L'archeologia dell'Asia Centrale. Le steppe tra il Mar Caspio e gli Urali
di Leonid T. Jablonskij
Secondo le fonti classiche, i vicini orientali degli Sciti erano tribù nomadiche, ben note ai Greci come Sauromati e, in epoca successiva, come Sarmati, il cui stile di vita era simile a quello scitico. La loro storia inizia nel tardo VI sec. a.C. e si protrae fino al IV sec. d.C. Oltre agli Issedoni e ai Daha, o Daha-Massageti, le fonti storiche tramandano copiose informazioni sui Sauromati. In particolare si sottolinea lo status delle donne, che vanno a cavallo, cacciano, tirano d'arco, scagliano lance, prendono parte alle campagne militari e indossano le medesime vesti degli uomini. Secondo Erodoto, esse non apprendevano i lavori tipicamente femminili e non si sposavano prima di aver ucciso un nemico. Questa tradizione, che secondo lo storico rimonta a epoche remote, non trova riscontro presso gli Sciti.
La cultura sauromatica si sviluppò da due complessi imparentati: la cultura Srubnaja del Volga e la tarda cultura del Bronzo degli Urali. Ciò spiega la significativa differenza tra la cultura sauromatica del sud degli Urali dalla variante documentata nella regione del Don e del Volga. Sia i Sauromati sia i Sarmati, nomadi allo stato puro, non avevano insediamenti e le sole testimonianze archeologiche a noi pervenute consistono nelle necropoli a kurgan. In entrambe le regioni i kurgan raggiungono spesso dimensioni ragguardevoli (circa 8 m di altezza). Le tombe sono a fossa, talvolta con nicchia laterale sul fondo (podboj), e a catacomba; nella maggior parte dei casi le inumazioni erano singole; le rare sepolture collettive sono concentrate nella parte uralica. Il cadavere era deposto in posizione supina con gambe e braccia distese e con la testa orientata a ovest, sebbene già nel V secolo a.C. sia attestato anche l'orientamento a sud. Le tombe erano chiuse a volte da coperture lignee, in altri casi le fosse erano sormontate da strutture coniche circondate da un profondo fossato. Diverse tombe hanno conservato resti di coperte stese sulle salme e dei giacigli sui quali esse erano state deposte. Nelle steppe uraliche vi sono indizi di un uso cultuale del fuoco (strutture combuste, resti di fuochi, scheletri ricoperti di ceneri o carbone); i casi di incinerazione sono tuttavia rari.
Le sepolture principali al di sotto dei singoli tumuli erano di frequente molto ricche e contenevano oggetti di grande valore. Gruppi consistenti di imponenti kurgan, quali quelli sul fiume Ilek, sembrano marcare l'esistenza di centri tribali locali e, forse, indicare l'avanzato processo di stratificazione della società nomade. Lo spirito guerriero dei nomadi delle steppe è testimoniato dalle armi presenti nei corredi funebri: frecce, spade lunghe e lance. Nel VII-VI sec. a.C. le punte di freccia erano solitamente a doppia lama, benché non fosse sconosciuto il tipo eurasiatico trilobato in bronzo ottenuto a stampo, che dalla fine del VI sec. a.C. diventerà caratteristico dei nomadi della regione. Le punte a tre lame e trilobate con codolo, molto diffuse nelle steppe orientali dagli inizi dell'epoca Saka (fine VIII-VII sec. a.C.), non sono testimoniate nelle sepolture uraliche. Oltre alle armi, è frequente la presenza di bardature di cavalli decorate in stile animalistico.
Alla fine del IV sec. a.C. gruppi di Sauromati migrarono verso occidente fino alla riva destra del Don e alla costa nord-orientale del lago Meotide (od. Mare d'Azov). Tali movimenti, provocati dalle migrazioni di nomadi orientali che abitavano la regione a sud degli Urali, mutarono la situazione politica nella zona di confine tra i territori degli Sciti e dei Sauromati. Nel corso del IV secolo a.C. nuovi movimenti migratori interessarono le steppe a sud degli Urali, determinati sia da fattori interni sia da spinte esterne. Tra queste ebbero un certo peso le campagne militari di Alessandro Magno, che minarono i tradizionali rapporti simbiotici tra nomadi e sedentari in Asia Centrale. Nomadi e allevatori transumanti si trasferirono dall'area del Lago d'Aral e dalla regione delle steppe-foreste a est degli Urali nelle steppe a sud di questi. Probabilmente i nuovi venuti assimilarono, almeno in parte, i gruppi già presenti in quel territorio, dando vita alla nuova e potente unione nomadica dei Sarmati. Alla fine del IV sec. a.C. e nel corso del III, furono probabilmente la crescente pressione demografica e l'accrescimento degli armenti a spingere i Sarmati uralici a trasferirsi verso ovest nei bacini del Volga e del Don e, verso sud-est, nelle oasi dell'Asia Centrale. Testimonianze indirette di questi eventi sono rintracciabili nelle fonti del IV-II sec. a.C. In autori greci quali Eudosso, Pseudo-Scilace, Eraclito del Ponto e Teofrasto la denominazione "Sarmati" (o altre varianti di questa) si sostituisce a quella di "Sauromati". Queste informazioni storiche trovano conferma nei dati archeologici, sulla base dei quali possono essere postulati tre stadi di sviluppo delle culture nomadiche della regione del Volga e dell'Ural: 1) antico sarmatico (cultura di Prochorovka), fine V-II sec. a.C.; 2) medio sarmatico, II sec. a.C. - II sec. d.C.; 3) tardo sarmatico, II-IV sec. d.C.
La prima fase è documentata da sepolture sia sauromatiche sia antico-sarmatiche nei bacini dei fiumi Ural, Ilek e Chobda. Necropoli a kurgan come quella di Filippovka marcano la transizione tra la cultura sauromatica e quella sarmatica; quest'ultima è connotata da alcuni tratti innovativi, quali l'ingente quantità di tombe a fossa con nicchia laterale (podboj) e a catacomba, le tombe collettive con corridoio di accesso (dromos), l'orientamento meridionale degli inumati e la preminenza del montone nell'offerta rituale di cibo, in sostituzione del cavallo e del cammello, comuni in epoca sauromatica. A parte alcune eccezioni, le necropoli consistono di gruppi di piccoli tumuli.
I cambiamenti si riflettono anche nei corredi funerari, in genere non differenziati da una maggiore o minore ricchezza. Compaiono nuovi tipi di spade, specchi di bronzo, punte di freccia (ora anche in ferro) e decorazioni innovative. Sono due i modi di sepoltura attestati in quest'epoca: al di sotto di un medesimo tumulo, da una a tre tombe disposte in maniera irregolare oppure da tre a dieci (talvolta fino a trenta) tombe disposte concentricamente intorno alla sepoltura centrale, la più antica. Alcuni elementi del rituale funerario sauromatico si conservano fino al IV-III sec. a.C., come ad esempio l'uso di inumare le donne insieme alle loro armi e a piccoli altari portatili; anche la presenza di ornamenti (vaghi di collana, orecchini e conchiglie) è un tratto tradizionale, mentre è una novità la comparsa di specchi di bronzo nelle sepolture femminili. Le tombe maschili contengono di regola un corredo di armi, includente una spada lunga di ferro, un pugnale, una faretra contenente frecce con punte di tipo misto (di ferro e di bronzo).
Il sito-guida della fase antico-sarmatica è la necropoli di Prochorovka, nei pressi del villaggio omonimo (distretto di Orenburg, Russia). Il recente completamento delle indagini nella necropoli conferma la sua attribuzione ai Sarmati, già proposta da M. Rostovcev all'indomani dei primi scavi, condotti negli anni Venti del XX secolo. Negli ultimi anni un ingente numero di sepolture sarmatiche è stato oggetto di indagine archeologica nelle steppe a est del Mar d'Azov. La loro cronologia è compresa tra il III e il I sec. a.C.; alla medesima epoca (o a poco più tardi) risale un'imponente migrazione di gruppi sarmatici verso la regione a nord del Mar Nero, evento registrato da Diodoro Siculo (80-29 a.C.). I Sarmati depredarono parte della Scizia, sterminandone la popolazione. La storia successiva dei Sarmati europei e asiatici fu marcata da guerre, razzie, campagne militari e ulteriori migrazioni di massa.
Durante la fase medio-sarmatica l'areale di questa cultura slitta nei bacini del Don e del Volga. Cambiamenti climatici nelle steppe a sud degli Urali determinarono l'inaridimento della regione e, di conseguenza, un decremento demografico; il numero di tombe sarmatiche risalenti a quest'epoca è, difatti, assai esiguo. Si tratta in genere di inumazioni singole in tombe con nicchia laterale, semplici tombe a fossa o a catacomba. Uno dei modi di inumazione consisteva nel deporre il cadavere diagonalmente all'interno di grandi fosse rettangolari; l'uso rituale del fuoco era invece assai sporadico. La composizione dei corredi è simile a quella dell'epoca antico-sarmatica: armi, bardature di cavalli, ceramica, ornamenti e oggetti da toeletta. Tra le armi si segnalano le spade in ferro (lungh. 50-60 cm), pugnali con guardia ad angolo retto e pomo ad anello. Tutte le punte di freccia erano in ferro e con codolo. L'uso delle armature ci è noto dalle fonti scritte (che, in riferimento ai Sarmati, parlano di cavalieri cataphracti, muniti di lunghe lance), ma le testimonianze archeologiche sono assai rare. Gli oggetti da toletta includono specchi di bronzo, cucchiai d'osso, pissidi e diversi tipi di piattelli; tra i monili, bracciali, collari, orecchini e pendagli. Non più tardi del II sec. a.C. compaiono le prime fibule bronzee, destinate a diventare un tratto caratteristico del costume sarmatico; ha inoltre inizio la diffusione di gioielli decorati in stile policromo, ossia con incrostazioni in turchese e cornalina.
Intorno al terzo quarto del I sec. d.C. emerge una nuova unione tribale nomadica, quella degli Alani, che sottomisero o assimilarono le tribù sarmatiche; tra il 50 e il 60 d.C. l'etnonimo Alani è menzionato per la prima volta dagli scrittori latini Seneca e Lucano e, a partire da quest'epoca, ricorrerà negli autori occidentali fino al IV sec. a.C. Le fonti indicano che i Sarmato-Alani continuarono a dominare la regione a est del Don e le steppe a nord del Mar Nero finché nel tardo IV secolo non furono sconfitti dagli Unni, che ne devastarono i territori. Le testimonianze archeologiche, tuttavia, offrono un quadro completamente diverso. Negli ultimi decenni del I sec. d.C., e fino alla metà del III secolo, i siti sarmato-alani sono molto numerosi soprattutto a est del Don. Dopo la vittoria degli Unni (a seguito della quale non si sarebbero più ricreate unioni tribali nomadiche iranofone) membri dell'unione alana entrarono nelle file dei conquistatori, altri si diressero verso ovest, raggiungendo la costa di Gibilterra, altri ancora si insediarono nel Caucaso settentrionale, divenendo una componente degli Alani caucasici, o furono assimilati da altre unioni etniche che si formarono nell'Alto Medioevo a nord del Mar Nero e lungo il Don.
Le indagini archeologiche hanno dimostrato che, diversamente da quanto si pensava, in quest'epoca le steppe a sud degli Urali non erano disabitate. A età tardo-sarmatica risalgono le necropoli di Lebedevka e Pokrovka 10, scavate di recente e datate al II-IV sec. d.C. Il processo di transizione dalla fase sarmatica media a quella tarda non è ancora del tutto chiaro. Accanto a elementi tradizionali la cultura tardo-sarmatica uralica presenta numerosi tratti innovativi, connessi sia con le attività militari e mercantili sia con i fenomeni migratori. L'attribuzione dei siti archeologici alle etnie menzionate nelle fonti scritte (in particolare gli Alani) rimane, tuttavia, operazione rischiosa.
La cultura tardo-sarmatica è rappresentata esclusivamente da cimiteri di sepolture a tumulo, che in genere non supera un'altezza di 70 cm e un diametro di 30 m. Le tipologie sepolcrali sono grosso modo simili a quelle delle epoche precedenti; le tombe a pozzo con nicchia laterale sono ora prevalenti rispetto a quelle a fossa semplice; più di frequente il cadavere è ora orientato verso nord. Uno dei tratti più caratteristici dell'epoca è la deformazione artificiale del cranio nel cosiddetto "stile circolare".
Quanto a consistenza, i corredi funerari non si differenziano molto da quelli dell'epoca precedente, se non per una più rara presenza di ossa animali (in genere montone). La ceramica, attestata in forme assai varie, proviene dall'Asia Centrale, dalla regione a nord del Mar Nero e dal Caucaso; il vasellame importato lavorato al tornio è, tuttavia, assai più sporadico. Compaiono le spade lunghe di ferro (fino a 1,3 m di lungh.) prive di guardia metallica e pomo. È attestato l'arco composito (noto anche come "arco unnico"), consistente di tre parti decorate da placche di corno; questo tipo di struttura determinò un incremento di potenza dell'arma e richiese un adeguamento delle frecce, che furono dotate di punte più grosse. Tra gli oggetti di accompagno figurano anche briglie di bronzo e argento e, come in epoca precedente, altre categorie di utensili (coltelli di ferro, coti, lesine, aghi e fuseruole). Compaiono inoltre diversi tipi di fibule di bronzo e argento che mostrano affinità con modelli romani. Non è infrequente il rinvenimento di specchi cinesi Han; lo stile policromo è oramai ampiamente diffuso.
Con l'invasione unna, il complesso archeologico sarmatico cessa di esistere, ma la sopravvivenza di alcuni elementi è rintracciabile in siti nomadici eurasiatici tra il V e l'VIII secolo d.C., soprattutto nel Caucaso settentrionale e nel bacino del Don.
