L'archeologia delle pratiche funerarie. Mondo fenicio
Lo studio dei contesti funerari della Fenicia risente inevitabilmente della crisi che ha investito l'archeologia libanese negli ultimi decenni, a causa del conflitto arabo-israeliano che ha destabilizzato fortemente gran parte del settore costiero vicino- orientale. Per questo motivo molti aspetti relativi all'organizzazione e ubicazione delle necropoli, nonché ai rituali e alle pratiche funerarie proprie del mondo fenicio possono essere compresi in modo soddisfacente soltanto grazie alla documentazione proveniente da Cipro e dalle colonie del Mediterraneo centro-occidentale, che sono state oggetto di più sistematiche ricerche. In uno studio sulle conoscenze relative alle necropoli fenicie del Libano (Sader 1995) si afferma che attualmente sono documentate 27 aree funerarie, concentrate prevalentemente nel Sud del Paese: infatti, ben 23 di queste necropoli sono localizzate nelle regioni di Tiro e Sidone. Tale squilibrio non si spiega solo con la grande importanza raggiunta dai centri sopracitati durante il periodo in questione, ma deve essere messo in relazione con il sistematico saccheggio a cui è stata sottoposta questa parte del Paese durante il conflitto con Israele. Non a caso delle 14 aree individuate intorno a Tiro solo 3 sono state oggetto di scavi regolari (Tell el-Rashidiye, Zibqin, Yanuh), mentre le altre sono conosciute da scavi clandestini. Per quel che concerne Sidone, la situazione risulta in parte migliore, dal momento che è stato possibile effettuare un maggiore controllo scientifico e di tutela. Al riguardo andrà comunque osservato che le necropoli che circondano la città (Magharat Adlun, Ayaa e Ain el-Helwé), oggetto in antico di ripetute spoliazioni, sono state indagate nell'Ottocento e agli inizi del Novecento in modo non sempre metodologicamente corretto, per cui molti dei problemi relativi a tali aree sepolcrali rimangono attualmente irrisolti. Quanto i dati in nostro possesso siano soggetti alla casualità delle scoperte è confermato dai recenti rinvenimenti effettuati nella regione di Arwad in territorio siriano, dove scavi di emergenza hanno portato al recupero di numerose e talvolta monumentali tombe del Ferro III (Elayi - Haykal 1996), che vanno ad integrarsi con le sensazionali scoperte effettuate presso Amrit da E. Renan nella seconda metà dell'Ottocento. La ricchezza della documentazione relativa a questo settore della Fenicia contrasta in modo evidente con la scarsità di dati provenienti dalla limitrofa regione del Libano settentrionale, che ha restituito al momento un'unica necropoli alla periferia di Tell Arqa, con sepolture ad incinerazione risalenti all'VIII e al VII sec. a.C. Prendendo in esame le necropoli meglio indagate, si possono segnalare nel centro del Libano gli scavi condotti a Beirut dall'équipe dell'Università di Amsterdam. Le ricerche, intraprese a partire dal 1994, hanno portato all'individuazione nel centro della città di alcune tombe a pozzo dell'età del Ferro; altre tombe ricavate nella roccia sono state individuate ed esplorate presso la linea di costa. A circa 10 km a sud della capitale la località di Khaldé presenta la necropoli fenicia più importante e al momento meglio conosciuta, con 422 tombe che coprono un arco di tempo compreso fra l'XI e l'VIII sec. a.C. Riguardo a Sidone, tralasciando per le considerazioni sopra espresse le necropoli cittadine, le testimonianze più rilevanti provengono dal suo territorio e precisamente dall'insediamento di Sarafand, l'antica Sarepta, dove è stata solo parzialmente scavata la necropoli rupestre di VII-VI sec. a.C., collocata sulle colline circostanti l'abitato. A Tiro, recenti scavi condotti da M.E. Aubet hanno messo in evidenza in prossimità della linea di costa una cinquantina di sepolture ad incinerazione databili fra il X e il VII sec. a.C. Nelle vicinanze della città si trova l'importante necropoli di Tell el-Rashidiye, oggetto di scavi regolari: attualmente sono state visionate 17 tombe nelle quali l'inumazione si affianca all'incinerazione. Benché di tipologie differenti, le tombe risultano tutte scavate nella roccia e si caratterizzano per il gran numero di sepolture in uno spazio molto ristretto. Più a sud, in territorio israeliano, sono infine da segnalare le quattro necropoli di Akziv, che