L’astreinte estesa alle sentenze di condanna pecuniarie
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 25.6.2014, n. 15, ha risolto il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine all’ambito di applicazione dell’istituto della c.d. penalità di mora – introdotto dal Codice del processo amministrativo con l’art. 114, co. 4, lett. e), come misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, inquadrabile nell’ambito delle pene private o delle sanzioni civili indirette – affermando che la comminatoria dell’astreinte è ammissibile anche nel caso in cui la sentenza, di cui è chiesta l’esecuzione, abbia ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria.
In sede di procedimento relativo al ricorso per ottemperanza l’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a. ha introdotto per la prima volta nel processo amministrativo l’istituto della cd. penalità di mora1, che costituisce una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsariga dell’istituto francese dell’astreinte2 e già regolata per il processo civile, con riguardo alle sentenze aventi per oggetto obblighi di fare infungibile o di non fare, dall’art. 614 bis c.p.c., aggiunto dall’art. 49, l. 18.6.2009, n. 693 . Norme simili a quelle dell’ordinamento francese, pur se con modulazioni diverse, sono presenti anche negli ordinamenti tedesco (c.d. Zwangsgeld) e inglese (c.d. Contempt of Court). Le Zwangsgeld, in particolare, sono ammesse con esclusivo riferimento a provvedimenti di condanna a obblighi di fare infungibili o di non fare (come negli ordinamenti rumeno, greco e sloveno) e consistono in una condanna al pagamento di una somma di denaro (Zwangsgeld/Ordnungsgeld) in favore dello Stato, con la possibilità di conversione in arresto (Zwangsgeld/Ordnungshaft) nel caso in cui il debitore non disponga di un patrimonio capiente.
Il Contempt of Court, invece, può, come avviene per le astreintes francesi, essere pronunciato a fronte della violazione di ogni provvedimento dell’autorità giudiziaria, a prescindere dal suo contenuto, e consiste in una sanzione pecuniaria da versarsi allo Stato (in alternativa al sequestro di beni) o in una sanzione detentiva (arrest for the contempt of the court), con facoltà di scelta discrezionale per il giudice tra la misura patrimoniale e quella limitativa della libertà personale4.
L’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a. dispone che il giudice, in caso di accoglimento del ricorso «salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo».
La norma è stata letta dalla pressoché unanime giurisprudenza del giudice amministrativo nel senso di perseguire una finalità sanzionatoria e non risarcitoria5, in quanto non mira a riparare il pregiudizio cagionato dall’esecuzione della sentenza, ma sanziona la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimola il debitore all’adempimento6.
Dubbi in giurisprudenza sono invece sorti in ordine all’ambito di applicazione di tale istituto.
Sulla questione è intervenuta l’A.P. del Cons. St. n. 15 del 25.6.20147, che ha chiarito che la comminatoria delle penalità di mora è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui all’art. 113 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria.
Come si è detto, l’intervento dell’A.P. si è reso necessario a fronte di due contrapposti orientamenti, emersi – nel silenzio della norma sull’applicabilità dell’istituto alle sentenze aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria – sin dall’entrata in vigore del c.p.a.8.
Un primo orientamento9 ha escluso la possibilità di applicare la penalità di mora alle sentenze di condanna pecuniarie della p.a., principalmente sul rilievo che in tale ipotesi, in caso di ritardo nell’adempimento, il giudice già condanna l’Amministrazione a versare al creditore gli interessi legali, cui la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi. Sotto questo profilo è stato chiarito10 che l’astreinte è soggetta alla ricorrenza di tre presupposti: l’uno, positivo, consistente nella richiesta di parte, e gli altri, negativi, nell’insussistenza sia di manifesta iniquità che di ragioni ostative; nel caso di esecuzione di giudicato mediante pagamento di somma di denaro manca il primo presupposto negativo, dal momento che l’obbligo derivante dal giudicato ha esso stesso natura pecuniaria
ed il suo adempimento è già tutelato dall’ordinamento, sicché all’obbligo accessorio del pagamento degli ulteriori interessi si aggiungerebbe quello derivante dall’astreinte. Ne conseguirebbe una ingiustificata duplicazione di misure volte a ridurre l’entità del pregiudizio derivante all’interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione del giudicato, nonché un ingiustificato arricchimento del soggetto già creditore della prestazione principale e di quella accessoria. A questo rilievo si è aggiunta la constatazione che sarebbe quanto meno singolare che l’interessato, scegliendo la via dell’ottemperanza giurisdizionale amministrativa per l’esecuzione di una sentenza del giudice civile, possa ottenere un vantaggio monetario ulteriore in caso di ritardo, non riconosciuto in sede civile11.
