Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il termine ars antiqua indica il primo stadio dell’evoluzione della musica vocale polifonica misurata, cioè basata su un sistema di notazione che indica i valori di durata delle note. Questo repertorio è riconducibile agli anni che vanno dal 1230/50 al 1300/10, e s’identifica nell’avvento della notazione detta “mensurale” e nello sviluppo del mottetto. L’esordio dell’ars antiqua è segnato dalla cosiddetta epoca di Notre-Dame, il cui avvio viene fissato intorno al 1160/80, caratterizzata dalla notazione detta “modale” e dall’elaborazione polifonica del repertorio gregoriano.
Con epoca di Notre-Dame si indica un periodo in cui l’arte musicale è appannaggio esclusivo delle cattedrali, di quelle cattedrali gotiche che nel secolo XII, in Francia prima che altrove, si ergono a rappresentare lo splendore della città. La musica di tale epoca è dunque essenzialmente liturgica: sono infatti i canti responsoriali della Messa (graduali e alleluia) e dell’Ufficio (responsori) delle feste più solenni a ricevere veste polifonica. Ma non si tratta più di aggiungere una vox organalis che proceda essenzialmente nota contro nota rispetto alla linea di canto piano, cioè del canto gregoriano originario, come nei primi organa dei secoli IX-X: la vox organalis nel XII secolo ha ormai assunto una posizione paritaria, se non dominante, rispetto alla voce principale, di cui adorna singoli suoni con gruppi di note più o meno numerosi (fioriture), rivendicando a se stessa un proprio andamento melodico e ritmico.
Attento osservatore della scena musicale parigina dell’epoca, un giovane studente inglese, a noi noto come Anonimo IV, scrive fra il 1270 e il 1280 un trattato (De mensuris et discantu) dedicato alla musica, sulla scia degli insegnamenti di Johannes de Garlandia – forse suo maestro a Parigi –, in cui traccia l’evoluzione dello stile e dei generi musicali tra il 1180 e il 1280 circa, nominandone i protagonisti.
Egli ci informa che Magister Leoninus (canonico di Notre-Dame tra il 1180 e il 1201) è stato il più grande compositore di organa (optimus organista) e autore (o compilatore?) di un “grande libro di organa” per la Messa e per l’Ufficio; ci informa altresì che questo libro è rimasto in uso nella cattedrale parigina sino all’epoca di Perotinus – identificato, ma non in maniera convincente, in Petrus Cantor o in Petrus Succentor (?-1238) – il quale, optimus discantor, ha composto nuove e migliori clausulae , organa a quattro e a tre voci, e conductus a tre, a due e a una voce.
A confermare la testimonianza dell’Anonimo IV ci giungono tre manoscritti del secolo XIII (indicati per convenzione con le sigle F, riferita al ms. Firenze, Biblioteca Laurenziana, Pluteo 29.1; W1 e W2, rispettivamente Wolfenbüttel Herzog August Bibliothek, Helmst. 628 e Helmst. 1099), che rappresentano i testimoni principali, per quanto in versioni differenti, del repertorio del Magnus liber organi. Tutte e tre le fonti sono tarde, cosicché nessuna trasmette lo stadio originario del repertorio; il determinare, poi, quale delle tre ne trasmetta la versione più antica ha sollevato accalorate polemiche musicologiche.
Il repertorio del Magnus liber si sviluppa intorno a un nucleo originario di organa dupla (a due voci) forse composti tra il 1160 e il 1190, rivisto e ampliato con organa tripla e quadrupla tra il 1190 e il 1125. Esso è tradizionalmente considerato il primo primo corpus di polifonia concepito e tramandato in forma scritta: recenti studi che indagano il rapporto tra oralità e scrittura nella musica medievale tendono invece a rivalutare il ruolo giocato dalla memoria in fase di composizione e trasmissione di questo repertorio e a destinare la versione scritta alla conservazione piuttosto che all’esecuzione (anch’essa mnemonica). A prescindere da ciò, la polifonia liturgica di Notre-Dame ha avuto una diffusione internazionale coinvolgendo, oltre ad altri centri francesi, le isole britanniche, la Spagna, l’Italia, la Germania e le aree svizzere di lingua tedesca.
Il repertorio di Notre-Dame si compone essenzialmente di organa , clausuale e conductus . A caratterizzare l’ organum duplum è uno stile melismatico (che i teorici coevi chiamano organum purum), per cui la voce principale che intona la melodia gregoriana procede a note tenute (tenor) e la voce organale (duplum) è liberamente fiorita; uno stile di discantus distingue invece quelle sezioni sostituibili dell’ organum , dette clausulae , che presentano un’organizzazione ritmica al tenor e al duplum; infine uno stile sillabico, dove a ogni sillaba del testo corrisponde essenzialmente una nota, contraddistingue il conductus.
Quest’ultimo non si serve di una melodia gregoriana preesistente, bensì intona ex novo a più voci un testo strofico, incorniciandone talvolta ogni singola unità strofica con melismi (caudae). Il conductus nasce come canto monodico di accompagnamento agli spostamenti del celebrante all’interno della chiesa, ma già nel repertorio di Notre-Dame esso è solo in parte collegato alla liturgia, divenendo canzone latina di argomento spirituale o mondano. Diversamente il mottetto, in origine a due voci, che occupa una posizione marginale all’interno del repertorio di Notre-Dame, si basa su un segmento di melodia liturgica in quanto trae origine dalla clausula alla cui voce superiore è stato applicato un testo poetico che parafrasa quello intonato dal tenor. Tale relazione tra i testi intonati dalle varie voci si mantiene anche nei mottetti francesi profani, i cui primi esemplari si conservano in W2, e nei mottetti bilingue (a tre voci con duplum latino e triplum francese).