presentano tutte una fase fenicia compresa fra il X e gli inizi del VI sec. a.C., e la necropoli di Atlit del VII-VI sec. a.C. I dati raccolti, seppur parziali, permettono di affermare che nella civiltà fenicia si impose sin dalle fasi più antiche la volontà di distinguere nettamente il mondo dei morti dalla società dei vivi. Le necropoli sono generalmente collocate su colline o promontori che fronteggiano le città, separati, dove possibile, da corsi d'acqua. Tale pratica si differenzia nettamente da quanto documentato nelle culture cananaiche del II millennio a.C., con deposizioni all'interno delle abitazioni, come nel caso di Ugarit, o nell'ambito urbano, come ad Alalakh. Riguardo al rituale funerario, risultano praticati sia l'incinerazione sia l'inumazione; in alcune necropoli (Khaldé) i due rituali si associano anche all'interno di una stessa tomba, senza che sia possibile darne al momento una spiegazione scientifica. Andrà comunque osservato che l'incinerazione nell'area siro-palestinese ha una diffusione limitata sino alle invasioni dei cosiddetti Popoli del Mare, che si datano intorno al 1200 a.C. È pertanto verosimile che l'aumento di sepolture di incinerati attestato in Fenicia agli inizi del I millennio a.C. sia da mettere in relazione con l'arrivo di queste genti provenienti dall'area anatolica e dall'Egeo. Le tombe utilizzate dai Fenici si possono distinguere in sei gruppi. Passando dalle tipologie più semplici a quelle più complesse, si segnalano innanzitutto le deposizioni di inumati (Khaldé, Akziv) e di incinerati (Atlit) collocate sulla nuda terra e compresse solo da alcune grosse pietre; ossa calcinate sono state rinvenute anche all'interno di fosse (Tell Arqa) e in anfore, a loro volta riparate in cavità poco profonde (Akziv, Tiro). La seconda tipologia tombale si riferisce a profonde fosse chiuse alla sommità con una grossa pietra, sul fondo delle quali stavano le deposizioni di incinerati e di inumati; il terzo tipo prevede deposizioni collettive all'interno di ciste costruite con pietre lavorate. Passando alle tipologie più complesse, si ricordano le tombe scavate nella roccia e quelle con camera sepolcrale costruita con grossi blocchi squadrati; in ambedue i casi l'accesso è dato da un dromos o da un pozzo verticale. Per quel che concerne le tombe scavate nella roccia, gli esempi più interessanti provengono da Sidone e da Amrit. Nella necropoli reale di Ayaa, ad esempio, il sarcofago del re Tabnit (VI sec. a.C.) è stato rinvenuto all'interno di una struttura articolata su due livelli: quello superiore (Ipogeo B) e quello inferiore (Ipogeo A), quest'ultimo formato da un vestibolo e da ben sette camere funerarie, una delle quali (II) ospitava le spoglie regali. Nella sua ponderosa opera E. Renan sottolinea la presenza presso Amrit di due enormi strutture, una vicina all'altra, denominate dalla gente del luogo el- Meghazil, cioè "i Fusi". Si tratta di tombe con una parte monumentale ben visibile e una parte ipogea composta da un dromos e più camere funerarie con loculi ricavati nelle pareti. Le tombe con la camera funeraria realizzata mediante blocchi lavorati risultano meno numerose: fra le attestazioni più antiche si segnalano ad esempio quelle del cimitero orientale di Akziv, databili al VII sec. a.C. Una valutazione a parte deve essere fatta per le sepolture di bambini, deposti in anfore opportunamente adattate: si tratta delle cosiddette "sepolture a enchytrismòs", secondo un'usanza attestata in Oriente già nel II millennio a.C. (Ugarit, Biblo, Amrit e Hazor) e diffusa successivamente a Cipro e nell'Occidente fenicio. Riguardo all'organizzazione delle necropoli e ai rituali che in esse si svolgevano, alcuni interessanti dati si possono ricavare dai lavori condotti ad al-Bass e ad Akziv. Nel primo caso le urne si presentano accoppiate o in gruppi perfettamente delimitati, che corrispondono probabilmente a delle famiglie. Ad ogni urna erano addossati uno o due recipienti che contenevano incenso e resine aromatiche, verosimilmente utilizzate nella cerimonia che accompagnava l'interramento dell'urna. Questa cerimonia prevedeva inoltre la rottura rituale di vasi, i cui frammenti sono stati ritrovati sparsi alla base dell'urna; non è escluso che in tale occasione si consumassero cibi e bevande. L'esistenza di un corteo e di un