L'archeologia delle pratiche cultuali. Vicino Oriente
Nella prospettiva storica dell'archeologia la possibilità di individuare e interpretare le pratiche cultuali è indipendente dalle fonti scritte: sono le relazioni tra le singole evidenze a costituire la base per l'interpretazione analitica di attività anche complesse, parallelamente alla lettura dei mezzi di comunicazione visiva e simbolica. La ricostruzione risultante investe direttamente ambiti di straordinaria suggestione, quali l'immaginario mitico dell'uomo orientale antico e la strutturazione dei suoi rapporti con il trascendente, che è in parte riflesso dei rapporti esistenti all'interno della struttura sociale. Secondo l'efficace formulazione di H. Frankfort il pensiero mitopoietico comporta appunto una dualità di piani, entrambi ugualmente reali, che nell'esperienza degli antichi erano inscindibilmente connessi. All'interno delle aree sacre lo studio delle attività cultuali è indicato da mezzi di comunicazione simbolica (statue, stele, pannelli intarsiati, sigilli), elementi strutturali (nicchie, banchette), installazioni fisse (altari, podi, vasche), arredi mobili (bacini lustrali e altri oggetti scolpiti) e concentrazioni particolari di materiali (offerte votive, ceneri, ossa, ceramica). Questi elementi sono spesso il solo modo, a parte le iscrizioni votive, per determinare la natura templare di un edificio, nei casi in cui questo non sia connotato da una tipologia architettonica standardizzata o monumentale. Per gli spazi sacri aperti o per i casi di culto domestico, tali elementi costituiscono spesso l'unica evidenza per la ricostruzione di quelli che sono gli aspetti importanti della religione vicino-orientale antica.
Nel Calcolitico tardo (ca. 4000-3100 a.C.) giunge a conclusione il processo formativo della prima urbanizzazione. Allo straordinario sviluppo architettonico delle due aree sacre di Uruk in Mesopotamia meridionale, Eanna dedicata a Inanna e Kullab ad An, si accompagna un'evidenza cospicua sulle attività di culto ed economiche che a esse erano connesse. Gli edifici sacri dell'Eanna derivano dalla tipologia tripartita o monocellulare dell'unità domestica e sono stati descritti da E. Heinrich come Kulthäuser piuttosto che come templi. L'Eanna si presentava come un insieme di edifici collegati da spazi aperti e porticati, un unico complesso monumentale formato da grandi edifici al cui interno mancavano podi e nicchie di culto (vi era invece un ampio focolare). In questa gigantesca area per feste e cerimonie dovevano parallelamente svolgersi importanti attività economiche e amministrative, come testimoniano le concentrazioni di ceramica, tavolette pittografiche e cretule. Un ruolo fondamentale nel culto era svolto dal cosiddetto "re-sacerdote": in oggetti quali il grande vaso cultuale della dea Inanna egli reca offerte alla dea, il cui potere vitale è indicato dalla raffigurazione di messi e armenti; il re-sacerdote compare anche in numerose scene raffigurate su sigilli, in cui spesso la dea è evocata solo con la rappresentazione del suo tempio. Gli edifici sacri di Tell Qannas, l'acropoli della grande colonia commerciale di Habuba Kabira sul medio Eufrate, appartengono a questa stessa tipologia di edifici e hanno quindi presumibilmente una simile funzione cultuale. I templi su terrazze e con celle munite di alti podi accessibili per mezzo di gradini di Kullab in Uruk, di Eridu, del Tempio Dipinto di Tell Uqair o dei templi di Gebel Aruda documentano invece un culto più strutturato e formale, al pari del Tempio degli Occhi di Tell Brak in Alta Mesopotamia, dotato di un podio rivestito di lamina d'oro e intarsi in pietra e con pareti decorate da rosette di pietra e elementi in rame. In una fase anteriore di quest'ultima fabbrica sacra la dedica di migliaia di figurine di alabastro molto schematiche (i cd. "idoli a occhi") se da un lato si connette a una tradizione anteriore, dall'altro documenta una partecipazione di massa almeno a certi aspetti del culto, caratteristica di queste prime aree sacre urbane in Mesopotamia. Più a nord-ovest, ad Arslantepe sull'alto Eufrate, è documentata la subordinazione dei due templi, ivi messi in luce, al complesso palatino in cui sono inseriti: la parete posteriore esterna del Tempio B, parte di un passaggio monumentale, era decorata da pitture di soggetto narrativo, mentre in entrambi i templi il gran numero di vasi rinvenuti, tra cui molti calici, testimonia un ricco rituale di offerte, connesso alla presenza di podi sul lato breve di fondo. In Palestina il tempio meglio conosciuto è quello di Engeddi dove, all'interno di un temenos localizzato su un rilievo nei pressi del Mar Morto, la cella latitudinale (primo esempio della tipologia derivata dalla monumentalizzazione dell'unità domestica che continua fino all'inizio del Bronzo Medio) è provvista di podio al centro del muro di fondo e banchette lungo le pareti, mentre alle due estremità del vano vi sono numerose fossette riempite di ossa e ceneri, traccia evidente delle offerte alimentari consumate nel tempio. Il culto di questo santuario calcolitico doveva essere connesso alla presenza della vicina fonte, cui era certamente in relazione anche la vasca al centro della corte. Il ritrovamento di un vaso in alabastro egiziano prefigura la dedica di simili oggetti di importazione nei santuari palestinesi del Bronzo Antico e, se è esatta l'ipotesi che lega alle offerte depositate nel santuario il rinvenimento di oltre 400 oggetti cerimoniali in rame arsenicato e utensili in rame in una grotta del vicino Nahal Mishmar, concorre a mostrare la ricchezza di un santuario extraurbano frequentato da comunità pastorali portatrici di un'avanzata metallurgia.
In Mesopotamia durante la fase detta "di Gemdet Nasr" (ca. 3100-2900 a.C.) nell'Eanna di Uruk l'interfluente disposizione degli edifici cultuali anteriori è divenuta un insieme di numerosi piccoli edifici e cappelle, la cui organizzazione spaziale è adesso semplicemente paratattica, per quanto planimetricamente complessa, cui deve corrispondere anche un cambiamento nelle pratiche cultuali, particolarmente nella concezione dell'area sacra come un unico grande spazio per le festività. A dominare il santuario è ora un tempio su una terrazza rettangolare, davanti a cui si trova il cosiddetto "labirinto", un vasto insieme di piccole strutture probabilmente con funzioni amministrative. Nonostante che le Opferstätten ("fosse sacrificali") riempite di ossa, cocci e ceneri siano di interpretazione incerta, potendo anche derivare dalle attività economiche connesse al tempio anziché da riti, e che le tecniche architettoniche siano meno raffinate, la ricchezza del santuario è comunque indicata dalla concentrazione di offerte di beni di prestigio (il Sammelfund ), consistenti in amuleti, sigilli, intarsi e altri oggetti preziosi, in parte comunque risalenti al periodo precedente. Il classico schema templare mesopotamico, con cella con asse a gomito e alto podio sul lato breve di fondo, compare in questo periodo (ad es., nei livelli più antichi del tempio del dio lunare Sin a Khafagia, ai margini orientali della Bassa Mesopotamia), suggerendo anche la formulazione di un culto più formale e standardizzato. Il problema dell'esistenza di statue di culto, in assenza di dati archeologici, deve essere in parte dedotto da indizi indiretti. L'altezza dei podi, che resta notevole per tutta l'epoca protodinastica (sebbene ridotta rispetto alla fase protostorica), suggerisce che tali immagini, se presenti, fossero comunque di piccole dimensioni. Nel Protodinastico (2900-2350 a.C. ca.) il rapido sviluppo economico delle città-stato sumeriche conduce a una crescente monumentalità delle aree sacre, che in molti casi continuano ad avere un'importanza economica rilevante. Le aree sacre monumentali su terrazza continuano in ogni caso a essere attestate a Susa, Tell Ubaid e Tutub; in quest'ultimo sito nella corte antistante vi erano un podio alla base della terrazza, numerosi piccoli altari (alcuni dei quali circolari) e delle vasche, che hanno fatto ritenere che i riti che in essa avevano luogo fossero quelli principali. La tipologia della cella con asse a gomito, spesso preceduta da uno o più vestiboli, è quella canonica; talora, come nel tempio del grande complesso dedicato a Shara a Tell Agrab o nel tempio di Abu a Eshnunna, vi sono delle piccole tavole offertorie in muratura, oltre al podio sul muro breve di fondo della cella. Tra gli oggetti relativi al culto più caratteristici vi sono le statue in pietra di oranti, uomini o, meno frequentemente, donne, sia stanti sia seduti, di cui il ritrovamento più noto è quello del Tempio Quadrato del dio Abu a Eshnunna del Protodinastico II (2750-2600 a.C. ca.), dove in una favissa erano 12 statue di fedeli. Tali statue erano collocate su banchette nella cella, come mostra l'evidenza dei templi protodinastici di Mari e del tempio della dea Ishtar ad Assur (fase G); all'interno della cella di quest'ultimo edificio, che cronologicamente si estende fino nel periodo accadico, vi erano anche numerosi incensieri e modelli architettonici in terracotta. Tra gli oggetti più caratteristici dedicati dai fedeli compaiono anche teste di mazza e placche scolpite con foro centrale per la sospensione alle pareti. Le statue regali dedicate nei templi non differiscono molto dalle altre, essendo infatti prodotte dalle medesime botteghe templari, se non per alcuni particolari iconografici, il maggior pregio della pietra utilizzata e la frequente presenza della titolatura sulla spalla. Le offerte di fondazione nella costruzione di un