Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Un nuovo sistema di notazione, teorizzato e perfezionato a Parigi nel primo ventennio del XIV secolo, rivoluziona lo stile musicale della Francia intera. La vita musicale è attiva in seno alle corti dei grandi principi europei, che grazie al loro mecenatismo rendono possibile l’attività di grandi compositori, primo fra tutti Guillaume de Machaut.
Il termine ars nova prende origine dal trattato omonimo (risalente al 1322 ca.), attribuito a Philippe de Vitry, e designa il nuovo stile che marca la produzione musicale del XIV secolo in Francia.
Nato in Champagne, Philippe de Vitry è apprezzato dai contemporanei, fra cui Francesco Petrarca, a cui è legato da amicizia e da stima reciproca, per essere un sommo compositore e un grande poeta. È altresì un personaggio politicamente attivo: nominato segretario del re Carlo IV il Bello, entra in Parlamento e assume la carica di maître des requêtes. Svolge funzioni diplomatiche per il re di Francia e la corte papale di Clemente VI ad Avignone.
Nel 1351 viene nominato vescovo di Meaux e nel 1357 diviene uno dei nove riformatori degli Stati generali. Sfortunatamente, malgrado la grande fama di cui ha goduto, poche sue opere sono giunte ai nostri giorni; tra esse, alcuni mottetti a lui attribuiti presenti nel Roman de Fauvel.
Il Roman de Fauvel è un poema satirico in due libri, scritto tra il 1310 e il 1314 circa. Più di 3000 versi di feroce critica politica, composti da un alto funzionario della cancelleria reale, Gervais du Bus, contro gli eccessi e gli abusi di potere di Filippo IV il Bello, re di Francia, e del suo consigliere, Enguerrand de Marigny, senza risparmiare il papato di Clemente V, “responsabile” della lunga cattività avignonese. Il nome del protagonista, la bestia Fauvel (a metà tra un cavallo e un asino, ispirata a Renart, la volpe del Roman de Renart ), è un acronimo dei vizi dell’epoca: Flaterie (adulazione); Avarice (avarizia); Vilenie (villania); Varieté (incostanza); Envie (invidia); Lascheté (codardia). Dal matrimonio di Fauvel con Vana Gloria nasce una stirpe che popolerà la Francia e il mondo intero, corrompendolo irreparabilmente.
Questo testo deve aver goduto di una larghissima popolarità, dato che attualmente è conservato in ben 12 manoscritti. Tra essi, il codice Paris, Bibliothèque Nationale de France, fr. 146, è il più interessante dal punto di vista musicale, poiché, oltre a possedere magnifiche miniature, presenta ben 169 inserzioni musicali, tra cui 34 mottetti di orientamento stilistico diverso, una sorta di antologia che illustra tutti gli stadi dello sviluppo di questa forma musicale: dai mottetti nello stile della “scuola” di Notre-Dame, passando per i mottetti dell’ ars antiqua , in notazione franconiana, fino ad arrivare ai mottetti isoritmici di Philippe de Vitry.
La forma del mottetto politestuale, già in auge nel XIII secolo, viene perfezionata e portata a vertici di virtuosismo compositivo nel corso del XIV secolo. Philippe de Vitry utilizza nei mottetti presenti nel Roman de Fauvel, come ad esempio Garrit Gallus-In nova fert-Neuma, la tecnica dell’isoritmia.
