Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il rinnovamento dell’architettura è sostenuto per buona parte dalle richieste delle corti con l’intento di conciliare elementi architettonici tradizionali e novità. I progetti rivelano così un’attenzione per il valore politico degli edifici, evidente nelle tipologie delle facciate, negli scaloni, nelle grandi gallerie e nei saloni. Dopo il 1730 si affermano ambienti meno legati all’esibizione del fasto, che assecondano il gusto dell’esotismo (rivestimenti di specchi, lacche o carte da parati alla cinese).
La ricca tradizione architettonica di Torino consente all’architetto Filippo Juvarra di sviluppare il suo straordinario talento, segnando una svolta culturale rispetto al gusto seicentesco emerso nella capitale dei duchi di Savoia. Qui avevano lavorato gli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte e avevano esercitato la loro influenza sul gusto architettonico – oltre la retorica del letterato Tesauro, attento ai programmi figurativi per le residenze – le cupole di Guarino Guarini e il suo trattato di Architettura civile (1686; il Vittone pubblica le tavole nel 1737), modello di riferimento per gli architetti attivi a Vienna, in Boemia e a Varsavia.
Nato a Messina da una famiglia di argentieri, nel 1703 Juvarra si trasferisce a Roma, dove lavora nel cantiere di Carlo Fontana, e nel 1708 trova un primo committente nel cardinal Pietro Ottoboni che lo incarica delle scenografie per il suo teatrino. Proprio questi disegni costituiscono un importante punto di riferimento per la nuova visione spaziale e architettonica di Juvarra, legata al teatro, ai grandi esempi della cultura romana e classica, a Michelangelo, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, studiati e ricreati in un’ottica chiaramente settecentesca.
Nel 1713 con il trattato di Utrecht Filippo d’Angiò, riconosciuto re di Spagna come Filippo V, deve cedere – tra gli altri territori – la Sicilia al duca Vittorio Amedeo II di Savoia col relativo titolo regio. A Messina si presentano allora esigenze di ristrutturazione delle residenze reali e dal 1716, con il ritorno di Vittorio Amedeo II a Torino, vengono intrapresi grandi progetti per un riassetto architettonico-urbanistico della capitale sabauda. Dal 1716 Juvarra, architetto regio, lavora per la basilica di Superga, costruita sull’asse urbanistico che dalla collina indirizza al castello di Rivoli e, dal 1718, alla facciata per il palazzo Madama che prende il nome da Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (1606-1663), la seconda madama reale, madre di Vittorio Amedeo II. Qui Juvarra realizza lo scalone, rinnovando il percorso delle sale seicentesche nel castello già degli Acaja, e inaugura una tipologia che sarà propria dell’arte delle corti europee, da Würzburg a Madrid. La stessa volontà creativa si ritrova poi nella scala delle Forbici (1720) in stucco bianco e nel gabinetto cinese (1733) che introducono idee moderne per l’architettura e per la decorazione all’interno della struttura retorica del Palazzo Reale di Madrid; così come già la facciata di Santa Cristina, abbinata a quella di San Carlo, dal 1718 fissa una struttura dinamica nella piazza Regia, capolavoro del barocco classico dell’assolutismo. Altri interventi di Juvarra sono quelli per la Grande Galleria di Diana nel castello della Venaria e per l’annessa chiesa di Sant’Uberto. Dal 1729 la palazzina di Caccia di Stupinigi segna una svolta decisiva: con la pianta centrale e ali a croce di Sant’Andrea è un complesso aperto inserito nel giardino e nel parco, per cui si è pensato al rapporto con i progetti di Fischer von Erlach (1693) per il palazzo Althan-Rossau a Vienna, di Gabriel-Germain Boffrand (1721) per il castello di Malgrange a Nancy, ma anche con quelli di Juvarra premiati al Concorso Clementino a Roma nel 1705. L’insieme della palazzina rinnova il cerimoniale delle cacce reali con scelte orientate verso la pittura ad affresco, eseguite da scenografi quali Francesco e Domenico Valeriani, il veneto Giovan Battista Crosato e il nizzardo Charles-André van Loo; dato significativo, Giuseppe Valeriani nel 1754 viene chiamato a San Pietroburgo per le decorazioni del palazzo costruito da Bartolomeo Rastrelli per l’imperatrice Elisabetta Petrovna.
L’arte di corte è sostenuta da una vera e propria tradizione di iconografie celebrative: i soggetti destinati alle volte ad affresco, agli arazzi, alle quadrerie sono infatti legati alla cultura classica, al Seicento e all’Arcadia romana. Importante canale per il rinnovamento delle corti sono poi gli scambi e i viaggi degli artisti. Bartolomeo Rastrelli, ad esempio, segue il padre a San Pietroburgo e, nominato architetto di corte nel 1736, diventa protagonista del rinnovamento edilizio voluto dalla zarina Elisabetta, realizzando architetture di accesa policromia che fondono elementi della tradizione russa con il manierismo italiano, in una sicura struttura settecentesca.
Dopo anni di lavoro a Roma e Napoli, Johann Bernhard Fischer von Erlach è attivo alla corte di Vienna, dal 1705 soprintendente alle costruzioni imperiali e dal 1716 per la biblioteca di corte.