banchetto funebre è suffragata dalla decorazione del sarcofago di Ahiram, il sovrano che visse a Biblo sul finire del II millennio a.C.; resta comunque da chiarire se tale pratica fosse riservata al monarca e ai suoi familiari, oppure estesa anche a personaggi di alto censo. A riconoscimento delle tombe più importanti della necropoli di al- Bass venivano deposte stele funerarie, alcune delle quali con raffigurazione umana. Le diversità di censo dei cittadini di Tiro qui sepolti sono inoltre percepibili da altri elementi: ad esempio, solo un ristretto numero di persone venne interrato in urne lussuose di fabbricazione cipriota, all'interno delle quali sono state rinvenute coppe greche, monili in oro e scarabei di fattura egiziana. A giudicare dall'eterogeneità delle importazioni, è probabile che ci si trovi di fronte ad esponenti della classe mercantile arricchitisi con i commerci transmarini. In questa necropoli, infine, sono state individuate, in relazione ad alcune delle sepolture più ricche, tracce di fuochi accesi verosimilmente in occasione di periodiche cerimonie funebri. È probabile infatti che dopo il seppellimento, a distanza di tempo, si facessero delle libagioni, come risulta anche dagli scavi di Akziv, dove nel cimitero meridionale sono stati ritrovati intorno ad altari e stele erette a segnacolo delle tombe i frammenti di vari vasi, fra cui coppe e brocche. Riguardo al trattamento del corpo del defunto i dati più importanti provengono da individui inumati, i quali risultano cosparsi da essenze profumate e talvolta perfino imbalsamati. Nel primo caso un'importante indicazione proviene da un'iscrizione di Biblo incisa su un sarcofago di epoca persiana che fa riferimento al defunto "deposto nella mirra e nella resina di palma". Per quel che concerne le pratiche di imbalsamazione, invece, si può ricordare il caso del re di Sidone, Tabnit, il cui corpo è stato ritrovato avvolto in un impasto di resina di cedro, terebinto, bitume, foglie di timo, menta e henné, che ne ha provocato una parziale mummificazione.
Rispetto alla Fenicia, la documentazione proveniente da queste regioni risulta molto più ricca e articolata. A causa dell'ampiezza e della diversità delle aree interessate dal fenomeno della colonizzazione, non è possibile in questa sede presentare un quadro dettagliato di tutte le realtà oggetto di indagini archeologiche, ma saranno esaminati alcuni contesti particolarmente significativi. Anche nell'Occidente fenicio risulta generalizzata la scelta dell'ubicazione delle necropoli, posizionate lontano dai centri abitati. Indicativa appare la situazione delle colonie dell'Andalusia orientale, disposte prevalentemente in prossimità di corsi d'acqua. Le ricerche hanno infatti dimostrato che le aree funerarie si trovano in posizione simmetrica rispetto all'insediamento, sulla riva opposta del fiume. Le quattro necropoli arcaiche conosciute (Toscanos, Morro de Mezquitilla, Lagos e Almuñecar) rispondono tutte a questo modello, recentemente documentato anche a Solunto, in Sicilia. A Cadice i defunti erano seppelliti in un isolotto non lontano da quello sul quale sorgeva l'abitato, contrariamente a quanto avveniva a Mozia e a Rachgoun. In questi due centri, infatti, in assenza di qualsiasi ostacolo naturale solo la distanza separava i vivi dai morti, con la necropoli ubicata in un'area dell'isola diametralmente opposta all'abitato. Tale situazione è verificabile anche in insediamenti peninsulari: in Sardegna, ad esempio, a Nora e a Tharros, le aree funerarie distano dall'abitato poche centinaia di metri. Con riferimento ai riti di sepoltura andrà innanzitutto osservato che nelle colonie fenicie occidentali l'incinerazione, nell'arco di tempo compreso fra l'VIII e il VI sec. a.C., risulta largamente maggioritaria. Assistiamo quindi ad un totale ribaltamento della situazione riscontrata in Oriente, dove nello stesso periodo prevale nettamente l'inumazione. Per quanto riguarda l'Occidente, un'importante eccezione è rappresentata da Cartagine, dove sin dalle fasi più antiche predomina l'usanza di inumare i defunti. Alla fine del VI sec. a.C., con l'affermarsi della potenza cartaginese nel Mediterraneo, questa pratica si diffonderà repentinamente nelle altre colonie fenicie, oggetto di una massiccia immigrazione di genti nordafricane apportatrici di