Isoritmia vuol dire letteralmente ripetizione regolare di un segmento ritmico. Viene applicata soprattutto alla voce di tenor del mottetto, che viene suddivisa in un certo numero di episodi reiteranti il segmento ritmico di base (talea). Anche la melodia preesistente (color) può essere riproposta più volte in una sequenza isoritmica. Di solito la talea consiste in un segmento abbastanza breve, che contiene quindi molte meno note rispetto alla melodia preesistente: in questo modo si creano ripetizioni del color con ritmi diversi, dato che ogni volta che la talea è riproposta essa sarà in corrispondenza di una nota diversa della melodia. L’isoritmia può essere estesa anche alle altre voci del mottetto. A questo proposito è bene ricordare che all’inizio del secolo XIV la maggioranza dei mottetti è a tre voci: due voci superiori che cantano due testi diversi (in latino il più delle volte, ma anche in francese) e un tenor senza testo, probabilmente strumentale. Nel corso del secolo il mottetto raggiunge una forma classica a quattro voci, in cui la quarta voce, anch’essa probabilmente strumentale, ha la stessa tessitura del tenor, tanto che viene denominata contratenor. Si viene dunque a creare una sorta di stratificazione tra due coppie di voci simili, entrambe soggette all’isoritmia nelle creazioni più virtuosistiche.
Verso la fine del secolo la fortuna del mottetto comincia lentamente a declinare: se guardiamo ad esempio il manoscritto Chantilly 564 (fonte principale della musica francese della seconda metà del XIV secolo e dell’inizio del XV) notiamo che esso contiene 13 mottetti contro 89 chansons. All’inizio del XV secolo il mottetto viene impiegato nelle occasioni importanti (matrimoni, feste e avvenimenti politici e religiosi), ma il gusto dell’epoca gli preferirà il genere più facile e immediato della chanson o del rondeau. Nondimeno, la tecnica dell’isoritmia si estende ben presto ad altri generi, come la ballade, ma viene anche utilizzata nel repertorio sacro: vedremo che Guillaume de Machaut si avvale dell’isoritmia in alcune parti della Missa de Notre-Dame.
L’importanza del Roman de Fauvel risiede anche nel fatto che i mottetti attribuiti a Philippe de Vitry, in esso contenuti, sono redatti tenendo conto di alcuni elementi innovativi nel campo della notazione musicale, teorizzati nel trattato dello stesso Philippe de Vitry e nelle opere teoriche di Giovanni de Muris (o Jean de Murs).
Nato verso il 1290 a Lisieux, Giovanni studia a Parigi e ottiene il titolo di magister artium nel 1321. È il tipico rappresentante dell’intelligentia parigina, in contatto con Philippe de Vitry, ma anche con Giovanni Buridano e Nicola Oresme. Matematico e astronomo, oltre che teorico della musica, pubblica vari trattati di capitale importanza: Ars novae musicae o Notitia artis musicae (1321), nel quale tratta le questioni relative alla notazione musicale del nuovo stile; Compendium Musicae Praticae o Questiones super partes musice (1322), concepito come un manuale per l’insegnamento universitario, nel quale vengono approfondite le tematiche del trattato precedente relative alla notazione musicale dell’ ars nova e alla nuova concezione mensurale tipica del nuovo stile; Musica speculativa secundum Boethium (1323), una summa di teoria e filosofia della musica; a Giovanni de Muris sono attribuiti due trattati di contrappunto, Libellus cantus mensurabilis e Ars contrapuncti, di datazione incerta.
La questione del nuovo stile musicale del XIV secolo è quindi intimamente legata alla notazione musicale. Già a partire dai mottetti di Pierre de la Croix (noto anche come Petrus de Cruce, 1270 ca. - prima del 1347) era sentita l’esigenza di distinguere chiaramente, dal punto di vista della notazione, valori di durata delle note più brevi, non inclusi nel sistema franconiano. Con l’ ars nova vengono creati segni musicali corrispondenti a suoni di una durata più breve (minime e semiminime), estendendo a questi nuovi simboli musicali i medesimi rapporti che nella notazione franconiana regolavano la longa e la brevis. Da questo momento, con l’adozione di valori più brevi, la breve e non più la longa diviene l’unità di misura del tempo.
Ma l’innovazione più rivoluzionaria è l’introduzione della divisione binaria, che viene ad avere la stessa importanza della divisione ternaria. Il sistema franconiano, infatti, era impostato su una gerarchia dei valori ritmici basata su una severa struttura ternaria (dall’evidente portata simbolica): una maxima conteneva tre longae , una longa conteneva tre breves , una brevis tre semibreves.