Bibliografia
J. Davis-Kimball - V. Bashilov - L. Yablonsky (edd.), Nomads of the Eurasian Steppes in the Early Iron Age, Berkeley 1995.
di Anatolij Ch. Pšeničnjuk
Necropoli nomadica degli inizi del IV sec. a.C. nelle steppe a sud degli Urali, alla confluenza dell'Ural e dell'Ilek, 100 km a ovest di Orenburg. Consiste di 25 tumuli di terra di dimensioni variabili, disposti in una fila irregolare di circa 6 km con orientamento est-ovest.
Al centro del cimitero si trovava il kurgan più imponente (n. 1), alto oltre 7 m. Di dimensioni notevoli erano anche altri due tumuli (alti oltre 6 m), che insieme al n. 1 possono essere assegnati alla categoria dei "kurgan regali". Gli scavi di F. sono stati condotti tra il 1986 e il 1990 dalla spedizione dell'Istituto di Storia, lingua e letteratura dell'Accademia Russa delle Scienze di Ufa (Baškortostan), sotto la direzione di A.Ch. Pšeničnjuk. Sono stati indagati 17 tumuli. Le sepolture di dimensioni grandi e medie ospitavano tombe collettive di tipo familiare, contenenti da tre a otto individui. Le camere funerarie, di pianta circolare o rettangolare, erano accessibili tramite un corridoio (dromos) chiuso da un pannello di legno o da una porta. Un'imponente struttura lignea a spioventi, ricoperta con zolle di terra, sovrastava la tomba e il corridoio di ingresso.
Il Kurgan 1 raggiungeva originariamente un'altezza non inferiore ai 15-20 m e un diametro di 120 m. Gli scavi del tumulo hanno rivelato la presenza di una complessa struttura lignea del tipo sopra descritto che ricopriva un'ampia fossa circolare (diam. 20 m; prof. 2 m), accessibile dall'esterno tramite un corridoio lungo 17 m. La sepoltura era stata ripetutamente saccheggiata, ciò non di meno in due nascondigli all'interno della camera funeraria e nel corridoio è stata rinvenuta una notevole quantità di manufatti diversi: vasi di ceramica, legno, bronzo, argento e oro, armi e bardature di cavalli, ornamenti e oggetti da toeletta. Grande attenzione ha suscitato la scoperta di un gruppo di oggetti lavorati in stile animalistico, che a F. rivela un repertorio particolarmente ricco (ungulati, erbivori, predatori, uccelli, pesci e serpenti), in cui tuttavia un posto di assoluto rilievo è riservato al cervo, rappresentato (a figura intera o solo parzialmente con testa e corna) in ben 188 oggetti. Di particolare interesse sono le 26 immagini lignee di cervo, scolpite a tutto tondo e rivestite di lamine d'oro e d'argento. In sei di questi esemplari l'animale è rappresentato con le corna parallele al corpo, in altri dieci i palchi sono invece perpendicolari al corpo. Queste sculture, ragguardevoli anche per le dimensioni (altezza 40-50 cm, ampiezza delle corna 20-25 cm), mostrano il cervo in pose diverse: stante con la testa eretta, accosciato e con la testa poggiata sulle zampe anteriori. Di frequente l'animale è raffigurato con il collo inarcato e la testa poggiata sul petto, il tronco sproporzionatamente corto e fortemente stilizzato, la zampa posteriore sollevata a toccare il dorso; in altri casi il cervo occupa il campo figurato di una fibbia con il corpo contorto, le zampe posteriori rovesciate sul dorso e la testa volta all'indietro. In tutte le immagini, una speciale enfasi è riposta nella rappresentazione delle corna, spesso di dimensioni superiori rispetto a quelle dell'animale stesso.
Importantissima testimonianza archeologica dei nomadi che frequentavano la regione a sud degli Urali nel IV sec. a.C., la necropoli di F. è con ogni verosimiglianza da considerare cimitero di un clan che esercitava un ruolo egemone nell'ambito di una confederazione politico-militare. I sontuosi corredi e, soprattutto, la qualità tecnica e artistica dei manufatti in stile animalistico consentono di equiparare i kurgan di questa necropoli con i più noti "kurgan regali" scitici e Saka del Mar Nero, del Kazakhstan e degli Altai.
Bibliografia
J. Aruz et al. (edd.), Oro. Il mistero dei Sarmati e degli Sciti (Catalogo della mostra), Milano 2001, pp. 26-33, 142-256.
di Leonid T. Jablonskij
Necropoli a kurgan nella regione di Orenburg (Russia), presso le sorgenti della Suchaja Dema. I tumuli si dispongono in due gruppi ‒ settentrionale e meridionale ‒ distanti tra loro circa 800 m.
Sulla base dei dati ricavati da S.I. Rudenko, che indagò la necropoli nel 1916, dopo che questa era stata saccheggiata da contadini del luogo, il gruppo settentrionale contava quattro kurgan (nn. 3, 4 e "v"), misuranti 15-20 m di diametro e 30-50 cm di altezza dall'attuale piano di campagna. La presenza dell'odierno cimitero sul Kurgan 4, il più grande, non consente l'esecuzione di scavi archeologici. Secondo la descrizione di Rudenko, accanto a questo tumulo sorgeva un ammasso di terra di pianta rettangolare, che lo studioso definì nel suo resoconto come gorodišče (insediamento fortificato), ma di cui non intraprese lo scavo.
Il gruppo meridionale consisteva di quattro kurgan (nn. 1, 2, "a" e "b"); Rudenko effettuò lo scavo delle sepolture centrali dei kurgan 1 e 2, ma non indagò gli altri due tumuli. Lo studioso raccolse inoltre un gruppo di oggetti, riportati alla luce da gente del posto nel 1911, comprendente, tra l'altro, ciotole d'argento (una delle quali iscritta), armi ed elementi di armature (una corazza di ferro, spade e pugnali di ferro, punte di freccia di bronzo e di ferro), uno specchio di bronzo e altri manufatti. I risultati delle attività di Rudenko furono pubblicati nel 1918 da M.I. Rostovcev, che datò i tumuli al periodo compreso tra il IV e il II sec. a.C. e per primo postulò una connessione tra queste scoperte e i Sarmati delle fonti classiche. Da allora la più antica fase della cultura sarmatica è stata ribattezzata Prochorovskaja.
La ripresa degli scavi archeologici nella necropoli, nel 2003, ha permesso di chiarire che il cosiddetto gorodišče era quanto rimaneva di due kurgan spianati nel corso del XIX secolo. Questi custodivano sepolture di donne e di infanti, accompagnate da ricchi corredi: vasi lavorati al tornio, un piattello da toeletta d'onice, uno specchio di bronzo, le applicazioni in oro di una ciotola di legno (colma di placchette d'oro e vaghi di pietre diverse, ambra e vetro), un orecchino d'oro, un pendaglio di agata in un castone d'oro, oltre cento punte di freccia di ferro con codolo e di bronzo, una punta di lancia di ferro spezzata intenzionalmente, un gancio di faretra di ferro placcato d'oro lavorato in stile animalistico, un piatto di corno di alce e altro ancora.
I rimanenti kurgan hanno rivelato sepolture multiple (ca. 30), allestite in epoche successive, che non erano state notate da Rudenko. Esse erano disposte intorno alla sepoltura centrale, lungo i margini del tumulo; i corredi funerari includono armi (spade e pugnali di ferro, punte di freccia di bronzo e di ferro), ornamenti (orecchini e perline), utensili da lavoro e oggetti d'uso quotidiano (specchi di bronzo, fuseruole d'argilla e di pietra, coltelli, vasi di diverse forme, ecc.). Due delle tombe contenevano le salme di uomini sacrificati. Particolare interesse riveste la sepoltura di un individuo di sesso maschile accompagnata da un corredo di tipo femminile (specchio di bronzo, fuseruola, perline).
Tutte le sepolture di entrambi i gruppi possono essere datate con sicurezza tra il IV e il II sec. a.C. e ascritte dunque alla più antica fase della cultura sarmatica delle steppe a sud degli Urali.
Bibliografia
L.T. Jablonskij et al., Mogil´nik Prochorovka 1: eponimnyj pamjatnik sarmatskoj archeologii (po rezul´tatam archeologičeskich raskopok) [La necropoli di Prochorovka 1: monumento eponimo dell'archeologia sarmatica (in base ai risultati degli scavi archeologici)], in U.L. Vorotnikov (ed.), Vestnik Rossijskogo Gumanitarnogo Nauchnogo Fonda, 37, 4 (2004), pp. 118-30.
di Vladimir R. Erlich
Tra la fine del II e gli inizi del I millennio a.C. nelle steppe dell'Europa orientale e nel Caucaso settentrionale si compie la transizione tra la tarda età del Bronzo e la prima età del Ferro. In questa fase di passaggio si pongono in evidenza due tradizioni principali: quella vicino-orientale/mediterranea, della quale fa parte anche l'area a sud del Caucaso e parte del Caucaso settentrionale, e quella dell'Europa orientale. La prima si distingue per l'utilizzo di un acciaio di elevata qualità, ottenuto tramite cementazione artificiale; la seconda per l'impiego di ferro. Nel Caucaso meridionale i primi manufatti di acciaio compaiono nel X sec. a.C., nel Caucaso settentrionale tra la fine del IX e gli inizi dell'VIII sec. a.C. Tra l'XI e il IX secolo nelle steppe a nord del Mar Nero, in particolare nei siti archeologici della cultura Belozerskaja, sono testimoniati i primi oggetti di ferro, che usano metallo di bassa qualità e imitazioni di modelli bronzei.
Nell'età del Bronzo finale sembra si fosse verificato un generale raffreddamento e una marcata deumidificazione nella regione a nord del Mar Nero. Le difficili condizioni ambientali che ne derivarono costrinsero un'ingente parte della popolazione delle steppe, la parte del territorio più colpita, a trasferirsi in regioni dal clima più favorevole, quali la zona delle steppe-foreste dell'odierna Ucraina e l'area pedemontana del Caucaso settentrionale.
Tra i popoli che abitavano l'Europa orientale, i Cimmeri sono i primi a essere menzionati nelle fonti scritte. Erodoto (IV, 11) li localizza sul litorale settentrionale del Mar Nero, da dove, a causa dell'arrivo degli Sciti, sarebbero stati costretti a trasferirsi in Asia anteriore. Testimonianze archeologiche dell'antica presenza dei Cimmeri sono ritenuti la cultura černogorovskaja e i complessi tipologicamente assimilabili al "tesoro di Novočerkassk". La cultura černogorovskaja è attestata, tra la fine del IX e per tutto l'VIII sec. a.C., in tutta la fascia delle steppe a nord del Mar Nero, tra il Dnestr e il Volga. Essa è documentata da monumenti funerari, principalmente tombe a tumulo (kurgan) per inumazioni singole o multiple (effettuate in tempi successivi), all'interno delle quali i defunti erano deposti in posizione rannicchiata con la testa orientata a ovest o a est. Oltre a semplici fosse ovali o rettangolari, si incontrano anche sepolture di tipo più elaborato: strutture ipogee di tronchi, fosse con copertura di tronchi, fosse con nicchia laterale sul fondo. In una tomba a tumulo presso il villaggio di Sofievka (Ucraina) si sono conservati i resti di un sarcofago ligneo. Le sepolture di individui maschili di rango elevato erano accompagnate da corredi composti da finimenti di cavalli con psalia del tipo černogorovsko-Kamyševachskaja, pugnali bimetallici, coti, punte di freccia di bronzo. Nelle tombe femminili è invece consueta la presenza di vasellame di ceramica e di legno, ciondoli d'oro e di bronzo ed elementi di collana. Il più noto e ricco complesso appartenente alla cultura černogorovskaja è quello di Vysokaja Mogila, sul basso Dnepr.
I complessi tipologicamente affini al "tesoro di Novočerkassk" sono caratterizzati da specifici finimenti di cavalli comprendenti morsi di bronzo con terminazioni a doppio anello e psalia con tre fori per le redini, nonché dalle punte di freccia tipiche di Novočerkassk. Bardature simili si incontrano nel Caucaso settentrionale nella variante occidentale della cultura del Koban e nelle necropoli protomeotiche (Caucaso nord-occidentale), mentre alla fine dell'VIII secolo si diffondono nelle steppe e nelle steppe-foreste dell'Europa orientale. Le più ricche sepolture del tipo Novočerkassk hanno restituito elementi di carri e i cavalli da tiro (per esempio, i tumuli di Chadžoch e Uašchitu nel Caucaso nord-occidentale), Nosačevo, Butenki e Kvitki (steppe-foreste dell'Ucraina); nei complessi più tardi del medesimo tipo sono presenti manufatti di produzione vicino-orientale o lavorati a imitazione di modelli microasiatici.
Gli oggetti ritrovati nei complessi cimmerici della metà del VII sec. a.C. nell'Anatolia centrale (Norşuntepe e Imrler, ossia nella zona in cui le fonti accadiche localizzavano i Cimmeri) sono del tutto simili ai materiali antico-scitici. La comparsa della cultura scitica nell'area a nord del Mar Nero coincide con l'avvento dell'età del Ferro. Non è stata ancora raggiunta tra gli studiosi l'unanimità sulla questione dell'origine degli Sciti, se cioè essi provengano dall'Asia (Hdt., IV, 11) o se invece la loro cultura sia da considerarsi esito di un'evoluzione locale. Ciononostante è in quest'epoca che, su base archeologica, possiamo datare contatti di tipo militare con l'area a sud del Caucaso e con l'Asia anteriore, che sembrano confermare le campagne scitiche in quelle regioni alle quali Erodoto (IV, 12) fa riferimento. A queste spedizioni presero parte, con ogni probabilità, sia nomadi provenienti dalle steppe dell'Asia, sia contingenti militari del Caucaso settentrionale e dell'area a nord del Mar Nero.