La conclusione cui perviene tale filone giurisprudenziale è, dunque, essenzialmente fondata sulla necessità di assicurare l’omogeneità dell’ordinamento e del principio di eguaglianza: qualora il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l’esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario (il che frequentemente accade) la tesi favorevole all’ammissibilità dell’applicazione della astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca. In altri termini, il creditore pecuniario della p.a. nel giudizio di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilità rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile (ove in base alla pressoché unanime interpretazione, l’istituto ex art. 614 bis c.p.c. è applicabile alle sole condanne ad un facere infungibile), e tanto semplicemente in base ad una opzione puramente potestativa.
Per contro, alla luce del principio di eguaglianza, il legislatore è chiamato ad effettuare, a parità di situazioni sostanziali, scelte identiche, ed un regime di tutela differenziato in tanto sarebbe legittimo in quanto rispondente ad un principio di ragionevolezza12.
Infine, di rilievo non secondario è l’argomentazione che si fonda sull’impossibilità di cumulare un modello di esecuzione surrogatoria con uno di carattere compulsorio, dal momento che il sistema nazionale di esecuzione amministrativa della decisione, connotato da caratteri di estrema incisività e persuasività, porrebbe già a presidio delle ragioni debitorie dell’Amministrazione «la doppia garanzia sul piano patrimoniale del riconoscimento degli accessori del credito e su quello coercitivo generale dell’intervento del Commissario ad acta»13.
Il secondo orientamento14, che ritiene invece applicabile l’astreinte anche nel caso di ottemperanza a sentenze aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria, assume a presupposto la natura sanzionatoria e non risarcitoria dell’istituto15, in quanto volto non a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento16. Partendo da tale presupposto diventa del tutto irrilevante la circostanza che il debitore inadempiente sia già condannato a versare gli interessi legali, ossia interessi compensativi, intesi come tipici frutti civili17. Gli interessi legali per il ritardato pagamento e l’applicazione dell’astreinte hanno infatti una ratio differente, essendo i primi finalizzati a riparare il pregiudizio cagionato dalla ritardata esecuzione della sentenza, mentre la seconda a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria18. Anche da un punto di vista prettamente formale non va sottaciuto che la lett. e) del co. 4 dell’art. 114 c.p.a., a differenza dell’art. 614 bis c.p.c., non pone «alcuna distinzione per tipologie di condanne rispetto al potere del giudice di disporre, su istanza di parte, la condanna dell’Amministrazione inadempiente al pagamento della penalità di mora»19, con una scelta che «appare coerente con il rilievo che il rimedio dell’ottemperanza, grazie al potere sostitutivo esercitabile, nell’alveo di una giurisdizione di merito, dal giudice in via diretta o mediante la nomina di un commissario ad acta, non conosce, in linea di principio, l’ostacolo della non surrogabilità degli atti necessari al fine di assicurare l’esecuzione in re del precetto giudiziario»20.
L’A.P. n. 15/2014 ha aderito a tale secondo orientamento.
Ha preliminarmente affermato il carattere fortemente innovativo rispetto alla nostra tradizione processuale dell’istituto, sia in sede processual civilistica che nel processo amministrativo.
