L'archeologia delle pratiche funerarie. Mondo romano
Fonti scritte e testimonianze archeologiche concorrono a ricostruire in modo soddisfacente le fasi del rituale funerario romano e più in generale consentono di comprendere il modo di sentire la morte e di vivere il lutto. L'interpretazione dei dati di scavo delle numerose necropoli messe in luce fino ad oggi ha offerto la possibilità di indagare sui costumi funerari dei ceti sociali medi e bassi per i quali gli autori antichi risultano meno soddisfacenti, descrivendo nella maggior parte dei casi lo svolgimento di funerali importanti oppure onori funebri decretati a personaggi di rango elevato ed imperiale. A questa documentazione si aggiunge ancora una fonte preziosa costituita dai testi delle iscrizioni funerarie che, poste presso il sepolcro, forniscono dettagliate informazioni sui modi di onorare la memoria del defunto; spesso si tratta di vere e proprie prescrizioni, regolate da norme giuridiche o semplicemente osservate per consuetudine religiosa. Infine, l'applicazione di metodologie antropologiche e paleopatologiche fornisce informazioni indispensabili per ricostruire le caratteristiche biologiche, le abitudini alimentari, il tasso di mortalità, lo stile di vita dei gruppi sociali. Oltre allo studio dei caratteri metrici e morfologici dello scheletro, l'analisi del DNA dei resti scheletrici o mummificati consente di ricostruire le caratteristiche paleogenetiche dell'individuo e di campioni di popolazione. Cicerone e Plinio concordano nell'affermare che il rito funerario più antico presso i Romani era quello dell'inumazione (Cic., Leg., II, 22, 56; Plin., Nat. hist., VII, 187: Ipsum cremare, apud Romanos non fuit veteris instituti: terra condebantur), tuttavia, numerose testimonianze archeologiche documentano come a Roma, fin dalle fasi più antiche della città, siano state praticate sia la cremazione che l'inumazione. Questa coesistenza è confermata anche dal testo della decima delle XII Tavole contenente il divieto di inumare o cremare adulti in città, contemplando in tal modo entrambi i riti. L'illustre famiglia patrizia dei Cornelii, ad esempio, non interruppe mai la pratica inumatoria, anche nel periodo di massima diffusione della cremazione, scelta da Silla, il quale per primo infranse la tradizione familiare. Oltre a queste due pratiche funerarie Lucrezio ricorda l'imbalsamazione secondo l'usanza orientale, menzionata da Democrito, di conservare il cadavere nel miele (III, 890-3). Quest'ultima maniera di trattare il corpo dopo la morte non ebbe mai grande diffusione a Roma, dove fu sempre considerata un'usanza straniera; così Tacito definisce il caso dell'imperatrice Poppea, cremata e inumata esternorum consuetudine (Tac., Ann., XVI, 6). Un eccezionale rinvenimento fortuito a nord di Roma, in località Grottarossa, ha restituito il corpo mummificato di una bambina di otto anni che documenta l'uso di questa pratica alla metà del II sec. d.C. Per tutta l'età repubblicana fino alla metà del II sec. d.C. il rito della cremazione e quello dell'inumazione coesistono, con una netta prevalenza della prima tra il III-II sec. a.C. fino al I sec. d.C.; dalla media età imperiale in poi l'inumazione si afferma in modo definitivo. Come si vedrà questo cambiamento non influisce sul rituale e sul costume funerario, quanto sulla distribuzione degli spazi delle architetture funerarie.
Come già accennato, una precisa norma giuridica contemplata dalla legislazione più antica delle XII Tavole, faceva esplicito divieto di cremare e seppellire i defunti nello spazio urbano; la rigorosa osservazione di tale legge fece sì che a Roma e in tutto il mondo romano, almeno fino all'Alto Medioevo, i cimiteri si sviluppassero al di fuori del circuito murario, lungo le strade che uscivano dalla città. A Roma, ad Ostia, a Pompei, come nei centri più lontani delle province, alle porte della città le tombe si allineavano senza soluzione di continuità. Ma sarà utile distinguere alcune fasi cronologiche per seguire lo sviluppo nell'assetto delle necropoli dal periodo repubblicano fino alla piena età imperiale. Tra il VI e il III sec. a.C. gli spazi destinati alla sepoltura sono organizzati con una distribuzione irregolare di tombe ipogee prive di un riscontro monumentale sopra terra, ma particolarmente ricche nel corredo. La documentazione archeologica per questo periodo più antico offre a Roma solo esempi isolati che attestano l'esistenza di tombe a camera, ambienti sepolcrali scavati nel tufo, quindi molto vicine nella tipologia alle tombe rupestri delle necropoli etrusche, e tombe a camera ipogee realizzate in opera quadrata. Solo la necropoli dell'Esquilino può fornire un quadro, anche se parziale, della situazione nel periodo compreso tra il IV e il III sec. a.C. Le tombe a camera individuate nell'area hanno restituito pitture raffiguranti scene di vita politica e militare relative a defunti di alto rango; altri gruppi di semplici tombe terragne erano destinati a fasce sociali più basse. In entrambi i casi nulla rimane dei segnacoli che pure dovevano individuare i siti delle sepolture, come è documentato in altre città dell'Italia centrale, a Palestrina, e meridionale, a Taranto. Un'altra tomba a camera (IV sec. a.C.), individuata presso S. Giovanni in Laterano, faceva parte di una serie di sepolcri collocati lungo la via Celimontana; anche la tomba degli Scipioni sulla via Appia, nel suo impianto originario risalente agli inizi del III sec. a.C., rientra in questo tipo di sepolcri. Fino alla fine del III secolo, dunque, l'assetto delle necropoli era tutt'altro che monumentale, dal momento che la distinzione del ceto sociale di appartenenza si esprimeva essenzialmente all'interno della tomba nella ricchezza del corredo e della decorazione interna della camera sepolcrale. In questo senso un confronto immediato può essere istituito con le tombe dipinte dell'Etruria e dell'Italia meridionale, in particolare di Paestum. Allo stesso modo nelle tombe medio-repubblicane della necropoli della Colombella a Preneste, costituite da un semplice cassone di tufo completamente interrato, alla ricchezza del corredo non corrisponde alcun tipo di monumentalizzazione della tomba. Nel II sec. a.C. l'introduzione di un'architettura funeraria monumentale ispirata a modelli ellenistici muta in maniera radicale l'aspetto delle necropoli. Un esempio significativo di questa trasformazione è ancora una volta la tomba degli Scipioni nella sua fase di ampliamento e di costruzione della facciata. Anche nelle necropoli rupestri, come ad esempio a Norchia e Sovana, vengono adottate soluzioni architettoniche che riproducono colonnati e fregi decorati. Queste scelte sono sintomatiche dell'assimilazione delle forme architettoniche e della cultura figurativa greca da parte di un'élite aristocratica che trasforma il monumento funerario in strumento di autorappresentazione. A questo scopo diviene fondamentale la visibilità della tomba, il cui orientamento è rigorosamente rivolto verso il fronte stradale. Tra il I sec. a.C. e l'età