È verosimilmente sullo sfondo di queste operazioni belliche congiunte che, nell'areale delle steppe e nei territori limitrofi, prende forma la cosiddetta "triade scitica", ossia l'associazione di armi di prestigio, bardature di cavalli e manufatti lavorati in stile animalistico. È proprio la "triade" che ci consente di individuare, nel vasto territorio a nord del Mar Nero, la cultura (o comunità culturale) antico-scitica. Il tipico armamento scitico comprendeva arco e frecce con punta di bronzo, spade e pugnali, simili all'akinakes persiano, asce da combattimento e lance. I cavalli da guerra erano dotati di finimenti spesso decorati in stile animalistico: morsi e psalia, frontali, guanciali e protezioni nasali. I più antichi monumenti della cultura scitica (VII-VI sec. a.C.) si trovano nel Caucaso settentrionale e nella fascia delle steppe-foreste dell'Ucraina, e appaiono strettamente connessi con le locali culture agricole; è invece assai più modesto, relativamente alla stessa epoca, il numero dei tumuli scitici rinvenuti nella regione steppica.
Un quadro molto significativo della cultura scitica all'indomani delle campagne militari in Asia Minore ci viene offerto dalle necropoli a kurgan del Caucaso settentrionale. I manufatti assiri e gli oggetti lavorati nelle botteghe di Urartu su commissione di guerrieri scitici rinvenuti nei kurgan di Kelermes (Adygeja, Caucaso nord-occidentale) consentono di attribuire ai reduci di quelle campagne tali sepolture, costituite da tombe a fossa rettangolare contenenti una struttura di pali con copertura lignea, a volte realizzate in kurgan dell'antica età del Bronzo, affiancate dalla coeva necropoli di tombe a fossa della popolazione locale, appartenente alla cultura meotica.
Nella parte centrale del Caucaso settentrionale sono degni di nota i kurgan di Krasnoe Znamja e di Novozavedennoe (distretto di Stavropol´). Nel gruppo di Krasnoe Znamja si distingue il Kurgan 1, risalente al terzo quarto del VII sec. a.C. Le dimensioni del tumulo (15 m di altezza e 70 m di diametro) assegnano questa sepoltura alla categoria dei "kurgan regali". Gli scavi hanno messo in luce un complesso funerario e commemorativo che, per certi aspetti, ha suggerito un confronto con la tipologia del tempio del fuoco zoroastriano. L'immagine di Ishtar su una placca d'oro che decorava il timone del carro, sfuggita ai saccheggiatori, fa ritenere che il guerriero qui inumato avesse preso parte alle campagne d'Asia Minore. La datazione dei più antichi kurgan scitici del Caucaso settentrionale al terzo quarto del VII - inizi del VI sec. a.C. è ulteriormente confermata dal rinvenimento, nel Kurgan 16 del gruppo di Novozavedennoe, di frammenti di vasi greco-orientali risalenti a quell'epoca. Una parte delle necropoli a kurgan del Caucaso settentrionale fu utilizzata per un periodo più lungo, ad esempio le necropoli a kurgan di Ul´skij, in Adygeja, e di Nartan, in Kabardino-Balkaria (fino al V sec. a.C.). In queste sepolture più tarde la cultura materiale mostra diversi elementi in comune con le locali culture dell'età del Ferro iniziale (Koban e Meotica).
La cultura del Koban si forma già nel Bronzo Tardo (XII-IX sec. a.C.) e interessa un areale piuttosto vasto, comprendente le odierne Ossezia meridionale e settentrionale, Kabardino-Balkaria, Cecenia, Inguscezia e parte del distretto di Stavropol´. Nelle tombe del Koban, prive di tumulo, i defunti erano deposti in posizione rannicchiata in casse di pietra o all'interno di fosse rivestite di lastre di pietra. A questa cultura appartengono esempi pregevoli di artigianato in bronzo: asce con decorazione incisa, cinture e figure zoomorfe e antropomorfe. La cultura meotica è invece localizzata nel distretto di Krasnodar e in Adygeja e la sua durata coincide con l'età del Ferro iniziale (VII sec. a.C. - IV sec. d.C.). Essa trae il nome da Meotide, termine utilizzato dai Greci per designare i dintorni del Mar d'Azov e la popolazione ivi stanziata. Anche di questa cultura sono tipiche le tombe a fossa con defunti in posizione sia distesa sia rannicchiata, ma anche complessi di tipo rituale con kurgan di copertura, quali, ad esempio, i santuari di Ul´jap, in Adygeja, del IV sec. a.C.
Le testimonianze archeologiche nel territorio delle steppe sono, come si è visto, assai meno numerose in epoca antico-scitica (VII-V sec. a.C.) che nel periodo successivo, cioè a partire dal IV sec. a.C., ma anche rispetto a quelle rinvenute nell'area delle steppe-foreste. Pur tuttavia sono state finora indagate oltre 100 sepolture di diverse tipologie: tombe a fossa con struttura lignea, a fossa per incinerazione, in camere lignee costruite in superficie, nonché tombe apprestate in kurgan di epoche precedenti. Nel V sec. a.C. compaiono le sepolture a catacomba, cioè a camera ipogea accessibile dall'esterno tramite uno stretto passaggio inclinato (dromos). Dei tumuli antico-scitici soltanto uno può essere attribuito a un guerriero di alto rango, il kurgan di Mel´gunov presso Kirovograd, coevo ai kurgan di Kelermes.
Il quadro muta drasticamente nel IV sec. a.C., in coincidenza con l'apogeo della Scizia steppica. A quest'epoca risalgono i più imponenti e ricchi kurgan dell'aristocrazia scitica, nonché quelli che presumibilmente ospitavano le salme dei re della Scizia, ubicati principalmente lungo le rive del basso Dnepr. Tra i "kurgan regali" si annoverano quelli di Aleksandropol´ (con tumulo alto 21 m), Oguz (20 m), Čertomlyk (19 m) e Solocha (18 m). A questi possono essere equiparati, per la ricchezza dei corredi, altri kurgan di dimensioni inferiori, quali Tolstaja Mogila, Kul´-Oba e Gajmanova Mogila, da attribuire alla cerchia della famiglia regale o dei nomarchi.
Le tombe presentano una struttura piuttosto complessa. I tumuli, che spesso celavano circoli o piattaforme di pietre, sovrastavano una camera funeraria ipogea, spesso articolata in più vani, destinati a ospitare le sepolture di concubine, servi o palafrenieri. Le salme dei cavalli sacrificati erano alloggiate nel dromos, quando non veniva allestita una tomba appositamente per loro. Altri recessi o piccoli vani erano destinati a contenere oggetti d'uso quotidiano, che dovevano confortare il viaggio del defunto verso l'aldilà. La salma era deposta, di regola, su un giaciglio di legno, ma sono attestate anche inumazioni in sarcofagi. Le salme dei "re" e dei nobili erano di consueto accompagnate da un'enorme quantità di manufatti di oro, elettro e argento (armi, ornamenti e vasellame), in molti casi veri capolavori di toreutica realizzati da artigiani greci o locali; tra questi, per non citare che i più celebri, il pettine dal kurgan di Solocha, l'anfora di Čertomlyk e il pettorale di Tolstaja Mogila. L'insieme dei reperti d'oro restituiti da questi kurgan testimonia delle ingenti ricchezze che si andavano concentrando nelle mani dei re della Scizia steppica, consistenti anche di greggi e mandrie sterminate, di un esercito di schiavi e di enormi quantità di grano coltivato dalle popolazioni limitrofe loro soggette. Le fiorenti attività artigianali che esaudivano il fabbisogno delle comunità nomadi della Scizia si concentravano in alcuni insediamenti, quali Kamenskoe Gorodišče, sul basso Dnepr, dove sono state rinvenute botteghe di fabbri, vasai e altri artigiani.
La documentazione archeologica sugli Sciti delle steppe si ferma agli inizi del III sec. a.C., epoca in cui si apre in questa regione una grave crisi, innescata da fattori diversi: il peggioramento delle condizioni climatiche che, aggravato dall'eccessivo sfruttamento della cotica erbosa, avrebbe portato all'inaridimento delle steppe, ma anche la comparsa, sul basso Don, di una nuova compagine di popolazioni nomadi, i Sarmati. Gli Sciti restano ancora sulla scena, mantenendo il controllo della Crimea e della Dobrugia, ma non riacquisteranno più l'egemonia politica nella regione.
A partire dal VII sec. a.C. il complesso culturale scitico, contraddistinto dalla "triade scitica", si espande anche nella zona delle steppe-foreste, ossia nel territorio compreso tra l'alto e medio Dnestr, a ovest, e il medio corso del Don, a est. Per l'epoca arcaica (VII-V sec. a.C.) si conoscono nella regione oltre 2000 kurgan di tipo scitico, un numero che supera di gran lunga quello delle tombe coeve della regione steppica. Della notevole densità demografica testimonia anche la grande quantità di insediamenti, il più grande dei quali (oltre 4000 ha) è Bel´skoe Gorodišče, sulla Vorskla, affluente di sinistra del Dnepr (Ucraina), sito identificato con la città di Gelono, menzionata da Erodoto (IV, 108). Gli insediamenti erano difesi da terrapieni e fossati, tuttavia sono venuti alla luce anche resti lignei di fortificazioni. Il tipo più diffuso di abitazione era la capanna con pavimento ribassato. Il rituale funerario è simile a quello attestato nei kurgan d'epoca arcaica nel Caucaso settentrionale e nelle steppe scitiche. I tumuli, di terra con o senza aggiunta di pietre, custodivano tombe a fossa con copertura lignea oppure camere funerarie lignee erette in superficie. I defunti erano accompagnati da un ricco corredo di tipo scitico, nonché da cavalli sacrificati. Tra i kurgan più noti si segnalano quelli di žurovka, Perpjaticha e Bol´šoj Ryžanovskij.
Si ritiene che le testimonianze archeologiche delle steppe-foreste dell'Ucraina possano essere attribuite alle comunità scitiche di agricoltori ‒ di cui parla Erodoto (IV, 18, 53) ‒ che nel IV sec. a.C. gravitavano nell'orbita economica e politica degli Sciti reali (nomadi). Anche in questa regione il III sec. a.C. segna una netta cesura culturale; molti insediamenti hanno rivelato tracce di distruzioni e di incendi, da porre in relazione, presumibilmente, con attacchi mossi da tribù sarmatiche.
Bibliografia
A.I. Terenožkin, Kimmerijcy [I Cimmeri], Kiev 1976; V.A. Il´inskaja - A.I. Terenožkin, Skifija VII-IV vv. do n.e. [La Scizia tra il VII e il IV sec. a.C.], Kiev 1983; V.R. Erlich, U istokov ranneskifskogo kompleksa [Alle origini del complesso culturale antico-scitico], Moskva 1994; A.I. Ivančik, Kimmerijcy i skify [I Cimmeri e gli Sciti], Moskva 2001; V.Ju. Murzin (ed.), Velikaja Skifija [La Grande Scizia], Kiev - Zaporož´e 2002.
di Anna I. Meljukova
Insediamento della prima età del Ferro, nel bacino del fiume Vorskla (Ucraina), di notevole estensione (4400 ha ca.), difeso da terrapieni e fossati, che raggiungono una lunghezza di 34 km circa, e da mura lignee.
B.G. comprende tre siti, rispettivamente denominati Occidentale, Orientale e Kuzeminskoe, e non meno di nove nuclei abitati. Nel circondario della fortezza era la necropoli, comprendente oltre 1000 sepolture a kurgan. Le indagini archeologiche vi ebbero inizio nel 1906 sotto la guida di V.A. Gorodcov; dal 1958 al presente gli scavi sono effettuati dalla Spedizione dell'Università Statale di Char´kov, sotto la conduzione di B.A. Šramko. L'area scavata supera i 36.000 m2.
Tra il VII e il III sec. a.C. il sito era un importante centro politico, culturale, religioso e artigianale nella parte orientale del bacino del medio Dnepr; può essere identificato con la città di Gelono, cui fa riferimento Erodoto. Quanto alla composizione etnica della sua popolazione, oltre agli abitanti di origine locale (Budini), vi risiedevano anche immigrati dalla riva destra del Dnepr e dal Sud (Geloni). Tale eterogeneità si evince anche dalle diverse tipologie di abitazione, dalle forme e dalle decorazioni della ceramica, dagli oggetti di culto.
Gli scavi hanno riportato alla luce abitazioni seminterrate, resti di case lignee di superficie, anche a due piani, laboratori artigianali, fosse per la conservazione di cereali, sepolture e altre costruzioni connesse ad attività produttive, un santuario con altare di argilla, i resti di un tempio ligneo a colonne e un'enorme quantità di reperti, tra cui particolarmente numerosi quelli connessi all'attività dei fabbri (strumenti da lavoro e armi di ferro e di acciaio). Nel sito fortificato orientale sono stati rinvenuti resti di laboratori con forni per la fusione del bronzo (VI - inizi del V sec. a.C.). Nell'area circostante uno di essi, oltre a crogioli, sono stati rinvenuti frammenti di stampi per la fusione del bronzo, alcuni dei quali destinati alla riproduzione di oggetti decorati in stile animalistico. I gioielli erano lavorati in oro e argento, come testimoniato dal rinvenimento di un lingotto d'oro, della parte inferiore di una matrice che serviva alla fabbricazione di placchette d'oro e di alcuni ornamenti. La ceramica, di forme diversificate, era lavorata su un supporto girevole lento, prototipo del tornio; aveva superficie lustrata e ornamenti a incrostazione di pasta bianca.