Con l’ ars nova una breve, a seconda del contesto, può contenere sia tre semibrevi (tempus perfectum ), che due (tempus imperfectum); passando ai valori più piccoli, una semibreve, sempre a seconda del contesto, potrà contenere tre minime (prolatio maior) o due (prolatio minor). In pratica, come sostiene Giovanni de Muris nel suo trattato Ars novae musicae, da questo momento il segno grafico designante una nota non è più l’essenza del suono stesso: il legame che unisce la nota al suono è convenzionale. Ciò che definisce la perfezione o l’imperfezione di un suono è il contesto ritmico, non più il segno grafico isolato.
Questa novità è destinata ad accendere furiose polemiche tra innovatori e conservatori. Tra questi figura il grande teorico Giacomo di Liegi. Studia teologia a Parigi ed è identificato in un maestro di sacra pagina, canonico di Liegi. Il suo nome lo ricaviamo dall’acrostico degli incipit dei libri che compongono il suo immenso trattato Speculum Musicae e, la maggiore summa di teoria della musica, con una vasta sezione dedicata alla polifonia dell’ ars antiqua fino alla fine del XIII secolo. Il teorico lamenta l’abbandono progressivo della dimensione “speculativa” della musica, per una dimensione esclusivamente “pratica”: egli ribadisce che la musica è intimamente legata a Dio ed è parte della Creazione, come l’antico stile di Francone metteva bene in evidenza. L’attacco all’“imperfezione” della notazione, all’uso di valori più brevi, alla crescente “sottigliezza” e difficoltà delle nuove musiche è deciso e non potrebbe essere più esplicito.
La polemica sulla notazione dell’ ars nova è di importanza così capitale che persino Giovanni XXII, si ritiene vi prenda parte, schierandosi decisamente dalla parte dei conservatori: gli studiosi ritengono che egli appoggiasse i sostenitori dell’ ars antiqua attraverso la pubblicazione della bolla Docta Sanctorum nel 1324, ma la discussione sulla natura e la finalità di questa silloge è oggi ampia. Il papa muove una critica severa alla perdita di intelligibilità del testo sacro cantato secondo la prassi “moderna”: il diverso computo del tempo, l’uso di note rapide, la tecnica mottettistica di sovrapposizione di più testi sul tenor liturgico, l’uso dell’hoquetus distolgono l’ascoltatore dalla purezza di una linea melodica funzionale alla propagazione del messaggio divino. Viene quindi vietato severamente durante gli uffici divini l’uso della polifonia secondo i dettami del nuovo stile.
Perché tanto accanimento da parte dell’autorità ecclesiastica su di una questione di ordine musicale? È evidente che la teoria dell’ ars nova tocca alcuni nodi filosofici e teologici capitali. La riflessione sul ruolo della musica nell’Ufficio è allo stesso tempo una riflessione sul posto che la musica occupa nella Creazione. Come ha notato il musicologo Olivier Cullin, con i trattati di Philippe de Vitry e di Giovanni de Muris, la musica passa da ancilla theologie ad ars: essa diventa una scienza connessa alla dimensione fisica della vita umana, delectabilis in intellectu, amabilis in auditu. Da questo momento l’uso liturgico della musica, volto alla gloria di Dio, diviene una delle funzioni della musica, ma non la funzione che la definisce ontologicamente. Questo affrancamento della musica dalla teologia viene a esprimersi molto sottilmente grazie alle implicazioni della nuova notazione: le note scritte diventano dei segni privi di significato teologico, che il compositore può maneggiare e combinare a piacimento: in altre parole, per dirla con Giovanni de Muris, che a sua volta si appoggia alla Metafisica di Aristotele: ““Experientiam circa res sensibiles artem facere manifestum ””(““è chiaro che l’esperienza relativa alle cose sensibili crea l’arte””). I suoni sensibili sono nella categoria degli enti singolari, ovvero reali, mentre i segni grafici che li designano, cioè i simboli delle note e delle pause, esprimono parametri di durata assegnati in base alla scelta del compositore. La parentela col pensiero di Guglielmo di Ockham è stata evidenziata da alcuni studiosi, soprattutto in relazione alla nozione di tempo, alla quale Giovanni si accosta nella sua indagine sul tempo musicale.