augustea aristocratici e classi in ascesa della tarda Repubblica, in competizione reciproca, affidano la trasmissione di valori simbolici e celebrativi ai sepolcri che in file serrate si dispongono lungo le vie di uscita dalle città; questo avvenne in modo simile in tutti i centri romanizzati. Recenti indagini sulle necropoli dell'Italia settentrionale, a Padova, Altino, Aquileia, hanno rivelato stringenti analogie nei criteri di occupazione degli spazi con le necropoli di Roma. La crescente richiesta di terreni il più possibile vicini alla strada aveva fatto lievitare i prezzi, ma poiché l'acquisto dei terreni era libero ed accessibile a membri di gruppi sociali differenti purché in grado di sostenere i costi, monumenti prestigiosi potevano essere affiancati da sepolcri più modesti. In alcuni casi è possibile individuare aggregazioni di sepolture relative a membri di uno stesso gruppo sociale o professionale, come a Padova, nell'area suburbana settentrionale, dove sono state rinvenute stele e iscrizioni relative a famiglie attive nell'industria laterizia. Le sepolture dei ceti più umili occupavano gli spazi di risulta tra le tombe costruite oppure si concentravano in una zona lontana dal fronte stradale; si tratta di sepolture individuali con deposizioni di incinerati in olle o anfore, inumazioni in fosse coperte da tegole a cappuccina, in sarcofagi di legno o terracotta. Nel caso di sepolcri monumentali, per esaltare l'importanza della tomba si ricercarono posizioni più isolate e talora suggestive, come per il sepolcro sulla via Flaminia detto La Celsa o per la tomba di Cecilia Metella, che domina sul suo basamento la via Appia, o ancora per il mausoleo di Munazio Planco sul promontorio di Gaeta. Nel corso del I sec. d.C. si avverte una limitazione nel lusso delle tombe e una maggiore uniformità nella scelta del tipo di sepolcro; questo attenua il significato individuale della tomba e crea un effetto di continuità lungo il fronte stradale. Recinti con alti muri delimitavano lo spazio delle sepolture, la monumentalità e l'attenzione agli elementi decorativi si rivolgono adesso all'interno del sepolcro. I colombari, attestati tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. per la maggiore diffusione della pratica crematoria, mostrano molta omogeneità nella decorazione interna caratterizzata da dipinti e stucchi. Le costruzioni erano ipogee, tranne alcune eccezioni come il colombario dei liberti di Augusto sulla via Appia, mentre nel recinto soprastante erano approntati triclini, strutture di servizio, stele e altari. Nel II sec. d.C. l'applicazione diffusa della tecnica laterizia cambia ancora una volta l'aspetto delle necropoli. La decorazione continua ad essere rivolta all'interno dell'edificio e le facciate, uniformate nel modello architettonico e nei materiali, perdono importanza; talvolta dalle strette vie di servizio che si snodavano all'interno delle necropoli era persino impossibile apprezzarne il prospetto. Questa fase cronologica è ben documentata a Roma nella necropoli vaticana e nella necropoli di Porto all'Isola Sacra. Quest'ultima, per l'ottimo stato di conservazione e per l'avanzato stato degli studi, illustra in maniera esemplare criteri di occupazione degli spazi e tipologia delle sepolture, illustrando lo sviluppo del sepolcreto dal I sec. d.C., per tutto il II fino alla prima metà del III sec. d.C., periodo di massima espansione della necropoli. Nel suo sviluppo cronologico all'occupazione del fronte stradale da parte delle tombe più antiche segue l'organizzazione di un secondo filare di tombe; nel III secolo, tuttavia, le nuove costruzioni vengono realizzate lungo la strada occupando gli spazi di risulta tra le tombe più antiche, talora ristrutturando e inglobando edifici preesistenti. Questo stesso fenomeno, ben documentato nella necropoli di Porto, trova riscontro anche in altri siti nei quali, durante il III secolo, le nuove costruzioni si fanno sempre più rare e nuovi spazi vengono ricavati da ampliamenti di vecchie costruzioni in elevato e sotto terra. Una delle soluzioni adottate fu la costruzione di cunicoli, come si può vedere nelle catacombe ricavate presso il mausoleo di Lucilio Peto lungo la via Salaria e nell'Ipogeo degli Aureli. Nelle province dell'Impero, dopo una breve persistenza delle tradizioni locali, si verifica un completo adeguamento ai modelli di Roma e dell'Italia, soprattutto nelle province ispaniche, nelle Gallie e più in generale in quelle regioni dove la romanizzazione fu più precoce ed intensa. Seguendo questi modelli, lungo le strade extraurbane di Mérida, Lione, Colonia, si ripete la stessa fitta successione di sepolcri. Anche nelle regioni orientali, dopo un periodo di maggiore persistenza della tradizione ellenistica, nel II sec. d.C. sulle "vie delle tombe" i sepolcri, pur nella molteplicità delle forme architettoniche, si dispongono allineati e rigorosamente orientati verso la strada come avviene ad Asso, Patrasso, Nicopoli, Hierapolis di Frigia. Tuttavia il panorama si presenta nel complesso meno omogeneo. Nella Turchia meridionale si distinguono le necropoli di Eleusa Sebaste e di Termesso, dove le tombe, raggruppate in modo irregolare, non rispettano necessariamente l'orientamento stradale. In altri casi le tombe, pur godendo di una visibilità privilegiata, mostrano la stessa indifferenza alla posizione rispetto alla strada, come le alte torri sparse nella valle di Palmira, i mausolei di Ghirza in Tripolitania e le particolarissime tipologie sepolcrali indigene che persistono a Ermopoli Magna in Egitto. Nelle aree suburbane sontuosi monumenti sepolcrali sorgevano in relazione alle grandi ville rustiche. Non di rado, infatti, le tombe dei proprietari dei praedia, eminenti personaggi di rango senatorio, erano costruite all'interno dei possedimenti, dove venivano seppelliti anche i membri della famiglia e i servi, posti in semplici tombe "a cappuccina". Nel suburbio di Roma, oltre agli esempi già noti, recenti indagini hanno individuato due mausolei, databili agli inizi del III sec. d.C., relativi ai proprietari della villa del praedium ad duas lauros, nel pianoro di Centocelle. L'esempio della celebre Tomba del Navarca, ad Aquileia in località Cavezzano, posta nella proprietà del defunto, conferma questa tradizione nell'Italia settentrionale. Tra la fine del III e nel IV sec. d.C. al di fuori delle aree cimiteriali è documentata un'ampia casistica di sepolcri monumentali collocati in ricchi complessi residenziali suburbani quali il mausoleo cosiddetto "dei Gordiani" lungo la via Prenestina e quello di Massenzio lungo la via Appia; si afferma, inoltre, la combinazione palazzo-mausoleo sperimentata nel palazzo di Spalato per il mausoleo di Diocleziano e a Tessalonica per quello di Galerio. Il nesso architettonico e spaziale tra monumento funerario e aree religiose e cerimoniali ‒ il monumento di Diocleziano è posto dinanzi al tempio di Giove ‒ inaugura un nuovo rapporto tra luogo di culto e spazio cimiteriale che si affermerà incontrastato nei contesti cristiani.