Le principali attività produttive degli abitanti del sito di B.G. erano l'agricoltura e l'allevamento. Nell'agricoltura era praticato il sistema dell'alternanza sia dei tipi di colture sia dei terreni. La terra era lavorata con vomere ligneo, un modello del quale è stato rinvenuto in uno dei complessi cultuali, insieme con un giogo e un timone. Erano coltivate alcune varietà di frumento, orzo, segale, miglio, legumi e ortaggi. Per la raccolta dei cereali e la preparazione del fieno erano impiegate falci di ferro. Grano mondato e farina erano ottenuti pestando i cereali su macine di pietra. Si allevavano bovini, ovini, maiali, cavalli e renne da tiro. Attivi gli scambi commerciali, in particolare nel VI-V sec. a.C., anche con regioni lontane. In cambio di prodotti agricoli, dell'allevamento e artigianali si importavano materie prime per la fusione del bronzo, metalli preziosi, vino, oggetti suntuari lavorati negli antichi centri del Mediterraneo e della costa settentrionale del Mar Nero. Sulle sponde della Vorskla si trovava uno scalo fortificato (Kuzeminskoe), dal quale aveva inizio la via fluviale verso il Dnepr e il Mar Nero.
Sulle credenze religiose degli abitanti di B.G. e sul loro originale Pantheon divino gettano luce le numerose statuette di argilla antropomorfe, zoomorfe, ornitomorfe o di figure fantastiche e altri oggetti di culto. Sono stati sottolineati punti di contatto con le credenze dei gruppi iranici, sicuramente favoriti dai contatti con gli Sciti delle steppe.
La città di Gelono continuò a esistere fino al III sec. a.C., ossia fino all'invasione dei Sarmati nella regione a nord del Mar Nero.
Bibliografia
B.A. Šramko, Bel´skoe gorodišče skifskoj epochi. Gorod Gelon [Il sito di Bel´skoe d'epoca scitica. La città di Gelono], Kiev 1987.
di Vladimir R. Erlich
Uno tra i più famosi "tumuli regali" delle steppe della Scizia, nei pressi del villaggio di Čkalovo, non lontano dalla città di Nikopol´e (Ucraina).
Scavato negli anni 1862-63 da I.E. Zabelin, di recente è stato oggetto di nuove indagini da parte di B.N. Mozolevskij (1979 e 1981) e di V.Ju. Murzin e R. Rolle. Alto 20 m e con un diametro di 110, il kurgan era circondato da un massiccio recinto di pietre alto 2,5 m. Il tumulo conteneva cospicui resti di offerte sacrificali e di pasti rituali. La sepoltura centrale era accompagnata da una serie di inumazioni in fosse singole. Al di sotto della parte nord-orientale del recinto è stata rinvenuta la sepoltura di un adolescente con lancia e cote, evidentemente un guardiano. In tre sepolture, a ovest della tomba centrale, sono stati rinvenuti i resti di 11 cavalli bardati, con briglie decorate da applicazioni di oro, argento e bronzo; due scudieri erano sepolti, in fosse singole, vicino ai cavalli.
La tomba centrale possedeva un pozzo rettangolare di accesso, agli angoli del quale erano gli ingressi alle camere funerarie, situate a una profondità di 12,5 m dal piano di campagna. Dall'angolo nord-occidentale si accedeva alla più grande, la n. 5 (lungh. 8 m; largh. 5 m. ca.), già visitata in antico dai saccheggiatori che, apertisi un varco nella parete nord, avevano asportato gran parte del corredo e provocato la scomposizione dello scheletro dell'inumato, che era stato deposto su un palco ligneo. È grazie agli oggetti rinvenuti all'interno di recessi laterali, passati inosservati agli scavatori clandestini, che è stato possibile ipotizzare che la camera 5 fosse la sepoltura di un re. Numerose le armi e altri elementi dell'equipaggiamento militare: cinture di bronzo, spade di ferro con elsa placcata d'oro (tre di esse erano conficcate nella parete della nicchia) e punte di freccia. È degna di nota una faretra rivestita da lamine d'oro, una delle quali decorata da una composizione figurata a rilievo ispirata al ciclo iliaco, con scene della vita di Achille. Una faretra del tutto analoga, verosimilmente lavorata nella medesima bottega, è stata rinvenuta nella "tomba di Filippo II" a Verghina (Macedonia). Dalla camera 5 provengono inoltre un fodero di spada d'oro con rappresentazione a rilievo di una scena di combattimento tra Greci e Barbari, due recipienti di bronzo e altro vasellame di bronzo e di ceramica.
Nella camera adiacente (n. 4), più vicina al pozzo di accesso, è stata trovata la sepoltura di una regina, inumata in un sarcofago ligneo e accompagnata dalle salme delle sue ancelle. Gli ornamenti della regina comprendevano collare, pendenti alle tempie, bracciali e anelli d'oro e un copricapo composto da una fascia frontale d'oro, rivestito da una stoffa di color porpora decorata lungo i bordi da placchette anch'esse d'oro raffiguranti una dea con specchio. Su un lato della camera erano disposte 14 anfore greche, un bacino d'argento con gottazza e una oramai celebre anfora d'argento, alta 70 cm, con decorazione dorata figurata su tre registri. In alto, sulla spalla, sono raffigurati grifoni che attaccano un cervo. Nel registro centrale sono rappresentati Sciti e cavalli, saldati al corpo dell'anfora mediante ribaditura; nella scena al centro un cavallo viene condotto al sacrificio (alcuni studiosi ritengono, tuttavia, che si rappresenti la domatura o addirittura la castrazione dell'animale). Il registro inferiore, che occupa la maggior parte della superficie del vaso, consiste in una decorazione fitomorfa abitata da uccelli. Nella parte inferiore l'anfora ha tre versatoi, due a protome leonina e uno a protome di cavallo alato.
Nella camera sud-occidentale (n. 3) sono state rinvenute le sepolture di due guerrieri di alto rango, adorni di collane rigide e con copricapo decorati da placchette d'oro cucite, cinture da combattimento rivestite da piastrine di bronzo e gambali di bronzo. Accanto a ogni salma era poggiata una spada con elsa laminata d'oro, una faretra di bronzo con frecce e una lancia. Nelle camere situate a nord-est e a sud-est erano custoditi i paramenti del re e della regina: elementi in oro di acconciature femminili simili a kalathos, un'ingente quantità di placchette, pendenti e altri elementi d'oro che costituivano la decorazione di vesti e copricapo regali, originariamente appesi a speciali ganci di ferro, fissati alle pareti delle camere. Tra gli altri oggetti rinvenuti si annoverano anfore, una caldaia di bronzo, una gottazza di argento, sei coltelli, uno specchio, il fuso d'oro della regina e una gran quantità di punte di freccia. In prossimità dell'accesso alla camera nord-orientale (n. 2) è stata trovata la salma di una guardia munita di faretra con frecce e coltello. Sul suo scheletro si conservavano una collana rigida, un pendaglio d'oro e un anello. Con le sepolture della camera centrale era correlata anche l'inumazione di un coppiere, scoperta nel settore nord-occidentale del kurgan.
Ben nove persone dunque accompagnarono il re scitico nell'oltretomba: la sua consorte (o concubina), esponenti dell'aristocrazia militare e servitori. L'insieme dei corredi consente di datare il kurgan tra il 350 e il 320 a.C. È difficile stabilire quale fosse il re inumato in questa tomba; secondo alcuni studiosi potrebbe trattarsi di Ateas, morto nel 339, secondo altri di un suo non meglio identificabile successore.
Bibliografia
A.Ju. Alekseev - V.Ju. Murzin - R. Rolle, Čertomlyk. Skifskij carskij kurgan IV v. do n. e. [Čertomlyk. Un kurgan scitico del IV sec. a.C.], Kiev 1991; R. Rolle - V.Yu. Murzin, Pyramiden der Steppe und Viehweiden für die Ewigkeit. Der Čertomlyk-Kurgan, in R. Rolle et al. (edd.), Gold der Steppe (Catalogo della mostra), Schleswig 1991.
di Anna I. Meljukova
È il più grande insediamento della Scizia steppica (fine del V-III sec. a.C.), sulla riva sinistra del Dnepr, fra la città di Kamenka Dneprovskaja ed il villaggio di Znamenka (regione di Zaporož´e, Ucraina). Oggi in buona parte distrutta dal bacino idrico di Kachov e da costruzioni moderne, K.G. si estendeva su una superficie di circa 12 km2, delimitata e difesa dalle rive scoscese dei fiumi Konka e Dnepr, dalla laguna del Belozero e, sul lato della steppa, da un vallo e da un fossato. Nella parte sud-occidentale, sulla Konka, si ergeva la cittadella fortificata (30 ha ca.).
Noto già dal XVI secolo, il sito è stato scavato a più riprese: nel 1899-1900 da D.Ja. Serdjukov, tra il 1937 e il 1950 (con interruzioni) da B.N. Grakov e nel 1987-92 da N.A. Gavriljuk. La cinta difensiva è costituita da un vallo di terra compattata; solo nella cittadella il vallo fungeva da base a un muro di mattoni crudi. Diversamente da Grakov, che considerava l'insediamento e il suo sistema difensivo come un progetto unitario, con la cittadella quale sede dell'aristocrazia scitica, Gavriljuk pensa che la cittadella non fosse che un piccolo villaggio fortificato sorto almeno un centinaio di anni dopo K.G.
Sono state rinvenute testimonianze di strutture abitative e di laboratori artigianali. Le abitazioni sono di due tipi: la tipologia più diffusa è interamente costruita in superficie con muratura in crudo e armatura lignea, a pianta ovale o rettangolare, circondata da due o tre ambienti (area complessiva fino a 150 m2); in alternativa, si hanno abitazioni semisotterranee (prof. mass. 1,8 m), della medesima ampiezza delle precedenti, ma con un minor numero di ambienti, di pianta quadrata e caratterizzate, in sezione, da un profilo a forma di barca. Sia le une che le altre si incontrano in punti diversi del sito. Nei pressi delle abitazioni sono state rinvenute fosse per i rifiuti e officine adibite, secondo Grakov, alla fusione e alla lavorazione dei metalli (ferro, rame e leghe del rame); vi si producevano utensili da lavoro, armi e ornamenti. S.Ja. Ol´govskij pensa, invece, a un laboratorio per la lavorazione di metalli d'importazione; tra i reperti si contano anche utensili di osso e corno. La popolazione di K.G., che forse adottava una forma di seminomadismo, era dedita anche all'agricoltura, come testimonia il rinvenimento di falcetti di ferro, macine di pietra e di chicchi di grano sul fondo di contenitori di fabbricazione locale.
Se non vi sono argomenti sufficienti per attribuirle una funzione di centro politico della Scizia steppica nei secoli IV e III a.C., come vuole Grakov, K.G. fu senza dubbio un centro commerciale, oltre che artigianale, di una certa importanza a livello regionale, situato in un punto di passaggio di comode vie fluviali (soprattutto il Dnepr) e terrestri. È infatti degna di nota l'ingente quantità di frammenti di anfore (anche con marchi di fabbrica di Sinope, Eraclea, Thasos e del Chersoneso), di pentole e brocche modellate a mano, ciotole e coperchi, nonché di vasellame a vernice nera di tradizione classica. Gavriljuk, che ipotizza l'esistenza di un emporio greco nella zona sud-occidentale della città, pensa tuttavia che i diversi impianti artigianali e commerciali messi in luce nel sito non siano coevi, bensì sorti in epoche diverse all'interno del territorio delimitato dalla cinta. Nella cittadella mancano del tutto tracce di attività produttive, né si sono conservati resti significativi di dimore; tuttavia, alcuni indizi testimoniano il fatto che esse erano di pietra, suggerendo quindi che gli abitanti appartenessero a un rango diverso rispetto al resto della popolazione urbana.
Grakov data la fine dell'esistenza del sito tra gli ultimi anni del III e gli inizi del II sec. a.C., benché la maggior parte dei reperti datati provenienti da contesti stratigrafici non vada oltre la prima metà del III sec. a.C. Solo nella cittadella la vita si protrasse fino al III sec. d.C.
Bibliografia
B.N. Grakov, Kamenskoe gorodišče na Dnepre [Kamenskoe Gorodišče sul Dnepr], Moskva 1954; S.Ja. Ol´govskij, Social´no-ekonomičeskaja rol´ Kamenskogo gorodišča [Il ruolo socioeconomico di Kamenskoe Gorodišče], in E.V. Chernenko (ed.), Skify Severnogo Pričernomor´ja: sbornik naucnyh trudov, Kiev 1987, pp. 48-53; N.A. Gavriljuk, Domašnee proizvodstvo i byt stepnych Skifov [Produzione domestica e stile di vita degli Sciti della steppa], Kiev 1989; Id., Kamenskoe gorodišče i problema remesla u stepnych Skifov [Kamenskoe Gorodišče e il problema dell'artigianato presso gli Sciti della steppa], in Drevnejšie obščnosti zemledel´cev i skotovodov Severnogo Pričernomor´ja (V tys. do n.e. - V v. n.e.), Kiev 1991, pp. 183-84; N.A Gavriljuk - M.I. Abikulova, Pozdneskifskie pamjatniki Nižnego Podneprov´ja. I (novye materialy) [I monumenti tardoscitici del basso Dnepr. I (nuovi materiali)], Kiev 1991, pp. 24-25; A.G. Plesivenko, Torgovye svjazi Kamenskogo gorodišča (po amfornym klejmam) [I rapporti commerciali di Kamenskoe Gorodišče (in base ai marchi di fabbrica della ceramica)], in Drevnosti stepnogo Pričernomor´ja i Kryma, III, Zaporož´e 1992, pp. 162-72.
di Vladimir R. Erlich
Tumulo funerario di epoca scitica (seconda metà del IV sec. a.C.) nei pressi di Kerč, in Crimea (Ucraina).