La necessità di organizzare ritmicamente le sezioni melismatiche prive di testo in brani a tre e quattro voci spinge alla creazione di quel sistema di scrittura musicale a ritmo fisso detto notazione modale. Ogni modo ritmico è caratterizzato dalla ripetizione di una sequenza minima di durate di lunga e breve (in rapporto di 2:1) ed è rappresentato da una precisa successione di ligaturae (raggruppamenti di più note in un’unica figura). La tradizione teorica duecentesca, tra cui spiccano i nomi dell’Anonimo IV e di Johannes de Garlandia, fissa sei schemi ritmici che combinano diversamente lunghe e brevi in unità ternarie: una ligatura ternaria seguita da una serie di ligaturae binarie (3 2 2 2…) rappresenta il primo modo (corrispondente al piede ritmico trocaico, determinato dall’alternanza lunga, breve, lunga breve, ecc.); al contrario una serie di ligaturae binarie chiusa da una ternaria (2 2 2 …3) rappresenta il secondo modo (corrispondente al ritmo giambico, basato sull’alternanza breve, lunga, breve, lunga e così via). Nella prassi, però, lo schema modale non si mantiene costante e i suoi elementi costitutivi possono essere frantumati in valori più piccoli (fractio modi) o dilatati in valori più grandi (extensio modi) prestandosi talvolta a interpretazioni differenti, onde l’equivocità della notazione medesima.
È la fortuna del mottetto nel secondo quarto del XIII secolo ad affrettare lo sviluppo della notazione mensurale, ossia di una scrittura musicale che supera la fissità del sistema dei modi ritmici riconoscendo a ogni figura, in base alla sua forma grafica e alla posizione che occupa all’interno di una serie di segni notazionali, un preciso valore di durata. L’applicazione sillabica di un testo al duplum della clausula , infatti, spezza le ligaturae in singole note alle quali non si può più riconoscere un significato ritmico modale: ancora recuperabile nei primi mottetti attraverso le clausulae originarie, esso è definitivamente perso nei mottetti successivi concepiti come brani autonomi.
Questa prima fase della notazione mensurale viene oggi indicata come “franconiana” in onore del suo principale teorico, Franco da Colonia, docente a Parigi e autore dell’ Ars cantus mensurabilis (1280 ca.), il trattato che vara il nuovo sistema: tre i valori costitutivi, longa , brevis e semibrevis, quest’ultima intesa però come suddivisione della brevis e pertanto priva di valore autonomo e della possibilità di sostenere da sola una sillaba del testo poetico intonato. Tali valori, raffigurati in singole note o raggruppati in ligaturae, si combinano diversamente per comporre la misura di base rappresentata dalla longa perfecta (= 3 breves). In verità la teoria di Franco non è del tutto originale e innovativa, fatta eccezione per la parte che attiene alle ligaturae, che con lui perdono definitivamente il significato modale: per tutto ciò che riguarda le figure semplici e le norme che ne regolano i rapporti, Franco raccoglie e sistema idee di quei teorici che rappresentano lo stadio cosiddetto prefranconiano (tra cui Maestro Lamberto e l’Anonimo di St. Emmeram).
Il mottetto (per lo più doppio, ossia dotato nelle due voci superiori di due testi differenti) in questi anni conosce la sua maggiore fortuna e la sua rapida evoluzione verso una struttura della frase più complessa e articolata sull’unità di brevis , anziché di longa, favorendo così ritmi più veloci rappresentati da gruppi di semibreves; tali gruppi supereranno nei mottetti di Petrus de Cruce le tre unità del sistema franconiano sino a raggiungerne sette.
Particolarmente apprezzata nell’ ars antiqua è la tecnica compositiva dell’hoquetus, che vede l’alternarsi di suoni e pause in voci differenti in modo tale che mentre una voce canta l’altra tace e viceversa. Lo stesso Franco descrive nel suo trattato questa tecnica riconducendola al genere del discanto truncatus. Già rintracciabile in alcune sezioni di mottetti, conductus , organa tripla e clausulae di Notre-Dame, tale tecnica dà vita a composizioni omonime, brani interamente concepiti in hoquetus, generalmente senza testo e quindi di probabile destinazione strumentale di cui l’esempio più famoso, citato dallo stesso Franco, è In speculum longum. Questo brano è trasmesso all’interno di un gruppo di sette in appendice al codice Bamberg (Staatsbibliothek, lit. 115), una delle principali sillogi di mottetti del tardo Duecento, insieme a due importanti manoscritti, l’uno conservato a Montpellier (Bibliothèque Interuniversitaire. Section de Médecine, H. 196) e l’altro a Burgos (Monasterio de Santa María la Real de las Huelgas, codice “Las Huelgas”).
Accanto all’hoquetus tra i procedimenti più complicati di contrappunto si annovera il canone, ossia una scrittura polifonica in imitazione dove le varie voci ripropongono in successione una stessa sequenza melodica. Il più antico esempio di canone sopravvissuto è l’anonima rota inglese a sei voci Sumer is icumen in (secolo XIII).