L'archeologia del Vicino Oriente antico. La Mesopotamia
Mesopotamia ("terra in mezzo a due fiumi") è il nome storicamente attribuito alla regione delimitata dall'Eufrate a ovest e dal Tigri a est, per la maggior parte inclusa nell'odierno Iraq, ma comprendente anche la Gezira siriana e la Turchia sud-orientale; tuttavia, in un'accezione meno ristretta, con la denominazione di Grande Mesopotamia si indica generalmente, oltre al bacino dei due principali fiumi, anche quello dei loro affluenti. La distinzione tra Alta e Bassa Mesopotamia è tanto di carattere geografico che culturale: la prima, l'antica Assiria, abbraccia l'alto e medio corso del Tigri all'incirca fino all'altezza di Baghdad ed è caratterizzata da modesti rilievi; la seconda, corrispondente alla Babilonia, è costituita da una vasta pianura di origine alluvionale, un tempo con estese zone acquitrinose. *
di Francesca Baffi
Periodo protourbano - Il processo di mutamento dell'organizzazione sociale, iniziato e portato avanti nella fase Ubaid, matura e si conclude al Sud con la nascita della città: in un periodo calcolato di circa cinquecento anni, tra il 3500 e il 3000 a.C., si passa dalla struttura del villaggio a quella cittadina, con la comparsa, nella parte finale, dei primi documenti scritti; questa importante fase si denomina "protourbana". Di contro, al Nord, i livelli IX e VIII di Tepe Gawra documentano una realtà locale che è ancora quella legata a un piccolo centro che conserva la tradizione della casa rotonda (liv. IXa), mentre il tempio del livello VIIIc ha l'articolazione dei muri esterni in aggetti e nicchie ma, pur se tripartito, presenta l'anomalia dell'entrata assiale. Dunque in Alta Mesopotamia mancano le grandi città, che sono una realtà al Sud, e permane l'uso del sigillo a stampo, pur essendo già comparso quello cilindrico, creazione della cultura Uruk; si hanno, non di meno, chiare prove della irradiazione della cultura Uruk in centri quali Tell Brak, Habuba Kabira/Tell Qannas, Gebel Aruda (gli ultimi due sono nuovi insediamenti mentre Tell Brak era già stato abitato); in questi siti sono stati riportati alla luce elementi di indubbia omogeneità con quelli delle città di Sumer: l'impiego dei mattoni Riemchen, la costruzione dei templi tripartiti, nonché l'uso di una ceramica che ha corrispondenza con quella di Uruk; il tutto rimanda a una realtà coloniale.
La ceramica, rispetto a quella del periodo precedente, mostra una minore attenzione all'aspetto decorativo; la pittura, come anche l'incisione, è limitata a semplici fasce. La lavorazione prevede sempre l'uso del tornio che, rispetto alla ruota fatta girare a mano dal vasaio impiegata nel tardo periodo Ubaid, determina un incremento della produzione di massa, ottenuta in poco tempo. Le forme sono in parte ereditate dal tardo Ubaid e in parte innovative: in entrambi i casi diffuse sia in Mesopotamia che nelle colonie; peculiare è un tipo di coppa (bevelled rim bowl) troncoconica, piuttosto rozza, realizzata mediante uno stampo e cotta in forni rudimentali. La capillare diffusione di questa classe ceramica si spiega con la facilità con cui essa veniva prodotta e con l'ampiezza degli ambiti di utilizzazione (privato, pubblico, amministrativo) forse per determinare razioni alimentari. Questa classe morfologica convive con altre locali, percentualmente più presenti in centri quali Tell Leilan e Tell Hamuqar dove le influenze mesopotamiche meridionali sono scarse. Alla fine del IV millennio a.C., le colonie vengono abbandonate, ma non distrutte, e scompare in Alta Mesopotamia la ceramica Uruk, in relazione con il crollo della società tardo-Uruk avvenuta anche in Sumer, dove subentra il periodo detto "di Gemdet Nasr", che nell'arco di circa cento anni segna una fase di flessione culturale.
Periodo protodinastico - I fenomeni caratterizzanti il Protourbano hanno il loro naturale sviluppo nel successivo periodo protodinastico; è ancora la terra di Sumer, in Bassa Mesopotamia, ad avere il ruolo egemone culturalmente e politicamente con città che, all'interno di sistemi difensivi, ospitano edifici laici a carattere centrale, sedi del potere non più svolto solo dal tempio bensì anche dal palazzo. Il Protodinastico viene comunemente suddiviso in tre sottoperiodi: Protodinastico I (ca. 2900-2750 a.C.), Protodinastico II (ca. 2750-2600 a.C.), Protodinastico III (2600-2350 a.C.); le due ultime fasi sono documentate sulla base di ritrovamenti archeologici ed epigrafici. In Alta Mesopotamia i centri che offrono documentazione sono Tepe Gawra, Ninive, Tell Taya, Assur; in essi mancano gli esempi di architettura palatina che al Sud evidenziano il nuovo tipo di organizzazione politico-amministrativa laica. Ad Assur, nei livelli H e G, il tempio dedicato alla dea Ishtar mostra una pianta con asse a gomito che si manterrà fino al periodo medioassiro, con banconi di muratura, per ospitare le statue votive, che corrono lungo le pareti della cella, mentre una postazione sopraelevata era destinata ad accogliere il simulacro della dea, realizzato in rilievo a stucco. A Tell Taya, nel Protodinastico III, mancano edifici centrali, mentre il fitto abitato documenta strutture private che per lo più presentano il modello a corte centrale con vani sui quattro lati per le case più ricche, altrimenti su tre, due o anche un solo lato.
La ceramica di Alta Mesopotamia utilizza essenzialmente prodotti di fabbriche locali e tra questi spicca, per qualità e diffusione, la cosiddetta "ninivita 5", che prende il nome dal sito, Ninive, dove fu rinvenuta per la prima volta nel livello V del tempio di Ishtar; la diffusione di questa classe ceramica ha interessato anche centri quali Chagar Bazar, Tell Biya, Tell Brak, Tell Ailun, Tell Leilan, Tell Khuera, Mari. All'interno di questa categoria sono stati individuati due tipi, inciso e dipinto, di cui si è voluta distinguere una priorità cronologica, ma in proposito la problematica non è stata del tutto risolta; per quanto riguarda la definizione dell'area di diffusione, si è constatato come la ninivita 5 abbia interessato tutta l'Assiria e l'area del Khabur, in Siria, con una densità che decresce da est verso ovest. Il rilievo ha nella statuaria votiva a tutto tondo l'elemento di maggiore innovazione; essa è presente anche in Alta Mesopotamia, realizzata in genere in pietra calcarea o gessosa.
Al di fuori della terra di Sumer è Mari il centro principale, che ospita una serie di edifici, a carattere sacro e laico, il cui complesso conferma il modello urbano con un ruolo di regalità dinastica locale; anche le manifestazioni artistiche documentate sono in linea con la più ampia produzione protodinastica. Particolarmente ben documentate la statuaria votiva e la tecnica dell'intarsio, che privilegiava l'uso della conchiglia rispetto a quello della pietra e dell'avorio, con abbondanti ritrovamenti da contesti templari. Nel settore occidentale dell'Alta Mesopotamia (Subir o Subartu) fiorivano gli insediamenti in virtù della posizione privilegiata sulla via verso i luoghi di approvvigionamento delle materie prime in Anatolia e ci si avvaleva di pratiche agricole favorite dallo sfruttamento della piovosità naturale, che non richiedevano, come nel Sud, l'impegno di un sistema di canali artificiali; qui fino a tutto il Protodinastico II la realtà locale documenta ancora solo la presenza di villaggi che non superano i 10 ha di superficie, costruiti in prossimità dei corsi d'acqua e all'interno dei quali non ci sono prove di stratificazione sociale o di organizzazione politica a livello dinastico. Con il Protodinastico III, dopo quattrocento anni d'isolamento, Sumer e Subir tornano in contatto e al Nord si avverte una trasformazione totale della vita sociale, economica e politica; nella piana del Khabur, dove prima erano solo villaggi, fioriscono tre grandi città equidistanti tra di loro: Tell Brak, Tell Mozan, Tell Leilan. In questi centri si adottano strumenti amministrativi sumerici. A nord-ovest è Tell Khuera il sito che mostra maggiormente elementi di analogia con la cultura sumerica, come l'adozione dell'uso della statuaria votiva a tutto tondo, seppur di rozza realizzazione, mentre l'architettura sacra ha già in nuce quelle che saranno le caratteristiche regionali siriane dei templi in antis.