Il principio che determina la realizzazione di un monumento funerario, dal più semplice al più complesso, è quello di segnalare il luogo della sepoltura; a questa necessità di base si aggiungono a seconda delle epoche, dei luoghi e del ceto sociale ulteriori esigenze, prima fra tutte quella di rimanere nella memoria dei posteri e di comunicare attraverso l'aspetto del monumento sepolcrale il proprio status sociale. Quindi, nella molteplicità dei tipi architettonici adottati in varie epoche per la costruzione degli edifici funerari, si possono sempre ritrovare alcune forme di sepoltura originarie ed essenziali, indicate da un segnacolo o da una recinzione del luogo. La forma più semplice di sepoltura era la deposizione del corpo o dei resti combusti nel terreno; in questo caso le ceneri potevano essere raccolte all'interno di un'urna, mentre il corpo inumato veniva coperto da tegole o mattoni disposti a spiovente: si tratta della tomba cosiddetta "a cappuccina". Per le sepolture infantili è frequente la deposizione in anfore (enchytrismòs), usate più raramente per ricoprire corpi adulti. Anche per questo tipo di tombe era previsto un segnacolo costituito spesso da un'anfora o da un altro tipo di vaso infisso nel terreno. Tombe di questo genere sono ampiamente attestate in tutte le epoche in tutto il mondo romano; le possibilità di datazione di tali sepolture si fondano, oltre che sui dati del contesto, sulle indicazioni cronologiche offerte dalle tegole usate per la realizzazione della cappuccina, tenendo presente che spesso si tratta di materiali riutilizzati, da eventuali oggetti di corredo, costituito nella maggior parte dei casi da unguentari, o dalla moneta posta nella bocca del defunto come obolo viatico. Una forma di monumentalizzazione della tomba individuale è la stele posta a segnacolo della sepoltura. Lo spazio funerario di uno o più individui poteva essere delimitato da un recinto, che nella più antica tradizione funeraria poteva essere costituito anche da un semplice perimetro di pietre. Si devono distinguere due tipi di recinti, quello che circondava il monumento e quello che costituiva di per sé il monumento stesso. Entrambi i tipi sono documentati nella tarda età repubblicana. A Roma il sepolcro dei Rusticelii era dotato di un recinto posto a 5 piedi di distanza dal monumento; la recinzione misurava 30 × 30 piedi ed era segnata agli angoli da cippi; strutture simili caratterizzavano anche le necropoli di Aquileia e di Altino. Presso Formia la cosiddetta Tomba di Cicerone era circondata da un basso muro di cinta dal quale spiccava la struttura piramidale del monumento. Nel periodo augusteo e nella prima età imperiale il muro di recinzione assume un aspetto più monumentale arricchendosi di decorazioni e in alcuni casi limitando la visibilità della tomba vera e propria. Il giardino coltivato all'interno del recinto conferisce allo spazio funerario le caratteristiche del locus amoenus che rendevano piacevole la sosta al visitatore (Cic., Att., XII, 19, 1; Petr., 71, 7). Il recinto funerario di Scafati, ai piedi del Vesuvio, è un raro caso in cui i resti carbonizzati delle piante hanno consentito di ricostruire l'organizzazione di questo tipo di giardini, altrimenti noti solo dalle pitture che trattano questo tema nella decorazione interna delle tombe. La costruzione dell'edificio sepolcrale necessitava di una serie di operazioni preliminari delle quali il committente si occupava direttamente e per tempo. La scelta del terreno, la posizione rispetto alla strada e all'ingresso della città, la grandezza del lotto ne determinavano il prezzo; acquistato il terreno, il proprietario provvedeva alla costruzione sulla base di un progetto. Due lastre marmoree, entrambe provenienti da Roma, mostrano la pianta di un recinto funerario e la planimetria di una tomba con tutte le suddivisioni interne. Notizie dettagliate sulle misure, sui materiali usati e sulle condizioni di fruibilità del sepolcro da parte degli eredi sono fornite dalle iscrizioni funerarie poste presso la tomba stessa. I tipi di architetture funerarie adottati nel mondo romano, dall'età repubblicana fino a tutto il periodo imperiale, sono moltissimi e con tali varianti strutturali da renderne impossibile una classificazione; si possono però individuare alcune tipologie che in determinati periodi si sono affermate e diffuse più di altre. Tra il IV ed il III sec. a.C. le camere funerarie ipogee erano state preferite come forma di sepoltura aristocratica, ma rimasero in uso anche in seguito, nella tarda età repubblicana e nel primo periodo imperiale, soprattutto in quelle aree in cui avevano una più antica tradizione, come in Etruria (Perugia, ipogeo dei Volumni) e nell'Italia meridionale (necropoli di Capua, Napoli, Taranto), ma anche in molte zone dell'Oriente ellenistico, in Grecia, Asia Minore, Siria, Palestina, Tripolitania e Cirenaica. Non esistendo un modello unico per la suddivisione interna degli spazi, ognuna di queste tombe presenta un'organizzazione propria. A Roma il caso della tomba di Patro sulla via Latina, di età augustea, risulta particolarmente interessante. Sopra la camera ipogea, riccamente decorata da pitture riproducenti ameni giardini, si è potuta individuare la presenza di un recinto con le stele funerarie di altri componenti della famiglia. Una complessa planimetria interna e una grande ricchezza della decorazione presentano la basilica sotterranea di Porta Maggiore e, più tardi, agli inizi del II sec. d.C., la tomba dei Nasoni sulla via Flaminia, alcune tombe sulla via Latina e sulla via Portuense. Nel periodo di massima diffusione della cremazione a Roma si afferma, tra la metà del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C., un altro tipo di tomba ipogea o semipogea, caratterizzata dalla presenza sulle pareti di più file di piccoli loculi destinati a contenere le olle cinerarie. Queste tombe, dette "colombari" per l'affinità con i ricoveri delle colombe, si mostrano assolutamente funzionali ad una città densamente popolata; le pareti potevano accogliere, infatti, un numero altissimo di sepolture come nessun altro tipo di tomba. Questa forma di sepolcro collettivo accoglieva componenti di una stessa famiglia, compresi servi e liberti, o soci di una corporazione. La gestione dei colombari era affidata a collegia funeraticia, i quali si occupavano della compravendita dei loculi, della loro assegnazione e della manutenzione della tomba. Generalmente una piccola tabella apposta sotto il loculo indicava il nome del defunto, ma in molte iscrizioni ci si preoccupava anche di affermare pubblicamente il diritto alla sepoltura, la proprietà e le norme della trasmissione ereditaria a terzi (ILS 