La sua scoperta avvenne casualmente nel 1830, nel corso di lavori di estrazione della pietra. Gli scavi furono diretti dal governatore locale, I.A. Stempkovskij, mentre la descrizione e il disegno dei reperti, poi trasferiti al Museo dell'Ermitage, furono curati da P. de Brux, archeologo amatoriale di Kerč. Realizzato con lastre di pietra calcarea, il tumulo raggiungeva i 10 m di altezza. La sepoltura era stata alloggiata in un vano ipogeo, all'interno di una struttura di pietre digrossate misurante 4,3 × 4 m, con copertura a volta a gradini alta 5 m. Nella tomba, risparmiata dagli scavatori clandestini, erano stati inumati membri dell'aristocrazia scitica, sia maschili sia femminili, con i loro servitori.
La salma di un uomo di 35-40 anni era deposta in un sarcofago ligneo nella parte orientale della tomba. Indossava un copricapo di feltro a punta decorato da placchette d'oro cucite, una collana tortile d'oro, alle cui estremità era rappresentato, a tutto tondo, uno Scita a cavallo, bracciali e cavigliere d'oro di ottima fattura. Anche la veste era profusamente ornata da placchette d'oro con raffigurazioni a rilievo ottenute a stampo; nei soggetti rappresentati possiamo cogliere un'idea dell'aspetto, dei costumi, dell'armamento e delle consuetudini degli Sciti: un guerriero stante con faretra alla cintura e coppa nella mano, due Sciti in una scena di "fraternizzazione", cioè affiancati nell'atto di bere da un medesimo rhytòn, due Sciti attergati che tirano d'arco, figure di cavalieri che cercano di colpire una lepre, uno Scita a cavallo nell'atto di scagliare una lancia. Particolarmente ricco era il corredo di armi: impugnature e foderi di spada decorati da raffigurazioni di lotte tra predatori e animali fantastici; un frustino di cuoio laminato d'oro, una cote con guarnizioni di oro, gambali dorati. Accanto alle armi è stata rinvenuta una massiccia fiala d'oro decorata da immagini ripetute di Gorgone e di una testa maschile barbata con copricapo a punta.
Accanto alla sepoltura principale, la salma di una donna era deposta all'interno di un sarcofago di cipresso, decorato da pitture e da placche d'avorio con incise scene ispirate alla mitologia greca e alla vita quotidiana degli Sciti. La defunta indossava un diadema di elettro, una collana rigida d'oro dalle estremità foggiate a forma di leoni, una collana con pendagli a forma di anfora e larghi bracciali d'oro; sulla sua veste erano cucite placchette d'oro con scene diverse: figure femminili danzanti, una dea scitica con estremità di serpente e con una testa maschile mozzata nelle mani e altri soggetti. Tra gli ornamenti sono degne di nota due coppie di pendenti d'oro di finissima lavorazione, l'uno ornato da una testa di Atena con elmo, che sembra derivare il modello dalla statua di Fidia del Partenone, l'altro con la minutissima rappresentazione di quattro Nereidi in groppa a delfini che, come narra il mito greco, portano ad Achille, dietro preghiera di Teti, le armi forgiate da Efesto: lo scudo, l'elmo, i gambali e la corazza. Il corredo comprendeva, oltre a un fuso d'avorio, sei coltelli e uno specchio di bronzo con impugnatura guarnita di oro, deposti presso la testa della defunta; ai suoi piedi era il celebre vaso d'oro decorato da scene a rilievo ispirate alla vita scitica: un personaggio che tende la corda del suo arco, due intenti a conversare appoggiandosi alla propria lancia, o l'uno a curare o estrarre un dente all'altro, o ancora a fasciare il polpaccio del compagno. Alcuni studiosi ritengono che queste scene si ispirino alla mitologia scitica, in particolare al tema dell'origine degli Sciti e dei loro re, tramandatoci da Erodoto (IV, 8-10). Presso la parete meridionale della camera giaceva la salma di un servo. In corrispondenza della sua testa, in una cavità, erano delle ossa di cavallo, un elmo greco e gambali. Lungo la stessa parete erano due catini di argento dorato e un grande piatto d'argento, contenenti a loro volta un corredo di vasi d'argento: due boccali (decorati l'uno da raffigurazioni cesellate e dorate di leoni che aggrediscono cervi, l'altro da cervi che catturano pesci), due rhytà e una kylix e, ancora, due grandi vasi di bronzo e quattro anfore d'argilla.
Mentre erano in corso le indagini, la sepoltura fu visitata nottetempo da clandestini, i quali spaccarono le lastre del pavimento della tomba e, al di sotto di una di esse, rinvennero un nascondiglio di cui trafugarono il contenuto, eccetto pochi oggetti, tra cui una placca d'oro a forma di cervo (presumibilmente appartenente alla decorazione di uno scudo) a sua volta ricoperta da figure di grifoni, leoni e mufloni. Non v'è dubbio che il kurgan di K.-O. ospitasse la sepoltura di insigni rappresentanti dell'aristocrazia scitica (probabilmente il nomarca e la sua compagna), saldamente legata alle tradizioni del Bosforo, come ci è testimoniato dalla camera funeraria in lastre di pietra, tipologia inconsueta presso gli Sciti, nonché dalla grande quantità e dalla raffinatezza dei manufatti di oro e argento, lavorati da orafi e toreuti delle colonie greche del Bosforo: il nome di un maestro greco è inciso sul fodero di una spada e un'iscrizione greca è apposta anche sulla placca d'oro a forma di cervo.
Bibliografia
M.I. Artamonov, Sokrovišča skifskich kurganov v sobranii Gosudarstvennogo Ermitaža [Tesori dei kurgan scitici nella raccolta dell'Ermitage], Praga - Leningrad 1966; I.B. Brašinskij, Sokrovišča skifskich carej [I tesori dei re scitici], Moskva 1967; B. Piotrovsky - L. Galanina - N. Grach, Skythian Art, Leningrad 1986; D. Williams - J. Ogden, Greek Gold. Jewelry of the Classical World, New York 1994, in part. pp. 136-51.
di Vladimir R. Erlich
Nel periodo di transizione tra l'età del Bronzo e l'età del Ferro (fine del IX - prima metà del VII sec. a.C.), nel Caucaso settentrionale si forma la cosiddetta "cultura archeologica meotica".
Le testimonianze della sua fase iniziale, o protomeotica, sono rappresentate da necropoli di tombe a fossa con defunti in posizione distesa (di regola gli uomini) o rannicchiata (le donne). Le aree funerarie protomeotiche sono dislocate sia lungo la riva sinistra del Kuban´ (necropoli di Nikolaevskij, Kubanskij e Pšiš) sia nella regione pedemontana (necropoli di Kočipe e Fars/Klady); cimiteri protomeotici sono stati individuati anche sulle rive del Mar Nero, da Tuapse ad Anapa. Le inumazioni maschili erano accompagnate da corredi composti da vasellame (pentole e mestoli), pugnali bimetallici, cuspidi di lancia (di bronzo e di ferro), coti e asce. Le sepolture femminili contenevano vaghi di collana, bracciali e spilloni. In queste necropoli il ceto dei cavalieri-guerrieri si distingue in maniera abbastanza netta; i cavalli erano equipaggiati con finimenti del tipo noto dal "tesoro di Novočerkassk" (nelle necropoli pedemontane) o di tipo affine a quelli della cultura di černogorovka (nelle pianure).
Una serie di reperti testimonia che cavalieri protomeotici presero parte alle campagne cimmerico-scitiche in Transcaucasia e in Asia Minore, tra la fine dell'VIII e gli inizi del VII sec. a.C. In seguito a queste imprese, che incentivarono il processo di stratificazione della struttura sociale, tornò ad affermarsi la sepoltura a tumulo (kurgan); di questo tipo, ad esempio, sono le più tarde inumazioni della necropoli di Fars/Klady. Le ricche sepolture protomeotiche risalenti all'epoca delle campagne d'Asia Minore sono caratterizzate dalla presenza di cavalli da tiro e da resti di carri. Tale è il caso del Kurgan 46 di Klady, del kurgan di Uašchitu, di quelli presso il villaggio di Chadžoch e altri. Particolarmente degna di nota è la sepoltura di Uašchitu, scavata nel 1988 presso il villaggio (aul) di Kabechabl´ (Adygeja). Al di sotto di un tumulo alto 5 m è stata rinvenuta una tomba a fossa (13 × 7 × 2 m), con copertura lignea a spioventi. Sfortunatamente la sepoltura era stata depredata in antico, tuttavia i reperti superstiti (scaglie di un'armatura di bronzo e lamine d'oro) provano che essa doveva appartenere a un esponente dell'élite militare. A sud del piano di deposizione del defunto sono stati ritrovati i resti di un carro con ruote lignee di 90 cm di diametro e tiro a quattro cavalli, risparmiati dai saccheggiatori. Sugli animali si conservavano gli elementi metallici delle bardature che, seppure lavorati nella tipica tradizione locale, denotano nella loro disposizione e in alcune particolarità tecniche la conoscenza dei metodi assiri e urartei, a noi noti da testimonianze iconografiche. È difficile credere che nell'assetto orografico dell'area pedemontana del Caucaso nord-occidentale il carro da guerra potesse realmente svolgere una funzione nelle attività belliche; è dunque ragionevole pensare che gli esemplari deposti nelle sepolture avessero valore di simbolo di particolare prestigio, quali attributi dei ranghi più alti della gerarchia militare.
Se nelle più tarde tombe protomeotiche compaiono elementi culturali che possiamo definire "protoscitici", all'epoca delle campagne vicino-orientali la cultura meotica ha oramai assunto un carattere scitoide, soprattutto per diretto influsso di quella parte di Sciti che, di ritorno dal Sud, si stabilirono nella regione del Kuban´. A questi sono da attribuire i celebri tumuli di Kelermes e di Ul´jap (Ul´skij), in Adygeja (Caucaso nord-occidentale). Nella necropoli di Kelermes (metà del VII-inizi del VI sec. a.C.) i defunti erano inumati in tombe a fossa rettangolare, all'interno di una struttura di pali con copertura lignea, in alcuni casi realizzate su kurgan dell'età del Bronzo Antico. Le salme erano accompagnate da cavalli bardati. I kurgan 1 e 3, scavati nel 1903 da D.G. Šul´c, hanno restituito i corredi più ricchi, comprendenti elementi di sgabelli assiri, fiale e armi lavorate in botteghe urartee su commissione di guerrieri scitici. Tra i reperti più celebri sono da annoverare una spada e un'ascia da guerra dalla ricca decorazione in oro, una lamina d'oro a forma di pantera e uno specchio d'argento. Nelle immediate vicinanze di questi tumuli aristocratici, evidentemente appartenenti all'aristocrazia militare scitica reduce dalla campagne in Asia Minore, è stata individuata e indagata una necropoli di tombe a fossa attribuibile alla popolazione indigena, dunque alla locale cultura meotica. Malgrado la marcata disparità di rango e di disponibilità economica degli inumati, i kurgan di Kelermes e le tombe della vicina necropoli hanno rivelato una cultura materiale decisamente omogenea.
La necropoli di Ul´skij fu utilizzata per un periodo più lungo. Il più antico degli undici tumuli che vi sono stati scavati è coevo ai kurgan di Kelermes, il più tardo si data alla metà del V sec. a.C. Praticamente tutti i tumuli furono saccheggiati, più o meno sistematicamente, già nell'antichità. Anche in questa necropoli le tombe contenevano una struttura lignea, ma eretta sull'antico piano di campagna, e i defunti erano accompagnati da un gran numero di cavalli sacrificati. Risalta fra tutti il Kurgan 1 (Bol´šoj Ul´skij), scavato da N.I. Veselovskij nel 1898; un tumulo alto 15 m custodiva i resti di oltre 350 cavalli, deposti intorno alla camera funeraria centrale (depredata). Il Kurgan 10, indagato nel 1982 con metodo scientifico, ha indotto invece a ipotizzare che non tutti i kurgan di Ul´skij fossero destinati a contenere sepolture e che una parte di essi avesse funzione di santuario. Questa, ad esempio, doveva essere la destinazione dei kurgan di Ul´jap scavati nel 1982-1983 nelle vicinanze delle già note sepolture di Ul´lskij.
Nel corso degli scavi del primo di questi venne alla luce una sorta di piattaforma approssimativamente rettangolare apprestata sulla sommità di un kurgan dell'età del Bronzo, sulla quale si conservavano frammenti di anfore, una pentola di bronzo, un bacino e una brocca di bronzo di produzione greca. Tra i reperti sono degni di nota anche le figure di un cervo e di un cinghiale, scolpite nel legno e ricoperte da lamine d'oro e d'argento. Un'analoga piattaforma rituale è stata rinvenuta nel Kurgan 4, che fra tutti i complessi cultuali di Ul´jap ha rivelato il più ricco inventario di materiali: anfore panatenaiche, due rhytà (uno dei quali con terminazione a protome di Pegaso), un torques d'oro, un'enorme quantità di placchette d'oro che ornavano le vesti e numerosi reperti che testimoniano di atti rituali (frammenti di anfore, resti di animali sacrificati). Il Kurgan 5 racchiudeva una struttura lignea con copertura a spioventi, al centro della quale era stata deposta una spada di ferro; in questo tumulo, secondo alcuni studiosi, si troverebbe conferma dell'esistenza di quei santuari scitici dedicati al dio della guerra Ares, cui fa riferimento Erodoto (IV, 62). I santuari di Ul´jap erano attorniati da una necropoli coeva di tombe a fossa (ne sono state scavate oltre 250). Dall'analisi dei manufatti di importazione, i kurgan di Ul´jap possono essere datati intorno alla prima metà del IV sec. a.C. Negli anni 2000-2002 un santuario di tipo analogo a quelli suddetti, ma di datazione di poco più tarda (seconda metà del IV sec. a.C.), è stato scavato presso Tenginskaja.