«Il legislatore nazionale si è, infatti, mostrato in passato restio all’abbandono dell’ispirazione liberal-individualistica di matrice ottocentesca,manifestando diffidenza per il recepimento dell’istituto delle misure coercitive indirette, ritenute una forma di eccessiva ingerenza dello Stato delle libere scelte degli individui anche in merito all’osservanza, in forma specifica o meno, di un comando giudiziale. Prima della riforma del 2009, dunque, la possibilità che un provvedimento
giurisdizionale di condanna fosse assistito da una penalità di mora era prevista, in modo episodico, solo con riferimento a fattispecie tassativamente individuate da norme speciali, insuscettibili di applicazione analogica».Tale svolta è nel segno di un adeguamento ai ripetuti moniti della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui «il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte»21.
L’Alto Consesso ha poi messo in luce le evidenti differenze che intercorrono tra la disciplina dell’astreinte dettata dall’art. 614 bis c.p.c., che limita l’applicabilità della penale al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile, e quella oggetto della lett. e) del co. 4 dell’art. 114 c.p.a. In primo luogo, mentre la sanzione di cui all’art. 614 bis c.p.c. è adottata con la sentenza di cognizione che definisce il giudizio di merito, la penalità è irrogata dal giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, con la sentenza che accerta il già intervenuto inadempimento dell’obbligo di contegno imposto dal comando giudiziale. Corollario obbligato è che nel processo civile la sanzione è ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale dell’inadempimento del precetto giudiziario nel termine all’uopo contestualmente fissato; al contrario, nel processo amministrativo l’astreinte, salva diversa valutazione del giudice, può essere di immediata esecuzione, in quanto è sancita da una sentenza che, nel giudizio d’ottemperanza, ha già accertato l’inadempimento del debitore. Aggiungasi che le astreintes disciplinate dal c.p.a. presentano, almeno sul piano formale, una portata applicativa più ampia rispetto a quelle previste nel processo civile, in quanto non si è riprodotto nell’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a., il limite della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile.
Infine, il c.p.a. prevede, accanto al requisito positivo dell’inesecuzione della sentenza e al limite negativo della manifesta iniquità, l’ulteriore presupposto negativo consistente nella ricorrenza di «ragioni ostative» e non richiama i parametri di quantificazione dell’ammontare della somma fissati dall’art. 614 bis c.p.c.
Ed è proprio la mancanza, nella disciplina dettata dalla citata lett. e) del co. 4 dell’art. 114 c.p.a., di una previsione esplicita che limiti la riferibilità delle penalità dimora al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile che ha fatto sorgere il problema relativo alla possibilità di richiedere l’applicazione delle penalità anche nel caso dell’ottemperanza a sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario.
2.1 Le argomentazioni addotte dall’A.P. n. 15/2014
Come si è detto, l’A.P. n. 15/2014 ha aderito all’orientamento che ammette l’operatività dell’istituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal giudice amministrativo ex art. 112 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie.
Diverse le argomentazioni che supportano tale conclusione.
In primo luogo, con una visione al diritto comparato, il riferimento a quello che è stato il modello ispiratore del Legislatore del c.p.a. Il sistema francese si fonda sulla natura sanzionatoria dell’astreinte, essendo teleologicamente orientato a costituire una pena per la disobbedienza alla statuizione giudiziaria, e non risarcitoria per il pregiudizio sofferto a causa di tale inottemperanza. Il modello transalpino, quindi, in aderenza al favor espresso dalla giurisprudenza della CEDU verso la massima estensione, anche in executivis, dell’effettività delle decisioni giurisdizionali, dimostra che il rimedio compulsorio in esame può operare anche per le condanne pecuniarie, in quanto non conosce limiti strutturali in ragione della natura della condotta imposta dallo iussum iudicis.