7886-7940). I colombari più antichi, come quelli della necropoli esquilina o del sepolcreto salario, sono improntati ad un'estrema semplicità, con rare decorazioni sulle pareti, interamente occupate da loculi. In età augustea, invece, l'interno si arricchisce di pitture e stucchi che scandiscono il ritmo delle nicchie; esemplari l'enorme colombario dei liberti di Livia e quello di Pomponio Ila sulla via Appia, di poco più tardo. Tombe a cella realizzate in laterizio, a volte dotate di recinto, accolgono sepolture a rito misto. All'interno, sulle pareti, sono ricavate le nicchie per le olle, mentre a terra e negli arcosoli trovano posto le inumazioni in casse di terracotta o di marmo. Con la diffusione dell'inumazione, agli inizi del II sec. d.C., si afferma la produzione su larga scala di sarcofagi marmorei, che peraltro erano già presenti nella tradizione funeraria romana fin dal periodo augusteo, ma in un numero limitato di esemplari. Un precoce quanto isolato gruppo di sarcofagi, databili intorno alla metà del I sec. d.C., per le caratteristiche della decorazione lineare geometrica in cui ricorre costantemente un cerchio inscritto, è stato messo in relazione con tendenze filosofiche-religiose neopitagoriche. Inoltre, sul coperchio, in corrispondenza del volto del defunto è praticato un tassello quadrangolare chiuso con una lastra di vetro che permetteva di osservare il corpo mummificato del defunto, come è confermato da uno di questi sarcofagi, rinvenuto intatto in una tomba della via Casilina. L'appartenenza del defunto a questa cerchia filosofica motiverebbe inoltre la scelta precoce dell'inumazione in un periodo in cui prevale ancora il rito della cremazione. Anche nelle forme più semplici il sarcofago di marmo costituiva un oggetto di lusso, costoso e certamente alla portata di pochi; tuttavia, poiché era collocato nella cella, esso non aveva visibilità all'esterno. Spesso sarcofagi di grande pregio, con complesse decorazioni a rilievo, trovano posto in tombe che all'esterno non presentano alcun tipo di ostentazione di lusso e talvolta erano addirittura interrati nelle formae; sembrerebbe quindi che l'oggetto, in tutta la sua ricchezza, fosse destinato solamente al defunto, così come le pitture e gli stucchi che decoravano la tomba. Rispetto alle architetture funerarie di tipo monumentale, queste tombe in muratura omologate nella tipologia non sembrano portare all'esterno messaggi di autorappresentazione del defunto e della classe sociale di appartenenza; si avverte piuttosto una interiorizzazione nel modo di sentire la morte. Il sarcofago di Simpelveld è sintomatico di questo atteggiamento: la cassa è decorata all'interno e mostra, minutamente ricostruiti, gli ambienti di una casa con il suo arredo; il defunto è raffigurato al centro su una kline. Tipologie sepolcrali eccezionali nella forma e nelle dimensioni vennero scelte in età repubblicana e nella prima età imperiale dall'aristocrazia senatoria ed equestre. A Roma tumuli e tombe a piramide sono propri dei membri della classe dirigente e raramente i rappresentanti delle classi inferiori, per quanto ricchi, imitavano queste tipologie; viceversa nelle colonie e nei municipi i magistrati locali, appartenenti all'ordo decurionum, o i tribuni militum a populo, sceglievano frequentemente la tomba a tumulo, soprattutto tra l'età augustea e il I sec. d.C., talvolta introducendo varianti decorative, come nell'esempio di Pietrabbondante, arricchito da pilastri e colonne. Questo tipo di sepolcro si distingueva anche per la posizione talvolta isolata ed elevata; la sepoltura all'interno era riservata al solo titolare o ai parenti più stretti. Il tumulo rievoca nella sua struttura una forma elementare di segnalazione del luogo della sepoltura con un cumulo di terra o di pietre; esso costituisce quindi la monumentalizzazione di questo sistema mai completamente abbandonato nella tradizione funeraria. A Roma e in Italia il tumulo, prediletto dall'aristocrazia senatoria, si diffonde tra l'ultimo quarto del I sec. a.C. e il I sec. d.C.; esempi precedenti, ma di tipo diverso, erano stati impiegati per sepolture regali in età ellenistica in Oriente, a Pergamo, in Commagene, in Galazia e in Africa settentrionale. Un modello più prossimo era costituito dai tumuli etruschi e forse dallo stesso heroon di Enea a Lavinio (IV sec. a.C.). In età augustea si distinguono due tipi di tumulo a seconda del tipo di basamento, più alto e con un diametro più piccolo, più basso e con un diametro più ampio; la struttura era rinforzata all'interno da un anello in muratura dotato di concamerazioni disposte a raggiera intorno alla camera sepolcrale centrale. Le dimensioni del Mausoleo di Augusto non vennero mai superate, anche quando Adriano ripropose questo tipo di sepolcro con alcune fondamentali varianti nella struttura. Probabilmente a imitazione della tomba di Adriano, nel II sec. d.C. vengono costruiti altri tumuli, il più tardo dei quali sembra essere il cosiddetto Monte del Grano sulla via Tuscolana, per il quale fu proposta l'attribuzione ad Alessandro Severo, ipotesi insostenibile dal momento che i bolli laterizi risalgono alla metà del II sec. d.C. Una forma di stilizzazione del cumulo di terra o di pietre che copriva la sepoltura è da ricercare nei monumenti con elementi piramidali o conici. All'interno di questa tipologia si distinguono le piramidi con superficie liscia, quelle con contorno concavo, strutturate a gradini e il cono con la sommità arrotondata come una meta. Raramente la piramide costituisce di per sé il monumento, come accade nel sepolcro di Gaio Cestio a Roma. Più spesso basamenti circolari o quadrangolari contenenti la camera sepolcrale erano sormontati da elementi piramidali. La diffusione del monumento con alzato a meta è concentrata nel I sec. a.C. La tomba cosiddetta "degli Orazi" sulla via Appia, presso Albano Laziale, presenta una variante con quattro mete che circondano quella centrale, probabilmente una rievocazione della tomba del re Porsenna così come descritta da Plinio (Nat. hist., XXXVI, 91 ss.). L'impiego di questo tipo di struttura a Roma e in Italia è limitato tra l'età repubblicana e quella augustea, quando l'affermazione dei monumenti a piramide coincide con la diffusione della moda egittizzante. Fuori dall'Italia la sua fortuna sembra limitata a pochi esempi, noti ad Anamur in Asia Minore, mentre la piramide come parte culminante di un monumento più grande o in dimensioni ridotte come piccolo segnale della sepoltura è documentata a Roma e nelle province anche nel I e II sec. d.C. (Africa settentrionale, Gallia). Spesso l'elemento conico o piramidale costituiva il coronamento del monumento, che nella parte inferiore poteva