Età di Accad - Successivamente il Nord sembra essere interessato marginalmente a quel grande processo che vedeva Accad assurgere al ruolo dominante nella gestione territoriale di tutta la Mesopotamia (2350-2180 a.C.), con importanti riflessi fino al Mediterraneo; gli edifici sacri di Tepe Gawra e Gasur documentano una tradizione prettamente locale, come anche un edificio di Urkesh/Tell Mozan, mentre la presenza del potere politico di Accad si coglie nettamente a Tell Brak, dove si amministrava, con l'introduzione del nuovo sistema accadico di volume e capacità, la produzione intensificata che veniva incanalata verso il Sud. In questo centro, sede dei governatori accadici, il palazzo-fortezza è uno dei pochi esempi dell'architettura monumentale laica del periodo.
Età neosumerica - La caduta del regno di Accad determinò una situazione che riportò al costituirsi di città-stato indipendenti (2180-2000 a.C.), con Ur che rapidamente assume il ruolo egemone sul Sumer imponendo modelli culturali che investono gli ambiti più diversi, ma senza stabilire un reale controllo su tutto il territorio. Al Nord non si assiste a un processo paragonabile e il livello E del tempio di Ishtar ad Assur, unico documento dell'epoca, segue la tradizione precedente senza innovazione alcuna. A Mari, durante la fase che vede la città governata dagli šakkanakku, si segue il corso della tradizione passata con una produzione di statuaria a tutto tondo dallo stile ieratico e di eleganza formale, che ha perso il senso di naturalezza che aveva contraddistinto gli esemplari più antichi. In Alta Mesopotamia e in particolare nel triangolo del Khabur, dove Ur in più di cento anni di regno non riesce a stabilire un reale controllo fiscale, tra il 2200 e il 1900 a.C. si assiste a un collasso dell'economia, dovuto verosimilmente a un processo di desertificazione, con conseguente abbandono dei maggiori centri fino ad allora vitali.
Periodo paleoassiro - In questa fase, all'inizio del II millennio a.C., la cultura dell'Assiria inizia a differenziarsi da quella della Babilonia, l'antica terra di Sumer. Il periodo vede anche un fiorire dell'economia di Assur, con una grande prosperità frutto dell'espansione commerciale che determina la fondazione delle colonie paleoassire di Cappadocia; alla base di questa operazione è lo scambio tra le materie prime di Anatolia e i manufatti assiri, prodotto della metallurgia e della lavorazione di tessuti. La regione assira già in epoca Ubaid aveva ospitato centri cittadini, avvalendosi di una situazione climatica favorevole a un intenso sfruttamento agricolo del terreno, principalmente per quanto riguarda il "triangolo d'Assiria", avente Ninive come centro principale, ma anche utilizzando la posizione di Assur, prospiciente il corso del Tigri e quindi particolarmente utile per un percorso commerciale che matura proprio all'inizio del II millennio a.C. Una ricca serie di iscrizioni fornisce elementi utili alla ricostruzione di una lista dinastica, con i nomi dei sovrani che si attribuiscono opere pubbliche, in fase di costruzione o di restauro. Il primo grande sovrano che svolge un ruolo incisivo dal punto di vista politico è Shamshi-Adad I (1808-1776 a.C.), un usurpatore di origine amorrea, influenzato dalla cultura babilonese, che sale sul trono di Assur e conferisce alla città e al suo territorio una dimensione di egemonia del tutto nuova. A ovest, conquista il Paese di Apum e rifonda la capitale Shekhna con il nome di Shubat Enlil; a sud conquista Mari, spodestandone il legittimo sovrano Yakhdun-Lim e sostituendolo con il figlio Iashmakh-Addu, a est fonda la città di Kattara; la sua intensa attività di re-costruttore lo porta, tra l'altro, a ricostruire il tempio del dio Assur, da lui definito di Enlil. Fuori della capitale sperimenta in Assiria modelli babilonesi nell'impianto planimetrico e nella decorazione a mattoni modanati, come nel caso del tempio di Tell er-Rimah/Kattara, o nella decorazione solamente, come invece per il tempio di Tell Leilan/Shubat Enlil, decorazione al servizio di un impianto che diventerà canonico nell'architettura sacra assira, con cella allungata preceduta da antecella di uguale larghezza ma poco profonda. L'egemonia di Assur sul territorio mesopotamico si limita in questa fase alla durata del regno di Shamshi-Adad, dato che essa viene presto insidiata dalla figura di un sovrano, anch'egli di origine amorrea, Hammurabi di Babilonia (1792-1750 a.C.) che conquista durevolmente il potere per sé e per i suoi discendenti, fondando la I Dinastia di Babilonia.
Periodo paleobabilonese - Sconosciuta e non più ricostruibile la fase paleobabilonese di Babilonia, i documenti architettonici come quelli relativi alle altre manifestazioni culturali ci sono noti da quanto riportato alla luce in vari siti. Le tematiche del rilievo maggiore e della glittica si ritrovano anche a nord, in Assiria, ma è a Mari, la città del medio Eufrate, che si osservano gli esempi più felici. La fase paleobabilonese di Mari ha restituito in ottimo stato di conservazione, al momento del rinvenimento, il Palazzo di Zimri-Lim, il sovrano legittimo sul trono nel momento della conquista, e distruzione definitiva, della città da parte di Hammurabi. A Mari sono documentati tutti i generi di manifestazioni culturali, che rivelano caratteristiche stilistiche di Mesopotamia unite a elementi di carattere antiquario siriano settentrionale, come si constata per i cicli di pitture parietali e nella statuaria a tutto tondo. Di grande importanza gli archivi epigrafici contenuti nel palazzo, sia dal punto di vista storico che da quello linguistico.
Il dominio di Babilonia determina un appiattimento culturale del resto della Mesopotamia, che non sviluppa elementi originali; tale egemonia rimane in vigore fino al 1595 a.C., allorché la I Dinastia di Babilonia, ormai indebolita da tensioni interne, viene abbattuta a seguito del saccheggio che subisce la capitale a opera degli Hittiti. Successivamente alla pur rapida e distruttiva incursione, lo scenario politico di Mesopotamia cambia considerevolmente, dato che della caduta della dinastia regnante approfittano, per emergere con ruolo dominante, élites di etnie non indigene, sia al Sud (Cassiti) che al Nord (Hurriti).
Periodo mitannico e medioassiro - L'inizio dell'età del Bronzo Tardo è stato a lungo ritenuto "oscuro", sfuggendo allo studio del periodo la documentazione relativa alla fase finale della I Dinastia di Babilonia nel XVI sec. a.C. La durata di questa "oscurità" si è ora notevolmente ridimensionata, anche se la documentazione epigrafica resta scarsa, grazie a nuovi dati archeologici che chiariscono il quadro storico; al Nord si costituisce lo Stato di Mitanni già in contemporanea al regno di Khattushili I (seconda metà del XVII sec. a.C.) e occupa tutta l'Alta Mesopotamia.