A tali ragioni si aggiunge un argomento di carattere prettamente letterale, fondato sul rilievo che la lett. e) del co. 4 dell’art. 114 c.p.a. non ha riprodotto il limite, stabilito dall’art. 614 bis, della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile. Anzi, ancora più significativamente la citata lett. e) non richiama affatto la disciplina processual civilistica, dalla quale invero si discosta anche nella parte in cui prevede l’ulteriore limite negativo rappresentato dall’insussistenza di «ragioni ostative»22.
Alle argomentazioni fondate sul diritto comparato e sulla portata letterale dell’art. 114 c.p.a., l’A.P. n. 15/2014 ha aggiunto un argomento sistematico, fondato sul rilievo che nel processo amministrativo la norma si cala in un archetipo processuale in cui, grazie alle peculiarità del giudizio di ottemperanza, caratterizzato dalla nomina di un commissario ad acta con poteri sostitutivi, tutte le prestazioni sono surrogabili, senza che sia dato distinguere a seconda della natura delle condotte imposte23. «La penalità di mora, in questo diverso humus processuale, assumendo una più marcata matrice sanzionatoria che completa la veste di strumento di coazione indiretta, si atteggia a tecnica compulsoria che si affianca, in termini di completamento e cumulo, alla tecnica surrogatoria che permea il giudizio d’ottemperanza.
Detta fisionomia impedisce di distinguere a seconda della natura della condotta ordinata dal giudice, posto che anche per le condotte di facere o non facere, al pari di quelle aventi ad oggetto un dare (pecuniario o no), vige il requisito della surrogabilità/fungibilità della prestazione e, quindi, l’esigenza di prevedere un rimedio compulsivo volto ad integrare quello surrogatorio».
Non manca un argomento costituzionale. L’Alto Consesso ha escluso che possa configurarsi la disparità collegata all’opzione potestativa, paventata dai fautori dell’opposta tesi avversata ed esercitabile da parte del creditore, attraverso la scelta, in sostituzione del rimedio dell’esecuzione forzata civile, dell’ottemperanza amministrativa, rafforzata dalla comminatoria delle astreintes. La possibilità, per un creditore pecuniario della p.a., di utilizzare, in coerenza con una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, due diversi meccanismi di esecuzione, lungi dal porre in essere una disparità di trattamento, per la quale difetterebbe il referente soggettivo discriminato, evidenzia infatti un arricchimento del bagaglio delle tutele normativamente garantite in attuazione dell’art. 24 Cost. in una con i canoni europei e comunitari della tutela piena ed effettiva, richiamati dall’art. 1 c.p.a. Né si potrebbe ritenere che l’estensione dell’astreinte alle decisioni di condanna a prestazioni pecuniarie porti a discriminare il debitore pubblico da quello privato per essere solo il primo soggetto a tecniche di esecuzione diversificate e più incisive. La differenza è infatti giustificata dalla peculiare condizione in cui versa il soggetto pubblico destinatario di un comando giudiziale. Ad avviso dell’A.P. n. 15/2014 la pregnanza dei canoni costituzionali di imparzialità, buona amministrazione e legalità che informano l’azione dei soggetti pubblici, qualificano in termini di maggior gravità l’inosservanza, da parte di tali soggetti, del precetto giudiziale, in guisa da giustificare la previsione di tecniche di esecuzione più penetranti, tra le quali si iscrive il meccanismo delle penalità di mora.
Infine, non è condivisibile l’argomento equitativo su cui fanno leva i fautori della tesi restrittiva, richiamando il rischio di duplicazione di risarcimenti, con correlativa locupletazione del creditore e depauperamento del debitore. E ciò in considerazione della più volte ricordata natura sanzionatoria e non risarcitoria della penalità di mora. Trattandosi di una pena, e non di un risarcimento, non viene in rilievo un’inammissibile doppia riparazione di un unico danno ma l’aggiunta di una misura sanzionatoria ad una tutela risarcitoria. Ha ancora chiarito l’A.P. n. 15/2014 che si tratta, in ogni caso, di un problema che si presenterebbe anche a fronte dell’esecuzione delle sentenze che non hanno un oggetto pecuniario, per le quali parimenti il Legislatore, pur se non attraverso meccanismi automatici propri degli accessori del credito pecuniario (rivalutazione e interessi), prevede l’azionabilità del diritto al risarcimento dell’intero danno da in esecuzione del giudicato (art. 112, co. 3, c.p.a.), in aggiunta alla possibilità di fare leva sul meccanismo delle penalità di mora.