edificio templare (chiodi e figurine in bronzo sotto alle strutture, ornamenti e gioielli inclusi nelle murature) sono del pari un tratto caratteristico. Informazioni esplicite sulle pratiche cultuali sono fornite ad esempio dai pannelli intarsiati dei templi di Mari: quello del tempio di Shamash mostra un sacrificio di arieti (una scena attestata anche in alcuni sigilli), mentre in quello dagli annessi del tempio di Dagan sacerdoti e sacerdotesse portano vasi cultuali e addobbano un letto. L'assai diffusa rappresentazione di un banchetto (nei sigilli e nelle placche soprattutto) doveva avere vari livelli di significato, da simposio ad atto cerimoniale, da riferimento iconico alla classe dirigente a momento cultuale (in alcuni casi, inoltre, i protagonisti sono divinità). Mentre nella documentazione visuale più antica (ad es., nel kudurru di Ushumgal) continuano a essere attestate le rappresentazioni degli edifici templari secondo la tradizione protostorica, con il precisarsi di ciascun Pantheon cittadino le divinità (iconograficamente contrassegnate da una tiara con corna) sono raffigurate individualmente e nel corso del tempo anche con attributi caratteristici: si diffondono scene in cui figure in nudità rituale compiono delle libagioni con vasi muniti di versatoio davanti a divinità sedute (per le quali non è però spesso possibile decidere se si tratti di statue o di una raffigurazione legata alla concezione mitopoietica della realtà, sebbene questa seconda ipotesi sembri la più probabile). Le rappresentazioni mitologiche nella glittica, pressoché non attestate nel Protodinastico a parte il caso della divinità solare nella barca, divengono comuni nel corso del periodo accadico (ca. 2350-2200 a.C.). Al ricco e complesso immaginario mitico di questo periodo non fa però riscontro alcun cambiamento significativo nei templi e nelle pratiche cultuali finora documentate, con l'eccezione dell'esaurirsi delle dediche di statuette di oranti e della parallela comparsa di statue regali monumentali. Quest'ultimo aspetto indica l'avvenuto consolidamento dell'istituzione regale e le funzioni centrali del re nel culto: la divinizzazione del quarto sovrano della dinastia, Naram-Sin, corona questo processo, istituendo una tradizione che durerà circa cinque secoli in Mesopotamia meridionale. L'unica statua di divinità nota con sicurezza per il III millennio a.C. è quella della dea Narunte, trovata a Susa e dedicata da Kutik-Inshushinak all'inizio del periodo neosumerico: essa rappresenta la dea (provvista di tiara a corna e vestita con un ampio mantello di vello di montone) seduta su un trono sui cui lati sono raffigurati leoni accosciati, un'iconografia nota anche per altre divinità dalla glittica, al pari della rosacea che pure compare sulla statua. Gli ultimi due secoli del III millennio a.C. vedono dapprima una crisi politica, in cui la II Dinastia di Lagash conosce una certa autonomia, e poi una nuova unificazione del Paese per opera della III Dinastia di Ur (2112-2005/2004 a.C.). Del più celebre governatore di Lagash, Gudea, si conoscono numerosi monumenti votivi: oltre a una cospicua serie di statue, dedicate a varie divinità con lo scopo di rappresentare il sovrano in preghiera affinché possa ottenere vita e prosperità, sono le stele la classe più significativa per la ricostruzione delle attività cultuali. In esse infatti è rappresentato il sovrano che viene introdotto alla presenza di una divinità in trono (un motivo che diviene molto popolare anche nella glittica dell'epoca) o nell'atto di compiere davanti al dio libagioni in un vaso con un piccolo albero sacro (un'iconografia che risale almeno al Protodinastico III); di grande interesse è anche la rappresentazione di arredi cultuali, quali stele, armi e teste di mazza colossali (note anche archeologicamente) e insegne divine portate da inservienti, mentre anche le scene di musica occupano una posizione importante in questo contesto simbolico-narrativo, al pari del motivo della costruzione di un tempio. In un frammento un sacerdote sembra reggere tra le mani una statuetta di divinità seduta vicino a un altare alto e stretto che doveva forse sostenerla. Nella stele di Ur-Nammu, re di Ur e fondatore della III Dinastia, questi temi sono tutti ripresi e precisati: la costruzione del tempio da parte del re, le sue libagioni sugli alberi sacri collocati in vasi davanti a una coppia di divinità in trono e il suo officiare davanti a un altare. Compaiono inoltre sacrifici di ovini il cui sangue è asperso ai piedi di una statua, scene di musica e la vestizione di grandi statue divine sedute poste su un podio. Quest'ultimo aspetto è significativo alla luce del fatto che in questo periodo si verifica un'innovazione nell'architettura templare, con celle larghe munite di ingresso assiale e un'ampia nicchia nel muro di fondo adatta ad accogliere statue di grandi dimensioni, che erano probabilmente considerate come la dimora fisica del dio e quindi "viventi", se è possibile desumere informazioni anche dal rituale per la consacrazione delle statue divine (noto peraltro solo da copie della prima metà del I millennio a.C., ma certamente più antico). Sotto la Dinastia di Ur avviene anche la formulazione in senso monumentale dei templi su terrazza, la ziqqurrat, cui si affiancavano anche un santuario tradizionale e costruzioni particolari, quali i cosiddetti "templi-cucina", che servivano a preparare i pasti per la divinità. Il recinto del dio Nanna a Ur costituisce il complesso meglio conosciuto, ma contemporanee sono anche le ziqqurrat di Enki a Eridu, di Inanna a Uruk e di Enlil a Nippur. Il culto che si svolgeva nel santuario posto sulla sommità era evidentemente il più riservato, ma anche, con ogni probabilità, il più significativo, se è lecito far risalire a questo periodo la notizia raccolta da Erodoto (I, 181-82) sulla ierogamia ivi celebrata: tale rito doveva avere luogo all'inizio della primavera e vedere come protagonisti terreni il re e una sacerdotessa. In Siria la documentazione per le fasi più arcaiche del Bronzo Antico è limitata alla sequenza di Tell Halawa B, dove è stato messo in luce un tempio assiale quadrato su terrazza, probabilmente localizzato al centro di un piccolo insediamento con acropoli fortificata, che costituirebbe un esempio della riorganizzazione socioeconomica avvenuta nel Bronzo Antico I (3100-2900 a.C. ca.), dopo il ritrarsi della presenza commerciale mesopotamica. Il tempio è parte di un'area sacra che include un secondo sacello ed è circondato da case, suggerendo che il culto, verosimilmente poco strutturato, avesse luogo in un settore ideologicamente centrale per la popolazione, ma irrilevante sotto il profilo economico. Alla fase del grande sviluppo insediamentale durante il Bronzo Antico II (2900-2600 a.C. ca.) si riferiscono i templi di Tell Raqai 3 e di Tell Kashkashuk III nel bacino del Khabur, che sembrano comunque aver avuto un significato simile a quello di Tell Halawa B. È solo con la piena urbanizzazione del Bronzo Antico III (2600-2300 a.C. ca.) che sono attestate pratiche cultuali più complesse e strutturate. L'esempio meglio documentato e più monumentale è certamente Tell Chuera, dove vi erano cinque edifici templari longitudinali tutti del tipo in antis: due di essi (gli Steinbauten I e III), su alte terrazze in pietra, erano inclusi in una vasta area sacra monumentale con numerosi annessi, in cui tra l'altro era stato interrato un deposito votivo di vasellame metallico, mentre altri due (il Nordtempel e il Kleiner Antentempel) erano inseriti nel tessuto urbano e dal secondo di essi, provvisto di un podio sulla parete di fondo e con varie ricostruzioni, si sono recuperate varie statuette di oranti nella tradizione mesopotamica. L'ultima area sacra, con un tempio e varie zone dove erano resti di sacrifici, era collocata al di fuori della presumibile porta urbica e in asse con gli Steinbauten: a essa era collegata una via processionale fiancheggiata da almeno una ventina di alte stele in pietra, ancora parzialmente in posto e forse scolpite. A questa situazione di numerose aree sacre prive di funzioni economiche e distribuite all'interno dell'insediamento corrisponde l'evidenza testuale dei contemporanei archivi reali di Ebla, dove il re è la figura centrale del culto nei templi principali, cui si fanno numerose offerte registrate dall'amministrazione, e del culto degli antenati regali. Anche nella glittica eblaita la coppia di antenati regali occupa un posto di rilievo accanto alla grande dea signora degli animali, sottolineando la centralità ideologica dell'istituto regale nel culto. Nel grande centro urbano costiero di Biblo l'area sacra principale, quella della Baalat presso la fonte al centro della città, era costituita da un santuario con corte centrale, che ebbe numerose fasi costruttive e in cui erano state depositate offerte di oggetti di prestigio, tra cui numerosi oggetti faraonici iscritti dell'Antico Regno, mentre un santuario con vasche lustrali venne realizzato dove in seguito sarebbe sorto il Tempio degli Obelischi. Durante gli ultimi tre secoli del III millennio a.C., nel Bronzo Antico IV, la civiltà urbana in Siria pur in crisi non si dissolse come invece in Palestina. A Biblo il tempio della Baalat venne ricostruito, probabilmente già in questo periodo, su un basamento in pietra e una cappella tripartita venne realizzata al centro di un cortile nell'area del più tardo Tempio degli Obelischi. Sull'Eufrate l'insediamento fortificato di Tell Halawa A aveva un'area sacra racchiusa da un recinto intorno a un tempio in antis con un podio, un