Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dall’inizio del XIII secolo penetra anche in Italia il gotico, che si era già affermato nell’architettura francese come novità tecnica e stilistica. Le nuove forme vengono veicolate in un primo momento dalle sedi religiose aperte nella penisola dai Cistercensi, poi sono adottate dai nuovi ordini (Francescani e Domenicani) e dalla Chiesa secolare. Il gotico italiano presenta comunque quasi sempre forme attenuate rispetto ai prototipi d’Oltralpe, entro i confini di una tradizione autoctona.
In Italia l’adozione dello stile architettonico gotico è fenomeno di importazione, essenzialmente dalla Francia. Alcuni singoli elementi innovativi erano già stati impiegati nel romanico lombardo e in quello meridionale; ma il principale trait d’union è costituito da alcuni edifici cistercensi di area centrale.
Nel corso del 1100 l’ordine cistercense aveva elaborato, nella propria casa madre a Clairvaux e in altre sedi, un linguaggio caratterizzato da elementi del romanico borgognone e fondato non sulla libertà della linea ma su spazi misurabili e forme geometriche, e una nuova qualità dell’uso della luce. A partire da queste premesse si sviluppa una forma di protogotico in qualche modo alternativo a quello dei grandi cantieri delle cattedrali dell’Île-de-France.
A cavallo tra XII e XIII secolo, con l’apertura di sedi cistercensi nella penisola, queste forme migrano nel Lazio, in Abruzzo, in Toscana, grazie alla presenza sul posto di artefici appartenenti all’ordine e provenienti dalla Francia. Nel 1208 è consacrata l’abbazia di Fossanova, iniziata entro il 1187; fra il 1202 e il 1217 è realizzata quella di Casamari, mentre più tarda è San Galgano, finanziata anche da Federico II, iniziata nel 1218 e consacrata nel 1288. L’architettura cistercense si diffonde ovunque, incrociandosi con le tradizioni locali romaniche, e con le istanze più tipiche del “gotico classico” francese, conosciuto in area italiana principalmente nelle zone territorialmente o culturalmente liminari.
A partire dai primi decenni del XIII secolo, il gotico – meglio, la gamma dei gotici – d’Oltralpe viene applicato a molti edifici, in particolare religiosi. Il nuovo stile sembra soddisfare soprattutto le esigenze degli ordini mendicanti, Domenicani e Francescani (che per lungo tempo non sviluppano specificità proprie), ma presto si estende alle cattedrali e alle altre chiese del clero secolare.
I caratteri originali vengono però sempre recepiti in forme attenuate: non a caso si è parlato spesso di Reduktionstil, in senso talora spregiativo. Il nuovo lessico tecnico non è assunto in modo radicale, ma trapiantato su schemi precedenti; lo slancio verticale viene ridotto e come compresso da elementi orizzontali, sia a livello strutturale che decorativo; poco sfruttati, se non in rari casi, sono la forte traforatura della parete e l’uso di grandi vetrate istoriate; persiste la massività del muro, prediletto in quanto possibile supporto pittorico; di rado si procede a un uso insistito della decorazione scultorea, sia quella lineare delle membrature sia quella figurata dei capitelli scolpiti (spesso si costruisce in laterizio). Si perviene quindi a una soluzione compromissoria, in cui un edificio gotico come la chiesa di San Francesco a Bologna (1236-1263) ha abside con deambulatorio e cappelle radiali compatte, e facciata a capanna decorata con archetti semplici di tradizione romanico-lombarda (molto restaurate). Scelte dunque miste, rispetto al gotico “puro”, spesso imputabili anche alla lunga durata dei cantieri, che ci restituiscono una costruzione non collocabile all’interno di uno stile preciso.
Certo è che la ““forza espansiva del nuovo stile viene qui a urtare contro le dighe costituite dalla tradizione nazionale”” (Schlosser): quella linea classicista – in diverse forme e con differente consapevolezza – che dal tardoantico passa al romanico e che si affermerà su livelli filologici col Rinascimento.
Sempre nel solco di questa alterità, il gotico architettonico italiano si sviluppa nel corso del Trecento con una tendenza all’organizzazione di spazi interni liberi, che alternano la colonna al pilastro polistilo, e di spazi esterni basati su convenzioni antiche, in cui si sottolineano gli elementi orizzontali limitando così la verticalità dell’edificio. Dati i presupposti, è facile comprendere perché in Italia si incontrino ben pochi esempi di gotico europeo tardo, cioè estremizzato verso forme ancor più lineari, acuminate e complesse, se non proprio “fiorite” o flamboyants. L’unica area che adotta un lessico affine a questo è quella veneziana, in cui caratteri tardogotici si incrociano a repertori di suggestione orientale, creando, specie nell’architettura civile (Palazzo Ducale, compiuto nel 1404, e Ca’ d’Oro, 1420 circa), una realtà a sé stante.
Nel gotico italiano maturo invece si avverte la prefigurazione di un ritorno all’ordine, specie nelle costruzioni di architetti che scelgono di uscire dall’anonimato, collocandosi su una linea protorinascimentale di stretta autografia progettuale. La Loggia dei Lanzi a Firenze, o le opere di Antonio di Vincenzo a Bologna, incarnano questa realtà, cui solo di rado, e ancora una volta in aree specifiche, si contrappone un’adesione totale alle mode straniere.
Il caso tipico è quello di Milano, dove il Duomo, iniziato nel 1386, è tutto orientato verso parametri francesi e più ancora centroeuropei, sia per la presenza sul campo di architetti d’oltralpe, sia, soprattutto, per il gusto francesizzante della corte viscontea. I caratteri dell’edificio rientrano nella koinè continentale del gotico internazionale o cortese, che nell’architettura italiana non avrà mai completo successo.