Come si è detto la sentenza dell’A.P. n. 15/2014 pone termine ad un contrasto giurisprudenziale insorto già all’indomani dell’entrata in vigore del c.p.a. in ordine all’applicabilità del nuovo istituto dell’astreinte anche alle sentenze aventi ad oggetto prestazione pecuniarie.
La soluzione appare condivisibile. La decisione, nella sua puntuale parabola motivazionale, ha controdedotto a tutte le argomentazioni che erano state spese dai fautori dell’opposta tesi, principiando dalla natura sanzionatoria di tale istituto e dall’assenza di qualsiasi profilo di incostituzionalità della lett. e) del co. 4 dell’art. 114 nella lettura che lo stesso Alto Consesso ne ha dato.
Non è dubbio che un profilo di criticità, non in diritto ma sul piano pratico, tale soluzione lo presenta, comportando – nell’ipotesi di sentenze aventi ad oggetto prestazione pecuniarie – un esborso che va ad aggiungersi alla condanna al versamento degli interessi sulla somma tardivamente corrisposta al ricorrente vincitore. Ma non può certo essere tale rilievo ad indurre a dare alla norma una lettura diversa e più restrittiva. E ciò non solo perché non è questo il primo caso di contemporaneo esborso, da parte del soggetto pubblico, di una somma di danaro, quanto piuttosto perché appare corretto, in applicazione del principio di effettività della tutela, sancito anche dall’art. 1 c.p.a., che l’Amministrazione che non adempie spontaneamente al giudicato e che costringe il ricorrente vittorioso ad esperire un nuovo giudizio, sia sanzionata per tale suo comportamento. Sembra appena il caso di ricordare che ai sensi dell’art. 112, co. 1, c.p.a., se per tutte le parti in causa sussiste l’obbligo di dare esecuzione ai provvedimenti del giudice, ciò vale soprattutto per la p.a., in un’ottica di leale ed imparziale esercizio del munus publicum e in esecuzione dei principi costituzionali scanditi dall’art. 97 Cost. e dalla CEDU nella quale il diritto all’esecuzione della pronuncia del giudice è considerato inevitabile e qualificante completamento della tutela offerta dall’ordinamento in sede giurisdizionale24.
Del resto, la lett. e) del co. 4 dell’art. 114, proprio in considerazione della possibilità che sussistano obiettive difficoltà del soggetto pubblico nell’adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici, ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative25. Come correttamente affermato dall’A.P. n. 15/2014, ferma restando l’assenza di preclusioni astratte sul piano dell’ammissibilità, spetterà allora al giudice dell’ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell’ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l’importo. In tutti gli altri casi, appare corretto sanzionare la parte pubblica che, condannata al pagamento a favore del privato ricorrente di una somma di denaro, continui a non adempire assolvendo il proprio debito.
1 In effetti, nonostante l’assenza di una copertura normativa specifica per il processo amministrativo, la sez. VI del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3674 del 20.6.2006 aveva già condannato, in sede di esecuzione del giudicato, l’Amministrazione inadempiente al pagamento, a favore del ricorrente, della somma di € 200,00 per ogni giorno di ulteriore ritardo, fino alla data di completa esecuzione.
