problema (approfondito, infra, nel § 3) si sposta allora sulla verifica di quale debba essere l’ampiezza di detta autonomia, ovverosia se il principio dell’autonomia finanziaria imponga l’esonero, in tutto o in parte, delle Autorità indipendenti dall’osservanza dei vincoli di finanza pubblica valevoli per tutte le altre amministrazioni. Riguardato da un altro, più ampio, angolo visuale, l’interrogativo sollevato dal Consiglio di Stato implica la verifica del grado di specialità delle Autorità indipendenti rispetto alle altre amministrazioni.
2.2 Il finanziamento a carico dei “mercati”
Attualmente il finanziamento delle Autorità indipendenti (CONSOB, ANAC, AGCOM, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, AEEGSI) è prevalentemente posto a carico dei “mercati” di riferimento o comunque degli operatori nei settori oggetto di regolazione o di intervento (invero per le Autorità di garanzia, con competenze trasversali, è improprio parlare di mercati di riferimento). Per la parte residua, il finanziamento è a carico dello Stato (così, ad es., per l’AGCOM, ma non per l’AEEGSI che ritrae dai contributi versati dalle imprese regolate tutte le risorse finanziarie occorrenti al suo funzionamento). Le disposizioni principali, in disparte talune previsioni speciali dettate per singole Authorities, sono contenute nel già citato art. 1, co. 6569, l. n. 266/2005. Tale articolo disciplina un procedimento avviato da una deliberazione con la quale ciascuna Autorità, ogni anno, determina l’entità della contribuzione dovuta, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge (per l’AEEGSI, ad es., il co. 68-bis dell’art. 1 in parola stabilisce la misura massima dell’1 per mille dei ricavi risultanti dal bilancio approvato, relativo all’esercizio immediatamente precedente); i soggetti interessati sono obbligati a versare direttamente alle varie Autorità. Siffatte deliberazioni sono poi sottoposte al Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, per l’approvazione con decreto entro venti giorni dal ricevimento. Decorso detto termine senza che siano state formulate osservazioni, le deliberazioni adottate divengono esecutive.
Per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato il co. 7-ter dell’art. 10 della l. n. 287/1990, introdotto dal co. 1 dell’art. 5 bis del d.l. 24.1.2012, n. 1, ha previsto un meccanismo analogo a quello appena descritto, in base al quale, all’onere derivante dal funzionamento dell’Autorità si provvede mediante un contributo di importo pari allo 0,08 per mille del fatturato, risultante dall’ultimo bilancio approvato dalle società di capitale con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro.
I precedenti rilievi consentono di affrontare consapevolmente l’esame degli interrogativi sollevati dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 2475/2015. Al riguardo occorre muovere dalla considerazione che l’attuale sistema di finanziamento delle Autorità indipendenti, sebbene non gravante sul bilancio dello Stato, poggia comunque su risorse “pubbliche”: difatti le Autorità non si finanziano offrendo servizi sul mercato, al pari di un’impresa, ma traggono le loro risorse nell’ambito di un assetto coercitivo. In tal senso si è chiaramente espressa, da tempo, la Corte costituzionale che, nella sentenza del 6.7.2007, n. 256, pronunciandosi in via incidentale proprio sulla legittimità dell’art. 1, co. 65, della l. n. 226/2005 (contestato dalla Provincia autonoma di Bolzano sotto il profilo della denunciata lesione della sua autonomia finanziaria), osservò che il meccanismo ivi disciplinato mirava, nell’ambito di crescenti vincoli posti alla finanza pubblica, a ridurre la spesa di detti organismi, trasferendone l’onere economico sui soggetti sottoposti alle potestà pubbliche delle stesse Autorità. Tali contributi peraltro – continuò la Corte – dovevano considerarsi a tutti gli effetti tributi statali, in quanto: a) imposti in base alla legge; b) privi di relazione con il godimento di specifici servizi e in difetto di un qualunque rapporto sinallagmatico tra prestazione e beneficio percepito dal singolo contribuente; c) volti a finanziarie attività istituzionali doverose; d) correlati a un presupposto economicamente rilevante (quali i ricavi o i fatturati annui).
Va dunque bene inteso il significato dell’espressione “autofinanziamento”, dal momento che le risorse necessarie per il funzionamento delle Authorities sono comunque a carico della fiscalità. La specialità, sotto questo profilo, delle Autorità indipendenti, rispetto alle altre amministrazioni pubbliche, è allora da ravvisare unicamente nelle modalità con cui dette risorse sono reperite e nella peculiare destinazione che esse ricevono.