Nella penisola di Taman, anticamente abitata da un gruppo distinto di genti meotiche ‒ i Sindi ‒, sono stati scavati negli anni Settanta del XX secolo i kurgan Semibratnye ("dei Sette Fratelli"), sepolture di guerrieri sindi. Alti 15-17 m, questi tumuli celavano cripte costruite con mattoni crudi e pietra e copertura lignea. Nonostante l'impoverimento dei corredi causato dai saccheggi, i reperti superstiti, oggi conservati all'Ermitage, danno un'idea della ricchezza di queste tombe. I defunti venivano dotati di armi e armature, ornamenti d'oro, vasi di ceramica di produzione attica e locale, manufatti di bronzo lavorati in Etruria e in Magna Grecia, vasi d'oro e d'argento di notevole valore (un rhytòn achemenide d'argento, recipienti d'oro a forma di corno, kylikes attiche d'argento); li accompagnavano, inoltre, cavalli con finiture impreziosite da guarnizioni di bronzo. I kurgan Semibratnye risalgono alla metà del V - prima metà del IV sec. a.C. e i materiali che hanno restituito testimoniano degli stretti contatti esistenti tra i Sindi e le colonie greche del Mar Nero.
Al IV sec. a.C. si datano i kurgan di Elizavetinskaja (sulla riva destra del Kuban´, a sud di Krasnodar); le guarnizioni di bronzo delle bardature dei numerosi cavalli inumati in questa necropoli sono lavorate in uno stile animalistico particolarmente elaborato, ribattezzato come "barocco del Kuban´". Tra le sepolture di guerrieri meotici della seconda metà del IV sec. a.C. sono da menzionare i kurgan di Karagodeuašch e di Kurdžips. Il primo è stato scavato nel 1988 da E.D. Felicyn nei pressi dell'odierna città di Krymska (sulla riva destra del Kuban´). All'interno del tumulo (alto 12 m), a un'altezza di 2 m dal piano di campagna, è stata riportata alla luce una struttura funeraria di pietra con copertura lignea, contenente quattro vani disposti in fila. Le pareti erano intonacate e, negli ambienti alle estremità (dromos e camera funeraria), decorate da pitture. La tomba, che non ha rivelato segni di saccheggio, conteneva un carro funebre con i cavalli da tiro e due salme ‒ un uomo e una donna ‒ accompagnate da corredi che ne testimoniano la stirpe "regale". Tra i reperti è degno di nota un gorytos d'oro del tutto simile all'esemplare ritrovato nella cosiddetta "tomba di Filippo II" a Verghina, in Macedonia. Il tumulo di Kurdžips (non lontano da Majkop, in Adygeja) custodiva una camera lignea accessibile tramite un dromos, in cui erano deposte le salme di tre esponenti dell'aristocrazia guerriera e di una donna di alto rango accompagnata da un'ancella. I corredi includevano un'armatura greca, ornamenti d'oro, un copricapo con rappresentazione di un combattimento tra guerrieri e un gruppo di vasi bronzei di importazione. Il kurgan di Kurdžips è stato datato alla fine del IV sec. a.C.
Le necropoli di tombe a fossa delle locali comunità meotiche continuano a essere utilizzate fino al IV sec. d.C., tuttavia i tumuli dell'élite assumono nel tempo le caratteristiche della cultura sarmatica (ad es., Pesčanoe e i kurgan del tipo Zubovsko-Vozdviženskoe).
Bibliografia
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di Vladimir R. Erlich
Uno dei più celebri kurgan delle steppe scitiche; situato nei pressi della città di Ordžonikidze (distretto di Dnepropetrovsk, Ucraina), è stato scavato nel 1971 da B.N. Mozolevskij.
Il tumulo, alto 8,6 m e con un diametro di 60 m, era cinto da un fossato che conservava resti di un banchetto rituale e sovrastava due sepolcri. Quello centrale era racchiuso da un circolo di pietre ed era affiancato da due tombe contenenti le salme di sette cavalli dai finimenti riccamente decorati e tre sepolture di "palafrenieri", uno dei quali munito di collana rigida d'oro e di faretra con frecce. La tomba centrale era già stata saccheggiata, tuttavia gli oggetti risparmiati dai clandestini rendono un'idea della ricchezza dei corredi, quindi dell'elevato rango dell'inumato. All'imbocco del corridoio che collegava il pozzo di ingresso con la camera funeraria giaceva lo scheletro di un "servo". Nel corridoio sono stati rinvenuti frammenti di una cintura militare rinforzata da scaglie di bronzo, una spada di ferro contenuta in un fodero con rivestimento dorato, resti di un frustino, anch'esso con guarnizioni d'oro, e un pettorale ormai celebre a forma di crescente, con diametro di 30,6 cm e peso di 1145 g.
La parte centrale è scompartita in tre registri figurati, di cui l'inferiore e il medio sono occupati da composizioni ad alto rilievo; nel registro superiore sono illustrate scene di vita quotidiana, in quello inferiore scene di lotta tra animali (grifoni alati, leoni e leopardi attaccano cavalli, cervi e cinghiali); il registro centrale è invece costituito da una placca d'oro sulla quale sono saldati motivi vegetali e geometrici e figure di uccelli. Alcuni studiosi ritengono che la figurazione tripartita di questo pettorale ‒ a buon diritto annoverato tra i capolavori della toreutica antica ‒ rispecchi la concezione cosmologica scitica. Nella camera funeraria centrale si sono conservati anche i resti di una sepoltura danneggiata, comprendenti i frammenti di una corazza di ferro, gambali di bronzo, resti di un gorytos con applicazioni di argento e oro, lance e giavellotti, rivestimenti in oro di rhytà, nonché 600 placchette d'oro che decoravano la veste del defunto, frammenti di anfore greche e ossa di animali sacrificati.
La tomba laterale, non violata dai clandestini, era situata a sud-ovest di quella centrale. Era accessibile tramite due passaggi, usati in antico per la deposizione, a distanza di tempo, di una giovane donna dell'aristocrazia e del suo bambino. Presso lo sbocco del pozzo di accesso erano i resti della bardatura dei cavalli e della decorazione del carro utilizzati nel corteo funebre: finali di bronzo (appartenenti al carro), guanciali, morsi, psalia e placchette decorative dei finimenti dei cavalli. Entrambi i passaggi di accesso alla camera erano ostruiti dai resti del carro funebre, che aveva ruote di legno con rinforzi di ferro. I defunti erano accompagnati da quattro servi: il "conducente", la "cuoca", la "guardia del corpo" e una giovane ancella, per la quale era stato scavato un apposito vano sepolcrale.
Nella camera funeraria principale è stata rinvenuta una nicchia contenente una pentola e una padella, due coltelli di ferro e le ossa di un animale sacrificato. Al centro della camera era adagiata la defunta, con copricapo ornato da lamine d'oro, veste impreziosita da placchette d'oro cucite, collana rigida d'oro, bracciali e dieci anelli. Vasellame di vetro, di ceramica a vernice nera e d'argento e un completo di oggetti da toletta (uno specchio, uno spillone, del rossetto per guance e del belletto) erano posti accanto alla salma. Presso la salma del bambino, adorno di una collana d'oro, bracciali e anelli e con veste fittamente decorata da placchette d'oro, era un corredo di vasi d'argento: un calice, una kylix e un rhytòn.
Sebbene T.M. non appartenga al novero dei tumuli più imponenti della Scizia steppica, la ricchezza dei corredi ha indotto gli studiosi a ipotizzare che questa tomba ospitasse le inumazioni se non di esponenti della dinastia, quanto meno di membri della famiglia regale. Dall'analisi dei manufatti d'importazione inclusi nei corredi, la sua datazione può essere fissata al terzo quarto del IV sec. a.C.
Bibliografia
B.N. Mozolevskij, Tovsta mogila, Kiiv 1979; B. Piotrovskij - L. Galanina - N. Grach, Skythian Art, Leningrad 1986; E.D. Reeder (ed.), Scythian Gold. Treasures from Ancient Ukraine, New York 1999; V.Ju. Murzin (ed.), Velikaja Skifija [La Grande Scizia], Kiev - Zaporož´e 2002.
di Sergej P. Nesterov
L'origine dei Turchi, quale è ricostruibile dalle leggende etnogenetiche autoctone, può essere suddivisa in due fasi: la prima anteriore alla metà del V sec. d.C., quando le tribù dell'Altai superiore (od. Gornyj Altaj, in Russia) e mongole diedero vita a una confederazione, denominata Türk ("forte", "solido"), a capo della quale si pose Nadulu-shad; la seconda con inizio intorno alla metà del V secolo, quando i Ruan Ruan trasferirono da Gaochang al Sud dell'Altai "500 famiglie" della stirpe Ashina, capeggiate da Asian-shad che, dopo la fusione con la confederazione dei Türk, ne assunse addirittura il comando nonché la denominazione. Si colloca in questa fase il processo formativo degli antichi Turchi che, nella metà del VI secolo, soggiogate le tribù Tele, annientarono i Ruan Ruan e fondarono il primo kaghanato (554-630). In meno di un ventennio questo raggiunse un'estensione vastissima, dalle montagne del Gran Khingan al Volga. Vi rientrava anche la Siberia meridionale, in particolare la Tuva (la cui popolazione era in parte costituita da Turchi di origine altaica) e, sebbene in misura minore, la conca di Minusinsk.
Le testimonianze archeologiche più significative degli antichi Turchi (VI-X sec.) nella Siberia meridionale sono le sepolture a inumazione con cavallo, i recinti commemorativi, con o senza sculture di pietra, e le raffigurazioni rupestri di capridi e cavalieri; fonti altrettanto importanti sono le iscrizioni rupestri in alfabeto runico. Sepolture singole di cavaliere con il proprio cavallo sono attestate in un territorio assai ampio (Altai, Tuva, conca di Minusinsk, Mongolia, Pamir, Tian Shan, Kazakhstan e Uzbekistan). Tutti questi materiali sono ricondotti alla cosiddetta "cultura di Kuraj"(V/VI - IX/X sec. d.C.), articolata in diverse fasi, ciascuna delle quali prende il nome dal sito più significativo: Berel (V-VI sec.), Kudyrge (VI-VII sec.), Katanda (VII-VIII sec.), Tuekta (VIII-IX sec.). Un importante elemento di classificazione tipologica è stato individuato nella modalità di deposizione del cavallo: inumazione dell'intero animale; deposizione della testa, delle zampe e della pelle; deposizione della sola bardatura (morsi, staffe, sella). La sepoltura del defunto con il proprio cavallo, tratto peculiare degli antichi Turchi, riflette credenze escatologiche che a questo animale assegnano un ruolo di psicopompo. Allo stesso modo è da interpretare l'inumazione, in alcuni casi, di sostituti del cavallo, quali il cammello e il montone.
Nell'Altai russo è databile a quest'epoca parte dei tumuli delle necropoli di Kudyrge, Katanda II (Kurgan 1), Kurota I (Kurgan 1), Tuekta (Kurgan 7). Nella Tuva i primi esempi (fine del V - metà del VI sec.) sono le sepolture praticate nel più antico kurgan di Ulug Chorum. L'orientamento del defunto e dell'animale a est è un tratto comune alle tombe delle necropoli altaiche di Ust´-Edigan, Belyj Dom II e Bulan-Koby IV. Nelle sepolture della Tuva sono state rinvenute staffe (ovali con decorazione impressa a triangoli) che, pur tipologicamente affini a quelle provenienti da Kudyrge, trovano confronti in siti del Koguryo (Corea). Elementi tipici dei corredi, in queste sepolture, sono le cinture con piccole placche lavorate a giorno, terminazioni di briglie di forma allungata, orecchini a goccia, lunghe applicazioni terminali di arco composito, fibbie per sottopancia circolari, applicazioni decorate per l'arco anteriore delle selle e staffe di ferro.
Nella Siberia meridionale le sepolture turche dell'epoca del secondo kaghanato si distinguono per una serie di innovazioni nella cultura materiale: tra queste, gli orecchini del tipo Saltovskaja, psalia di ferro a S con grappa, placche per cintura lisce, di forme geometriche semplici e, nelle sepolture femminili con cavallo, il pettine (d'osso, d'avorio o di legno) accompagnato da uno specchio di bronzo. Questa fase è testimoniata in diverse necropoli dell'Altai (Katanda II, Uzuntal, e Borotal) e della Tuva (Aržan II, Kokel´, Mongun Tajga, Argalykty). Nelle tombe appartenenti alla fase di Katanda è frequente l'orientamento del defunto e del cavallo a nord.
Con la fine del secondo kaghanato turco, nel 745, l'area del Sayan-Altai cadde sotto il dominio uighuro. I reciproci influssi tra Turchi e Uighuri si riflettono nella cultura materiale del periodo compreso tra l'VIII e il IX secolo. A partire dagli anni Quaranta del IX secolo si manifesta l'influsso dei Kirghizi, giunti in questa regione dai territori a nord del Sayan. In questa fase nel rito dell'inumazione con cavallo emerge una serie di varianti locali: le sepolture sono praticate in tombe a fossa ricoperte da tumuli di pietra; il defunto, accompagnato da un cavallo (più di rado 2-4), giace in posizione supina. Le oscillazioni nell'orientamento riflettono probabilmente diverse concezioni escatologiche, ma potrebbero avere anche carattere stagionale, registrando le variazioni del percorso del sole, o dipendere dalle locali condizioni topografiche. I cavalli erano deposti a destra o a sinistra del defunto, su un piano rialzato e separato da un tramezzo di pietra, pali, tavole lignee o terra. Questa fase è testimoniata da kurgan di diverse necropoli nell'Altai superiore (Tuekta, Ulandryk I, Uzuntal, Jakonur, Kal´džin 8, ecc.), nella Tuva occidentale e meridionale (Sagly-Baži V, Mongun-Tajga, Argalykty, Kokel´, ecc.) e nella Tuva centrale (Ajmyrlyg I-XXI-3, Dag-Arazy II, Dyttyg-Čaryk-Aksy). Nell'Altai compaiono, inoltre, tombe a fossa con nicchia laterale sul fondo (Kal´džin 8, Kurgan 1).