costumi e riti differenti. Nel mondo fenicio di Occidente la cremazione cadde così in disuso sino all'epoca ellenistica, quando tornò in auge probabilmente per influsso greco. Il trattamento materiale del cadavere risulta differente a seconda del rituale praticato. Vista la scarsità dei dati epigrafici e letterari in nostro possesso, che forniscono solo alcuni sporadici e parziali elementi di giudizio, la maggioranza delle informazioni proviene dagli scavi archeologici. In alcuni casi, tuttavia, la precisione dell'indagine ha portato al recupero di un numero sufficientemente ampio di dati, che permettono di ricostruire le varie fasi della cerimonia funebre. Per quel che concerne il rito dell'incinerazione, esemplare risulta lo studio condotto a Monte Sirai, nella Sardegna sud-occidentale, dove è stata proposta questa sequenza: innanzitutto si preparava il corpo del defunto, sottoposto dapprima al lavaggio e quindi all'unzione. Per fare ciò erano utilizzati due recipienti rituali specifici: la brocca bilobata e la brocca con orlo espanso, nota anche con il nome di brocca con orlo "a fungo". Effettuata l'unzione del corpo, il defunto veniva adornato con gioielli e amuleti; in alcuni casi gli veniva anche assicurato al polso il vaso porta-unguenti, utilizzato in vita per la pulizia personale. Terminati i preparativi, la salma era avvolta in un sudario e deposta su alcune assi che fungevano da letto funebre. Nel frattempo si raccoglievano frasche di arbusti oleosi o resinosi, che erano deposte sulla fossa precedentemente scavata, quindi, sopra le frasche veniva accatastata legna da ardere. Il cataletto con il corpo disteso era infine deposto sulla catasta di legna, alla quale veniva dato fuoco. La combustione non doveva essere di lunga durata e veniva protratta sino a quando le ossa si erano calcinate e la legna, ormai completamente carbonizzata, crollava all'interno della fossa. Sulle ossa principali, maggiormente conservate in virtù delle loro dimensioni, risultano deposti alcuni vasi del corredo di accompagnamento. Questo era composto da recipienti aperti, quali piatti o coppe, e da altri vasi, talvolta di tipologia chiusa. Compresi i vasi rituali (brocca bilobata, brocca con orlo espanso), si è potuto constatare che generalmente per le donne venivano deposti cinque recipienti, tre per gli uomini e uno solamente per i bambini. Talvolta le coppe costituiscono l'unico esemplare di forma vascolare del corredo di accompagnamento. Al riguardo è stato osservato come esse, insieme alle brocche bilobate, potessero essere funzionali alla libagione sacra. In altre colonie le ceneri del defunto venivano raccolte in urne, alla stessa maniera di quanto documentato in Oriente. A Mozia le ceneri erano deposte in recipienti monoansati di forma globulare utilizzati normalmente per cuocere gli alimenti, come risulta dalle tracce di bruciato presenti sulle superfici esterne di alcuni esemplari. All'incirca nello stesso arco di tempo (fine VIII-VII sec. a.C.) in Spagna, nelle necropoli di Laurita e Trayamar, i resti dei corpi incinerati erano collocati in preziosi vasi di alabastro di fattura egiziana, molti dei quali recavano impressi i cartigli dei faraoni. Passando al rito dell'inumazione, esso è stato bene analizzato per Cartagine, dove il corpo del defunto è oggetto di varie cure: viene avvolto in bende, corredato di gioielli e di ornamenti, profumato e trattato con emulsioni aromatiche. Residui di materie oleose e di sostanze resinose rinvenuti sui resti di alcuni corpi attestano la pratica dell'immersione in bagni aromatici, in uso tra i ceti più elevati della popolazione almeno dalla fine del IV sec. a.C.; un imbalsamatore cartaginese è ricordato in un passo del Poenulus di Plauto. Si è potuto inoltre osservare che a partire dal VI sec. a.C. i Cartaginesi in qualche caso chiudevano gli occhi del defunto con laminette d'oro e d'argento e talvolta ne ricoprivano pure le unghie, seguendo una pratica documentata anche a Biblo. Quanto alla sepoltura, il corpo, sempre allungato e in posizione supina, veniva deposto direttamente sul pavimento della tomba, oppure su un cataletto, in un feretro ligneo o in un sarcofago in pietra. L'uso del feretro ligneo sembra estraneo alla Fenicia, il suo utilizzo a Cartagine nelle necropoli di Byrsa e soprattutto di Dermes a partire