altare e una vasca lustrale, mentre in uno dei vani annessi al tempio vi era molta ceramica, tra cui vasi e sostegni cultuali con figurine applicate. Nel tempio vi erano frammenti di almeno cinque stele scolpite in vari registri con scene di dignitari incedenti accanto a motivi naturalistici (capridi rampanti su una pianta, bovidi) e a una possibile scena di aratura, che avrebbe un confronto in un'altra stele trovata a Tell Mozan nella Gezira siriana nel Tempio BA, leggermente anteriore. La documentazione di Tell Halawa suggerisce che un culto più formale avesse luogo nel tempio, con lavacri e adorazione dei presumibili oggetti sacri accanto a documenti della comunicazione iconica (collocati come in Mesopotamia all'interno del tempio, sebbene qui di soggetto simbolico-naturalistico e non celebrativo), mentre all'esterno venissero consacrate delle offerte. Sul medio Eufrate, a Mari, la grande area sacra con i templi di Dagan e Ninkhursag, alle spalle del nucleo primitivo del palazzo reale, viene costruita in questo periodo e resta in uso fino alla distruzione della città nel 1757 a.C. A parte i depositi di fondazione del secondo edificio, notevoli sono le installazioni cultuali della grande corte porticata davanti al tempio di Dagan: gli altari, le banchette, i resti di offerte in ceramica e la grande quantità di ossa animali sono tutte testimonianze dei sacrifici e delle offerte che avvenivano nella corte, mentre il podio al centro del muro di fondo del tempio (con a fianco due sagrestie analoghe a quelle del più antico santuario di Tell Taya) doveva certo ospitare la statua di culto. L'articolazione degli spazi sacri aperti di Tell Halawa A e Mari è un importante nuovo elemento per le pratiche cultuali. È probabile che la grande diffusione della coroplastica nel Bronzo Antico III-IV abbia avuto significati simbolici simili a quelli elencati relativamente alle produzioni del Bronzo Medio. In Palestina la tradizione calcolitica del santuario latitudinale con pilastri viene ripresa ed elaborata nel Bronzo Antico I (3150-2900 a.C. ca.). Oltre al grande edificio di Hartuv, in cui in una prima fase vi era una fila di stele aniconiche e che faceva forse parte di un'area direzionale con funzioni sia secolari sia religiose, il tempio più rappresentativo è quello dello strato XIX a Megiddo: la corte individuata dal temenos nella prima fase era pavimentata con ciottoli incisi con motivi di bovidi, caccia, animali selvatici e probabilmente anche di trionfo sul nemico. È presumibile che tali raffigurazioni avessero un valore propiziatorio (caccia) e magico (guerra). La costruzione di due celle affiancate con un elaborato podio su due gradini contro la parete di fondo segna la definitiva unione del tempio con l'antistante area aperta relativamente alle pratiche cultuali che in essi avevano luogo: nel cortile dedica di oggetti simbolici, nel tempio adorazione e consacrazione di offerte (una testa di mazza egiziana della I Dinastia, oltre a fornire un buon sincronismo, indica anche il perdurante uso di dedicare oggetti di prestigio). La stratificazione dell'area sacra (BB) di Megiddo consente di cogliere le linee di sviluppo delle pratiche cultuali in Palestina. Nello strato XVIIIa del Bronzo Antico II (2900- 2600 a.C. ca.) nel tempio è attestato l'uso di dedicare figurine animali di argilla, oltre a oggetti cerimoniali quale una grande punta di lancia, mentre a partire dallo strato XVII del Bronzo Antico III (2600-2300 a.C. ca.) alla costruzione di un edificio palatino si accompagna la costruzione dei grandi templi con portico in facciata, alle cui spalle sorge una grande installazione circolare accessibile per mezzo di gradini; questa è la più antica attestazione di una lunga tradizione di luoghi rialzati per offerte (alcune figurine fittili di quadrupedi e armi in rame sono state trovate su di essa nella fase d'uso finale), che la tradizione biblica per l'età del Ferro designerà come bāmōth ("luoghi alti"). Ad Arad la città fortificata del Bronzo Antico II presentava un'area pubblica residenziale (il cd. "palazzo") e una probabile area sacra con vano cultuale latitudinale e alcune offerte di ceramica e oggetti di prestigio (ad es., teste di mazza) nelle vicinanze. A et-Tell, l'antica Ai, la città del Bronzo Antico III aveva dapprima il tempio principale (D) sull'acropoli (dello stesso tipo latitudinale del Tempio Bianco di Yarmuth), ma quando questo venne abbandonato, un nuovo santuario venne realizzato in un'area di case lungo le mura: i ritrovamenti effettuati presso un altare nella corte antistante la cella, consistenti in un vaso zoomorfo egiziano di alabastro e in grandi quantità di vasellame, ossa animali e ceneri, testimoniano l'affermata divisione tra area aperta e vano coperto di culto nel rituale osservato in questa area sacra della fine del Bronzo Antico III. La crisi della prima urbanizzazione palestinese durante il Bronzo Antico IV (2300-2000 a.C. ca.) comportò una notevole riduzione delle aree urbane nella regione e un diverso modello socioeconomico, a base prevalentemente pastorale. A Megiddo (strato XIVa) uno dei tre grandi templi con portico venne modificato riducendo la cella e ricavando una nicchia nel muro di fondo, conservando però l'altare circolare alle spalle dell'edificio, indizi forse sufficienti a concludere che si mantenne una continuità di fondo nelle pratiche cultuali. Un bicchiere di argento dalla necropoli di Ain Samiya reca delle raffigurazioni di difficile lettura, stante la scarsità della documentazione iconografica palestinese in questo periodo: l'essere mitologico bifronte, i mostri anguiformi e la rosetta con volto umano al di sopra di un crescente tenuto da una figura con veste di tipo arcaico devono riferirsi a una scena specifica che secondo alcuni sarebbe connessa a mitologemi mesopotamici; ciò non sembra però probabile alla luce dell'originale cultura ben documentata nella regione a partire dall'inizio del II millennio a.C.
Le trasformazioni dell'architettura religiosa e del culto avvenute durante la III Dinastia di Ur perdurano in Mesopotamia meridionale anche nel periodo di Isin-Larsa (2017-1763 a.C. ca.) e in quello paleobabilonese (1792-1599 a.C. ca., secondo la cronologia media, che di recente si è però proposto di abbassare di un secolo). Nella fase più arcaica le capitali dei regni mesopotamici si dotano di nuove aree sacre con ziqqurrat (a Kish e Larsa, mentre a questa fase risale la fondazione di quelle più tarde di Sippar, Babilonia e Borsippa) o vedono il restauro di quelle realizzate nel XXI sec. a.C. A Ur, ad esempio, nel recinto di Nanna/Sin il Giparu viene integralmente ricostruito: al suo interno vi sono il tempio della dea Ningal (nel cui sancta sanctorum si trova un podio accessibile per mezzo di gradini che doveva sostenere la statua di culto) e la residenza della grande sacerdotessa del dio, che di norma era figlia del sovrano di volta in volta egemone in Mesopotamia; le innumerevoli installazioni connesse al culto praticato nei vari ambienti (altari, banchette, bacini lustrali) offrono uno degli esempi più articolati dell'unione tra funzioni residenziali e cultuali in un singolo edificio. Queste formulazioni monumentali attestano una forte continuità con la III Dinastia di Ur, osservabile non solo nell'architettura, ma anche nelle composizioni letterarie religiose e in certa parte della documentazione iconica, dove il re resta la figura centrale del culto ufficiale: uno dei più significativi documenti per l'analisi del rapporto che intercorre tra il sovrano e la divinità è probabilmente offerto dal cosiddetto Dipinto dell'Investitura, nel quale Zimri-Lim di Mari (secondo quarto del XVIII sec. a.C.) è rappresentato di fronte alla dea Ishtar in un contesto di elaborate simbologie. La scalarità delle strutture sacrali è peraltro una novità di questo periodo e indica un maggior decentramento delle pratiche cultuali, probabilmente in connessione a pratiche più individuali del culto e al bisogno di un contatto diretto e non mediato con la divinità. Le grandi aree sacre urbane constano di complessi articolati su varie corti con santuari minori e un tempio principale (le meglio conosciute sono quelle del dio solare Shamash a Larsa e della dea Ishtar Kititum a Nerebtum). È possibile che nel santuario di Larsa sia documentata un'offerta votiva del genere di quelle meglio attestate nel Levante, costituita da una grande giara interrata contenente metalli preziosi, alcuni gioielli e pesi in ematite, mentre a Nerebtum tra i vari oggetti vi era uno schematico grano di collana a forma di leone accosciato, che nel Levante è sempre associato alle aree sacre della grande dea femminile. L'uso di dedicare nei templi le statue dinastiche prosegue: nella corte del tempio di Shamash a Larsa è stata trovata una statua regale seduta, mentre importanti gruppi di statue sono quelli dei sovrani di Eshnunna e dei governatori di Mari; le statue di quest'ultimo centro vengono dal palazzo reale, sia dalla cappella palatina sia dal vano sopraelevato nella sala del trono (che dovrebbe aver avuto una funzione sacrale) e devono probabilmente essere connesse al culto degli antenati regali. Il grande Shamshi-Adad I d'Assiria promuove nelle città della Mesopotamia settentrionale un vasto programma edilizio che rivela però l'esistenza di tradizioni architettoniche diverse e quindi presumibilmente anche di pratiche cultuali differenziate: ad Assur e a Tell Rimah (l'antica Karana o Qatara) vengono costruite delle aree sacre monumentali con cella latitudinale e ziqqurrat annessa, mentre nella capitale di nuova fondazione