2 Buscicchio, F., Astreintes nel processo amministrativo, in Giur. mer., 2012, 11, 2446, ha rimarcato le più evidenti differenze tra l’istituto francese dell’astreinte e quello disciplinato dall’art. 114, co. 4, c.p.a. In primo luogo la sottrazione delle astreintes ai poteri officiosi del giudice; ed infatti, a differenza di quanto previsto dal Code de justice administrative francese, il giudice amministrativo non può autonomamente optare, in assenza di domanda di parte, per l’applicazione di misure coercitive. Un’ulteriore differenza è rappresentata dal momento in cui è possibile, per il giudice, adottare le astreintes: infatti, mentre il legislatore francese ammette il loro utilizzo al termine del processo di cognizione, l’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a. ha invece collocato tali misure all’esito del giudizio di ottemperanza.
3 Ha precisato Sandulli,M.A., L’introduzione delle astreintes nel processo amministrativo: tra effettività e incertezza, in Dir. proc. amm., 2003, 902, che in Italia l’istituto della penalità di mora ha in realtà fatto il suo primo ingresso nelle disposizioni a tutela della proprietà industriale e intellettuale, in particolare nella cd. “legge invenzioni” approvata con R.d. 29.6.1939, n. 1127 e poi negli artt. 124, co. 2, e 131, co. 2, del codice della proprietà industriale e negli artt. 156, co. 1, e 163, co. 2, della legge sul diritto d’autore, che, anticipando in parte qua la riforma generale del processo civile, stabiliscono, con identica formulazione, che il giudice «pronunciando l’inibitoria, può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento». In giurisprudenza Cons. St., sez. V, 20.12.2011, n. 6688, ha chiarito che la determinazione del c.p.a. di attribuire all’istituto della penalità di mora una portata applicativa più ampia che nel processo civile – non essendo stato riprodotto il limite della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile – appare coerente con il rilievo che il rimedio dell’ottemperanza, grazie al potere sostitutivo esercitabile, nell’alveo di una giurisdizione di merito, dal giudice in via diretta o mediante la nomina di un commissario ad acta, non conosce, in linea di principio, l’ostacolo della non surrogabilità degli atti necessari al fine di assicurare l’esecuzione in re del precetto giudiziario. Ne deriva che, nel sistema processual–amministrativo, lo strumento in esame non mira a compensare gli ostacoli derivanti dalla non diretta coercibilità degli obblighi di contegno sanciti dalla sentenza del giudice civile mentre del rimedio processual-civilistico condivide la generale finalità di dissuadere il debitore dal persistere nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza.
4 In questo senso Cons. St., A.P., 26.5.2014, n. 15.
5 Cons. St., sez. V, 11.6.2012, n. 3397; Cons. St., sez. IV, 31.5. 2012, n. 3272; TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 18.10.2013, n. 9028.Ha chiarito Cons. St., sez. V, 20.12.2011, n. 6688 che la riprova della correttezza di questa qualificazione giuridica dell’istituto è la circostanza che, nel dettare i criteri guida per la quantificazione dell’ammontare della sanzione, l’art. 614 bis, co. 2, c.p.c. considera lamisura del danno quantificato e prevedibile solo uno dei parametri di commisurazione in quanto valuta anche altri profili, estranei alla logica riparatoria, quali il valore della controversia, la natura della prestazione e ogni altra circostanza utile, tra cui il profitto tratto dal creditore per effetto del suo inadempimento.
6 Cons. St. n. 6688/2011, secondo cui la penalità di mora è «una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsariga dell’istituto francese dell’astreinte, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere all’obbligazione sancita a sua carico dal’ordine del giudice»; TAR Lazio, Roma, sez. II, 2.1.2014, n. 1.
7 La questione era stata rimessa all’A.P. del Cons. St. dalla sez. IV, con ord. 18.4.2014, n. 14, che aveva aderito all’orientamento che ammette l’operatività dell’istituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal giudice amministrativo ex art. 112 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie.