essere strutturato ad edicola. Questo tipo di struttura riprende modelli attestati nelle necropoli ellenistiche del II e I sec. a.C. e fino alla media età imperiale rappresenta una tipologia tra le più diffuse nel mondo romano in tutte le sue numerose varianti, quale il monoptero a forma di tholos con basamento circolare o quadrato (monumenti di Sestino, di Porta Nocera a Pompei, di Porta Marina ad Ostia, la cd. Tour d'Horloge di Aix-en-Provence). In età repubblicana il monumento a edicola poteva raggiungere grandi altezze; ne costituisce un esempio il cosiddetto Sepolcro di Pompeo sulla via Appia, presso Albano, ma strutture più piccole di questo genere sono attestate in tutte le necropoli di Roma, anche se spesso se ne conserva solo il nucleo cementizio. Gli elementi fondamentali sono il basamento, l'edicola, anche a più piani, e il coronamento. Numerosi esempi si concentrano nelle necropoli dell'Italia settentrionale e delle province; tra i monumenti più noti si ricordano il mausoleo degli Iulii a Saint-Rémy, la Torre de los Escipiones a Tarragona (prima metà I sec. d.C.), il monumento di Poblicius a Colonia e quello di Calvius Turpio a Lione (metà I sec. d.C.). Nella maggior parte dei casi il basamento recava l'iscrizione o fregi figurati, mentre nell'edicola, tra gli intercolumni, veniva messa in risalto l'immagine del titolare della tomba (Sarsina, tomba di Aefionius Rufus). Un numero limitato di monumenti mostra la statua del defunto posta in cima ad una colonna isolata: l'esempio più illustre di questa tipologia è costituito dalla colonna di Traiano, ma spesso la colonna faceva parte di un monumento più grande, ad esempio poteva essere associata ad una esedra o ad una schola, come nel caso della tomba di Aesquilia Polla nella necropoli di Porta Nocera a Pompei. Alcune tipologie sepolcrali quali la tomba ad altare e la tomba a tempio sono mutuate dall'ambito sacrale e religioso secondo una tradizione funeraria che già in epoca ellenistica aveva adottato queste forme per onorare i defunti. Altari monumentali sono documentati nella tarda età repubblicana e durante l'epoca imperiale, almeno fino all'età severiana. Nella media età imperiale nelle province occidentali esempi di tali monumenti si trovano a Londra e a Neumagen presso Treviri. Si tratta di grandi basi modanate poste su un alto zoccolo; solitamente la fronte è occupata dall'iscrizione circondata da un fregio vegetale e da rilievi che evocano le prerogative del defunto, mentre i lati sono decorati da rilievi. Infine, un esempio significativo di questo tipo di monumento è il cenotafio di Adamclissi, che, posto davanti ai celebri trofei, celebrava i caduti delle campagne daciche. La tomba a tempio sottolinea l'aspetto cultuale e sacro del contesto sepolcrale anche in assenza di apoteosi del defunto; la struttura poggiava su un basso podio sopra il quale era costruita la cella contenente le statue dei defunti. In età repubblicana e augustea questa tipologia ‒ alla quale sembra corrispondere la descrizione della tomba che Cicerone volle costruire per la figlia Tullia ‒ era piuttosto rara. La sua diffusione si concentra nel II sec. d.C., periodo al quale si datano a Roma le tombe in laterizio di Annia Regilla sulla via Appia, dei Pancrazi e dei Valeri lungo la via Latina e la cosiddetta Sedia del Diavolo sulla Nomentana. Numerosi esempi sono attestati in tutte le province dell'Impero con diverse interpretazioni e varianti dello schema principale. La documentazione si fa più rara tra il III e il IV sec. d.C., quando la tomba a tempio con pianta quadrata lascia progressivamente il posto ai grandi mausolei circolari.
Il funerale - Nel momento del trapasso il parente più prossimo dava l'ultimo bacio al moribondo per raccogliere l'ultimo respiro con il quale l'anima abbandonava il corpo e poi gli chiudeva gli occhi. Da questo istante il nome del defunto veniva ripetuto a gran voce ad intervalli (conclamatio) fino al momento della sepoltura. Alle lamentazioni partecipavano le donne della famiglia, ma anche estranee (praeficae) pagate per questa prestazione; oltre ad esternare il dolore per la perdita della persona cara, questo rituale aveva lo scopo di accertare il decesso e scongiurare il pericolo di una morte apparente (Serv., Aen., VI, 218). Il corpo, quindi, era sollevato dal letto e deposto in terra (depositio), di seguito lavato, trattato con unguenti per ritardarne la decomposizione (unctura) e preparato per l'esposizione sul letto funebre (prothesis). In questa fase veniva posta nella bocca del cadavere una moneta che sarebbe servita per pagare al traghettatore Caronte il passaggio nell'aldilà. Numerose testimonianze confermano questa usanza, conservatasi fino in età tardoantica e altomedievale, in tutto il bacino del Mediterraneo, ma anche nelle province occidentali dell'Impero. Il trasporto del defunto avveniva con il feretrum portato a spalla da quattro fino ad otto portatori, scelti tra gli amici e i parenti maschi del defunto; seguivano i partecipanti vestiti con abiti neri, detti lugubria, suonatori e praeficae. Le descrizioni di Polibio (VI, 53) e Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXV, 6), entrambe relative a personaggi appartenenti a classi sociali elevate, informano sull'usanza di esporre durante il funerale i ritratti degli antenati, secondo le norme dello ius imaginum; dopo il funerale le immagini, realizzate in cera (expressi cera vultus), venivano riposte all'interno di armadi nell'atrio della casa. Lo svolgimento delle esequie, a seconda della disponibilità finanziaria della famiglia, era affidato a professionisti, libitinarii (da Libitina, la divinità dei funerali nel cui tempio erano conservati i registri mortuari) e pollinctores; nel caso di funerali particolarmente sfarzosi i dissignatores, quali maestri del cerimoniale, provvedevano all'organizzazione. La scelta dell'inumazione o della cremazione non influiva sulle fasi fin qui descritte del rituale. Giunto sul luogo dell'inumazione, prima di procedere al seppellimento, veniva gettato sul cadavere un pugno di terra; questo gesto garantiva il contatto tra il defunto e la terra anche nel caso in cui il corpo non venisse deposto direttamente al suolo, ma collocato nella cassa di un sarcofago che poteva essere di marmo, pietra, terracotta, legno o piombo. Il contatto con la terra, anche se solo simbolico, era fondamentale per la sua funzione purificatrice. Per questo motivo, se il defunto doveva essere cremato, almeno una parte del corpo, quasi sempre un dito, veniva tagliata (os resectum) e coperta di terra; alla fine del rogo la parte asportata era riunita alle ceneri ed alle altre ossa combuste. Con la pratica di questo rituale si può