Tra i reperti che meglio connotano la cultura materiale di questo periodo figurano le piccole brocche di argento e di ottone, i calderoni di ferro assemblati con chiodi, specchi, pendagli metallici a forma di lira con motivo traforato a cuore, placche per cintura a forma di "portale", placche a forma di rosetta a quattro petali, punte di freccia a tre alette e più di frequente con peduncolo, asce con spalla molto pronunciata, piccole asce da combattimento, staffe a forma di 8 con occhiello schiacciato, morsi con entrambe le terminazioni ad anello e con psalia a S con "stivaletto", grandi fibbie sottopancia. Sono molto diffusi, nella decorazione dei manufatti, motivi a cuore, ad ali o a staffa. Alla fine di questo periodo compaiono placche circolari con decorazione traforata e sempre più di frequente gli elementi di cintura sono realizzati in ferro; alle tipiche punte di freccia antico turche a tre alette si affiancano ora esemplari piatti o tetraedri e morsi tortili a uno o due anelli con psalia di forma circolare.
Cenotafi turchi sono documentati in diverse necropoli dell'Altai. I più antichi (Katanda, Kurgan 8; Kudyrge, Kurgan 22; Uzuntal I, Kurgan 1) risalgono al VI-VII secolo, tutti gli altri si datano tra l'VIII e il X secolo. Consistono di una tomba a fossa con tumulo di pietre, a volte scavata all'interno di un tumulo più antico. In essa era deposto un cavallo bardato, mentre nel settore destinato a ospitare il defunto erano collocati oggetti a lui appartenuti. Alcuni cenotafi contenevano un sarcofago di legno, una camera funeraria o una cassa di pietra (Borotal I, Kurgan 50), altri un fantoccio abbigliato con le vesti del defunto (Mongun-Tajga 57-IV, 58-V), mentre è rara la presenza, insieme con il cavallo, di un servo del defunto (Borotal I, Kurgan 51).
In base al loro aspetto esteriore i recinti commemorativi si suddividono in due gruppi, rispettivamente assegnati all'aristocrazia e alle classi inferiori. I primi, in numero più esiguo, si concentrano soprattutto in Mongolia, cuore del kaghanato, in particolare nell'altopiano del Hangar; recinti delimitati da un basso muro e da un fossato, con sculture di pietra lavorate in stile realistico, sono documentati nell'Altai (sui fiumi Ajut, Džumaly, Džazator, Buguzun, Akstru, nella valle del Koksu e presso il villaggio di Ulagan) e nella Tuva (Kyzyl-Mažalyk, Saryg-Bulun, ecc.). I recinti del secondo gruppo hanno pianta quadrata e sono realizzati con lastre di pietra poste verticalmente, con stele antropomorfa o scultura sul lato orientale, dal quale si diparte una fila di balbal (pietre aniconiche). In base alla loro disposizione e ad altre caratteristiche esteriori, i recinti sinora indagati sono stati suddivisi in cinque tipi: Kudyrge, recinti collettivi contigui tra loro (V-VI sec.); Ajut, corrispondente al tipo altaico sopra descritto (VII-VIII sec.); Justyd, recinti isolati formati da quattro lastre di pietra con resti di palo di legno al centro e vasellame rituale (VIII-IX sec.); Ulandryk, con stele o rialzo nella parte centrale; Jakonur, recinti affiancati con stele antropomorfe o sculture (IX-X sec.).
Imprescindibili nei complessi funerari turchi sono le sculture poste sul lato orientale dei recinti, raffiguranti un personaggio maschile con viso largo dai tratti mongoloidi, occhi obliqui, baffi e barba, abbigliato con caftano a risvolti aperti sul petto. In alcuni casi la figura è adorna di orecchini, collana rigida con pendente, cintura decorata da placche di forme diverse, dalla quale pendono un pugnale, una spada, una borsa e altri attributi. In quasi tutti gli esemplari la mano destra è portata al petto con un vaso potorio, mentre la sinistra poggia sull'impugnatura dell'arma o è portata alla cintura; in alcuni casi la coppa è tenuta con entrambe le mani. Durante il primo kaghanato le sculture mostrano armi tipiche del VI-VII secolo, ma non le cinture decorate da placche, del resto non attestate nelle sepolture coeve. Raffigurazioni scultoree simili sono documentate a Mugur-Sargol, dal fiume Chenderge, a Mungu-Chairchan-Uly e in altre necropoli.
All'epoca del secondo kaghanato turco e dei kaghanati uighuro e kirghizo risale la maggior parte delle sculture turche note nell'area del Sayan-Altai, contraddistinte dalle cinture con placche e piccole cinghie aggiuntive, pendagli a forma di lira, orecchini del tipo Saltovskaja, spada a doppio taglio e coppe su piede, e le figure che tengono la coppa con entrambe le mani; in esse, l'assenza di armi dipende da un fattore sociale piuttosto che cronologico, essendo il personaggio raffigurato un funzionario. Nel complesso, le sculture più antiche (alcune forse di epoca preturca) sono quelle concepite per una visione frontale, in cui della figura si rappresenta soltanto il volto, privo di barba, baffi e orecchie, documentate nell'Altai (valli dei fiumi Ursul, Katun´, Baškaus, Čulyšman e Barburgazy). Nell'VIII-X secolo la figura è invece intera e a tutto tondo. I più tardi esemplari altaici mostrano una fattura rozza.
I recinti commemorativi svolgevano un ruolo importante nel rituale funerario. Secondo la concezione sciamanica, l'anima del defunto vaga per un certo periodo sulla terra (secondo alcune tradizioni, a cavallo) prima di raggiungere l'oltretomba. I parenti allestivano dunque, vicino ai recinti, banchetti in sua memoria e offerte di cibo. Quando si riteneva che l'anima avesse definitivamente abbandonato il mondo dei vivi, il recinto veniva distrutto o dato alle fiamme, o ancora, come in alcuni sembra probabile, riempito di pietre; un analogo significato simbolico è attribuibile al trattamento delle sculture antropomorfe (decapitazione o seppellimento o, in alcuni casi, capovolgimento e rilavorazione, come, ad es., a Bulga-Hangay, in Mongolia). Il numero complessivo dei recinti funerari, superiore a quello delle sepolture con cavallo, fa ritenere che essi fossero nella maggior parte dei casi destinati al culto di diverse divinità e degli antenati divinizzati. Nell'Altai si conoscono circa 40 grandi santuari antico-turchi, comprendenti centinaia di recinti, in ciascuno dei quali sono presenti da 2 a 17 sculture di pietra.
Le raffigurazioni di capridi, dette di Čuruktug-Kyrlan, prendono il nome dalla località della Tuva in cui ebbe luogo il primo rinvenimento. La loro forma classica è rappresentata dai tamgha (monogrammi) sulle stele dei kaghan turchi dell'Orkhon. Disegni schematici di capridi sono attestati in alcune sculture tuvine, sul fondo di una coppa di argento su piede da un recinto presso il fiume Justyd, su una delle lastre del recinto di Makažan e in numerose incisioni rupestri nell'Altai, nella Tuva, in Mongolia e, in misura minore, nella conca di Minusinsk. Gli studiosi attribuiscono questi disegni essenzialmente all'epoca del secondo kaghanato turco, interpretandoli come un segno di appartenenza politica ed etnica; la capra sarebbe infatti l'animale totemico cui la confederazione dei Turchi faceva risalire le proprie origini. Nelle leggende antico-turche, tuttavia, un ruolo affine era svolto dal lupo (totem di rinascita della stirpe Ashina, in memoria della lupa progenitrice di Gaochang); la figura di una lupa che sovrasta quella di un uomo compare sulla sommità della stele di Bugut (Mongolia). Tale dualismo totemico presso i Turchi è da porre in relazione alle modalità di formazione del loro potentato. Dopo la caduta del secondo kaghanato (745), l'ultima notizia dei Turchi che abitavano l'Asia Centrale è quella del viaggiatore Hui Chao (953); dopo questa data non se ne avrà più menzione nelle cronache cinesi.
Bibliografia
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di Ciro Lo Muzio
La regione attraversata dal medio corso dello Enisej (Siberia meridionale), dove tra il VII sec. a.C. e il V sec. d.C. si erano susseguite le culture di Tagar, Tesin e Taštyk, entrò a far parte, già nella seconda metà del VI sec. d.C., del dominio turco. Probabilmente i Turchi si limitarono a imporre, come altrove, una sovranità nominale, ma esercitarono un influsso tangibile nella sfera militare e ideologica, che agì da efficace stimolo alla nascita e all'ascesa del primo potentato kirghizo. Alle vicende storiche del medio Enisej tra il VI e il IX sec. d.C., documentate nelle fonti cinesi d'epoca Tang, è stato dato riscontro archeologico, sebbene parziale, dalla "cultura dei čaatas", dal nome dei monumenti funerari che le sono più tipici.
Individuata da A.V. Adrianov già negli anni Ottanta del XIX secolo e ulteriormente indagata nel corso del Novecento da M.M. Gerasimov, S.V. Kiselev, L.A. Evtjuchova, V.P Levaševa e altri archeologi, questa cultura è stata suddivisa in due fasi: la prima (fase di Kojbal, VI-VII sec.) coincide con la formazione della potente élite militare kirghiza, la seconda (fase di Kopeny, VIII-IX sec.) alla sua espansione territoriale verso sud ed est (Kazakhstan orientale, Altai, Tuva, Bajkal). Anche durante questi secoli la conca di Minusinsk dimostra di avere solide basi in un'agricoltura piuttosto evoluta, oltre che nell'allevamento, nell'artigianato e, soprattutto, nello sfruttamento delle sue ricche risorse minerarie. Le indagini archeologiche, tuttavia, hanno di gran lunga privilegiato le testimonianze funerarie, nella fattispecie i čaatas. Questo termine ("pietre della guerra") ha nella lingua locale (khakassa) un significato affine a quello di kurgan; designa infatti monumenti funerari caratterizzati da un tumulo di pietre che, tuttavia, in quest'area e nell'epoca in questione si presentano in forme peculiari.
Disposti in allineamenti con orientamento sud-est/nord-ovest, i čaatas sono una sorta di mausolei di pianta quadrata o esagonale costruiti con lastre di pietra e circondati da 8-12 menhir (non di rado stele di epoca anche molto più antica) posti a distanze regolari. Quelli collocati sul lato orientale o sud-orientale (ove è situato l'accesso al mausoleo) recano incisi monogrammi (tamgha), disegni o epigrafi turche redatte nella variante locale (Enisej) della scrittura runica. La tomba propriamente detta era una fossa quadrata o rettangolare, al cui interno erano deposte le ceneri del defunto, spesso in un'urna, accompagnate da un corredo composto per lo più da vasellame e da offerte di cibo. Altri oggetti, in genere di maggiore valore (ad es., vasellame o elementi di decorazioni di bardature di bronzo), erano collocati in piccole fosse supplementari scavate solitamente in coppie a poca distanza dalla tomba e coperte da una lastra di pietra. Non è escluso, tuttavia, che anche i corredi della sepoltura principale fossero originariamente più ricchi di quanto non siano apparsi agli archeologi, poiché la maggior parte dei čaatas era già stata depredata da scavatori clandestini. Tra le necropoli meglio indagate si segnalano quelle di Kopeny, Ujbat, Tašeba, tutte della seconda fase (VIII-IX sec.).
Oltre all'aspetto formale delle strutture funerarie, sono diversi gli elementi che contraddistinguono i čaatas nel complesso delle culture archeologiche turche. In primo luogo il rituale funerario: mentre i cimiteri turchi dell'Altai e della Tuva testimoniano unicamente della pratica dell'inumazione del defunto (con il suo cavallo), nel medio Enisej è invece radicato il rito dell'incinerazione, indubbiamente parte del retaggio della cultura di Taštyk (I-V sec. d.C.). A questo proposito è significativo che le sepolture della prima fase della cultura dei čaatas si trovino nelle aree funerarie già utilizzate nel periodo di Taštyk. Caratteristico è inoltre l'omogeneo complesso ceramico che va sotto il nome di "vasi kirghizi"; rappresentato principalmente da contenitori di forma ovoide atti a contenere liquidi, questo vasellame era lavorato con il metodo "a colombina" e modellato al tornio; caratterizzato da un impasto molto depurato, presenta una decorazione a fasce, a spirali o a motivi foliati ottenuti con stampi cilindrici, spesso integrata da ornamenti puntinati anch'essi eseguiti a impressione.
I čaatas possono dunque essere considerati monumenti funerari della locale classe egemone che, per lo meno nella lingua e nei modi d'espressione dell'ideologia ‒ soprattutto l'uso di erigere stele con iscrizioni commemorative in runico ‒, doveva essere profondamente turcizzata. Appartengono, cioè, a quella aristocrazia militare che sarà artefice dell'espansione territoriale kirghiza.