8 Per una rassegna delle diverse posizioni giurisprudenziali e delle motivazione alle stesse sottese si rinvia a Ferrari, G., Il nuovo Codice del processo amministrativo, IV ed., Roma, 2014. In dottrina, per le diverse posizioni assunte, v. Delle Donne, C., Astreinte e condanna pecuniaria della PA tra Codice di procedura civile e Codice del processo amministrativo, in Riv. es. forz., 2011, 2; Viola, L., L‘astreinte nel nuovo processo amministrativo, in Urb. app., 2011, 153 ss.; Guccione, G., L‘“astreinte” amministrativa. Problematiche applicative dell’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a. e prime applicazioni giurisprudenziali, in Rass. avv. Stato, n. 2012, 4, 328 ss.; Sandulli, M.A., L’introduzione delle astreintes nel processo amministrativo: tra effettività e incertezza, in Dir. proc. amm., 2003, 902;
Cortese, F., Sull’obbligo di pagare una somma di denaro ex art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a.: natura giuridica e regime applicativo, in Resp. civ. e prev., 2014, 2, 657.
9 TAR Puglia, Lecce, sez. I, 16.4.2014, n. 998; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 10.3.2014, n. 715; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 25.2.2014, n. 601; TAR Marche, 20.2.2014, n. 238.
10 Cons. St., sez. III, 6.12.2013, n. 5819.
11 TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 21.1.2013, n. 640.
12 Cons. St., sez. III, n. 5819/2013;TAR Campania,Napoli, sez. IV, 3.12.2012, n. 4887, secondo il quale non sembra né legittima né ragionevole una tutela differenziata offerta al cittadino (ed a sceltameramente potestativa di quest’ultimo) all’interno di un sistema che svolge la stessa funzione esecutiva, ancorché dinanzi a giudici diversi. Critico nei confronti delle conclusioni cui è pervenuta questa parte della giurisprudenza del giudice amministrativo è Carbone, A., Riflessioni sul valore sanzionatorio dell’astreinte e sulla sua applicazione nel processo amministrativo, Relazione al Convegno, organizzato dall’AIPDA, all’Università degli Studi Roma Tre il 6 febbraio 2014, “Riflessioni sull’incertezza delle regole: il proliferare delle sanzioni più o meno nascoste”, in AIPDA, www.diritto-amministrativo.org, il quale ha preliminarmente chiarito che il riferimento ad un facere infungibile non verrebbe in rilievo nel diritto amministrativo ove gli strumenti propri del giudice dell’ottemperanza permettono la sostituzione della p.a. nell’attività in cui essa si è resa inadempiente, con la conseguenza che alcuna differenza può riscontrarsi tra una condanna pecuniaria ed una ad un facere, essendo anche quest’ultima surrogabile. Alle stesse conclusioni è pervenuto Delle Donne, C., Astreinte e condanna pecuniaria della P.A: tra Codice di procedura civile e Codice del processo amministrativo, in Riv. es. forz., 2011, 324 ss., secondo il quale tutte le prestazioni imposte all’Amministrazione dalla sentenza diventano allo stesso modo surrogabili attraverso il Commissario ad acta, con la conseguenza che alcuna differenza può configurarsi, sotto questo punto di vista, tra condanne pecuniarie e condanne ad altre prestazioni. Ad avviso di Carbone, A., Riflessioni sul valore sanzionatorio dell’astreinte, cit., la natura sanzionatoria della penalità di mora porta poi a neutralizzare l’argomentazione che si fonda su una inaccettabile duplicazione con gli interessi che devono essere versati dal debitore nel caso di ritardato adempimento. Né sarebbe possibile ricondurre quanto dovuto in ragione di una misura afflittiva a quanto dovuto a titolo indennitario/risarcitorio senza compromettere la funzione della misura afflittiva stessa.