di Shubat-Enlil il tempio della Signora del Paese di Apum ha uno schema planimetrico assiro, con cella longitudinale preceduta da un vestibolo. I modi del culto ufficiale nelle cittadine provinciali sono documentati dai santuari di Shaduppum (un tempio doppio principale accanto al centro amministrativo e una via laterale con varie cappelle unite da una facciata monumentale) e di Haradum (un unico tempio sulla piazza centrale), mentre una tipologia diversa è quella delle cappelle inserite nel tessuto urbano, di cui gli esempi migliori sono noti, oltre che da Tell es-Sibai ed Eshnunna, dal quartiere Isin-Larsa di Ur, dove ve ne erano almeno cinque provviste di una corte e di una piccola cappella con nicchia, in una delle quali è stata trovata la piccola statua della dea Ninkhursag. Nonostante che installazioni simili siano attestate almeno sin dalla fine del Protodinastico, le numerose cappelle domestiche, messe soprattutto in luce a Ur e Nippur (oltre che in un caso a Susa), ricavate spesso su un lato del vano principale della casa, lungo il quale vi erano un altare e una banchetta su cui erano poggiate le offerte contenute nei vasi, costituiscono uno dei tratti forse più caratteristici della prima metà del II millennio a.C. Esse documentano infatti la diffusione di culti formali domestici, che devono dipendere dal bisogno di un contatto diretto con la divinità, non più soltanto mediato dalla figura del re o dai rituali dei grandi templi cittadini, con connessioni forse anche funerarie. Una menzione a parte meritano le figurine in argilla: dopo che nel periodo della III Dinastia di Ur avevano conosciuto una maggior varietà tipologica, esse si diffondono particolarmente nei periodi di Isin- Larsa e paleobabilonese, insieme alle placche a stampo. Le figurine, che compaiono in ogni tipo di contesto, non hanno una diretta rilevanza cultuale, ma veicolano piuttosto valori simbolici che a tale ambito si riferiscono; in estrema sintesi e sulla scorta di un'ampia documentazione figurativa si hanno figurine femminili nude con mani ai seni (ierodule), figure maschili con insegne (re), animali quadrupedi (offerte sacrificali), scimmie (associate nella glittica alle scene cultuali), carri e musicanti (aspetti cerimoniali e cultuali), tavolinetti a treppiede con pani (altari) e modellini di letto (matrimonio o prostituzione sacri). Le placche raffigurano invece spesso divinità o scene di carattere narrativo-religioso. Alcuni bronzetti, provvisti di una vaschetta anteriormente per raccogliere piccole libagioni (forse una replica di prototipi più grandi di dedica regale), documentano l'uso da parte di funzionari di dedicare delle immagini per la vita loro e del sovrano: sulla base del più famoso di essi, il cosiddetto "Hammurabi inginocchiato" (una posizione attestata solo a partire da questo periodo), è raffigurato lo stesso personaggio in identica posizione davanti a una dea seduta benedicente. Le aree sacre relative al Bronzo Tardo in Mesopotamia e in Iran sud-occidentale sono soprattutto rappresentate da realizzazioni monumentali. Tra i centri di nuova fondazione regale vi sono Dur Kurigalzu in Bassa Mesopotamia, Kar-Tukulti-Ninurta in Assiria e Dur Untsash in Elam: in questi tre siti lo schema urbanistico colloca al centro dell'insediamento l'area sacra, dove la presenza di una ziqqurrat sottolinea ulteriormente tale posizione. Si tratta di uno sviluppo ulteriore rispetto alla politica del periodo precedente, in cui la centralità urbanistica delle aree cultuali è funzionale all'esaltazione della figura del re come tramite supremo tra divinità e società umana. Altre sistemazioni monumentali vengono realizzate nelle tradizionali aree sacre di Ur, di Assur e di Susa: nel centro mesopotamico meridionale il recinto di Nanna/Sin diviene un vasto agglomerato di estese fabbriche inframmezzate da cortili con cappelle, mentre ad Assur il lato della città a picco sul Tigri viene definitivamente trasformato in una quinta scenografica che esalta la centralità cultuale della capitale assira; a Susa ai due lati della ziqqurrat si trovavano i templi di Ninkhursag (in cui erano la statua bronzea della regina Napir-Asu e lo sit-šamši, una tavola bronzea del XII sec. a.C., in cui compaiono due uomini accosciati in atto di libare tra varie installazioni, apparentemente all'aperto e appunto all'alba secondo l'iscrizione) e quello, principale, del dio Inshushinak (in cui tra l'altro erano conservati, accanto a stele medioelamiche, i monumenti predati dai grandi santuari mesopotamici nel XII sec. a.C.), decorato da mattoni modanati a rilievo smaltati e nella cui corte erano leoni in terracotta smaltata e kudurru, oltre a un deposito votivo di undici statuette in metallo; nei pressi vi erano numerosi sacelli e ambienti sotterranei connessi ai culti ipogei di Inshushinak. Informazioni puntuali sulle pratiche cultuali vengono proprio dalle offerte depositate nei templi: in quello della dea Ishtar Ashuritu, ad esempio, vi erano numerose riproduzioni in fritta di organi sessuali e placchette in piombo con scene erotiche, una chiara allusione alla fecondità connessa alla dea dell'amore e alle pratiche della prostituzione sacra. È in questo periodo che si diffondono le rappresentazioni non antropomorfe delle divinità, sostituite da simboli animali o astrali o da oggetti per qualche motivo caratteristici (vanga per Marduk, stilo per Nabu, ecc.): nella Mesopotamia cassita sul registro superiore dei tipici kudurru, stele relativamente piccole, concernenti proprietà fondiarie che erano conservate nei templi, erano in genere rappresentati tali simboli, che solo di rado sono associati a una scena cultuale (come in due kudurru conservati al Louvre, rispettivamente con una teoria di musici e con l'approdo della barca di Marduk al tempio extraurbano della celebrazione della festa del Nuovo Anno). Sui due altari di Tukulti-Ninurta I dal tempio di Ishtar a Assur il re è rappresentato nel primo nell'atto di adorare il simbolo del dio Nusku poggiato proprio su uno di tali altari e nel secondo tra le insegne del tempio di Ishtar o di Shamash. La diffusione di amuleti, iscritti e non, si spiega con il rafforzarsi delle tendenze individualistiche già notate nell'atteggiamento religioso del periodo precedente. Durante il Bronzo Medio (2000-1600/1550 a.C. ca.) l'area siro-palestinese conosce una crescente unità culturale e, pur rimanendo culturalmente distinta dalla Mesopotamia, a un livello generale si notano dei tratti comuni. Nei centri urbani l'area sacra principale è localizzata accanto al palazzo reale al centro della città, sottolineando anche topograficamente la centralità della figura del re nel culto. In Siria convivono tradizioni architettoniche templari diverse: la sequenza di Alalakh XVI-XII mostra alti edifici con annessa una corte dove avvenivano sacrifici e in cui la presenza di scale suggerisce che sul tetto dovessero del pari avere luogo delle pratiche cultuali. È tuttavia la tipologia in antis che continua a caratterizzare la cultura architettonica paleosiriana. A parte il gigantesco tempio di Hadad ad Aleppo/Yamkhad, solo parzialmente conosciuto, è a Ebla, nella Siria interna settentrionale, che è stata messa in luce una documentazione tanto ampia da offrire una prospettiva unica sull'organizzazione del culto in una capitale di questo periodo. Sono state infatti scavate quattro estese aree sacre: in due di queste (N e B), dedicate a Shamash e a Rashap, il tempio monocellulare longitudinale non aveva installazioni particolari, a parte un bacino lustrale scolpito posto sul bancone di fondo del tempio, mentre particolarmente complesso appare il culto praticato nelle aree dedicate alla dea poliade Ishtar. La prima di esse si trova sull'acropoli nei pressi del palazzo reale e può essere considerata l'area sacra dinastica: a essa si accedeva tramite una scalinata monumentale nei cui pressi si trovava il piccolo Santuario G3 a pianta quadrata con nicchia sul muro di fondo (contenente una schematica immagine di culto di pietra), cui era annesso un vano dove si praticavano l'epatoscopia, l'estispicina e lo studio dei presagi teratologici, come rivelano i numerosi modellini di fegati, intestini e animali deformi ivi rinvenuti. Tali attività mantiche, derivate dalla Mesopotamia dove erano diffuse anche al di fuori del culto ufficiale, dovevano svolgersi in connessione al culto degli antenati (rappresentati da alcune statue trovate accanto al santuario). È interessante notare come anche dal non distante Santuario B2 nella Città Bassa, con ogni verosimiglianza dedicato esclusivamente a tale culto (in cui vi era anche un'aula per riunioni rituali), venga un modellino di fegato. L'edificio centrale dell'area sacra sull'acropoli era però il Tempio D dedicato a Ishtar, la cui struttura planimetrica tripartita (vestibolo, antecella e cella) è la più complessa dei templi di Ebla e sarebbe forse tipica proprio dei santuari palatini: la statua della dea doveva essere ospitata nella nicchia nel muro di fondo, mentre nella cella vi erano, oltre a un bacino a due vasche, anche due betili, una vasca in basalto, un piedistallo sfaccettato e bacinetti per offerte, tutti elementi funzionali alle pratiche cultuali che avvenivano all'interno, mentre a abluzioni e riti effettuati nell'area circostante il tempio dovevano servire una grande vasca in calcare e delle installazioni circolari rinvenute nella spianata. Nel tempio dovevano essere collocate anche statue di sovrani, tra cui il celebre torso di Ibbit-Lim, analogamente al tempio di Alalakh VII. È tuttavia l'area sacra di Ishtar nella Città Bassa