Bibliografia
S.V. Kiselev, Drevnjaja istorija Južnoj Sibiri [La storia antica della Siberia meridionale], Moskva 1951 (I ed. 1949); L.R. Kyzlasov, Drevnechakasskaja kul´tura čaatas VI-IX vv. [L'antica cultura khakassa dei čaatas], in S.A. Pletneva (ed.), Stepy Evrazii v epochu srednevekov´ja, Moskva 1981; L.R. Kyzlasov - S.V. Martynov, Iz istorii proizvodstva posudy v južnoj Sibiri v VI-IX vv. [Storia della produzione ceramica nella Siberia meridionale nel VI-IX secolo], in B.A. Litvinskij (ed.), Vostočnyj Turkestan i Srednjaja Azija v sisteme kul´tur drevnego i srednevekovogo Vostoka, Moskva 1986, pp. 183-210; V.Ja. Butanaev - Ju.S. Chudjakov, Istorija enisejskich kyrgyzov [Storia dei Kirghizi dello Enisej], Abakan 2001; C. Lo Muzio, Una scena di caccia dalla necropoli di Kopeny (Minusinsk), in M.V. Fontana - B. Genito (edd.), Studi in onore di Umberto Scerrato per il suo settantacinquesimo compleanno, Napoli 2003, pp. 519-38.
di Sergej P. Nesterov
Necropoli nella parte orientale dell'Altai montano (Siberia meridionale, Federazione Russa), sulla riva destra del fiume Čulyšman, 13 km a valle del punto in cui esso sfocia nel lago Teleckoe.
Tumuli e recinti funerari si distribuiscono ai piedi del monte Karaly-Jaryk su un'area di circa 1000 × 100-250 m, su dieci elevazioni naturali, disposte in una catena con orientamento nord-sud. La necropoli fu scoperta da A.N. Gluchov nel 1924; le indagini iniziarono nel medesimo anno sotto la guida dello stesso Gluchov e di S.I. Rudenko e proseguirono, a diverse riprese, fino agli anni Ottanta del Novecento. Dei 163 monumenti individuati nella necropoli ne sono stati sinora scavati 67. Parte dei tumuli funerari e dei recinti rituali risale all'epoca antico-turca (VI-VII sec.; "fase di K."); le sepolture più tarde sono invece d'epoca mongola (XIII-XIV sec.; "fase di Časovennaja Gora").
Le sepolture tipiche di K. sono tombe a fossa della profondità di 60-160 cm, coperte da tumuli di pietre di pianta ovale o, più di rado, rettangolare, la cui altezza non superava quella del circolo di pietre che ne delimitava il perimetro (20-40 cm). Alcuni defunti erano accompagnati da un cavallo (giacente alla sua sinistra, in due casi su un piano rialzato) o dalla sola bardatura, mentre quattro tombe contenevano soltanto il cavallo. La maggior parte degli inumati giaceva in posizione supina, con la testa rivolta a sud. Nel Kurgan 15 si è conservato un sarcofago di pino. Oltre a resti di offerte alimentari (carne di montone), il corredo funebre comprendeva armi, bardature, oggetti d'uso quotidiano, resti di vesti in tessuto di seta, ornamenti personali, resti di cinture e placchette di bronzo per cintura. Sotto il profilo iconografico sono degne di nota le decorazioni di osso di un arco di sella dal Kurgan 9, raffiguranti due tigri in posa araldica e due scene di caccia ad animali di specie diverse (orsi, caprioli, mufloni) e, su un piccolo masso nel Kurgan 16, la rappresentazione di un personaggio maschile e di una scena in cui alcuni cavalieri si genuflettono dinanzi a una figura femminile seduta, accompagnata da un bambino.
Gran parte della necropoli è costituita da recinti funerari antico-turchi di due diversi ordini dimensionali (ca. 2 × 2 m e ca. 4 × 4 m), isolati o disposti in file di 2/5 e realizzati con lastre di pietra verticali o con grosse pietre. La superficie interna era riempita di pietre disposte in uno o due strati, con ciottoli di quarzite bianca a colmare gli interstizi. Sotto il riempimento di pietre, al centro del recinto, erano piccole ciste a lastre di pietra o fosse contenenti parte del tronco di un albero. In alcuni casi presso uno dei lati del recinto, all'esterno, erano collocate due pietre a segnalare l'ingresso; in due casi si tratta di pietre aniconiche (balbal). I reperti recuperati all'interno dei recinti comprendono elementi di armi e di bardature, fibbie e placche di cintura bronzee, piccoli vaghi di vetro, fuseruole d'osso.
I materiali delle sepolture della fase di K. ‒ rispetto ai quali quelli della successiva fase Časovennaja Gora si discostano per molti versi ‒ costituiscono un'importante fonte documentaria per la storia degli antichi Turchi altaici e trovano notevoli affinità nelle sepolture danubiane di epoca avara.
Bibliografia
S.I. Rudenko - A.N. Gluchov, Mogil´nik Kudyrge na Altae [La necropoli di Kudyrge sull'Altai], in Materialy po etnografii, 3, Leningrad 1927, pp. 37-52; A.A. Gavrilova, Mogil´nik Kudyrge kak istočnik po istorii altaijskich plemen [La necropoli di Kudyrge quale fonte storica sulle tribù altaiche], Moskva - Leningrad 1965; R. Kenk, Früh- und hochmittelalterliche Gräber von Kudyrge im Altai. Nach der Arbeit von A.A. Gavrilova, München 1982; S.P. Nesterov - K.I. Miljutin, Srednevekovye pamjatniki pod goroj Karali-Jaryk [Monumenti medievali ai piedi del Karali-Jarik], in Voennoe delo i srednevekovaja archeologija Central´noj Azii, Kemerovo 1995, pp. 156-77.
di Svetlana A. Pletnëva
Per diversi millenni le steppe dell'Europa orientale sono state abitate da popolazioni nomadi, fino ai primi secoli della nostra era appartenenti prevalentemente al ceppo iranico e caratterizzate da tradizioni culturali ben definite.
A partire dalla metà del IV sec. d.C. fecero la loro comparsa in Europa nuovi invasori, tra cui gli Unni, che riunirono sotto di sé diverse tribù prevalentemente turcofone. Conquistati i pascoli dei bacini del Don e del Dnepr, essi avanzarono verso occidente, occupando la fascia stepposa fino alla Pannonia. Agli inizi del V secolo nacque il potentato unno che, dopo la morte del suo capo, Attila, si frammentò su base etnica e politica in diversi gruppi, i cui nomi si sono conservati nelle fonti altomedievali: Saviri, Barsili, Khazari, Bulgari, Kutiguri, Utiguri e altri. Tra il VI e gli inizi del VII secolo, molti di loro entrarono a far parte del kaghanato dei Turchi occidentali.
Nella metà del VII secolo conflitti interni causarono la dissoluzione del potentato turco, dalle cui rovine sorsero nuove formazioni sta-
tali. Una di esse, nel 635, riunì sotto l'autorità del kaghan bulgaro Kuvrat una serie di tribù di stirpe affine a quella bulgara e occupò le steppe prospicienti il Mar d'Azov e il Mar Nero e parte della Crimea. Contemporaneamente si andava formando il potentato dei Khazari nelle steppe a nord del Mar Caspio e nella parte nord-orientale del Caucaso; il loro capo, discendente dalla stirpe che aveva dominato il kaghanato turco, assunse il titolo di kaghan. Il nuovo potentato necessitava di altri territori sia da pascolo sia per lo sfruttamento agricolo; quando negli anni Quaranta dello stesso secolo, con la morte di Kuvrat, le tribù da lui riunite tornarono a disgregarsi in orde indipendenti, al governatore khazaro fu facile sottometterle e impossessarsi dei loro accampamenti. Solo l'orda del khan Asparukh si sottrasse al dominio khazaro e migrò nel bacino del Danubio.
I Khazari proseguirono la loro avanzata nelle steppe del Don e del Dnepr, ma furono frenati dagli Arabi, con i quali entrarono in conflitto alla fine del VII secolo, nella regione a sud del Caucaso; nel 737 i Khazari furono definitivamente sconfitti e costretti a cedere ai loro avversari i territori del Caspio. Il centro del loro potentato si trasferì nelle steppe del Don; sul basso Volga fu fondata la città di Itil, sede del kaghan. Nella metà del IX secolo il regno di Khazaria aveva ormai ottenuto il riconoscimento delle grandi potenze dell'epoca: Bisanzio e il califfato. La sua popolazione era costituita prevalentemente da Bulgari nella regione delle steppe, da Alani nella fascia delle steppe-foreste; i Khazari rappresentavano l'élite politica e militare. Gran parte della popolazione passò dal nomadismo all'agricoltura e all'allevamento transumante. Gli archeologi hanno individuato centinaia di insediamenti minori e decine di centri urbani nell'area delle steppe. Nel regno khazaro fiorivano l'artigianato e i commerci ed era utilizzato un alfabeto runico (turco).
Alla fine del IX secolo i Khazari si scontrarono per la prima volta con le orde dei Peceneghi provenienti dalle steppe a est del Volga. La distruzione di numerosi insediamenti e centri artigianali e l'occupazione di pascoli e terre coltivate segnarono profondamente l'economia del kaghanato, la cui distruzione fu portata a compimento nel 965 dal principe russo Svjatoslav. I territori khazari si ridussero alle steppe calmucche e al basso Volga, mentre nella regione stepposa tra il Volga e il Dnestr i Peceneghi dominavano incontrastati. Per tutto il X secolo le armate peceneghe compirono incursioni nella Rus´, in Bulgaria, in Ungheria e a Bisanzio, fin quando furono fermate dai Russi, agli inizi del secolo successivo. Ormai indifese, le orde ripararono nelle steppe a nord del Mar Nero e nelle terre ai margini dei regni di Bisanzio e di Ungheria dove, in stato di vassallaggio, prestarono i loro servigi in cambio della possibilità di sfruttare i terreni da pascolo. I gruppi rimasti sul litorale del Mar Nero chiesero al principe di Kiev il diritto di utilizzare, seppure in condizioni di vassallaggio, i pascoli ai confini meridionali della Rus´, dove, intorno alla metà del XII secolo, costituirono la potente confederazione dei "cappelli neri", che tuttavia riconosceva la sovranità di Kiev.
Un ruolo più incisivo nella storia medievale fu svolto, tuttavia, dagli Oghuz (gli Uzi delle fonti greche e latine, i Torki delle fonti russe). Nel X secolo questi si erano impadroniti delle steppe tra l'Aral e il Volga, scacciandone i Peceneghi; nella prima metà dell'XI migrarono verso sud-ovest, gettando le basi dell'impero selgiuchide. Una parte degli Oghuz si diresse verso nord-ovest, nella regione tra il Volga e il Dnepr. I principi di Kiev ebbero ragione senza difficoltà dei nuovi invasori, i quali stabilirono le loro sedi, insieme ai Peceneghi, nelle terre di confine della Rus´, cedendo i loro territori d'origine ai Kipchak e divenendo anch'essi vassalli dei principi russi. Agli inizi dell'XI secolo, tribù di Kipchak (i Polovci delle fonti russe, i Comani delle fonti europee) avevano occupato le steppe del Volga, spingendosi poi, intorno alla metà del secolo, fino ai confini della Rus´. Nella seconda metà dell'XI secolo, stando alle fonti russe, le incursioni dei Polovzi si ripetevano quasi annualmente e non di rado si spingevano fino ai regni a occidente della Rus´. Nel XII secolo questa etnia diede vita a unioni tribali, alcune delle quali si consolidarono fino ad assumere una fisionomia protostatale, quali quelle del Dnepr, del Lukomore, del Don e altre minori. Le nuove condizioni di stabilità nella regione delle steppe favorirono la nascita di insediamenti, circondati da necropoli a kurgan e santuari dedicati al culto degli antenati, all'interno dei quali erano collocate stele raffiguranti guerrieri armati e personaggi femminili riccamente abbigliati e ingioiellati. Inoltre, il potenziale militare dei Polovzi era ormai equivalente a quello della Rus´.
Alla fine del XII secolo, tuttavia, gli attacchi russi nel cuore delle steppe si intensificarono, mentre le incursioni dei Polovzi quasi cessarono. I capi polovzi accettarono di buon grado di stringere accordi di pace, alleanze e unioni matrimoniali con i principi russi. L'invasione mongola rimise nuovamente in discussione gli equilibri in questa regione, costringendo i Polovzi a riparare in Russia, Ungheria e Bulgaria. Solo alcuni dei capi tentarono di resistere ai Mongoli, ma furono annientati, così come quasi l'intera aristocrazia polovza. Una parte dei Polovzi fu deportata a Karakorum, in Mongolia, altri furono insediati nella Bulgaria del Volga, altri ancora venduti come schiavi all'Egitto; una percentuale non esigua di essi, tuttavia, rimase nelle steppe dell'Europa orientale e costituì la parte più consistente della popolazione dell'Orda d'Oro.
Bibliografia
V.G. Vasil´evskij, Vizantija i Pečenegi [Bisanzio e i Peceneghi], in Trudy V.G. Vasil´evskago, I, Sankt Petersburg 1908; D.A. Rasovskij, O roli černych klobukov v istorii Drevnej Rusi [Il ruolo dei "cappelli neri" nella storia dell'antica Rus´], in Seminarium Kondakovianum, 1 (1927), pp. 93-109; Id., Pečenegi, Torki i Berendei na Rusi i v Ugri [Peceneghi, Torki e Berendei in Russia e in Ungheria], ibid., 6 (1933), pp. 1-66; V.A. Gordlevskij, Izbrannye sočinenija [Opere scelte], Moskva 1960; M.I. Artamonov, Istorija Chazar [Storia dei Khazari], Leningrad 1962; S.A. Pletnëva, Polovcy [I Polovzi], Moskva 1990; S.A. Pletnëva, Očerki chazarskoj archeologii [Studi di archeologia khazara], Moskva - Ierusalim 2000.