La componente maggiore del regno, percentualmente, è costituita da genti hurrite, presenti nella regione sin dalla metà del III millennio a.C., ma nell'onomastica del regno di Mitanni compaiono anche elementi indo-iranici, come anche nei termini relativi all'allevamento del cavallo e alla sua utilizzazione per il traino del carro leggero. L'arrivo, o meglio il porsi con ruolo egemone, di genti non originarie della Mesopotamia non apporta elementi di discontinuità culturale; i cambiamenti attengono unicamente alle innovazioni tecniche. Tali innovazioni comportano l'uso del cavallo per trainare il carro a due ruote, notevolmente più veloce e agevole in battaglia, così da migliorare considerevolmente la tecnica di guerra; questa novità si attribuisce all'importazione di una tradizione iranica. Sempre al mondo delle armi attiene il nuovo uso di corazze a scaglie di metallo, per l'uomo e per il cavallo; l'insieme di tali innovazioni determina un cambiamento della società, con un'élite, quella dei maryannu, che costituisce una vera e propria aristocrazia militare legata al sovrano da un vincolo di fedeltà ripagato dalla concessione di terreni agricoli. Parallelamente si sviluppa la metallurgia, che segue però linee non innovative, mentre del tutto nuova è la produzione del vetro opaco, colorato, impiegato a realizzare oggetti di lusso; anche la chimica si evolve nel realizzare tinture per tessuti con elementi di origine vegetale, animale e minerale. Quindi, durante il Bronzo Tardo il processo innovativo ha come punto di irradiazione l'Alta Mesopotamia, togliendo alla Babilonia, già terra di Sumer, quel controllo politico e culturale che aveva conservato per duemila anni; a tale cambiamento corrisponde un diverso equilibrio territoriale, con potenze indipendenti di medie dimensioni in tutta la regione vicino-orientale, Anatolia compresa.
Del regno di Mitanni si conosce il nome della capitale, Washshukanni, che non è stata individuata con sicurezza nella regione del Khabur; lo Stato si costituisce verso il 1500 a.C. e tra il 1450 e il 1350 raggiunge la sua massima estensione, avendo la sua porzione centrale nel triangolo del Khabur e dominando, a est, l'Assiria mentre, a ovest, nell'Alta Siria divide il controllo della zona con Hittiti ed Egiziani. Estendendo il suo controllo a un così ampio territorio la cultura hurrita si trova a confrontarsi con le tradizioni delle diverse regioni, rielaborandone gli elementi spesso in modo approssimativo, ma sa anche farsi tramite tra Occidente e Oriente, esportando e importando elementi propri dei differenti patrimoni culturali. Così, quanto già la Siria aveva acquisito dalla cultura egiziana entra a far parte del patrimonio figurativo mitannico prima e medioassiro poi. La mancata individuazione della capitale impedisce la conoscenza di un impianto urbano specifico e al momento è la città di Nuzi il centro che meglio documenta le caratteristiche architettoniche della fase mitannica. Il periodo è caratterizzato da una produzione più artigianale che artistica, che utilizza per la scultura anche di grandi dimensioni, nei vari centri di dominio mitannico, più spesso la terracotta e meno la pietra; l'estensione di tale dominio si segue con il rinvenimento di un particolare tipo di ceramica dipinta (detta "di Nuzi") che si caratterizza principalmente per il tipo di decorazione con rappresentazioni, per lo più vegetali stilizzate, bianche su fondo nero. La glittica utilizza principalmente tematiche ereditate dalla tradizione paleobabilonese, che viene arricchita in parte di elementi siriani affastellati sul campo figurativo senza una bilanciata utilizzazione degli spazi; tecnicamente, l'uso esasperato del trapano corrente produce un'incisione meno attenta ai particolari anatomici e una loro stilizzazione. Il gusto e lo stile mitannico sono facilmente individuabili per l'approssimazione della resa degli elementi, così che la fase mitannica si differenzia da quella successiva medioassira con grande visibilità anche in oggetti rinvenuti in contesti non chiari, come è il caso del rilievo dal pozzo del tempio del dio Assur nella città omonima.
La potenza dello Stato di Mitanni aveva limitato fortemente l'indipendenza dell'Assiria; del periodo restano iscrizioni reali che offrono una lista dei sovrani legittimi di Assur, i quali si attribuiscono anche opere di restauro dei maggiori templi cittadini, ma è evidente il loro ruolo subalterno al regno hurrita. Tale rapporto di sudditanza viene meno a partire dal regno di Assur-uballit (1363-1328 a.C.), che approfitta di un indebolimento del nemico causato dall'intervento hittita. Inizialmente il sovrano assiro recupera solo il controllo della regione immediatamente circostante la capitale Assur, ma presto allarga la sua sfera di influenza tanto da intrattenere rapporti diplomatici con le maggiori potenze dell'epoca. Rapidamente l'espansione di Assur assume una considerevole dimensione e i discendenti di Assur-uballit, pur se spesso impegnati a difendere un territorio privo di confini naturali dagli assalti di popolazioni limitrofe, raggiungono una potenza senza precedenti. Al culmine di tale potere è il regno di Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.), che arriva a conquistare Babilonia deportandone la statua del dio Marduk; a tale forte espansione corrisponde un potere economico, che si manifesta nella realizzazione di nuove opere pubbliche di grande impegno nella città di Assur e nel restauro di molte di quelle già esistenti. Tukulti-Ninurta I fonda una nuova capitale che da lui prende il nome: Kar-Tukulti-Ninurta; precedentemente suo padre Salmanassar I (1273-1244 a.C.) aveva anch'egli fondato una nuova città, Nimrud, ma senza attribuirle il primato che era rimasto ad Assur.
Il regno medioassiro è erede di una consolidata tradizione locale, arricchita da apporti mitannici e che si fa conquistare da elementi babilonesi; questo si legge nell'organizzazione dello Stato (assira), negli apporti tecnologici (mitannici), nelle influenze "colte" (babilonesi). Di tutto ciò si vedono le testimonianze nell'impianto urbano di Assur, prodotto di situazioni maturate anche in tempi diversi, o in quello di Kar-Tukulti-Ninurta, città fondata ex novo e la cui struttura risente del fascino subito da parte del suo fondatore alla vista di Babilonia. Anche gli edifici pubblici, e in particolare quelli sacri, risentono di tali influenze; così, il tempio della dea Ishtar viene ricostruito secondo la tradizione che voleva un'entrata con asse a gomito, tradizione che risale al Protodinastico; nella nuova capitale si sperimentano modelli babilonesi già noti a Tell er-Rimah/Kattara. Ma sia nell'antica che nella nuova capitale sono presenti edifici sacri costruiti secondo quella planimetria che diventerà canonica in età neoassira, con cella allungata preceduta da antecella larga, e che aveva avuto il suo prototipo nel tempio di Sin e Shamash ad Assur, della fine del XVI sec. a.C. Di particolare interesse, e ben documentate, le tombe di Assur con camera ipogea foderata di mattoni e con deposizioni che in alcuni casi hanno restituito corredi particolarmente ricchi.
La cultura figurativa è ben rappresentata, per qualità se non per quantità, da manufatti realizzati in materiali diversi: la scultura in pietra mostra un'evoluzione interna che porta alla realizzazione di opere che inizialmente risentono molto dell'influenza mitannica e che progressivamente si affrancano per manifestare uno spirito prettamente mesopotamico e assiro. La stessa evoluzione si nota per la glittica: i sigilli reali dei sovrani del XIV sec. a.C., quali Erib-Adad e Assur-uballit, hanno ancora le figure composte secondo un impianto scenico mitannico, mentre progressivamente si conquista quel gusto per la spazialità e per le figure umane e animali rese con forte naturalismo, che saranno peculiari di uno dei momenti più felici dell'arte della Mesopotamia. Lo stesso gusto si ritrova nella produzione eburnea con una serie di oggetti decorati con temi e motivi utilizzati per i sigilli.