che ha fornito l'evidenza più dettagliata per il culto nelle aree aperte; oltre al Tempio P2 dedicato a Ishtar e al dio della tempesta Hadad (con una nicchia poco profonda nel muro di fondo che doveva accogliere il simulacro con due teste fissate su un palo rappresentato in numerosi sigilli contemporanei e adorato ancora nel II sec. d.C. nel tempio di Atargatis e Zeus a Hierapolis di Siria), in cui erano dedicate numerose statue regali stanti e sedute, nel temenos vi era la grande terrazza in pietra P3 con una corte interna priva di accessi (in cui potevano forse essere rinchiusi i leoni della dea). Davanti a questi due edifici si apriva la cosiddetta Piazza delle Cisterne, in cui oltre a sacrifici di levrieri cui era stato spezzato il collo e di ovini, vi erano tre cisterne riutilizzate riempite di numerosissime offerte di ceramica, carboni e ossa animali, insieme a gioielli, figurine fittili per lo più femminili nude, utensili in pietra e bronzo, lamine e intarsi di oggetti già smembrati al momento della dedica e, tra gli oggetti di più esplicito riferimento simbolico, vari serpenti di bronzo, simbolo ctonio di fertilità, e un grano di collana in ciascuna favissa a forma di leoncino accosciato, l'animale accolito della dea (di cui uno era identico a un esemplare dal tempio di Ishtar Kititum a Nerebtum). Queste favisse con la loro stratificazione interna coprono un arco cronologico tra il 1900 e il 1500 a.C. L'atto di culto fondamentale a Ebla è il banchetto che il re consumava nei templi davanti a un altare con zampe di tori (effettivamente ritrovato negli scavi) con sopra dei pani azzimi, come rivelano le scene rappresentate sui bacini lustrali: nel bacino del Tempio D il re lo celebra insieme alla grande sacerdotessa e la scena allude forse alle nozze sacre che all'inizio della primavera segnavano la ripresa della vita nella natura. La stele di Ishtar del 1800 a.C., collocata nell'area sacra sull'acropoli, illustra vari momenti del culto ufficiale, dalla musica al sacrificio di vittime, dalle offerte portate dai fedeli all'uccisione rituale di un prigioniero. È verosimile che mentre il banchetto regale era parte del culto all'interno del tempio, i riti delle favisse (che erano standardizzati come dimostrato dall'omogenea composizione delle gettate interne) vedessero la partecipazione di un numero elevato di persone nello spazio aperto antistante il tempio e probabilmente in connessione alla terrazza, che può probabilmente interpretarsi come il predecessore dei "luoghi alti" dell'età del Ferro (bāmōth). Il consumo comunitario di cibo doveva avere lo stesso scopo del banchetto regale, ossia la prosperità del Paese ottenuta attraverso il culto reso alla dea che presiedeva alla fertilità naturale. Diversamente, a Biblo le due aree sacre principali, quella su basamento della Baalat con due templi longitudinali e il recinto del Tempio degli Obelischi con la piccola cappella centrale, hanno restituito decine di depositi databili tra il 1900 e il 1700 a.C. posti in speciali giare dipinte o in sacchi e costituiti da innumerevoli figurine in bronzo (per lo più maschili stanti, di vari stili e tipi), armi e utensili, gioielli e talvolta ceramica miniaturistica (altri depositi erano presenti nelle aree dette Champ des Offrandes e Enceinte Sacrée). La forma degli obelischi dell'omonimo tempio era dovuta all'influenza egiziana, sebbene essi possano meglio descriversi come betili, di cui uno iscritto in geroglifico col nome di un re di Biblo e una dedica a Herishef-Ra, divinità minore egiziana di dubbia identificazione nel Pantheon semitico occidentale. I caratteristici depositi di figurine in metallo sono conosciuti anche dai centri costieri di Ugarit (vicinanze del tempio di Baal) e di Tell Simiriyan, da Tell el-Giudeide e anche da luoghi isolati quali grotte, come nei pressi di Gezzin in Libano, o laghi, come nei pressi di Homs. Tali figurine, per lo più maschili armate e vestite da un gonnellino o nude, ma talora anche femminili, non rappresentano necessariamente delle divinità, ma possono alludere più in generale alla figura del sovrano, tenendo presente che oltre alla sua centralità religiosa essa era anche particolarmente significativa per l'aspetto del culto degli antenati regali divinizzati, che potevano essere iconograficamente assimilati alla coppia divina principale, signora delle precipitazioni atmosferiche e della fertilità naturale. Le figurine fittili paleosiriane costituiscono un mezzo di comunicazione simbolico molto caratteristico e sono un fenomeno parallelo alla produzione mesopotamica, anche riguardo ai significati specifici elencati in precedenza per questa; le figurine maschili sedute con in mano una coppa e uno scettro o un'ascia possono alludere allo stesso tempo al sovrano e a un dio in trono. Una classe di statuaria paleosiriana prodotta in botteghe non specializzate, seppure con alcuni elementi stilistici caratterizzanti la serie, raffigura schematiche figure maschili barbate e sembra riferirsi a dediche popolari nelle aree sacre. In Palestina sono attestate pratiche cultuali che nelle loro linee principali sono comuni all'area siriana, sebbene solo verso la fine del Bronzo Medio ne siano state adottate anche le tipologie architettoniche: in Palestina infatti nei primi tre secoli del II millennio a.C. rimase in uso il tradizionale tempio latitudinale, talora quadrato, il quale venne poi appunto sostituito dal più monumentale tempio longitudinale assiale anche con torri in facciata. Secondo alcuni ciò indicherebbe anche un cambiamento religioso, con la nuova preminenza di divinità maschili rispetto a quelle femminili, ma l'evidenza non sembra giustificare una simile interpretazione. Le aree sacre più arcaiche oltre alla cella presentano un alto luogo dove vengono accumulate offerte di cibo e doni votivi, secondo uno schema che farebbe al contrario ritenere che il culto di una divinità femminile della fertilità fosse quello principale, sebbene talora associato a un principio maschile. A Nahariya, sulla costa, sopra la grande terrazza circolare (con tre ricostruzioni) del tempio extraurbano nei pressi della fonte sono state trovate numerose pentole da cucina e ossa animali, insieme a gioielli (tra cui un grano a forma di leoncino accosciato, come a Ebla), ceramica miniaturistica, figurine fittili di colombe (uno degli animali accoliti della grande dea siro-palestinese) e depositi di figurine femminili in metallo, tra le quali l'iconografia con corna su uno stampo per fusione rappresenterebbe la dea adorata nel santuario. Oggetti simili vengono anche dall'area sacra di Megiddo XIIIA-XI, che aveva inoltre delle stele di piccole dimensioni erette nei pressi della cella (che la Bibbia più tardi definirà maṣṣebōth), analogamente a due santuari posti nella valle del Giordano (Tell Hayyat 5-3 e Tell Musa/Tel Kittan V). Nell'ultimo santuario, tra le stele poste di fronte al tempio, vi era una schematica statua raffigurante una figura femminile nuda. Sul finire del periodo a Gezer venne realizzata un'area monumentale con una fila di gigantesche stele, mentre a Givat Sharett presso Ain Shems, un luogo di culto rurale nella regione collinare, vi erano solo grandi quantità di ossa e ceramica da cucina all'interno di spazi delimitati da pietre erette. Tra il 1650 e il 1550 a.C. compaiono i templi monumentali longitudinali (a Megiddo X, dove tra le offerte vi era anche un serpente in bronzo, Hayyat 2, Kittan IV, Sichem e, con uno schema interno diverso, nell'area H a Hazor); a Tell Abu Hureyra/Tel Haror il tempio in antis era circondato da un'area sacra in cui vi erano sepolture di equidi e di cuccioli di cane con il collo spezzato (si confronti con l'evidenza di Ebla), oltre a offerte di ceramica miniaturistica e qualche gioiello, tra cui un grano a forma di leoncino accosciato simile a quello di Nahariya. Il grande complesso funerario di Avaris, la capitale Hyksos nel Delta egiziano abitata da genti di cultura siro-palestinese, include un tempio (III) assiale tripartito (dipinto di blu e quindi dedicato a una divinità cosmica, forse a un Rashap assimilato a Seth) davanti a cui erano degli altari, alla base dei quali sono state trovate delle ghiande (relative forse a un culto degli alberi) e delle fosse piene di ossa bovine e ceramica per lo più miniaturistica; un sacello con asse a gomito (II) appartiene allo stesso tipo del Santuario B2 degli antenati a Ebla e l'intero complesso poteva quindi corrispondere all'area sacra B della città siriana. Si deve infine accennare alla glittica del Bronzo Medio, un importante veicolo di comunicazione simbolica, sebbene le scene propriamente relative alle pratiche cultuali siano una minoranza: nei sigilli cilindrici di Cappadocia (XIX sec. a.C.) vi sono scene di adorazione di un altare sostenente un toro, un'iconografia ancora attestata in epoca hittita imperiale e che deve riferirsi a un'immagine di culto teriomorfa del dio della tempesta. Nella di poco più tarda glittica paleosiriana matura e tarda (XVIII-XVII sec. a.C.) è il re il soggetto più frequentemente rappresentato, di solito al cospetto di una divinità e in associazione con simboli quali la scimmia e una figura femminile nuda più piccola; la relazione intercorrente tra quest'ultima (cui si è già accennato a proposito della coroplastica) e la dea che si svela è difficilmente precisabile, sebbene i due motivi siano probabilmente legati e debbano riferirsi a ambiti centrali del culto paleosiriano, che nei contemporanei scarabei palestinesi sono molto più sinteticamente accennati; secondo alcuni studiosi, la dea che si svela potrebbe