Poco dopo, la rivoluzione del Rinascimento, che proprio nell’arte del costruire riprenderà in maniera analitica le forme dell’antico, porterà, verso la metà del Quattrocento, alla fine dell’esperienza del gotico architettonico italiano, interrompendo il dialogo con l’arte del resto d’Europa, dove questo stile sarà invece pressoché sempre impiegato per tutto il XV e buona parte del XVI secolo.
Un tratto tipico del gotico architettonico italiano è l’assunzione di modelli esterni che vengono tradotti e adattati sulla base della tradizione locale. Questo vale sia per singoli elementi lessicali (facciata a capanna, uso della colonna, muro pieno), sia nel caso dei materiali di costruzione e decorazione, e del loro trattamento tecnico. Il caso del laterizio in molte delle architetture commissionate dagli ordini mendicanti in area emiliano-lombarda è illuminante: il concetto stesso di “foresta di pietra” delle grandi cattedrali del nord, in cui la verticalità è data soprattutto dalla continuità percettiva terra/cielo suggerita dalla pietra lavorata, dal continuum di modanature e dall’assenza, o riduzione al minimo, di elementi di interruzione, non ha senso in edifici costruiti in mattoni di argilla, con elementi in terracotta lavorata quali le cornici o i capitelli, che creano uno schema reticolato e “chiuso” non congruente con il gotico nordico.
Allo stesso modo, la prassi toscana di sottolineare l’orizzontalità del sistema strutturale con fasce marmoree di colore diverso (portanti o solo applicate in superficie) è del tutto in linea coi valori romanici, mentre comprime senza scampo le aspirazioni ascensionali del gotico.
Anche l’uso della pittura murale, o del mosaico, è in questo senso una specificità italiana che non ha riscontro nelle chiese gotiche del nord.
La rinascita comunale del XIII secolo porta le città a profonde trasformazioni. Una di queste è il rinnovo e l’ampliamento della cerchia di mura, col trattamento monumentale di torri e porte, in cui si adotterà presto l’arco a sesto acuto, seppur affiancato da altri a pieno centro (Siena, Viterbo). Un’altra è la costruzione delle grandi sedi delle autorità comunali. Queste, dopo gli anni Quaranta, tendono a mantenere le tradizionali forme romaniche dell’architettura civica, che mostrano evidenti derivazioni da quella militare e dirette mutuazioni dalla tradizione lombarda del primo quarto del Duecento: possenti e poco slanciate all’esterno, qualche volta con piano terra porticato, basate invece su grandi spazi all’interno (spesso addirittura un’unica grande sala per le adunanze al piano superiore).
L’adozione del nuovo stile gotico si limita pertanto quasi sempre a elementi singoli, quali finestre e archi ogivali; con il passare del tempo si nota un progressivo alleggerimento delle strutture, di entità modesta, all’interno di una tendenza conservatrice che mira a mantenere la riconoscibilità visiva dell’edificio, funzionale al suo ruolo simbolico: si vedano ad esempio i tre palazzi pubblici di Bologna (Palazzi del Podestà, di Re Enzo e d’Accursio, rispettivamente di inizio, metà, e fine secolo). Da ricordare sono il Palazzo del Bargello a Firenze, il Palazzo dei Priori a Perugia, il Palazzo Pubblico a Piacenza, i Palazzi Comunali di Ancona, Fano, Orvieto, Ascoli, Spello, Pistoia, Montalcino, Palazzo Vecchio (dei Priori) a Firenze, Palazzo dei Papi a Viterbo, e – forse il più noto – Palazzo Pubblico a Siena. Strutture analoghe, con un’ovvia maggiore tendenza all’alleggerimento delle forme e ai trattamenti decorativi, mostra l’architettura privata, di cui rimangono esempi soprattutto in area centroitaliana.
““Ecci un’altra serie di lavori, che si chiamano tedeschi, i quali sono di ornamenti e di proporzione molto differenti da gli antichi e da’ moderni; né oggi s’usano per gli eccellenti, ma son fuggiti da loro come mostruosi e barbari, dimenticando ogni lor cosa di ordine, che più tosto confusione o disordine si può chiamare; avendo fatto nelle lor fabriche, che son tante ch’hanno ammorbato il mondo, le porte ornate di colonne sottili e attorte a uso di vite, le quali non possono aver forza a reggere il peso di che leggerezza si sia; e così [...] facevano una maledizzione di tabernacolini l’un sopra l’altro, con tante piramidi e punte e foglie, [...] et hanno più il punto di parer fatte di carta, che di pietre o marmi [...]; i Goti [...] fecero dopo le fabriche di questa maniera, le quali girarono le volte con quarti acuti e riempierono tutta Italia di questa maledizzione di fabbriche, che per non averne a far più, s’è dismesso ogni modo loro.”
Il giudizio di Giorgio Vasari spiega, in pieno Cinquecento, cosa sia stata l’architettura gotica per la cultura classicista italiana di cui è portavoce: un’entità esterna, fuori da ogni ordine e tradizione, creata da barbari; “gotico” come “vandalico”. La rivalutazione di questo stile costituirà uno dei punti forti della cultura ottocentesca, quando i Paesi del Nord Europa, spinti da forte spirito nazionalistico, lo riconosceranno come scelta originale e autoctona, contrapponendolo a quella classica dei Paesi mediterranei.