L'espansione del regno assiro, massima nel XIII sec. a.C., subisce nel tempo una contrazione; dopo il 1200 a.C. l'intero sistema politico del Vicino Oriente entra in crisi e collassa sotto la spinta delle invasioni da occidente (Popoli del Mare) e di un rinnovato nomadismo interno. Vengono a crearsi un vuoto di potere e il crollo dei rapporti interregionali che avevano caratterizzato l'età del Bronzo Tardo. Il fenomeno, evidentissimo a ovest, ha riflessi anche a est nelle zone interne e dell'incertezza che coinvolge tutto il Vicino Oriente nel periodo di passaggio tra l'età del Bronzo e quella del Ferro risentono anche le regioni mesopotamiche, sia al Nord che al Sud. L'Assiria nel XII sec. a.C. si trova a fronteggiare il doppio pericolo costituito dagli Aramei e dagli Elamiti, che si infiltrano nel suo territorio da occidente e da oriente. Figure forti di sovrani quali Ashur-resh-ishi (1132-1115 a.C.) e, ancor più, Tiglatpileser I (1114-1076 a.C.) lasciano un segno nella cultura dell'epoca con le imponenti fabbriche sacre quali il tempio di Anu e Adad e l'ancor ricca produzione di sigilli cilindrici.
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di Frances Pinnock
Età neoassira - Questo periodo è dominato, nella sua prima parte, dalla straordinaria fioritura dell'impero assiro e, nella seconda parte, dal predominio di Babilonia, che, dopo la caduta di Ninive e il crollo dell'impero assiro nel 612 a.C., estende il proprio controllo su tutta l'area precedentemente occupata da questo.
Dopo le vicende abbastanza oscure dell'XI e del X sec. a.C., la fase imperiale dell'Assiria inizia con Assurnasirpal II (883-859 a.C.), che fece di Kalkhu (Nimrud) la nuova capitale monumentale, creando anche il modello definitivo della struttura palatina, con le elaborate decorazioni parietali scolpite e dipinte. Sia questo sovrano, sia il suo successore, Salmanassar III (858-824 a.C.), furono protagonisti di importanti imprese militari in Siria, Fenicia, Anatolia e Urartu, quelle stesse imprese che poi raffiguravano sugli ortostati scolpiti che ornavano corti e sale dei loro palazzi. Un altro energico sovrano è Tiglatpileser III (744-727 a.C.), che riorganizzò anche l'impero dal punto di vista amministrativo. Sargon II (721-705 a.C.) conquistò nuovamente la regione siro-palestinese e l'Urartu, si scontrò con gli Egizi e con i Babilonesi e costruì una nuova capitale in una zona non precedentemente abitata, cui diede il suo nome, Dur-Sharrukin (Khorsabad), inaugurata nel 706 a.C. Il suo atto di orgoglio fu punito dagli dei: Sargon morì in battaglia l'anno dopo l'inaugurazione della nuova città e il suo corpo non fu ritrovato. Il successore Sennacherib (704-681 a.C.) trasferì la capitale a Ninive, una delle città più antiche della Mesopotamia, cara alla dea Ishtar, rinnovandola completamente e ornandola di splendidi monumenti. L'ultimo grande sovrano assiro è Assurbanipal (il Sardanapalo dei racconti biblici, 668-627 a.C.), conquistatore dell'Egitto e dell'Elam, dominatore di Babilonia, dell'Urartu, della Media e della Frigia. Dopo la sua morte iniziò una inarrestabile decadenza, che culminò nel 612 a.C. con la caduta di Ninive e con l'inizio del predominio di Babilonia. Entrata nell'orbita di quest'ultima, l'Assiria si ridusse a terra di confine, quasi deserta, mentre i conflitti si spostavano nella regione siro-palestinese, teatro dello scontro con l'Egitto. Questo quadro non mutò con la conquista persiana, che anzi, spostando definitivamente il baricentro politico, condannò l'intera grande Mesopotamia a un declino senza rimedio.
Dal punto di vista economico e commerciale, di fronte a un forte inurbamento, che portò a un'espansione vertiginosa dei grandi centri urbani (Kalkhu si estendeva per 360 ha, Dur-Sharrukin per 320, ma Ninive raggiunse addirittura i 750 ha) le campagne risultano depauperate di risorse umane e sottoposte a sfruttamento intensivo per rifornire le megalopoli. I sovrani, pertanto, appaiono spesso impegnati in grandi opere di canalizzazione per incrementare la produttività agricola e, certamente, anche le campagne militari vennero utilizzate sia per allontanare parte della popolazione verso le province conquistate, sia per ottenere altri generi alimentari, soprattutto cereali, da regioni, come la Siria, che ne erano particolarmente ricche.
Urbanistica e architettura. - Con i grandi sovrani del periodo neoassiro la residenza reale, inserita in programmi edilizi di vasto respiro, diventa non solo un elemento imprescindibile dell'impianto urbano, ma anche un potente strumento di comunicazione del sovrano. I testi cuneiformi descrivono dettagliatamente i momenti della costruzione e i settori che compongono l'edificio, nel quale si riconoscono costantemente il blocco ufficiale, che comprende la grande corte pubblica (babānu), dalla quale si accede alla sala del trono, e la minore corte privata (bitānu), intorno alla quale si sviluppano i settori residenziali. Il palazzo, che ogni sovrano di norma si fa costruire ex novo al momento dell'assunzione del potere, documenta la potenza e i successi del re per la sua ampiezza e per il suo intrinseco splendore, per il fatto che, nel costruirlo, vengono impiegati in gran quantità pregiati legnami di importazione e metalli preziosi e, infine, perché le pareti dei principali ambienti diventano il supporto per una stupefacente narrazione per immagini, in parte dipinta e in parte scolpita, delle imprese del sovrano e dell'esercito assiro. Se il sovrano regnante risiede in un imponente edificio appositamente costruito, il principe ereditario designato talvolta si fa innalzare una sua residenza, che ha carattere prevalentemente militare, l'ekal mašarti, il palazzo-arsenale o palazzo di raccolta, ove i programmi figurativi delle decorazioni parietali e gli arredi rivaleggiano con le residenze principali. Su scala molto minore, il messaggio dei sovrani assiri si diffonde nelle regioni conquistate attraverso i palazzi dei governatori provinciali, rinvenuti soprattutto in Alta Siria, da Arslan Tash a Til Barsip (Tell Ahmar), da Kakhat (Tell Barri) a Dur Katlimmu (Tell Sheikh Hamad).
L'architettura sacra appare molto rispettosa dei canoni tradizionali, mentre assai rilevanti sono le realizzazioni degli architetti di Sargon II, che a Dur-Sharrukin creano un complesso monumentale dedicato al dio Nabu, nel quale la cella, tradizionalmente longitudinale con ingresso assiale, è inserita in un organismo trapezoidale, cui si accede tramite una rampa, dalla terrazza della cittadella, e tramite un ponte, direttamente dal palazzo reale. Ancora più interessante è l'area sacra multipla inserita nel complesso palatino stesso, che comprende, con una piccola ziqqurrat, tre templi maggiori a cella longitudinale, uniti in un'unità armonica con alcuni sacelli minori a pianta latitudinale.