Nella direzione di un avvicinamento delle Autorità indipendenti alle altre amministrazioni, pure con riguardo al profilo della loro autonomia finanziaria, si era del resto già pronunciato il Consiglio di Stato in una precedente decisione, citata più volte nell’ordinanza n. 2475/2015. Si tratta della sentenza Cons. St., VI, 28.11.2012, n. 6014, con cui il Giudice di Palazzo Spada accolse gli appelli proposti, fra l’altro, dall’Istat contro (anche) alcune Autorità di regolazione (segnatamente, l’AGCOM e l’AEEGSI). Queste ultime avevano vittoriosamente adito il TAR Lazio che, con una serie di sentenze5, aveva dichiarato l’illegittimità dell’inclusione delle ridette Autorità nell’Elenco Istat, in considerazione della particolare posizione di indipendenza e della consequenziale ritenuta impossibilità di considerare tali organismi quali “Enti soggetti a controllo pubblico” a norma del sistema SEC95 (e, quindi, come tali in ipotesi obbligati a concorrere, ai sensi dell’art. 1, co. 3, della l. n. 196/2009, agli obiettivi di finanza pubblica). Nel riformare le decisioni del TAR, il Consiglio di Stato osservò invece che le Autorità indipendenti erano state correttamente inserite nell’Elenco Istat dovendosi qualificare come «amministrazioni pubbliche in senso stretto», in quanto investite di varie potestà autoritative loro trasferite dallo Stato e poiché finanziate con risorse rivenienti da prestazioni patrimoniali imposte, aventi una causa di attribuzione tipicamente pubblicistica. Anzi, a questo riguardo il Consiglio di Stato negò pure che potesse rilevare in contrario la circostanza che, per mere esigenze di semplificazione, fosse stato previsto il versamento diretto dei contributi nelle casse delle suddette Autorità, posto che sarebbe stata ugualmente legittima la soluzione alternativa del pagamento di tali contributi allo Stato e del successivo trasferimento dei relativi importi alle medesime Autorità.
3.1 La relazione tra contributi e costi di gestione
A margine della questione principale circa i limiti dell’autonomia finanziaria delle Autorità indipendenti merita di essere segnalato un altro aspetto, soltanto lambito dall’ordinanza n. 2475/2015. In un passaggio della pronuncia, infatti, il Consiglio di Stato, trattando del principio eurounitario della tendenziale corrispondenza tra i diritti amministrativi riscossi dalle ANR e i costi amministrativi delle attività da esse svolte, precisa che siffatto principio non sarebbe di supporto all’affermazione dell’autonomia finanziaria delle Authorities, ma – esattamente all’opposto – mirerebbe a circoscrivere il rischio di un’imposizione di diritti amministrativi in misura eccessivamente elevata e tale da alterare il funzionamento dei mercati, distorcendone la concorrenzialità e l’efficienza allocativa.
Collegata al tema appena accennato è inoltre l’esigenza, molto avvertita dagli operatori obbligati alla contribuzione, di scongiurare che i versamenti dovuti alle Autorità indipendenti (incidentalmente, giova osservare che alcuni operatori potrebbero essere soggetti al pagamento di contributi in favore di più Autorità) possano incidere eccessivamente sui costi della produzione. A questo proposito viene anche in rilievo la questione, di specifico interesse per le Autorità di regolazione preposte a più settori economici (si pensi all’AEEGSI che si occupa della regolazione nei settori del gas, dell’energia elettrica e dell’idrico), della sussistenza, o no, del dovere di destinare i contributi, corrisposti dagli operatori di uno specifico settore, al finanziamento delle sole attività di regolazione relative a quel settore. Sennonché – in disparte la considerazione che l’eventuale affermazione di una prassi applicativa in questo senso postulerebbe l’adozione, da parte delle Autorità indipendenti, di una separazione contabile per ambito di intervento (attualmente non prevista) – deve ritenersi che proprio la tendenziale assimilazione, sul versante finanziario, delle Authorities alle altre amministrazioni pubbliche porti ad escludere la correttezza giuridica di una soluzione del genere, atteso che il finanziamento attribuito alle altre amministrazioni è destinato a coprire i costi di tutte le attività da esse assolte, senza alcuna distinzione tra i vari compiti istituzionali svolti. Del resto, il riconoscimento di un obbligo di specifica destinazione dei contributi al finanziamento di singole attività, ove reso giustiziabile, finirebbe per compromettere l’efficienza amministrativa e, in conclusione, la stessa indipendenza delle Autorità (posto che le imprese regolate potrebbero strumentalmente sindacarne le scelte organizzative).
La questione ora accennata (che assume particolare spessore nell’ipotesi in cui alle singole Autorità siano attribuite nuove funzioni in ambiti diversi da quelli originari6, senza che nulla sia previsto dalla legge in materia di contributo) sollecita nondimeno una riflessione sull’opportunità, de jure condendo, di introdurre: a) per mere esigenze di trasparenza e di accountability, forme di redazione dei bilanci delle Autorità indipendenti che consentano di distinguere le spese in relazione alle varie missioni; b) istituti che permettano ai soggetti incisi dagli obblighi di versamento di partecipare ai procedimenti volti alla determinazione dell’entità del contributo dovuto alle Authorities.
3.2 La “normalizzazione” delle Authorities
In conclusione va osservato che, al di là della specifica questione sollevata, l’ordinanza n. 2475/2015 intercetta il tema fondamentale della definizione di “pubblica amministrazione”, nozione centrale nel diritto amministrativo e, tuttavia, sempre più frequentemente posta in tensione dal diritto dell’Unione europea nonché dalle pressanti esigenze di contenimento della spesa pubblica, miranti a sfoltire la ricca platea delle organizzazioni pubbliche.