spiegare la presenza nelle urne di una falange che non mostra segni di combustione. Il rituale, dettagliatamente descritto da Cicerone (Leg., II, 22, 55), Varrone (Ling., V, 23) e Festo, trova riscontro nel cinerario di M. Nonio Balbo ad Ercolano e in molte altre sepolture più umili, quali un gruppo di olle rinvenuto a San Cesareo, due casi dalla necropoli Esquilina e altre tombe trovate recentemente a Roma e ad Ostia. La cremazione del cadavere avveniva insieme con il letto funebre sul quale era stato trasportato e poteva aver luogo nel sito del seppellimento (bustum sepulcrum) oppure in luoghi approntati per lo svolgimento di questa pratica funeraria, detti ustrina. Nella necropoli orientale di Augusta Praetoria (Aosta) è stato individuato, nel 1973, il sito di una sepoltura contenente i resti del rogo funebre, tra i quali centinaia di frammenti di osso lavorato pertinenti al rivestimento del letto funerario; altri frammenti sono stati ritrovati nell'urna di bardiglio che conteneva le ossa combuste. Il letto, risalente ai primi decenni del I sec. d.C., appartiene al tipo degli esemplari rinvenuti nelle necropoli dell'Esquilino, di Ostia, di Pompei, di Vindonissa, di Colonia; era decorato da figure del repertorio dionisiaco e da elementi vegetali finemente intagliati. Prima della cremazione venivano aperti gli occhi al defunto, si collocava il corpo sulla pira costruita in legno insieme con doni ed oggetti personali, quindi gli astanti gridavano ancora una volta il suo nome e con le torce veniva appiccato il fuoco. Spento il rogo, i resti combusti erano raccolti nelle urne cinerarie; anche per questi contenitori esisteva un'ampia varietà di materiali e forme, dai più umili contenitori di terracotta ai preziosi esemplari di marmo decorati a rilievo. Il termine funus definiva quanto avveniva tra la morte e il compimento delle esequie. Naturalmente lo svolgimento del rituale presentava variazioni rispetto al funerale tradizionale ( funus translaticum) nel caso di personaggi pubblici ( funus publicum), di militari ( funus militare), dell'imperatore o di membri della famiglia imperiale ( funus imperatorium). I funerali pubblici erano riservati a personaggi di alto rango meritevoli di onori particolari, quali la lettura di un panegirico, l'intonazione di canti e la partecipazione al corteo di membri della magistratura e di grandi folle di soldati e cittadini comuni. Così avvenne per la morte di Silla secondo il racconto di Appiano (Bell. civ., I, 105-6). In età imperiale a Roma i funerali pubblici furono piuttosto rari, se si eccettuano le esequie degli imperatori, ma nelle città italiche e nelle province era più frequente il conferimento di questo onore a personaggi che si erano distinti in vita per meriti verso la cittadinanza, alla quale in occasione del funerale venivano offerti spettacoli gladiatori o teatrali. Il funerale dei soldati era pagato dai commilitoni con un contributo detratto dalla loro paga; per i caduti in battaglia, invece, era prevista la cremazione o la sepoltura collettiva; onori militari, cavalcate o marce intorno alla pira erano riservati ai gradi più alti della gerarchia militare (Liv., V, 17, 5; Tac., Ann., II, 7). Dettagliate descrizioni di esequie imperiali sono fornite dalle fonti letterarie e molte monete coniate nella media età imperiale riproducono le pire a più piani degli imperatori con la legenda CONSECRATIO. Lo stesso tema è svolto in scala monumentale sul rilievo capitolino raffigurante Sabina che ascende dalla pira al cielo e sulla base della Colonna Antonina con l'apoteosi della coppia imperiale Antonino Pio e Faustina Maggiore. Tra i monumenti che illustrano i momenti del rituale funerario il rilievo di Amiternum (metà I sec. a.C.) e i rilievi del sepolcro degli Haterii (fine I - inizi II sec. d.C.) sono i più esemplificativi rispettivamente per l'esposizione del defunto e per il corteo funebre. A questi due esempi si aggiunge un gruppo di sarcofagi della media età antonina decorati sulla fronte da scene di conclamatio.
Il culto dei defunti - La frattura rappresentata dalla morte all'interno della famiglia e del corpo sociale doveva essere sanata attraverso un rituale volto a purificare la famiglia del defunto dalla contaminazione della morte. La suffitio, alla quale erano sottoposti i parenti al ritorno dal funerale, era solo la prima di una serie di cerimonie di purificazione che aveva luogo nella casa del defunto ( feriae denicales). Sempre nello stesso giorno del funerale si consumava il primo banchetto funebre (silicernium). Il periodo di lutto durava nove giorni e terminava con un secondo banchetto, la cena novendialis, durante la quale veniva offerta una libagione ai Manes e lasciate offerte alimentari. Cerimonie funebri con banchetti presso la tomba venivano celebrate in occasione del dies natalis del defunto e nei Parentalia, periodo dal 13 al 21 febbraio, destinato alla commemorazione dei morti; nell'ultimo giorno, detto dei Feralia, venivano portati doni e offerte floreali. Il giorno successivo, il 22 febbraio, presso il sepolcro veniva consumato un solenne banchetto riservato ai parenti più stretti (caristia o cara cognatio; Ovid., Fast., II, 617 ss.; Val. Max., I, 1, 8). Un'altra ricorrenza dedicata ai defunti era quella dei Lemuria: durante i giorni 9, 11 e 13 di maggio i templi erano chiusi e non venivano celebrati matrimoni. Anche in occasione dei Rosalia, festività legata alla fioritura delle rose e non esclusivamente funeraria, i sepolcri erano cosparsi di fiori. Nel rito funerario l'omaggio vegetale associa il defunto alla rinascita della natura e all'eterna primavera della vita ultraterrena; a questa simbologia riportano gli encarpi che ornano così frequentemente le tombe e i loro arredi. Come anticipazione terrena dei Campi Elisi devono essere interpretati i giardini che talvolta circondavano il sepolcro (cepotaphia), horti lussureggianti con fiori e frutteti (pomaria), proprio come desiderava Trimalcione per la sua tomba. Alcuni edifici sepolcrali erano dotati di spazi dedicati all'espletamento del rituale; forni e pozzi, costruiti presso le tombe, erano utilizzati per apprestare i banchetti funebri. A tale scopo erano destinati letti, sedili e mense che nel caso della necropoli di Porto nell'Isola Sacra sono realizzati in muratura davanti alla tomba e proprio presso queste strutture è stata rinvenuta una grande concentrazione di suppellettile ceramica. Triclini in muratura sono riconoscibili anche a Pompei, nella necropoli fuori Porta Ercolano, costruiti presso la tomba di C. Vibio Saturnino. Durante i banchetti ai defunti era riservata una parte del cibo e delle bevande che venivano introdotti nei fori praticati nella sepoltura e