Il nuovo stile, affinando a poco a poco i suoi parametri, in particolare quelli ritmici, perviene a soluzioni arditissime, di sofisticato virtuosismo: questa fase terminale dell’ ars nova prende il nome di ars subtilior e copre l’ultimo terzo del secolo.
Diramatasi dall’Università di Parigi in tutta Europa, la produzione dell’ ars nova, e quella essenzialmente profana dell’ ars subtilior, è fatta fiorire da compositori che – come Baude Cordier, Senleches, Solage, Grimace, Antonello da Caserta, Matteo da Perugia – godono dell’apprezzamento e beneficiano del mecenatismo dei signori delle grandi corti europee: il duca Jean di Berry, il conte di Foix Gaston Phébus, il re Pietro IV d’Aragona, il re di Cipro Pierre I de Lusignan, ma soprattutto il papa Clemente VI. Il suo pontificato rappresenta il culmine della “cattività avignonese”: il papa legittima la sua autorità invitando alla corte pontificia degli artisti che lo rappresentino e lo celebrino. Sarà proprio Clemente VI a nominare Philippe de Vitry vescovo di Meaux. Grazie al mecenatismo dei potenti signori europei viene sancito un legame fortissimo tra i musicisti e i loro mecenati, nell’ottica della musica intesa come espressione della legittimazione del potere, che perdurerà anche nei secoli successivi. Neanche Guillaume de Machaut, il più grande poeta e musicista dell’epoca, si sottrae a questa nuova condizione.
La produzione dell’ ars nova si distingue per la varietà di generi musicali, che affiancano il mottetto isoritmico, al quale è stato già fatto cenno sopra.
La ballade, una delle forme più in voga, nel XIV secolo abbandona la sua originale funzione lirico-coreografica e viene destinata esclusivamente al canto. Risulta composta da tre strofe seguite da un ritornello che presenta la stessa lunghezza e la stessa rima dell’ultimo verso della strofa. Guillaume de Machaut arriva anche a comporre ballades a quattro voci, facendo ricorso a tutte le tecniche proprie del nuovo stile dell’ ars nova. La ballade diventa poi il genere prediletto dai compositori dell’ ars subtilior.
Se la ballade, per la sua struttura tripartita, veicola un pensiero speculativo di portata estesa, caratterizzato da slanci di grande intensità lirica, il rondeau mantiene la sua fisionomia danzante, circolare, su di uno schema fisso facilmente memorizzabile e musicalmente assai ripetitivo. Machaut risulta anche in questo caso prolifico compositore di rondeaux, principalmente a tre voci, resi musicalmente con grandissima inventiva e varietà di toni.
Anche il virelai perde la sua primitiva funzione lirico-narrativa, e nel XIV secolo diviene una forma esclusivamente cantata, di tono elegiaco. Come il rondeau, il virelai è caratterizzato dalla riproposizione costante di un ritornello, ma la struttura della strofa e la sua organizzazione rimica ne fanno una forma molto più complicata. Machaut ha composto solamente sette virelais senza musica, ma nella sua produzione figurano 38 chansons balladées, che non sono altro che virelais musicati.
Anche il lai è una forma molto complessa e articolata, la cui lunghezza può arrivare anche a 12 strofe, ciascuna con strutture metriche e linee melodiche differenti. Richiede una sapienza compositiva e retorica fuori dal comune, e forse per questo i poeti e i musicisti si cimentano più volentieri nelle forme chiuse e più abbordabili, come ad esempio i rondeaux.