rappresentare la dea della pioggia, che in ogni caso risulta distinta da Ishtar dal punto di vista iconografico. Il Bronzo Tardo siro-palestinese (1600/1550-1175 a.C. ca.) si caratterizza per il forte grado di continuità culturale con il periodo precedente, anche per ciò che attiene alla struttura del culto e alle pratiche religiose, sebbene siano adesso attestati anche santuari minori di tipologia più varia che documentano la parziale perdita nella società della centralità ideologica delle grandi aree sacre cittadine, secondo un processo analogo a quello verificatosi già da qualche secolo in Mesopotamia e dimostrato anche dal fatto che i palazzi si spostano verso la porta della città (ad es., ad Alalakh e Megiddo). Il classico schema templare assiale longitudinale con torri in facciata prosegue nelle aree sacre monumentali di Alalakh, Hazor (templi sull'acropoli e degli Ortostati), Emar (dove nell'area aperta alle spalle dei due templi di Baal e Astarte sono stati messi in luce numerosi luoghi per offerte), Tell Munbaqa, Megiddo IX-VIIA, oltre che nel Tempio Sud di Tell Fray IV. Negli annessi del tempio di Alalakh I, oltre a oggetti cerimoniali, è stata rinvenuta la celebre statua (relativa probabilmente al tempio del livello IV), seduta su un trono con sfingi, del re Idrimi, che documenta il perdurante uso della dedica nei templi di statue regali, come è pure il caso a Hazor nel Tempio degli Ortostati (dove alcuni frammenti, tra cui un torso maschile con una stella sul petto, suggeriscono l'esistenza di una statua di culto su un toro). La città più rappresentativa del Bronzo Tardo è però Ugarit sulla costa siriana, dove è stata messa in luce l'evidenza più variegata sulle pratiche cultuali. Sull'acropoli vi erano le due aree sacre di Baal e Dagan: nel recinto del tempio di Baal, in cui vi era un altare in muratura, erano erette sia la famosa stele del dio, sia una stele egiziana dedicata al Baal del monte Sapuna (il Casio classico). All'interno del grande complesso del Palazzo Reale si trovava un tempietto probabilmente dedicato al culto degli antenati regali (in esso vi erano due figurine bronzee arcaiche raffiguranti una coppia regale divinizzata e depositi di ceramica miniaturistica), mentre varie aree sacre erano localizzate nel tessuto urbano: in una cappella provvista di un altare sul muro di fondo sono stati trovati numerosi rhytà egei, un sostegno cultuale e la statuetta in pietra di un sovrano in trono. Di straordinario interesse sono gli oggetti rinvenuti in un'altra area sacra, peraltro assai mal conservata (la cd. "casa del prete-mago") e probabilmente dedicata a Rashap: una brocca teriomorfa iscritta dedicata al dio da un fedele e una su cui è dipinta una scena di culto davanti a una divinità seduta, rhytà egei, coppe d'oro, tavolette cuneiformi con testi mitologici, magici, rituali e innici, un sostegno cultuale e numerosi modellini di fegati iscritti, associati come a Ebla al culto del dio dell'oltretomba. Nel Levante meridionale sono documentati templi derivati dalle antiche tradizioni dell'edicola nel cortile (Kumidi T3- 1, dove peraltro vi sono anche due celle assiali) o della cella latitudinale (a Bet Shan VII-VI e nel tempio dell'acropoli di Lachish, con sancta sanctorum accessibile da gradini e sopraelevato), monumentalizzati però con l'introduzione di elementi strutturali egittizzanti (cornicioni con gole, colonne ottagonali e parapetti, oltre alla presenza di un laghetto nelle vicinanze). Tuttavia la presenza a Kumidi di due colonne senza funzione portante nel cortile ai lati dell'edicola orientale e di una base di colonna nel cortile occidentale sarebbe all'origine di alcuni degli elementi realizzati nell'area aperta antistante il tempio di Salomone a Gerusalemme. In Palestina è presente comunque anche un tipo più semplice di tempio costituito da un vano (talora con un vestibolo anteposto), con banchette lungo le pareti o due annessi sul vano di fondo in cui venivano deposti e conservati gli oggetti votivi. Così avviene a Kittan III, a Sichem (dove vi era anche un gigantesco betilo nella corte), a Bet Shan R3 e IX (il primo tempio costruito dopo che il sito era divenuto un centro amministrativo egiziano, consacrato al dio Mekal, come risulta da una stele a lui dedicata), a Lachish nel Tempio del Fossato e a Tell Mubarak, in cui gli alti podi accessibili per mezzo di gradini possono essere confrontati con quelli del tempio di Astarte a Emar e di quello meridionale a Tell Fray IV. Il Tempio delle Stele a Hazor documenta una piccola cappella con nicchia sul muro di fondo, nella quale nella seconda fase erano state collocate varie stele, di cui solo quella centrale (come a Kittan V) era scolpita con un crescente lunare (emblema della divinità) con due mani sottostanti in gesto di adorazione; su un lato vi era una scultura votiva raffigurante un dignitario seduto con una coppa nella mano, tipica per questa classe. Il ritrovamento di serpenti bronzei nei santuari di Tell Mubarak e di Gezer si riconnette a aspetti dei culti della fertilità, mentre le figurine a stampo in argilla o la placchetta d'oro da Lachish documentano la persistente iconografia della dea nuda (adesso egittizzante in alcuni dettagli e talvolta associata alla sfera bellica). Le statuette di bronzo (trovate, ad es., a Megiddo nell'area sacra, a Emar nel tempio di Baal o a Ugarit in vari settori della città, tra cui un celebre deposito nell'Insula XIII della Città Sud) sono in questo periodo relative soprattutto a divinità maschili, sia incedenti con un braccio alzato nell'atto di brandire un'arma sia sedute benedicenti (in questo caso l'iconografia degli antenati regali divinizzati e delle divinità è pressoché coincidente; a Hazor due esemplari erano presenti accanto alla sala del trono nel palazzo reale sull'acropoli). Queste due diverse raffigurazioni alludono rispettivamente alla divinità guerriera delle precipitazioni atmosferiche (Baal o Hadad a seconda del luogo e dell'epoca) e alla manifestazione della maestà divina (tradizionalmente connessa con El), una dualità di aspetti che è presente anche nella figura regale, sia defunta sia vivente, documentando così l'affermazione di un principio maschile che nel Bronzo Medio era rimasto in secondo piano. I numerosi modellini di fegato rinvenuti nelle aree sacre di Tell Munbaqa, Hazor H, Megiddo BB e Emar M1 attestano la continuazione della pratica della divinazione. Per quanto riguarda pratiche cultuali riferibili all'ambito domestico, si può ricordare l'uso di seppellire un deposito di fondazione costituito da una lucerna e da una coppa. Per l'Anatolia della fase finale del Bronzo Antico (2200 a.C. ca.) i quasi unici elementi di valutazione sono costituiti dai ricchi corredi delle tombe principesche di Alaca Hüyük, in cui la cospicua presenza di iconografie di cervidi e simboli solari può essere letta in chiave simbolica, al pari probabilmente delle statuine femminili di bronzo con bambino al petto da Horoztepe e delle schematiche figurine di pietra o terracotta cosiddette "a violino" (spesso doppie). La documentazione dei primi secoli del II millennio a.C. è più varia, sebbene discontinua, e proviene soprattutto da residenze private di Kanesh dei secoli XIX-XVIII a.C.: rhytà e vasi teriomorfi, stampi per fusione e figurine in piombo di divinità rappresentate frontalmente con attributi caratteristici, talora costituenti gruppi e in qualche caso raffigurate su un equide, attestano culti domestici o comunque generici e non strutturati. Una figurina seduta in bronzo da Khattusha piuttosto che una divinità deve rappresentare un sovrano (probabilmente defunto), documentando la presenza in Anatolia della stessa classe e forse anche di pratiche del culto degli antenati in un'epoca in cui gli scambi con la Siria erano serrati, come mostra la caratteristica glittica a cilindro del gruppo anatolico che documenta elaborate scene cultuali già accennate in precedenza a proposito di quella siriana. Relativamente alle pratiche cultuali hittite, quelle più antiche sono documentate, oltre che a Khattusha, nel santuario paleohittita di Inandiktepe, da cui si sono recuperati sia grandi rhytà a forma di toro (animale simbolo del dio della tempesta), una tipologia di oggetto che prosegue la tradizione anatolica anteriore, sia uno straordinario vaso cultuale con quattro registri che raffigurano scene di banchetto rituale con musicanti e processioni verso altari sostenenti l'immagine di un toro o alcune piccole statuine antropomorfe, mentre nel registro superiore accanto a scene di musica e danza compare un accoppiamento, certo in connessione a riti della fecondità. Sembrerebbe trattarsi della raffigurazione delle cerimonie relative alla celebrazione delle nozze sacre all'inizio del nuovo anno. Nell'età hittita imperiale le pratiche del culto ufficiale sono molto strutturate e con esse anche lo schema planimetrico templare conosce una formulazione monumentale coerente e caratteristica, con una forte attività edilizia specialmente nel XIII sec. a.C., epoca della grande espansione urbana della capitale Khattusha. L'articolazione dei templi hittiti, specie dei più arcaici, consta di facciate esterne non lineari con un propileo che immette in una corte, sul cui fondo si trova il gruppo di vani circostanti la cella della divinità, schema noto anche da importanti città periferiche come Sarissa. Gli oltre 30 templi messi in luce a Khattusha si spiegano con la concentrazione dei culti dell'impero nella capitale e con la natura dell'istituzione regale, la cui funzione all'interno del culto era fondamentale, come dimostrato