Le fortificazioni, tra le quali le meglio conservate sono certamente quelle di Ninive, erano spesso a cinte multiple, in parte costruite in pietra, con imponenti portali di ingresso difesi da torri laterali; tuttavia non furono trascurati i settori residenziali delle città, non solo attraverso l'escavazione di nuovi canali o il ripristino di canali preesistenti, ma anche mediante la creazione di "giardini", veri e propri orti botanici, nei quali i sovrani facevano raccogliere piante esotiche, conifere e alberi da frutto, a testimonianza dell'ampiezza delle loro conquiste.
Necropoli. - Non sono conservate necropoli organiche di questa fase, ma grande rilievo assume la scoperta di alcune rilevanti tombe regali, di sovrani o di dame di corte, tra le quali spicca quella, avvenuta nel 1989, delle ricche sepolture di alcune regine assire, ricavate sotto i pavimenti del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud. La sepoltura regale o principesca è in genere costituita da una camera costruita, con scala o dromos di accesso realizzati con belle pietre squadrate, mentre l'inumazione avviene in un grande sarcofago, sempre di pietra, che in genere occupa buona parte della camera, tanto da far presumere che, in qualche caso, l'ambiente sia stato creato attorno al sarcofago e non prima. Mentre le tombe maschili sono state rinvenute sempre svuotate dei loro corredi, quelle femminili conservavano a centinaia oggetti di altissima qualità artigianale, gioielli di oro, pietre preziose e pasta di vetro, vasellame di metallo prezioso e cristallo, che testimoniano sia del livello delle botteghe palatine, sia della qualità e quantità dei corredi perduti delle altre sepolture.
Metallurgia e oreficeria. - I laboratori delle corti assire raggiunsero un elevato livello qualitativo nella produzione delle armi, delle corazze e delle bardature dei cavalli da monta e da tiro, ampiamente documentati, però, solo dai rilievi parietali, nella produzione di immagini colossali di animali o mostri, testimoniate soltanto dai testi degli annali dei sovrani, ma anche nella produzione di raffinate lamine di rivestimento di arredi o di intere parti dei monumenti architettonici, come le grandi porte del complesso palatino di Balawat, ricoperte da fasce di bronzo, che recavano a sbalzo la raffigurazione di campagne del re Salmanassar III soprattutto nella regione siriana, che non costituiscono un unicum nell'arte assira. In merito all'oreficeria, documentata anch'essa nei rilievi, soprattutto per quanto riguarda bracciali e orecchini con cui si ornavano il re e i suoi funzionari, la sua conoscenza è ora ampliata in maniera inaspettata dai ritrovamenti delle tombe delle regine sepolte sotto il Palazzo Nord-Ovest di Nimrud. Oltre ai bracciali e agli orecchini, questi stupefacenti corredi contenevano anche anelli, collane e diademi di raffinatissima fattura, composti di più elementi mobili d'oro e di pietre dure a forma di fiori, figure, foglie e altri elementi vegetali intrecciati su basi costituite da barrette o fili d'oro. La maggior parte dei pezzi è certamente di produzione assira, ma alcuni oggetti potrebbero essere stati creati in Siria, regione dalla quale provenivano alcune regine.
Classi di produzione artistica. - I grandi sovrani dell'età neoassira, tra IX e VII secolo a.C. innovarono profondamente i sistemi di comunicazione visuale. Non è forse casuale che la produzione di statuaria sia molto limitata, con poche immagini, talvolta però di grandi dimensioni, che seguono moduli standardizzati e nelle quali il sovrano appare spesso senza la tipica tiara troncoconica con puntale. È, infatti, il rilievo che viene utilizzato, sfruttandone al massimo le potenzialità, per narrare, per la prima volta in forma organica e storicizzata, le imprese del sovrano. Il genere della stele viene usato non più nelle aree templari per ricordare un evento memorabile, cristallizzato nel tempo e nello spazio, ma, con la riproduzione del re stante cui porgono omaggio i principi stranieri sconfitti, come memoriale del passaggio vittorioso del monarca assiro nelle province conquistate. Il posto delle stele viene preso dagli obelischi, collocati nelle piazze principali delle città: suddivisi in registri orizzontali con rilievi, questi monumenti narrano battaglie vittoriose o mostrano la consegna dei tributi da parte dei popoli sconfitti e, spesso, la presenza dell'iscrizione cuneiforme contribuisce a sottolineare la storicità degli eventi narrati per immagini. Ma è soprattutto nei palazzi che il programma propagandistico dei grandi re assiri appare nella forma più organica e compiuta, con una magistrale integrazione tra testo scritto e testo per immagini.
Il primo sovrano del quale si conoscono decorazioni parietali narrative a rilievo è Assurnasirpal II, che decorò il suo Palazzo Nord-Ovest, a Nimrud, sia con lastre dipinte e invetriate, sia con lastre scolpite: i soggetti prescelti sono di genere mitico-simbolico e di genere narrativo. I primi sono rappresentati a lastra intera e raffigurano il sovrano, stante o seduto, fiancheggiato da geni alati e da alberi della vita stilizzati. Le scene di soggetto narrativo sono, invece, distribuite su lastre divise in tre registri orizzontali: in alto e in basso corrono le immagini delle battaglie, mentre al centro si sviluppa la cosiddetta Iscrizione Standard, con la narrazione dei successi militari del re, che si estende anche nella fascia mediana delle lastre con figure a tutta altezza, che sono, quindi, attraversate dal testo scritto, più o meno all'altezza dei fianchi. Le scene così organizzate si prestano a livelli di lettura diversi: il primo, più impressionistico e immediato, non aveva necessità di identificare i singoli eventi e consentiva, attraverso la percezione della ripetitività delle azioni, di apprezzare la forza del sovrano e l'ineluttabilità dell'avanzata dell'esercito assiro; il secondo livello permetteva di osservare, a una lettura più attenta, particolari nei paesaggi o negli abbigliamenti che, collocando i fatti in uno spazio preciso, potevano aiutare a storicizzare più puntualmente la narrazione. Infine, la presenza dell'iscrizione serviva a ricordare, anche a chi non era in grado di leggerla, che anche se non vi era un rapporto preciso tra il testo scritto e le immagini che lo fiancheggiavano in alto e in basso, pure le battaglie descritte nei rilievi erano globalmente le stesse che erano state consegnate ai più lunghi documenti degli annali del sovrano, conservati nel maggiore tempio cittadino e verosimilmente letti ad alta voce alla popolazione in occasioni particolari. Si ricorda, infine, che, nelle lastre a soggetto narrativo, Assurnasirpal II introdusse anche il tema della caccia ai tori e ai leoni selvaggi, un soggetto che si colloca a metà strada tra i rilievi narrativi e quelli mitico-simbolici. Infatti, si fa qui probabilmente riferimento a un'impresa effettivamente compiuta dal sovrano, ma, nello stesso tempo, le scene sono collocate in uno spazio privo di connotazioni paesaggistiche e, così decontestualizzate, assurgono al ruolo di archetipi ricordando prerogative tipicamente regali, già codificate nella glittica e nel rilievo dell'età di Uruk.
Del programma figurativo di Tiglatpileser III si conservano solo poche lastre della decorazione del Palazzo Centrale, sempre a Nimrud: alle botteghe di questo sovrano si attribuisce un'importante innovazione, con il tentativo di dare una certa profondità prospettica ai rilievi. Soprattutto nelle rappresentazioni delle greggi dei tributi, infatti, gli animali vengono disposti nello spazio in file irregolari, con parziali sovrapposizioni dei corpi e una lieve diminuzione nelle dimensioni dei soggetti posti più in alto e quindi, nelle intenzioni dell'artista, più lontano nello spazio.