Guillaume de Machaut
Lettere
Le livre du Voir Dit
Cuore mio dolcissimo, vi invio le due ballate che avete già visto, il cui testo era stato composto per voi. Vi supplico umilmente di impararle, dato che ho composto per esse le melodie a 4 voci: le ho già udite cantare più volte e mi piacciono veramente tanto. Vostro leale amico
Mio dolce cuore, le due ballate che mi avete mandato sono così belle che non c’è niente da dire. […] Vi mando in cambio un rondeau e una ballata che ho composto per voi, e un piccolo anello che porterete per amor mio, ve ne prego. Vostra leale amica
Nasce attorno al 1300 a Machaut, un villaggio dello Champagne vicino a Reims. Prende gli ordini religiosi e nel 1323 entra come segretario al servizio della corte di Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, accompagnandolo durante i suoi innumerevoli viaggi e campagne in Lituania, Polonia, Slesia. Più tardi, nel 1335, grazie all’appoggio del suo protettore diventa canonico a Reims e vi rimane per un lungo periodo, dedicandosi alla creazione delle sue opere. Nel 1346 il re Giovanni perde la vita nella battaglia di Crécy. Inizia così una nuova fase per il compositore che, sopravvissuto alla peste nera che devasta l’Europa nel 1348, entra al servizio di principi e nobili, tra cui Carlo II re di Navarra, Giovanni duca di Berry e Carlo di Normandia, incoronato re di Francia sotto il nome di Carlo V nel 1364. Il musicista passa gli ultimi anni della sua vita a Reims, dove muore nel 1377.
Machaut lascia una produzione poetico-musicale a dir poco imponente, che ci è stata tramandata da cinque manoscritti principali, di cui il più antico è datato 1350 circa, mentre il manoscritto più completo e affidabile (Paris, Bibliothèque Nationale de France, fr. 1584) risalirebbe al 1370 circa: questo è un dato di eccezionale importanza in quanto non solo il compositore è in vita durante la compilazione dei manoscritti, ma lui stesso supervisiona e cura l’edizione delle sue opere, stabilendo l’ordine e la forma in cui intende consegnarle alla posterità.
L’edizione originale delle opere di Machaut si apre con i Dits: composizioni poetiche a prevalente argomento encomiastico, tra cui va citato il Remède de Fortune (1341), che contiene alcune inserzioni musicali. Capolavoro del genere è La voir dit (1364), il primo romanzo epistolare della letteratura francese. Vi si narra l’amore senile del poeta per una giovane dama, Péronne d’Armentières; e anche in questo caso vi sono contenute alcune composizioni liriche musicate.
Poeta e musicista, Machaut può essere considerato per molti aspetti come l’ultimo dei trovieri, ma allo stesso tempo, paradossalmente, è il primo dei poeti moderni a sancire il divorzio tra musica e poesia.
Questa contraddizione è insita nella sua stessa opera. La sua produzione lirica pura, senza musica, è stata raggruppata nei manoscritti in una sezione intitolata La louange des dames : circa 200 ballades , 60 rondeaux , 7 virelais e 7 chants royaux.
Seguono le composizioni musicate: 22 lais , circa 40 ballades, una trentina di virelais e 19 rondeaux. I temi di queste liriche sono desunti dalla tradizione d’amore cortese, in cui la sottomissione dell’amante alla dama è l’assioma predominante. Tuttavia, il fatto che la maggior parte della produzione di Machaut sia senza musica, e ben distinta dalla sezione, più ridotta, dei testi musicati, lascia presagire una crescente autonomia della poesia dalla musica che diverrà un dato acquisito nei poeti delle generazioni successive. Già nel trattato Art de dictier del poeta (nipote e discepolo di Machaut) Eustache Deschamps, si dice che la poesia deve essere considerata come una “musica naturale”.
Machaut compone anche 23 mottetti a tre e quattro voci, i cui testi sono spesso interamente in francese. L’impiego delle tecniche legate al mottetto, come l’isoritmia o l’hoquetus, non è solo appannaggio del mottetto, ma viene utilizzato dal compositore per il suo capolavoro, la Missa de Notre-Dame.