dal VII sec. a.C. è da mettere verosimilmente in relazione con influenze egiziane. Grazie al clima desertico particolarmente secco, i resti meglio conservati di feretri in legno provengono dal Sahel, in centri fortemente influenzati dalla cultura punica. In altre regioni, come ad esempio la Sardegna meridionale (Sulcis, Monte Sirai), del feretro gli archeologi hanno potuto recuperare solo i rinforzi angolari in piombo e le coppiglie in bronzo o in ferro utilizzate per assemblare le varie parti in legno. Al termine della cerimonia funebre il portello di accesso alla camera ipogea era richiuso con una lastra di pietra o con mattoni di argilla cruda, quindi venivano gettati all'interno del corridoio alcuni recipienti di uso sacro. Con il passare del tempo e con il progressivo aumentare del numero dei corpi collocati all'interno delle tombe, i defunti venivano deposti sul pavimento della camera, mentre i vasi appartenenti ai corredi più antichi erano spostati e collocati alla rinfusa negli angoli della parete ove si apriva il portello di ingresso. Per quel che concerne le tipologie tombali, risultano documentati gli stessi tipi segnalati in Oriente, anche se le tombe ipogee con camera funeraria escavata, in uso già dal VII sec. a.C., sono molto più numerose, con un'ampia diffusione che va da Palermo a Cartagine, da Sulcis a Tharros e a Trayamar, solo per citare alcuni degli esempi più significativi. In questa sintetica presentazione un breve accenno deve essere fatto alla problematica esistente intorno al tofet. Si tratta di un santuario a cielo aperto dove venivano collocate, nel corso di cerimonie religiose, urne contenenti le ossa di bambini incinerati; in alcuni casi le urne erano contrassegnate da stele, che presentano iscrizioni con dediche a Baal Hammon e Tinnit e varie raffigurazioni sia simboliche sia naturalistiche. Attualmente non si hanno indizi archeologici di tofet in Oriente, anche se dovevano senz'altro esistere, come documentato dalle fonti bibliche. Nelle colonie fenicie d'Occidente tofet sono stati rinvenuti in Nord Africa (Cartagine, Hadrumetum e Costantina), in Sicilia (Mozia) e in Sardegna (Sulcis, Monte Sirai, Nora, Bithia, Tharros, Cagliari); colpisce la totale mancanza di questo santuario nell'estremo Occidente mediterraneo e nelle colonie fenicie della costa atlantica del Marocco e del Portogallo. In precedenza gli studiosi, sulla base delle indicazioni presenti nella Bibbia e in alcuni autori classici, consideravano il tofet come il luogo dove si praticavano sacrifici di bambini in occasioni di gravi pericoli per la comunità. Attualmente la critica moderna è orientata a vedere nel tofet il santuario dove venivano deposti i feti e i neonati morti accidentalmente; in esso le famiglie colpite dalla perdita celebravano cerimonie propiziatorie per una nuova nascita.
In generale:
G. del Olmo Lete, El continuum cultural cananeo. Pervivencias cananeas en el mundo fenicio-púnico, Barcelona 1996; M. Gras - P. Rouillard - J. Teixidor, L'universo fenicio, Torino 2000 (trad. it.), pp. 178- 244.
Per la Fenicia:
E. Renan, Mission de Phénicie, Paris 1864-74; N. Jidejian, Sidon à travers les âges, Beyrouth 1995; H. Sader, Nécropoles et tombes phéniciennes du Liban, in Cuadernos de Arqueología Mediterránea, 1 (1995), pp. 15-30; J. Elayi - M.R. Haykal, Nouvelles découvertes sur les usages funéraires des Phéniciens d'Arwad, Paris 1996; M.E. Aubet et al., Scavi nella necropoli di Tiro - Al Bass 1997-1999, in CFP V ; B. Stuart, The Cemeteries of Beirut (1200-300 B.C.), ibid.
Per le colonie di Occidente:
H. Fantar, Eschatologie phénicienne et punique, Tunis 1970; A. Tejera Gaspar, Las tumbas fenicias y púnicas del Mediterráneo occidental, Sevilla 1979; H. Benichou-Safar, Les tombes puniques de Carthage. Topographie, structures, inscriptions et rites funéraires, Paris 1982; Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, in QuadACagl, 6 (1989), Suppl.; C. Gomez Bellard et al., La colonización fenicia de la Isla de Ibiza, Madrid 1990; A.M. Jiménez Flores, Ritual funerario y sociedad en las necrópolis fenicias de época arcaica de la Península Ibérica, Sevilla 1996; S. Moscati - S. Ribichini, Tofet e necropoli, I-II, in RStFen, 24 (1996), pp. 77-83; P. Bartoloni, La necropoli di Bitia - I, Roma 1996; Id., La necropoli di Monte Sirai - I, Roma 2000.