Il complesso dei rilievi di Sargon II a Dur-Sharrukin è noto in larga misura da disegni eseguiti al momento della scoperta, mentre le lastre originali andarono in gran parte perdute in un naufragio nel Tigri. Anche questo sovrano mantenne la disposizione tripartita dei rilievi, separati dall'iscrizione dei Fasti, ma introdusse interessanti novità nei temi. Infatti, è assai forte, nel programma di Sargon II, la presenza degli ufficiali e dei dignitari di corte, il cui appoggio era stato probabilmente necessario al re, che non era forse l'erede designato dal suo predecessore, per salire al trono: così, nelle grandi corti, vengono rappresentati cortei di questi alti personaggi, che insieme ai tributari si dirigono verso il sovrano; in una sala nel registro superiore è raffigurato un banchetto di corte, tema del tutto nuovo nell'arte assira, mentre in quello inferiore, accanto alle usuali immagini di battaglia, appare un altro tema nuovo, con le cacce degli stessi funzionari. In questo caso, quindi, Sargon II utilizza l'antico tema della caccia, ma non nel suo significato rituale, bensì per indicare gli agi e i piaceri di corte ed è, pertanto, significativo che gli animali cacciati non siano leoni o tori, ma selvaggina di piccola taglia.
Il successore Sennacherib fece erigere nella nuova capitale, Ninive, il cosiddetto Palazzo Sud-Ovest, la cui decorazione scolpita è per molti versi rivoluzionaria: le lastre non sono più tripartite, ma le scene si sviluppano sull'intera superficie, mentre il punto di vista si allontana e si alza ("prospettiva dell'uccello"), consentendo di articolare il soggetto con maggiori dettagli e con un più forte senso prospettico. Viene anche introdotto il tema della costruzione del palazzo, con la rappresentazione del trasporto dei materiali e, in particolare, dei colossali tori androcefali che decoravano gli stipiti dei portali monumentali. Viene, ovviamente, abbandonata l'iscrizione, sostituita da brevi indicazioni, sorta di etichette, per identificare le città vinte.
L'ultimo sovrano assiro del quale si conoscono rilievi parietali è Assurbanipal, che completò la decorazione del Palazzo Sud-Ovest e si fece costruire il Palazzo Nord. I suoi rilievi appaiono sostanzialmente divisi in due registri maggiori, all'interno di ognuno dei quali le scene possono articolarsi in tre sotto-registri, nei quali la figura del sovrano è immediatamente riconoscibile: raffigurato per lo più sul suo carro, infatti, in genere occupa l'altezza di due sotto-registri, ovvero di un intero registro. Assurbanipal, inoltre, riprende il soggetto delle cacce reali, facendosi rappresentare non più in una regione desertica e remota, ma in una sorta di arena, fuori Ninive, dove la popolazione si raccoglie per ammirare il suo re che uccide i leoni.
La decorazione dei palazzi comprende anche settori dipinti, con affreschi che riproducono le tematiche dei rilievi e che sono, anche se frammentariamente, conservati sia negli edifici palatini assiri, sia nelle residenze provinciali (Til Barsip), mentre per i templi sono conservati pannelli di mattoni smaltati e invetriati, con fregi di piante e animali.
Per quanto riguarda la glittica si nota, in questo periodo, una graduale sostituzione dei sigilli cilindrici con quelli a stampo, dovuta alla diffusione dell'aramaico come lingua ufficiale dell'impero: questa lingua semitica non si incideva su tavolette, ma si scriveva su rotoli di papiro e richiedeva, quindi, un diverso tipo di sigillatura. Nei sigilli a cilindro si utilizzano, in questa fase, pietre dure anche di difficile lavorazione, come l'agata o il cristallo, pertanto le figure, spesso molto eleganti, appaiono distanziate nel partito figurativo. Stilisticamente si possono distinguere sigilli eseguiti in modo più rapido, lineare ("stile tagliato") e sigilli, invece, nei quali le figure appaiono più realistiche e corpose, grazie anche a un uso sapiente del trapano.
Una delle prime scoperte effettuate nei palazzi assiri, oltre ai rilievi parietali, fu quella di un gran numero di oggetti, parti di mobili e arredi di lusso, di avorio, esito dei bottini dei grandi centri produttori della Siria interna e costiera. Ma accanto a questi, altri resti più frammentari documentavano una produzione locale di qualità non inferiore, ma di destinazione diversa. Se, infatti, gli avori siriani erano usati prevalentemente per mobili e cofanetti, quelli assiri, come testimonia anche l'evidenza scritta, venivano impiegati prevalentemente nella decorazione di rivestimenti di porte, oppure nella produzione di mobili particolarmente significativi da un punto di vista ideologico, come i troni e i seggi dei sovrani, dove spesso venivano rappresentate immagini legate all'ideologia regale, come teorie di soldati e carri da guerra o prigionieri.
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di Rita Dolce
Periodo protourbano - Sebbene un'evidente continuità si rilevi tra l'età di Ubaid e quella di Uruk antica, le trasformazioni nella produzione ceramica e negli assetti economici e politici convergenti verso una forte centralizzazione e un controllo delle risorse, delle attività e della (re)distribuzione dei beni provano l'emergenza di un nuovo modello di sviluppo e di una cultura propriamente urbana nella Bassa Mesopotamia.
Oltre che il sito-guida di Uruk si annoverano Ur, Eridu, Tell Uqair e Nippur. Un segnale dei mutamenti nell'organizzazione della società e del modo di produzione è la comparsa di ciotole grezze, le bevelled rim bowls, e già destinate al computo e alla distribuzione di razioni alimentari quali compensi per le attività svolte da una notevole massa di forza-lavoro e coordinate dalla istituzione centrale templare. Questi e altri aspetti, dall'accelerazione tecnologica all'incremento demografico, dalla razionalizzazione delle risorse e anche all'intensificazione dei commerci a media e lunga distanza fino alla definitiva specializzazione del lavoro, sono all'origine della città, la cui prima forma compiuta si riconosce appunto a Uruk, caratterizzata da definite strutture socioeconomiche, riflesso di un'incipiente origine statuale. A Uruk, e nell'età di Uruk, è comunque il tempio la sede centrale del potere, sia in senso politico-pragmatico che religioso-simbolico. Gli elementi di una compiuta organizzazione statale si riconoscono nel periodo di Uruk tardo, nell'apparizione dei primi testi in scrittura cuneiforme e delle prime impronte di sigilli cilindrici, nonché delle bullae d'argilla cave contenenti tokens (gettoni-contatori), tutti strumenti di controllo dei beni gestiti dall'istituzione templare.
La diffusione della cultura urukita è attestata sul corso del medio Eufrate (nella Siria attuale), ove fiorirono tra la fine di Uruk tardo e il periodo di Gemdet Nasr alcuni centri urbani e religiosi quali Habuba Kabira, Gebel Aruda e Tell Qannas, che sono considerati delle "colonie" del Paese di Sumer. Il raggio di espansione si estende comunque, in vario grado, fino all'Anatolia sud-orientale e all'Elam sud-occidentale, in avamposti commerciali come Godin Tepe e Hassek Höyük. Il declino apparentemente rapido della cultura Uruk nella fase tarda e il suo definitivo oblio agli inizi del III millennio a.C. possono spiegarsi con una serie di concause, di cui preminente appare ormai la resistenza delle varie culture locali all'adeguamento a quel modello di urbanizzazione. Il fenomeno inoltre contrasta con la ripresa di una produzione vascolare complessa e di alta qualità e spesso nuovamente dipinta, a ornato policromo geometrico e animalistico, che dal suo primo luogo di ritrovamento ‒ Gemdet Nasr ‒ designa appunto la fase finale dell'età protostorica. Nella Bassa Mesopotamia la pur evidente contrazione della facies della prima urbanizzazione, soprattutto nel Nord, non arresta infine il processo di sviluppo demografico ed economico e si salda alle nuove formulazioni urbane del periodo protodinastico.