dai numerosi e molto dettagliati rituali hittiti. Nella capitale erano tre le aree di culto principali: nella città bassa si trovava il Grande Tempio del dio della tempesta di Khatti e della dea solare di Arinna (e infatti esso presenta 2 celle affiancate, l'unico di questa tipologia insieme al Tempio 5, entrambi di fondazione paleohittita), circondato da magazzini e vani amministrativi, che era l'area sacra principale della città. Da qui partiva una via processionale fino al santuario rupestre extraurbano di Yazılıkaya, dove la camera principale (A) scavata nella roccia deve rappresentare la cella e infatti a essa erano anteposti un cortile e un propileo in muratura; i rilievi sulle pareti della Camera A raffigurano la processione delle divinità (tra cui un gruppo di 12 dei con scimitarra che potrebbero raffigurare gli antenati regali) verso l'incontro tra gli dei khurriti Teshup e Khepat, assimilati alle due principali divinità hittite. Sebbene la camera laterale (B) sia relativa al culto funerario di Tudkhaliya IV, è possibile che l'intero complesso fosse connesso alla grande festa Antahšum di primavera, celebrata nel Grande Tempio e prolungata nel santuario rupestre. A Khattusha l'altro grande settore dedicato al culto era la città alta, con 29 edifici templari finora identificati (templi 2-30); benché alcuni di essi siano stati recentemente datati a età mediohittita, la maggior parte deve essere stata costruita da questo sovrano, che riformò profondamente il culto hittita. All'esterno delle tre porte monumentali della cinta muraria di questo settore (scolpite rispettivamente con leoni, sfingi e la rappresentazione di un dio, in passato ritenuto una figura regale) passava la via sacra, che si imboccava dal Tempio 5. Questo e altri quattro templi monumentali erano affiancati da un recinto che almeno nel Tempio 5 conteneva un basamento e tre cappelle con altari, di cui una dedicata al culto dell'antenato eponimo Tudkhaliya I. Il complesso del Tempio 5 era connesso alla figura del sovrano, come rivelano un palazzetto nelle immediate vicinanze per la sosta del re e la raffigurazione del suo dio personale (Sharruma) sullo stipite della cosiddetta Porta del Re (che secondo altri rappresenterebbe il dio della tempesta). Le offerte deposte nei templi sono caratteristiche e sono simili in parte allo schema delle pratiche cultuali dell'area siro-palestinese: depositi di ceramica miniaturistica, vasi cultuali, modellini architettonici, amuleti raffiguranti divinità stanti (in un caso una triade). Ai piedi dell'acropoli di Büyükkale era presente un'area sacra costituita da un tempio (31) accanto a uno specchio d'acqua delimitato da un terrapieno, agli angoli del quale dovevano trovarsi delle piccole camere con una polla d'acqua sul fondo, delle quali la meglio conservata reca rilievi e iscrizioni di Tudkhaliya IV; sulla base di queste ultime si può ipotizzare una connessione tra l'acqua e il mondo dell'oltretomba: l'area potrebbe quindi essere servita anche per culti funerari (nei pressi del Grande Tempio vi erano del pari costruzioni ipogee con bacini e canalizzazioni). La particolare considerazione hittita per i corsi d'acqua e le rocce si nota anche nel bacino artificiale cultuale di Karakuyu e nei numerosi rilievi rupestri che raffigurano il sovrano davanti a una divinità: il rilievo più rappresentativo è quello di Firaktin, dove Khattushili III e Pudukhepa libano rispettivamente di fronte a un dio e a una dea in trono. A Eflatun Pinar presso lo specchio d'acqua di una fonte era stato eretto un basamento monumentale scolpito che sorreggeva forse la statua di un dio seduto su un trono con leoni, mentre una dea seduta a tutto tondo è scolpita in un'edicola di una parete rocciosa presso Akpinar. La documentazione visuale più organica, relativamente alle pratiche cultuali hittite imperiali, è comunque rappresentata dai rilievi ai lati della porta urbica di Alaca Hüyük, in cui il re è il protagonista principale: associate a scene di caccia e musica vi è una scena di culto davanti a un altare con sopra un toro e l'adorazione del dio della tempesta e della dea solare di Arinna, entrambi in trono. Oltre ai vasi teriomorfi e ai rhytà rinvenuti negli scavi della capitale, i quali rappresentano un'antica tradizione di oggetti cultuali assai diffusi in Anatolia, resta da ricordare il rinvenimento nel Grande Tempio di Khattusha di alcuni modellini di fegato per pratiche epatoscopiche.
I profondi mutamenti sociali e economici verificatisi nel corso del IV millennio a.C. durante la fase formativa della prima civiltà urbana nel Vicino Oriente videro l'emergere di edifici templari e di pratiche cultuali di monumentalità e complessità nuove, che erano un portato diretto della maggiore complessità delle società urbane. Il progressivo processo di strutturazione delle città-stato e la comparsa di aggregazioni sociopolitiche più ampie a partire dalla metà del III millennio a.C. ebbero riflessi puntuali nell'elaborazione di un Pantheon che presentava significative differenze anche nelle gerarchie interne da città a città. Se da un lato le varie entità etnolinguistiche del Vicino Oriente antico erano molteplici e caratterizzate, dall'altro l'unità culturale profonda dell'area nell'età del Bronzo (3100-1175 a.C. ca.) e oltre comportò notevoli convergenze nella struttura del culto e nell'organizzazione delle aree sacre in ogni data epoca e in regioni contigue. Le pratiche cultuali nel Vicino Oriente durante il Calcolitico tardo sono strettamente connesse alle strutture sociali alla base del fenomeno di protourbanizzazione: le élites dominanti ripropongono dinamiche simili di ostentazione di beni di prestigio e centralizzazione delle risorse, seppure la diversità nella scala dei fenomeni socioeconomici delle varie aree si rifletta in pratiche cultuali differenziate che nelle loro linee strutturali rimarranno poi a lungo caratteristiche. In Mesopotamia, dove la genesi delle città sembra ideologicamente aver avuto luogo intorno alle aree templari, la popolazione partecipa sia alle attività costruttive di estese aree sacre, sia probabilmente in maniera diretta a una parte del culto, mentre in Anatolia sud-orientale e in Palestina il culto riveste un ruolo non primario a giudicare dall'evidenza archeologica. Con l'età del Bronzo Antico (3100-2000 a.C. ca.) le città-stato del Vicino Oriente sviluppano meccanismi di controllo amministrativo indipendenti dall'istituzione templare: il consolidamento delle strutture statali arcaiche comporta comunque una maggior complessità delle attività cultuali. In Mesopotamia il tempio conserva una centralità ideologica espressa nella documentazione visuale e nell'imponenza di alcune realizzazioni monumentali. Il rapporto della classe dirigente con la divinità resta assai stretto ed è solo con il consolidarsi della figura regale che questa realizza un legame esclusivo con essa per ciò che riguarda le dediche votive. Sotto i sovrani degli ultimi secoli del III millennio a.C. vengono definiti rituali elaborati, mentre la religiosità popolare trova altre forme di espressione, dalla coroplastica alla glittica. In Siria e in Palestina il tempio riveste un ruolo sussidiario rispetto agli organismi amministrativi, sebbene le élites dominanti depongano in esso ricche offerte ed esso spesso occupi anche topograficamente i luoghi centrali delle città. Con un certo ritardo rispetto alla Mesopotamia, verso la fine del periodo iniziano a essere attestate pratiche cultuali nelle aree aperte circostanti gli edifici templari. L'affermarsi di un nuovo e assai radicato fenomeno di urbanizzazione e l'omogeneo quadro etnolinguistico caratterizzano le aree siro-palestinese e mesopotamica all'inizio del II millennio a.C. L'unità culturale di fondo della regione diviene sempre più accentuata con il consolidarsi di questi fenomeni, accompagnati anche da un rapido aumento dei contatti politici e commerciali, e perdura poi fino alla fine del Bronzo Tardo. Il ruolo centrale del re nel culto è in stretto rapporto con il culto degli antenati regali, che nel Vicino Oriente amorreo si sviluppa particolarmente. Mentre in Mesopotamia si diffondono i culti domestici, nel Levante assumono particolare rilievo le offerte nelle aree sacre aperte e il consumo comunitario di cibo in onore della coppia divina Hadad-Ishtar, sebbene sia la dea a essere inizialmente più popolare a causa del suo tradizionale legame con il mondo della fertilità naturale, un rapporto che si capovolge nel Bronzo Tardo, con il prevalere di divinità guerriere funzionali alla nuova ideologia della classe dirigente.