dovevano raggiungere le ossa o le ceneri; questo rituale, descritto anche da Virgilio (Aen., V, 76- 77), era molto diffuso e trova numerose attestazioni in tutto il mondo romano. In Italia tra il I e il II sec. d.C. tombe attrezzate con tubuli per le profusiones sono state rinvenute particolarmente numerose nelle necropoli di Albintimilium, Ostia, Isola Sacra e Pompei. Nelle sepolture individuali il condotto era costituito da un tubo di terracotta, ottenuto dall'unione di due coppi o semplicemente da un'anfora spezzata; in caso di sepolture collettive, invece, nelle tombe a camera, il condotto per le libagioni era ricavato nel pavimento per raggiungere simbolicamente tutti i defunti. La centralità del banchetto nel rituale funerario è confermata da un'ampia documentazione iconografica fornita da pitture e rilievi che descrivono scene conviviali. Il banchetto, svolto all'aperto con i convitati disposti intorno ad una mensa a forma di sigma (stibadium), torna frequentemente a decorare i coperchi dei sarcofagi, in particolare tra il III e il IV sec. d.C., e con lo stesso schema compositivo viene adottato dall'iconografia conviviale cristiana. In alcuni casi, in occasione del funerale o della commemorazione del defunto, poteva essere celebrato un banchetto pubblico, offerto per volontà testamentaria del defunto stesso o per iniziativa dei familiari. Si tratta di una forma di evergetismo nota in Grecia e ampiamente praticata a Roma nella tarda età repubblicana, non dissimile dalle distribuzioni alimentari o dall'organizzazione di spettacoli scenici o gladiatori; banchetti si svolgevano in luoghi pubblici all'aperto, preferibilmente nei fori o nei templi. Anche il banchetto funerario evergetico fu praticato dai cristiani, i quali investirono questa usanza di un contenuto evangelico, inteso come offerta caritatevole ai poveri. L'esagerata ostentazione del lusso nella celebrazione dei funerali e delle ricorrenze in onore dei defunti, nonché la ricchezza dei corredi deposti nella tomba erano condannate dall'opinione pubblica e potevano essere punite dalla legge. L'iscrizione relativa al sepolcro di Gaio Cestio (CIL VI, 1375) costituisce un esempio dell'applicazione della lex Iulia sumptuaria (18 a.C.), la quale proibiva di introdurre nel sepolcro oggetti di valore. Nell'osservanza di questa norma, gli Attalica, i preziosi tessuti nominati nell'iscrizione, vennero venduti e con il ricavato furono realizzate le statue poste presso il sepolcro. Nonostante le limitazioni delle leggi suntuarie non di rado alcune tombe hanno restituito veri e propri tesori. Il rinvenimento nel 1993 di un corredo a Vallerano mostra analogie di rituale e di composizione con i corredi di Crepereia Tryphaena e quello della cosiddetta "mummia di Grottarossa", entrambi di epoca antonina. Oltre alla giovane età delle defunte, le sepolture sono accomunate dalla deposizione dei corpi in sarcofagi di marmo. I tre corredi comprendono tutti oggetti preziosi provenienti dall'area siriana che in questa epoca sembra detenere il monopolio del mercato degli oggetti di lusso a Roma. A questo ambito geografico riporta anche il metodo di mummificazione della fanciulla di Grottarossa, per la quale si deve escludere un procedimento di conservazione di tipo egiziano con l'uso del natron; il corpo, infatti, fu trattato con resine e mirra, sostanza resinosa aromatica proveniente dall'Arabia meridionale e dall'Oman, ampiamente citata da Plinio. Il corredo collocato nella tomba accompagnava il defunto nell'aldilà con il conforto di oggetti personali cari al defunto nella vita terrena. Nel periodo arcaico e durante l'età repubblicana le leggi suntuarie limitano l'esibizione del lusso nelle tombe, ma anche nel periodo imperiale difficilmente vengono sacrificati nei corredi gioielli importanti, tranne piccoli oggetti, orecchini e anelli. In questo senso gli esempi citati e pochi altri costituiscono un'eccezione, presentando un corredo completo di monili, bambola d'avorio, oggetti da toeletta d'ambra, unguentari, specchio, pettini, cofanetti portatrucco, fuso e conocchia. Questi ultimi due oggetti, caratteristici del ruolo della donna nella famiglia e molto diffusi nelle sepolture femminili più antiche, rimasero a lungo assenti dai corredi di età repubblicana ed imperiale. La loro ricomparsa in queste tombe è stata messa in rapporto con l'origine orientale delle defunte e con le immagini di matrone palmirene che esibiscono questi attributi sulle loro stele. Per la presenza della bambola nei corredi di bambine o giovani donne in età da marito può essere presa in considerazione l'interpretazione che vede nell'oggetto un riferimento all'infanzia, ma soprattutto alla mancata maternità: la morte precoce non permise a queste fanciulle di vivere la loro vita come padrone di casa e come madri, attività simbolicamente rappresentate dal fuso, dalla conocchia e dalla bambola.
Il repertorio decorativo funerario - Cogliere il messaggio simbolico dell'apparato decorativo della tomba e dei suoi arredi risulta spesso difficoltoso, soprattutto in mancanza di fonti che esplicitino il significato di queste raffigurazioni. La religione romana, pur nella varietà delle sue dottrine, non è una religione soteriologica; a differenza del cristianesimo, essa non prevede il concetto di salvezza nell'aldilà e la vita oltre la morte consiste in una permanenza più o meno felice nell'oltretomba, consolata dalla memoria aeterna dei posteri. Tra il I sec. a.C. e il I d.C., però, la diffusione del pensiero stoico ed epicureo aveva minato la convinzione della sopravvivenza dell'anima, la quale, mortale al pari del corpo, sarebbe stata riassorbita da un'energia universale e quindi privata di ogni individualità. A queste convinzioni filosofiche può essere attribuita la presenza negli epitaffi di espressioni come sumus mortales, immortales non sumus (CIL XI, 856), Non fui, non sum, non curo (attestata anche nella formula abbreviata NFNSNC in un'iscrizione di Gemona, CIL V, 1813), nil sumus et fuimus. Mortales, respice, lector, in nihil a nihilo quam cito recidimus (CLE II, 1495) e altre di contenuto simile. Tuttavia la convinzione più diffusa era quella che gli spiriti dei morti, mantenendo la propria individualità, potessero frequentare le dimore dei viventi e dovessero essere debitamente onorati secondo le regole del rituale. Il desiderio di essere ricordati e, quindi, di comunicare ciò che si è stati da vivi è affidato al programma decorativo del sepolcro o, più esplicitamente, il compito è assolto dalle iscrizioni che narrano la vicenda umana del defunto, sia essa il luminoso cursus honorum di un eminente personaggio, sia che si tratti di una più modesta esistenza. Talora le decorazioni