Urbanistica e architettura. - L'eccezionalità del fenomeno Uruk è percepibile già nella estensione del sito urbano, 200 ha circa, e nelle dimensioni molto rilevanti raggiunte fin dall'insediamento del periodo Ubaid. Mosaici di coni di pietra e di argilla sono una caratteristica largamente condivisa dell'ornato delle mura, dei pilastri e delle colonne degli edifici sia in Bassa Mesopotamia che sul medio Eufrate.
A Tell Uqair si ritrova lo stesso impianto tripartito dei templi di Uruk; la peculiarità di questo tempio sta nella presenza certa di arredi fissi di culto e soprattutto nelle pitture che rivestono il podio nella fase di Gemdet Nasr. Lungo il bacino del fiume Diyala, è documentata la presenza di fabbriche sacre già nell'età di Uruk tarda e di Gemdet Nasr almeno in due casi, a Khafagia nei primi livelli del Tempio di Sin e a Tell Asmar nel livello più antico del Tempio di Abu. Nella stessa fase si registrano proprio a Uruk una forte contrazione e trasformazione delle monumentali strutture dell'area dell'Eanna. La posizione topografica delle sedi del culto nell'area del Diyala e il loro progressivo adattamento al tessuto urbano secondo nuovi criteri di permeabilità preludono a un radicale cambiamento nei rapporti tra la sfera religiosa e quella propriamente regale; la definizione del potere secolare trova dunque anch'essa in Mesopotamia le sue radici.
Metallurgia e oreficeria. - A partire dalla metà circa del IV millennio a.C. si riscontra in Mesopotamia un esteso impiego sia dell'argento sia del rame, come attestano i blocchi del metallo rinvenuti nell'area della ziqqurrat di Anu a Uruk e i manufatti dal Riemchengebäude nell'area dell'Eanna dello stesso sito, mentre sporadica è ancora l'occorrenza dell'oro.
Classi di produzione artistica. - Innovazione decisiva della cultura sumerica nel periodo protodinastico e documentata a Uruk stessa prima dell'apparizione della scrittura è l'introduzione dei sigilli cilindrici a rappresentazione figurativa sulla superficie, che sostituiscono definitivamente i sigilli a stampo; il loro originario impiego, sebbene non ancora pienamente chiarito, doveva garantire la proprietà e l'integrità dei beni ai quali erano associati per mezzo dell'impronta, apposta prevalentemente sulle chiusure di contenitori di merci mobili e primarie.
I temi ricorrenti attengono all'istituzione templare e al potere politico accentrati nella figura del capo della comunità, distintamente riconoscibile dall'apparato iconografico e antiquario, e ritratto in azioni secolari e rituali comunque collegate alla difesa e al benessere dei sudditi: la prosperità è garantita dalla cura delle pratiche cultuali e dell'allevamento del gregge patrimonio della dea poliade, Inanna. Il campo figurativo è spesso anche occupato da soggetti animali, liberamente disposti nello spazio, e da esseri misti in posizioni araldiche. La produzione del periodo di Gemdet Nasr è caratterizzata dalla schematicità grafica, dall'essenzialità della resa dei soggetti animali e dalla proliferazione di elementi decorativi floreali e astratti. Di particolare interesse è il fatto che per la prima volta su impronte glittiche da Gemdet Nasr appaiono simboli arcaici riferibili a nomi di alcune città maggiori mesopotamiche attestate in uno dei testi più arcaici da Uruk.
La scultura a tutto tondo appare ora per la prima volta, sebbene sovente le condizioni di ritrovamento non abbiano consentito definitive attribuzioni alla fase di Uruk tarda o al periodo di Gemdet Nasr. L'elaborazione formale e la definizione dei valori volumetrici nelle opere pervenuteci presupporrebbero uno "sfondo" concettuale e culturale che non è dato finora cogliere.
Ai piccoli "prigionieri" di gesso e a una statua arcaica di calcare, raffigurante forse il capo della comunità, seguono l'immagine femminile dagli attributi sessuali evidenziati, verosimilmente ancora la dea della fertilità, e il busto di marmo del rappresentante del potere secolare e religioso nella società urukita, ritratto di frequente nella stessa iconografia sia nella glittica che nel rilievo coevi. Ma le più alte e compiute espressioni dell'arte protostorica sono sintetizzate dalla maschera di marmo translucido, a grandezza prossima al naturale, di un volto femminile scabro nella sua attuale essenzialità, che permane intatta in questa unica parte di una statua composita e policromatica, secondo gusto e tradizione propriamente sumerici recepiti nel corso del Bronzo Antico anche da altre culture urbane emergenti.
La sfera della regalità e quella del culto alimentano tutta la produzione artistica del periodo. La Stele della Caccia, ancora da Uruk, con l'immagine del capo che affronta e vince in una lotta solitaria il leone, sarà un'icona del potere regale fino all'età neoassira; l'esaltazione in varie forme della dea della fertilità, dal raccolto propizio alla cura del gregge, sui numerosi arredi di culto, così come la difesa della natura benigna da parte dell'eroe-domatore contro le fiere, saranno temi e valori costanti del futuro patrimonio ideologico e figurativo mesopotamico.
Periodo protodinastico - Alla recessione della cultura Uruk e alla fase di Gemdet Nasr segue un periodo di contrazione, soprattutto nello sviluppo demografico e nel mantenimento delle attività coloniali-commerciali nel corso del primo quarto del III millennio a.C.; per converso, permane il sistema di concentrazione del potere in un'unica istituzione, ma da ora e per il futuro stabilmente trasferito nella sfera secolare-statale. Gli strumenti base del controllo statale ‒ la scrittura e la glittica ‒ si diffondono largamente sin dalla fase più antica (Protodinastico I) delle tre, che comunemente scandiscono in termini cronologici e storico-artistici lo sviluppo culturale, storico, politico e sociale della Bassa Mesopotamia per gran parte del III millennio (ca. 2900-2350 a.C.). Appare, tuttavia, ancora problematico applicare la classica tripartizione del Protodinastico anche all'Alta Mesopotamia e definire solidi sincronismi tra le due regioni. L'area di massima concentrazione della cultura protodinastica si riconosce infatti nella vallata del fiume Diyala e nel Paese di Sumer, in una costellazione di centri urbani che si configurano come delle città-stato politicamente e territorialmente autonome e in perenne stato di belligeranza tra loro, che costituiscono il perno di una articolata struttura di centri rurali. La rinnovata attività commerciale ricompone la rete dei rapporti dall'area sud-orientale dell'Anatolia al Golfo Persico. La documentazione scritta si arricchisce anche delle iscrizioni reali, i cui nuclei maggiori provengono dagli archivi di Tello, Abu Salabikh e Fara. Nella produzione ceramica le varianti dipinte sono ancora testimoniate proprio nell'area del Diyala nel tipo Scarlet Ware, a decorazioni in rosso e in nero con soggetti analoghi a quelli delle placche votive e a motivi geometrici.
Urbanistica e architettura. - La configurazione topografica delle città-stato nella Bassa come nell'Alta Mesopotamia mostra una definita pianificazione urbana e una concentrazione di fabbriche con funzioni diversificate e adeguate alla nuova concezione di vita e all'assetto delle società. All'interno della cinta di mura urbiche munita di porte si addensano edifici pubblici e privati in un fitto tessuto urbano, ove la "casa del dio" si presenta spesso con una pianta adattata allo spazio circostante o assimilata a quella delle abitazioni private, rivelando un cambiamento strutturale e ideologico tra l'esercizio del culto e la sfera secolare e, quindi, anche nel rapporto tra il fedele e la divinità. Trasformazioni significative si registrano nell'edilizia nell'impiego di un nuovo modulo di mattone crudo, definito "piano-convesso" e messo in opera secondo un ordito a spina di pesce, mentre i già complessi rituali di fondazione delle aree e delle fabbriche sacre vengono ridotti all'introduzione di argilla pura e di chiodi, antropomorfi e non.