Così la chiesa di San Carlo a Vienna, a pianta ovale, con portico fiancheggiato da due colonne trionfali romane e da due torri barocche, conclusa da una cupola monumentale, sintetizza il senso emblematico di una cultura che si confronta con Bernini e il classicismo francese. Anche per gli interni risulta importante, su questa stessa linea, lo scalone del Belvedere del principe Eugenio a Vienna. Filo conduttore importante, per il rinnovamento dell’architettura delle corti, sono inoltre le proposte scenografiche elaborate dalla famiglia dei Galli da Bibiena, in particolare da Ferdinando Maria, autore dell’Architettura civile preparata sulla geometria e ridotta alla prospettiva (1711).
Le iniziative dei Borbone culminano in Spagna con le scelte di moderne dimore, come il nuovo palazzo di San Ildefonso, la Granja di Segovia e il Palazzo Reale di Madrid; per quest’ultimo viene richiesto il progetto a Filippo Juvarra, realizzato dopo il 1736 da Giovanni Battista Sacchetti. Il fasto regale della residenza è evidente anche nella decorazione degli interni; al napoletano Corrado Giaquinto viene affidata la realizzazione degli affreschi che si affiancano a quelli già esistenti di Luca Giordano, presenti nello stesso palazzo; un altro capitolo riguarda poi gli affreschi di Giambattista Tiepolo e di Anton Raphael Mengs, fino agli interventi pionieristici di Goya. Già nel 1751, infatti, Tiepolo lavora per la sala dell’Imperatore e per lo scalone del castello di Würzburg, progettato da Johann Balthasar Neumann, introducendo nella tradizione viennese paradigmi del classicismo francese.
L’architettura sostenuta dalla committenza delle corti determina così svolte decisive per le strutture edilizie che si legano ai progetti per il giardino e per il parco, con risultati che si riconoscono passando dal castello di Schönbrunn alla reggia di Caserta. Si confrontano ottiche diverse anche per gli interni, ad esempio nel castello di Pommersfelden (1714-1718) in Baviera, costruito da Johann Dientzenhofer e da Johann Lucas von Hildebrandt, i rivestimenti per il gabinetto degli specchi alternano boiseries intarsiate e dorate con inserti rococò, a opera di Ferdinand Plitzner; così nel castello di Schönbrunn per la stanza cinese (1760) vengono utilizzate lacche, specchi e porcellane bianche e blu. Il gusto rococò, sostenuto a Nymphenburg (Monaco) dall’architetto francese François de Cuvilliés, determina una persistenza del gusto per la decorazione.
I frequenti scambi tra Italia e Francia orientano le svolte dell’arte di corte nel ducato parmense. Nel 1731, il ducato passa a Carlo III di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, regina di Spagna; viene quindi assegnato all’Austria nel 1738 e nel 1748 torna a Filippo di Borbone che sposa la figlia di Luigi XV. Di qui l’arrivo di tante opere in stile francese che connotano la reggia di Colorno pienamente in linea con Versailles. Il grandioso palazzo testimonia queste stratificazioni storiche con i fantastici stucchi di Ennemond-Alexandre Petitot, architetto delle fabbriche ducali dal 1753, che riesce a coordinare, con gusto brillante, scultori, ebanisti, cesellatori e giardinieri (Briganti, 1969).
Un magnifico esempio dell’arte di corte è costituito anche dalla reggia di Caserta, costruita dal 1752 al 1773 da Luigi Vanvitelli per Carlo III di Borbone. Gli ambienti sono in stretta relazione con il parco: ritornano gli stessi punti di vista e lo stesso ritmo, all’interno la scultura è presente in parete e in nicchie, mentre all’esterno è un elemento centrale nelle fontane, ricreate in rapporto alla natura, con simbologie tratte dalle Metamorfosi di Ovidio e da Giambattista Vico, per i soggetti della mitologia legati alla Fertilità, alla Giustizia e al divenire delle civiltà (Hersey, 1983). La ricchezza delle invenzioni è poi completata nel parco dal verde e dall’acqua e all’interno dalla pittura e dalla scultura: colonne monolitiche nell’atrio e nello scalone a tre rampe, statue allegoriche di leoni, forze della Natura e della Ragione, e ancora colossi per celebrare la Maestà, la Verità e il Merito. Le équipe degli stuccatori e dei pittori si alternano nella sala degli Alabardieri, in quella delle Guardie del corpo, di Alessandro, di Marte e di Astrea, fino alla sala del Trono: bassorilievi figurati, stucchi lucidi e pavimenti marmorei, dorature e alabastri si aggiungono alla pittura affidata soprattutto alla scuola napoletana.
La magnificenza della reggia culmina infine nella cappella, un ambiente festoso a colonne corinzie che ricorda i motivi architettonici di Versailles, e nel teatro, luogo altrettanto importante per la vita di corte.
I rinnovamenti architettonici e decorativi nelle ville portano a risultati diversi: a Genova troviamo allora le dimore per l’aristocrazia imprenditoriale – con affreschi di grande inventiva, per esempio quelli di Domenico Piola, di Gregorio De Ferrari e dei Guidobono –, mentre a Venezia l’opera di Giambattista e GiandomenicoTiepolo, come quella di altri cantieri, predilige soprattutto le iconografie arcadiche. In Sicilia infine troviamo le ville-palazzo, come la villa Valguarnera a Bagheria e la villa Palagonia, meglio nota come villa dei Mostri, dove prevale una proliferazione di bizzarre sculture di marmo e pietre rustiche.