Una volta collocata l’ordinanza nel contesto della recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale, si avverte la sensazione che – esauritisi gli entusiasmi (eccessivi) nutriti, in passato, nei confronti delle Autorità indipendenti (quali forme innovative di amministrazione neutrale, espressione dello Stato regolatore) – si stia oggi assistendo a una revisione critica della pregressa enfatizzazione del requisito dell’indipendenza: in particolare quest’ultima, secondo il Consiglio di Stato (v. la sentenza n. 6014/2012), non andrebbe intesa come causa giustificativa dell’esonero dal rispetto della disciplina generale sulle pubbliche amministrazioni, ma – più restrittivamente – come motivo per la sottrazione delle Authorities, in ragione dei loto intensi poteri tecnico-discrezionali, alla funzione di indirizzo e di coordinamento esercitata dal Governo.
Accade così che, nella perdurante attesa di una legge-quadro su tali Autorità (mai varata, nonostante i vari tentativi esperiti), si registri l’aumento di dati positivi nel segno di una duplice “normalizzazione” di detti organismi, sia nella direzione di una loro progressiva riconduzione nell’alveo delle amministrazioni pubbliche tradizionali sia nel senso di una marcata omogeneizzazione dei loro modelli organizzativi. Si richiamano, non esaustivamente: a livello costituzionale, il novellato testo del primo comma dell’art. 97 Cost., secondo cui tutte le pubbliche amministrazioni (incluse quindi le Autorità indipendenti), in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, devono assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico e, con riguardo alla disciplina di rango primario, l’art. 6 del d.l. 31.5.2010, n. 78, che ha sottoposto anche i bilanci delle Autorità indipendenti a significative riduzioni sul versante delle spese; il d.l. 6.7.2011, n. 98 , che ha tagliato gli stanziamenti e posto un tetto alle remunerazioni dei presidenti e dei componenti i collegi; l’art. 23 del d.l. 6.12.2011, n. 201, che ha ridotto il numero dei componenti i collegi; l’art. 22 del d.l. 24.6.2014, n. 90, che ha introdotto numerose norme razionalizzazione del regime giuridico delle Autorità indipendenti (compreso l’obbligo della gestione unitaria delle procedure concorsuali), fino al recentissimo art. 8, l. 7.8.2015, n. 124 (cd. “legge Madia”) che, nell’ambito di un’articolata delega in materia di riorganizzazione dello Stato, ha imposto al Legislatore delegato di individuare «criteri omogenei di finanziamento delle … autorità, tali da evitare maggiori oneri per la finanza pubblica, mediante la partecipazione, ove non attualmente prevista, delle imprese operanti nei settori e servizi di riferimento, o comunque regolate o vigilate; …».
In attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia, dell’ordinanza n. 2475/2015 va allora apprezzata la prudenza con la quale il Consiglio di Stato si è accostato alla problematica: condivisibile è, difatti, l’approccio, non orientato alla ricerca di una soluzione di carattere generale, ma incentrato sulla valorizzazione del principio di proporzionalità e, soprattutto, su una disamina case by case, condotta cioè sulla base di una concreta dimostrazione dell’effettiva sussistenza, o no, di pericoli per l’autonomia della singola Authority.
In via prognostica non si può poi escludere del tutto che la Corte di Giustizia, in funzione del conseguimento del massimo effetto utile del diritto dell’Unione europea, non opti per una risposta ai quesiti che tenda a indebolire il potere di intervento degli Stati membri sulle Autorità indipendenti, onde rafforzare, al contempo, la soggezione di queste ultime ai poteri di coordinamento dell’Esecutivo comunitario.
1 Si allude all’art. 3, co. 3, del d.l. 31.5.2010, n. 78, in base al quale la Banca d’Italia «tiene conto», conformemente al proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa indicati dalla legge.
2 L’AGCOM trae oltre il 90% delle entrate dai contributi versati dai soggetti regolati e solo per la parte restante gode di un finanziamento statale.
3 Pubblicate sulla G.U.C.E. del 6.11.2012.
4 In generale, sul tema oggetto della Questione, De Benedetto, M., Autofinanziamento delle Autorità indipendenti e provvedimenti di contenimento della finanza pubblica, in Giorn. dir. amm., 2012, 727 (nota a TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 11.1.2012, n. 226) e Napolitano, G., L’autofinanziamento delle autorità indipendenti, in Giorn. dir. amm., 2006, 260.
5 Tra le altre, TAR Lazio, n. 226/2012, cit., pronunciata a favore dell’AGCOM.
6 Il problema si pose già per la “vecchia” Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (ora assorbita dall’ANAC), allorquando, a seguito dell’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.4.2006, n. 163), la sua attività istituzionale si estese anche ai settori dei servizi e delle forniture: la questione fu risolta dal Consiglio di Stato nel senso della conseguente, automatica estensione anche della platea dei soggetti tenuti al versamento del contributo (tra le altre, Cons. St., V, 8.9.2010, n. 6510).