H. Frankfort, Gods and Myths on Sargonid Seals, in Iraq, 1 (1934), pp. 2-29; E. Heinrich, Kleinfunde aus den archaischen Tempelschichten in Uruk, Berlin 1936; M. Dunand, Fouilles de Byblos. I, 1926-1932, Paris 1937-39; K. Bittel, Untersuchungen in Fraktin, in AA, 54 (1939), pp. 566- 68; K. Bittel - R. Naumann, Yazilikaya. Architektur, Felsbilder, Inschriften und Kleinfunde, Leipzig 1941; H. Lenzen, Die Entwicklung der Zikkurat von ihren Anfängen bis in die Zeit der III. Dynastie von Ur, Berlin 1941; P. Delougaz - S. Lloyd, Pre-Sargonid Temples in the Diyala Region, Chicago 1942; H. Frankfort et al., The Intellectual Adventure of Ancient Man. An Essay on Speculative Thought in the Ancient Near East, Chicago 1946; H. Frankfort, Kingship and the Gods. A Study of Ancient Near Eastern Religion as the Integration of Society and Nature, Chicago - London 1948; A. Moortgat, Tammuz. Der Unsterblichkeitsglaube in der altorientalischen Bildkunst, Berlin 1949; M. Dunand, Fouilles de Byblos. II, 1933-1938, Paris 1950-58; A. Parrot, Le temple d'Ishtar, Paris 1956; R. Opificius, Das altbabylonische Terrakottarelief, Berlin 1961; W. Orthmann, Hethitische Götterbilder, in K. Bittel et al. (edd.), Vorderasiatische Archäologie. Studien und Aufsätze A. Moortgat zum fünfundsechzigsten Geburtstag gewidmet von Kollegen, Freunden und Schülern, Berlin 1964, pp. 221-29; C. Epstein, An Interpretation of the Megiddo Sacred Area During Middle Bronze II, in IsrExplJ, 15 (1965), pp. 204-21; A. Parrot, Les temples d'Ishtarat et de Ninni-Zaza, Paris 1967; M.T. Barrelet, Figurines et reliefs en terre cuite de la Mésopotamie antique. I, Potiers, termes de métier, procédés de fabrication et production, Paris 1968; R.S. Ellis, Foundation Deposits in Ancient Mesopotamia, New Haven 1968; A. Spycket, Les statues de culte dans les textes mésopotamiens des origines à la première Dynastie de Babylone, Paris 1968; R. Naumann, Architektur Kleinasiens von ihren Anfängen bis zum Ende der hethitischen Zeit, Tübingen 1971²; J. Börker-Klähn - C. Börker, Eflatun Pinar, in JdI, 90 (1975), pp. 1-41; P.R.S. Moorey, The Terracotta Plaques from Kish and Hursagkalamma c. 1850 to 1650 B.C., in Iraq, 37 (1975), pp. 79-99; K. Bittel, Die Hethiter, München 1976; E.A. Braun- Holzinger, Frühdynastische Beterstatuetten, Berlin 1977; D. Arnaud - Y. Calvet - J.-L. Huot, Ilšu-ibnišu, orfèvre de l'E.babbar de Larsa. La jarre L.76.77 et son contenu, in Syria, 56 (1979), pp. 1-64; L. Badre, Les figurines anthropomorphes en terre cuite à l'Âge du Bronze en Syrie, Paris 1980; M. Ottosson, Temples and Cult Places in Palestine, Uppsala 1980; H. Seeden, The Standing Armed Figurines in the Levant, Munich 1980; D. Ussishkin, The Ghassulian Shrine at En-Gedi, in Tel Aviv, 7 (1980), pp. 1-44; M. Dothan, Sanctuaries along the Coast of Canaan in the MB Period: Nahariya, in A. Biran (ed.), Temples and High Places in Biblical Times. Proceedings of the Colloquium in Honor of the Centennial of Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion, Jerusalem 1981, pp. 74-81; A. Spycket, La statuaire du Proche-Orient ancien, Leiden - Cologne 1981; D. Beyer (ed.), À l'occasion d'une exposition. Meskéné-Emar. Dix ans de travaux 1972-1982, Paris 1982; J. Börker-Klähn, Altvorderasiatische Bildstelen und vergleichbare Felsreliefs, Mainz a. Rh. 1982; E. Heinrich, Die Tempel und Heiligtümer im alten Mesopotamien. Typologie, Morphologie und Geschichte, Berlin 1982; H.G. Güterbock, Hethitische Götterbilder und Kultobjekte, in R.M. Boehmer - H. Hauptmann (edd.), Beiträge zur Altertumskunde Kleinasiens. Festschrift für K. Bittel, Mainz a. Rh. 1983, pp. 203-17; E.A. Braun- Holzinger, Figürliche Bronzen aus Mesopotamien, München 1984; P.R.S. Moorey - S. Fleming, Problems in the Study of Anthropomorphic Metal Statuary from Syria-Palestine before 330 B.C., in Levant, 16 (1984), pp. 67- 90; B. Teissier, Ancient Near Eastern Cylinder Seals from the Marcopoli Collection, Los Angeles - London - Beverly Hills 1984; Ö. Tunca, L'architecture religieuse protodynastique en Mésopotamie, Louvain 1984; G.R.H. Wright, Ancient Building in South Syria and Palestine, Leiden - Köln 1985; P. Matthiae, Sull'identità degli dèi titolari dei templi paleosiriani di Ebla, in CMatAOr, 1 (1986), pp. 335-62; F. Blocher, Untersuchungen zum Motiv der nackten Frau in den altbabylonischen Zeit, München 1987; P. Matthiae, Una stele paleosiriana arcaica da Ebla e la cultura figurativa della Siria attorno al 1800 a.C., in ScAnt, 1 (1987), pp. 447-95; J.-W. Meyer, Untersuchungen zu den Tonlebermodellen aus dem Alten Orient, Kevelaer - Neukirchen-Vluyn 1987; E. Reiner, Magic Figurines, Amulets, and Talismans, in A.E. Farkas - P.O. Harper - E.B. Harrison (edd.), Monsters and Demons in the Ancient and Medieval Worlds. Papers Presented in Honor of Edith Porada, Mainz a. Rh. 1987, pp. 27-36; T. Özgüç, Inandiktepe. An Important Cult Centre in the Old Hittite Period, Ankara 1988; N. Cholidis, Tiere und tierförmige Gefäße auf Rädern. Gedanken zum Spielzeug im Alten Orient, in MDOG, 121 (1989), pp. 197-220; A. Kempinski, Megiddo. A City-State and Royal Centre in North Israel,Munich 1989; P. Matthiae, Ebla. Un impero ritrovato, Torino 1989; Id., Le temple ailé et le taureau. Origine et continuité de l'iconographie de la grande déesse à Ebla, in M. Lebeau - P. Talon (edd.), Reflets des deux fleuves. Volume de mélanges offerts à André Finet, Leuven 1989, pp. 127-35; Id., Masterpieces of Early and Old Syrian Art: Discoveries of the 1988 Ebla Excavations in a Historical Perspective, in ProcBritAc, 75 (1989), pp. 25-56; W. Orthmann (ed.), Halawa 1980 bis 1986. Vorläufiger Bericht über die 4.-9. Grabungskampagne, Bonn 1989²; U. Seidl, Die babylonischen Kudurru-Reliefs. Symbole mesopotamischer Gottheiten, Freiburg - Göttingen 1989; F. Baffi Guardata, Il culto praticato a Ebla paleosiriana, in PP, 46 (1990), pp. 394-416; E. Heinrich, s.v. Kulthaus, in RlA, VII, pp. 319-23; H. Hill - T. Jacobsen - P. Delougaz, Old Babylonian Public Buildings of the Diyala Region, I. Excavations at Ischchali. II, Khafajah Mounds B, C, and D, Chicago 1990; P. Matthiae, A Class of Old Syrian Bronze Statuettes and the Sanctuary B2 at Ebla, in P. Matthiae - M.N. Van Loon - H. Weiss (edd.), Resurrecting the Past. A Joint Tribute to Adnan Bounni, Istanbul - Leiden 1990, pp. 345-62; U. Seidl, s.v. Kultbild. B. Archäologisch, in RlA, VII, pp. 314-19; J. Bretschneider, Architekturmodelle in Vorderasien und der östlichen Ägäis vom Neolithikum bis in das 1. Jahrtausend. Phänomene in der Kleinkunst an Beispielen aus Mesopotamien, dem Iran, Anatolien, Syrien, der Levante und dem ägäischen Raum unter besonderer Berücksichtigung der bau- und der religionsgeschichtlichen Aspekte, Kevelaer - Neukirchen-Vluyn 1991; Id., Götter in Schreinen. Eine Untersuchung zu den syrischen und levantinischen Tempelmodellen, ihrer Bauplastik und ihren Götterbildern, in UgaritF, 23 (1991), pp. 13-32; M. Metzger, Kamid el-Loz, 7. Die spätbronzezeitliche Tempelanlagen. Stratigraphie, Architektur und Installationen, Bonn 1991; G. Scandone Matthiae, Hathor Signora di Biblo e la Baalat Gebal, in CFP II, pp. 401-406; N. Cholidis, Möbel in Ton. Untersuchungen zur archäologischen und religionsgeschichtlichen Bedeutung der Terrakottamodelle von Tischen, Stühlen und Betten aus dem Alten Orient, Münster 1992; O. Keel - C. Uehlinger, Göttinnen, Götter und Gottessymbole. Neue Erkenntnisse zur Religionsgeschichte Kanaans und Israels aufgrund bislang unerschlossener ikonographischer Quellen, Freiburg - Basel - Wien 1992; A. Kempinski - R. Reich (edd.), The Architecture in Ancient Israel. From the Prehistoric to the Persian Period, Jerusalem 1992; B. Kulaçoglu, Museum of Anatolian Civilizations. Gods and Goddesses, Ankara 1992; P. Matthiae, High Old Syrian Royal Statuary from Ebla, in B. Hrouda - S. Kroll - P.Z. Spanos (edd.), Von Uruk nach Tuttul. Eine Festschrift für Eva Strommenger. Studien und Aufsätze von Kollegen und Freunden, München - Wien 1992, pp. 111-28; A. Spycket, Les figurines de Suse. I, Les figurines humaines IVe-IIe millénaires av. J.-C., Paris 1992; S. Bunimovitz - O. Zimhoni, "Lamp and Bowl" Foundation Deposits in Canaan, in IsrExplJ, 43 (1993), pp. 99-125; P. Matthiae, A Stele Fragment of Hadad from Ebla, in M. Mellink - E. Porada - T. Özgüç (edd.), Aspects of Art and Iconography: Anatolia and its Neighbours. Studies in Honor of Nimet Özgüç, Ankara 1993, pp. 389-97; Id., La religion d'Ebla, in Syrie. Mémoire et Civilisation, Paris 1993, pp. 166-70; O. Rouault - M.G. Masetti- Rouault (edd.), L'Eufrate e il tempo. Le civiltà del Medio Eufrate e della Gezira siriana, Milano 1993; P. Matthiae, The Lions of the Great Goddess of Ebla: a Hypothesis about Some Archaic Old Syrian Cylinders, in H. Gasche et al. (edd.), Cinquante-deux réflexions sur le Proche-Orient ancien offertes en hommage à Léon De Meyer, Leuven 1994, pp. 329-38; Id., Il sovrano e l'opera. Arte e potere nella Mesopotamia antica, Roma - Bari 1994; B. Teissier, Sealing and Seals on Texts from Kültepe Karum Level 2, Leiden 1994; P. Werner, Die Entwicklung der Sakralarchitektur in Nordsyrien und Südostkleinasien vom Neolithikum bis in das 1. Jt. v.Chr., München - Wien 1994; M. Bietak, Avaris. The Capital of the Hyksos. Recent Excavations at Tell el-Dab'a, London 1996; N. Marchetti, L'aquila Anzu: nota su alcuni amuleti mesopotamici, in VicOr, 10 (1996), pp. 105-21; P. Matthiae, Due frammenti di un nuovo bacino scolpito dal Tempio P2 di Ebla, in Studi Miscellanei, 30 (1996), pp. 1-12; P. Neve, Hattuša: Stadt der Götter und Tempel. Neue Ausgrabungen in der Hauptstadt der Hethiter, Mainz a. Rh. 1996²; I.L. Finkel - M.J. Geller (edd.), Sumerian Gods and their Representations, Groningen 1997; N. Marchetti - L. Nigro, Cultic Activities in the Sacred Area of Ishtar at Ebla during the Old Syrian Period: the Favissae F.5327 and F.5238, in JCunSt, 49 (1997), pp. 1-44; P. Matthiae, Tell Mardikh, 1977-1996. Vingt ans de fouilles et de découvertes. La renaissance d'Ebla amorhéenne, in Akkadica, 101 (1997), pp. 1-29; E.D. Oren (ed.), The Hyksos: New Historical and Archaeological Perspectives, Philadelphia 1997; M. Yon, La cité d'Ougarit sur le tell de Ras Shamra, Paris 1997; N. Marchetti, A Middle Bronze I Ritual Deposit from the ῾Amuq Plain: Note on the Dating and Significance of the Metal Anthropomorphic Figurines from Tell Judaidah, in VicOr, 12 (2000), pp. 117-32; Id., La coroplastica di Ebla nell'Età del Bronzo Medio. Studio cronologico e tipologico delle produzioni fittili paleosiriane sulla base dei materiali fittili di Tell Mardikh/ Ebla, Scavi 1964-1980 (c.s.).