Opera eccezionale per moltissimi aspetti, si tratta della prima messa a quattro voci pervenutaci nella sua interezza, e concepita come un’unità compositiva. La maggior parte dei brani polifonici di messa del XIV secolo giunti sino a noi sono indipendenti e, tranne casi rarissimi, non sembrano essere stati concepiti allo scopo di una realizzazione completa dell’ordinario in polifonia. Ciò è visibile nei manoscritti che conservano questo corpus, come il codice d’Apt e il codice d’Ivrea: i brani sono classificati in sezioni distinte di Kyrie , Gloria , Credo ecc. Vi sono alcune eccezioni, come la Messa di Tournai a tre voci, di poco anteriore alla messa di Machaut, ma anonima, e probabilmente composita, in quanto lo stile arcaico di alcune parti lascerebbe pensare a un assemblaggio di sezioni di epoche diverse piuttosto che a una concezione unitaria.
In passato si riteneva che la Missa de Notre-Dame fosse stata composta per l’incoronazione del re Carlo V a Reims il 19 maggio 1364. Molto più probabilmente si tratta di una messa votiva: i musicologi hanno dimostrato come le sezioni della messa siano costruite su canti liturgici associati al culto mariano, da cui l’appellativo de Notre-Dame. Machaut mostra una particolare predilezione per questo culto anche nella produzione secolare.
Basti pensare al mottetto 23 (contemporaneo alla Messa) scritto per la Vergine, o al Lai de Nostre -Dame . Anche il senhal Toute Belle, con il quale Machaut designa la dama di cui è innamorato ne Le voir dit , non è altro che un calco sul latino tota pulchra, epiteto mariano per eccellenza. Ma c’è di più: la messa sarebbe stata composta da Machaut alla memoria futura di se stesso e del fratello Jean de Machaut. Lo dimostra un epitaffio, ora perduto, in cui il musicista prescrive che tutti i sabati venga cantata una messa alla cattedrale di Notre-Dame di Reims in onore dei due fratelli, in un altare laterale dove sembra vi fosse un’immagine della Vergine molto venerata. La Messa risulta quindi una sorta di testamento musicale, la cui datazione si collocherebbe dopo il 1360, nel periodo di piena maturità dell’attività del compositore.
Sebbene frutto di una concezione unitaria, lo stile musicale della Missa de Notre-Dame cambia a seconda delle sezioni. Per il Kyrie , il Sanctus e l’Agnus, Machaut impiega una scrittura molto simile a quella del mottetto isoritmico. Come ha rilevato Richard Hoppin, queste sezioni potrebbero essere considerate dei veri e propri mottetti, se il testo non fosse identico in tutte le voci. La scrittura del Gloria e del Credo è per contrasto molto più lineare, con uno stile sillabico che ricorda il conductus . In particolare per il Credo, Machaut dimostra di conoscere molto da vicino il Credo della Messa di Tournai , giacché alcuni passaggi sono a questo chiaramente ispirati.
Sia il Gloria che il Credo terminano con un Amen isoritmico; l’Amen del Credo è addirittura panisoritmico, ovvero tutte e 4 le voci sono isoritmiche, come nei più complessi fra i mottetti del compositore.
Ignoriamo per quanti anni questo capolavoro abbia continuato a essere cantato a Notre-Dame di Reims per i due fratelli: secondo alcune fonti la messa di Machaut sarebbe stata eseguita tutti i sabati almeno fino al 1411. L’importanza di quest’opera sta nel fatto che essa prefigura due tipologie di Messa che troveranno il loro sviluppo nel corso del XV secolo: la messa mariana e la messa da requiem. Come ha notato Anne Walters Robertson, nella Messa di Machaut sembra che, per la prima volta nella storia della musica, un compositore prenda pienamente coscienza del fatto che, alla sua morte, la sua opera sopravviverà ancora per lungo tempo.