figurate connesse al sepolcro illustrano in maniera diretta l'attività del defunto; i rilievi in cotto con scene di mestiere apposti sulle facciate delle tombe nella necropoli dell'Isola Sacra in un linguaggio formale semplice e didascalico narrano la professione del defunto o ne mostrano sinteticamente gli strumenti, analogamente a quanto avviene su stele, altari funerari, sarcofagi. Più spesso temi figurati o singoli motivi portano un significato traslato o simbolico riferibile al rituale, ma anche l'intenzione di rappresentare le qualità del defunto. Quando è assimilato all'eroe mitologico, egli diviene exemplum dei valori fondamentali della società romana: virtus e concordia per gli uomini, pietas, castitas e pulchritudo per le donne. Nel repertorio funerario il cacciatore costituisce l'exemplum virtutis per eccellenza, sia che si tratti di una caccia mitica, sia che si tratti di una caccia comune. I grandi eroi, quali Meleagro e Fetonte, non sfuggono al destino e trovano la morte nel fiore degli anni, come spesso accade per il defunto, di qui scaturisce il carattere consolatorio della rappresentazione. L'esplicito riferimento al superamento della morte e al ritorno dall'aldilà appare evidente nei miti di Alcesti e di Persefone, entrambe simbolo delle virtù femminili sopra citate. Un richiamo particolare all'impegno civile e politico era espresso nei monumenti funerari dalla presenza di magistrati. Molto spesso questi concetti sono sintetizzati nella decorazione in pochi elementi, a volte ridotti a motivi isolati o ad attributi delle figure. Nella presenza delle nove Muse, in una scena di lettura con un poeta o un filosofo, ma anche solo nella presenza di una maschera teatrale o di un rotulus come attributo del defunto, si legge un chiaro riferimento alla pratica della cultura, al tema globale della gloria raggiunta in questo mondo e quindi all'immortalità attraverso la fama tra gli uomini, concetto cantato da molti poeti latini, da Ennio a Orazio. Tra le religioni misteriche il ciclo dionisiaco è il più frequente nelle decorazioni sepolcrali e compare con raffigurazioni direttamente collegate alle storie della divinità o con riferimenti simbolici al culto. In una tomba presso Porta Salaria a Roma, è stato rinvenuto un gruppo di sarcofagi decorati tutti con temi dionisiaci per i quali si può riscontrare la volontà di manifestare attraverso un preciso programma decorativo del sepolcro le convinzioni filosofico-religiose dei committenti. Al viaggio verso le isole dei beati alluderebbero, secondo alcuni, i motivi marini. Questa iconografia, frequentissima nel repertorio funerario fu accolta anche dalla tradizione cristiana. Resta incerto quanto i contenuti simbolici dei motivi decorativi, nei termini in cui talora sono ricostruiti dai moderni, fossero presenti alla clientela che si rivolgeva ai decoratori o alle officine di scultura, dove sicuramente dovevano essere già lavorati un certo numero di manufatti. Infatti, se a volte le decorazioni funerarie sembrano rispecchiare precise richieste del committente e certamente furono eseguite su ordinazione, si deve comunque riconoscere una ripetitività e standardizzazione della decorazione che non sempre era motivata da particolari esigenze religiose o di autorappresentazione.
Aree funerarie e tipologie sepolcrali:
H. Gabelmann, Römische Grabbauten in der frühen Kaiserzeit, s.l. 1971; W.K. Kovacsovics, Römische Grabdenkmäler, Waldassen 1983; M. Eisner, Zur Typologie der Grabbauten im Suburbium Roms, Mainz a. Rh. 1986; H. von Hesberg - P. Zanker (edd.), Römische Gräberstrassen, Kolloquium in München 28-30 Oktober 1985, München 1987; A. Auer, Die Columbarien der späten Republik und der frühen Kaiserzeit in den Nekropolen Roms und ihre Ausstattung, München 1989; H. von Hesberg, Römische Nekropolen. Formen sozialer Interaktion im suburbanen Raum, in Actas XIV Congreso Internacional de Arqueología Clásica (Tarragona, 5-11/9/1993), Tarragona 1994, pp. 371-76; C. Compostella, Ornata sepulcra. Le "borghesie" municipali e la memoria di sé nell'arte funeraria del Veneto romano, Firenze 1995; I. Baldassarre et al., Necropoli di Porto. Isola Sacra, Roma 1996; A.M. Andermahr, Totus in Praedis, Bonn 1998.
Rituale funerario e corredi:
A. Audin, Inhumation et Incinération, in Latomus, 19 (1960), pp. 518-32; J.M.C. Toynbee, Death and Burial in the Roman World, London 1971 (trad. it. Roma 1993); W. Wolski - I. Berciu, Contribution aux problèmes des tombes romaines à dispositif pour les libations funéraires, in Latomus, 32 (1973), pp. 370-79; U. Hopkins, Death and Renewal - Sociological Studies in Roman History 2, Cambridge 1983; J. Scheid, Contraria facere: renversements et déplacements dans les rites funéraires, in AnnAStorAnt, 6 (1984), pp. 117-39; I. Baldassarre, Sepolture e riti nella necropoli di Porto all'Isola Sacra, in BA, 5-6 (1990), pp. 49-113; A. Amante Simoni, Sepolture e moneta, obolo viatico - obolo offerta, in Le sepolture in Sardegna dal IV al VII sec. d.C. IV Convegno sull'archeologia tardo-romana e medievale (Cuglieri, 27-28 giugno 1987), Oristano 1990, pp. 231-42; F. Taglietti, La diffusion de l'inhumation à Rome: la documentation archéologique, in Incinérations et inhumations dans l'Occident romain aux trois premiers siècles de notre ère. Colloque international deToulouse, 7-10 octobre 1987 (IV Congrès Archéologique de la Gaule Méridionale), Toulouse 1991, pp. 163- 67; A. Bedini (ed.), Mistero di una fanciulla. Ori e gioielli della Roma di Marco Aurelio da una nuova scoperta archeologica, Milano 1995. Sugli arredi delle tombe e il repertorio decorativo funerario: H.I. Marrou, Mousikòs Anèr. Étude sur les scènes de la vie intellectuelle figurant sur les monuments funéraires romains, Grenoble 1937; F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire des romains, Paris 1942; B. Andreae, Studien zur römischen Grabkunst, Mainz a. Rh. 1963; G. Koch - H. Sichtermann, Römische Sarkophage, München 1982; G. Zimmer, Römische Berufsdarstellungen, Berlin 1982; D. Boschung, Antike Grabaltäre aus den Nekropolen Roms, Mainz a. Rh. 1987; F. Sinn, Stadtrömische Marmorurnen, Mainz a. Rh. 1987; W. Raeck, Modernisierte Mythen. Zum Umgang der spätantike mit klassischen Bildthemen, Stuttgart 1992; R. Amedick, Zur Ikonographie der Sarkophage mit Darstellungen aus der Vita Privata und dem Curriculum Vitae eines Kindes, in Grabeskunst der römischen Kaiserzeit, Mainz a. Rh. 1993, pp. 143-54; G. Koch, Sarkophage der römischen Kaiserzeit, Darmstadt 1993; D. Grassinger, The Meaning of Myth on Roman Sarcophagi, Boston 1994; J. Huskinson, Roman Children's Sarcophagi, Oxford 1996; R. Turcan, Messages d'autretombe. L'iconographie des sarcophages romains, Paris 1999.