13 Cons. St., sez. IV, ord. 18.4.2014, n. 2004.
14 Cons. St., sez. IV, 29.1.2014, n. 462; Cons. St., sez. V, 15.7.2013, n. 3781.
15 Esclude la possibilità di attribuire natura risarcitoria all’istituto dell’astreinte anche Savo Amodio, A., Le astreintes, in Il Libro dell’anno del Diritto 2013, Treccani, Roma, secondo il quale la tesi c.d. risarcitoria sembra non considerare la profonda differenza che intercorre fra la natura ed i poteri che l’ordinamento attribuisce al giudice amministrativo nella sede dell’ottemperanza, in cui si colloca pur sempre l’istituto in esame, e la natura ed i poteri tipici del giudizio di esecuzione dinanzi al giudice ordinario. In particolare, il rimedio dell’ottemperanza, nell’ambito del processo amministrativo, a differenza del giudizio di esecuzione civile, non sconta l’ostacolo della non surrogabilità degli atti necessari al fine di assicurare l’esecuzione in re del precetto giudiziario (ostacolo che in civile si pone per gli obblighi di fare infungibile o di non fare); ne deriva che nel sistema processual-amministrativo la condanna contemplata dall’art. 114 c.p.a. non può considerarsi come finalizzata a compensare gli ostacoli derivanti dalla non diretta coercibilità degli obblighi di contegno sanciti dalla sentenza del giudice civile, mentre del rimedio processual-civilistico condivide la generale finalità di dissuadere il debitore dal persistere nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza.
16 Cons. St., sez. III, 30.5.2013, n. 2933; C.g.a. 30.4.2013, n. 424.
17 Cons. St., sez. IV, 31.5.2012, n. 3272.
18 TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 18.10.2013, n. 9028.
19 Cons. St., sez. IV, 29.1.2014, n. 462.
20 Cons. St., sez. V, 20.12.2011, n. 6688.
21 Sentenza 17.5.2011, Ventorio c. Italia; id. 13.3.1997, Hornsby c. Grecia.
22 Sotto questo profilo, chiarisce l’A.P. n. 15/2014, non può, dunque, essere attribuito un rilievo decisivo ai lavori preparatori, in quanto il riferimento, operato dalla Relazione governativa di accompagnamento al c.p.a. alla riproduzione dell’art. 614 bis c.p.c., va inteso come richiamo della fisionomia dell’istituto e non come recepimento della sua disciplina puntuale.
23 Ad avviso di Carbone, A., L’Adunanza Plenaria e l’ambito di applicazione delle astreintes: un problema risolto?, Considerazioni a margine di Cons. St., ad. plen., n. 15 del 25 giugno 2014, in www.giustamm.it, 21.7.2014, la distinzione tra astreintes nel processo civile e astreintes nel processo amministrativo non sembra così netta come potrebbe apparire dal tenore letterale degli artt. 614 bis c.p.c. e 114 c.p.a.
24 Cons. St., sez. III, 8.7.2014, n. 3482.
25 Critico su questa riserva normativa è Carbone, A., L’Adunanza Plenaria e l’ambito di applicazione delle astreintes, cit., secondo cui l’ampia discrezionalità lasciata al giudice nell’applicazione di questo criterio rischia di porre nel nulla l’affermata ammissibilità delle astreintes nei confronti delle prestazioni di natura pecuniaria e di restringere di fatto il loro campo di applicazione anche per quanto concerne le pronunce aventi ad oggetto un facere prettamente amministrativo. Ha affermato Viola, L., Ancora sulla pretesa incompatibilità tra astreintes ed esecuzione delle sentenze in materia di obbligazioni pecuniarie della p.a., in Foro amm. - Tar, 2013, 2, 528, che è presente nel sistema una «valvola interna di riequilibrio» che permette sostanzialmente al giudice di «calibrare» esattamente l’applicazione di una misura di coazione indiretta che si prospetta indubbiamente caratterizzata da delicati problemi di quantificazione. Ha aggiunto che è il sindacato in ordine alla manifesta iniquità della concessione delle astreintes che deve essere effettuato in concreto e non in astratto, essendo destinato ad operare nelle sole ipotesi in cui l’operatività congiunta di interessi ed astreintes evidenzi effettivamente una eccessiva sovracompensazione nei confronti del titolare dell’obbligazione pecuniaria.