Il tratto distintivo più rilevante si riconosce nell'emergenza dell'architettura a carattere secolare e con funzione pubblica, dalla sede del potere ‒ il palazzo del sovrano ‒ ai luoghi di stoccaggio e conservazione dei beni alimentari e primari in genere, ai magazzini, ai luoghi di lavorazione, agli atéliers, da cui dipendono ormai le attività economiche produttive. La centralità del palazzo nella struttura politica e sociale si rivela già agli inizi del Protodinastico II a Kish, con la fabbrica dell'area A, forse preceduta nello stesso sito dal Palazzo P, che salderebbe la sequenza temporale e culturale con la prima apparizione di un'architettura a vocazione secolare nel periodo e nel sito di Gemdet Nasr. L'attestazione di organismi palatini autonomi dalle istituzioni templari si amplia per numero e per diffusione in tutta la Mesopotamia a partire dal Protodinastico III. Accanto ai quartieri palatini riservati all'immagazzinamento e alla lavorazione dei beni, ricorrono ormai strutture architettonicamente e topograficamente autonome dalle sedi del potere e destinate all'approvvigionamento della comunità.
L'emergenza dei templi nelle città si riconosce sia in spazi già precedentemente occupati da fabbriche sacre agli inizi del Protodinastico I, come a Khafagia e a Eshnunna, che permane fino al Protodinastico II, sia su ampie aree inglobate in un articolato complesso templare, come nel Protodinastico II e III, ancora a Khafagia, a Lagash e a Ubaid, ove il santuario vero e proprio costituisce il fulcro di un organismo polifunzionale calato nella città eppure marcatamente distinto da una cinta di mura. Ulteriori sviluppi si riscontrano nella moltiplicazione delle celle, probabilmente adibite al culto delle ipostasi della divinità. Infine, la natura sacra della casa del dio non si manifesta più in una immagine spaziale e architettonica distante dal quotidiano contesto urbano, come accadeva nei templi su terrazza dell'età calcolitica tarda.
Necropoli. - Una sequenza pressoché ininterrotta di necropoli dal Protodinastico fino all'età di Accad è emersa a Kish. Analogamente, a Ubaid l'area cimiteriale comprende tombe dall'età protostorica a quella di Ur III e di cui la maggior parte risale al Protodinastico, con tipologia a pozzo e corredi ceramici comparabili alla produzione contemporanea dall'area del Diyala. Ad Abu Salabikh il settore sud-est ha restituito tombe a camera ove, in un caso, i costumi funerari attestano la deposizione di equidi associata alle sepolture maggiori.
La documentazione più saliente per entità e qualità rimane quella dal Cimitero Reale di Ur, comprendente una estesissima necropoli dal Protodinastico II all'età neosumerica. Sedici tombe, afferenti all'ambito del re Meskalamdug, presentano la tipologia a camera funeraria con accesso da un dromos, diversamente da altre della stessa area a semplice pozzo scavato nel terreno, e ospitavano individui maschili e femminili disposti su un fianco e circondati da ricchi corredi di vasellame e oggetti preziosi. I defunti erano in alcuni casi seguiti nell'aldilà dalla loro corte, secondo rituali che prevedevano sacrifici umani.
Metallurgia e oreficeria. - La metallurgia assume un ruolo centrale fin dal Protodinastico II-III nella produzione di oggetti e utensili, dalle armi votive e non, agli elmi, alle plastiche a tutto tondo a soggetto umano e animale dai siti del Diyala e da Ur stessa, dove dal Cimitero Reale proviene fra l'altro il celebre casco d'oro attribuito a Meskalamdug. La perizia degli artisti nella lavorazione dell'oro e dell'argento è documentata ancora a Ur nei monili, nelle acconciature, nel vasellame e nelle incrostazioni degli arredi e degli oggetti del culto, ove anche la profusione di pietre pregiate quali il lapislazzuli, la corniola e il diaspro indica l'alto livello di benessere della società al potere e il proposito della sua ostentazione fin oltre la vita terrena.
Classi di produzione artistica. - La più antica iscrizione "storica", databile agli inizi del Protodinastico II, è apposta su una testa di mazza di pietra scolpita rinvenuta a Tello ma proveniente da Kish e appartenente al re Mesalim.
Alla categoria artistica del rilievo si ascrivono fin dal Protodinastico I sia i vasi di steatite scolpiti con temi animalistici, sia una classe di manufatti peculiari della cultura protodinastica, ossia le placche forate al centro e scolpite su una delle facce in più registri, ritenute a carattere votivo eppure ancora di difficile interpretazione, documentate nella Bassa Mesopotamia e in particolare nei siti della valle del Diyala e a Nippur; vanno segnalate comunque sporadiche, ma significative attestazioni del genere in Siria e in Elam. La tematica più ricorrente è quella del banchetto; permangono comunque soggetti mitologici quali l'eroe domatore delle fiere e l'aquila ad ali spiegate che artiglia capridi e tori; spiccano infine le placche da Tello, ove il protagonista ‒ Ur-Nanshe ‒ commemora opere edili in onore degli dei cittadini. È ancora Tello che documenta sotto Eannatum l'impiego del rilievo per opere monumentali e auliche, quali la stele omonima ‒ o degli Avvoltoi ‒ esplicitamente celebrativa delle azioni belliche del sovrano, per la prima volta presentate in forma di sintetica narrazione, e completata da una iscrizione.
La grande fioritura dell'arte plastica a tutto tondo rivela la crescita politica, economica, culturale del sistema delle città-stato sumeriche, che trovano soprattutto in questa forma espressiva una sostanziale unità di linguaggio e di tradizione da Mari, ad Assur, all'area del Diyala, a Ur.
Le immagini di fedeli che affollano le aree templari dell'età protodinastica testimoniano il cambiamento in atto dei rapporti tra la società e gli apparati del culto e tra la sfera secolare e quella religiosa, secondo un processo avviatosi fin dal periodo di Gemdet Nasr; è infatti in tale fase che compare la prima statua di orante dal tempio di Sin a Khafagia, secondo schemi compositivi ed elementi iconografici di base che segneranno la statuaria dell'epoca protodinastica; ed è ancora l'area del Diyala, a Eshnunna, che documenta un consistente e omogeneo gruppo di statue di fedeli del Protodinastico II ‒ e forse lo stesso dio titolare del tempio, Abu ‒ stanti con le mani raccolte o reggenti una coppa; appaiono a torso nudo e con gonne a ciocche variamente elaborate, a kaunakes, o con semplici tuniche bordate, come le numerose altre statue consimili provenienti dalla stessa area e da altri siti come Ur, Nippur, e Umma, databili al Protodinastico II e III. Alcuni centri maggiori del Paese di Sumer hanno restituito statue, spesso corredate da iscrizioni, di alti funzionari e di sovrani rappresentati nella loro immagine regale, talvolta ritratti nella posizione seduta. La frequenza di soggetti femminili nei ritrovamenti dalla valle del Diyala, ma anche da Nippur e Ur come da Assur e Mari, indica l'acquisita assunzione nella società sumerica della visibilità delle donne della classe elitaria nelle pratiche del culto, ma anche nella gestione degli apparati templari nel ruolo di alte sacerdotesse: così suggeriscono le solenni figure con ampi mantelli e copricapo a polos.
La glittica cilindrica trova la sua completa definizione in età protodinastica. L'ispirazione centrale delle immagini sui sigilli riguarda il mondo fantastico e i cicli mitici, che si concentrano nelle lotte primordiali degli eroi domatori delle fiere, degli uomini-toro e dei tori androcefali.
Il processo formativo che ha condotto gli intagliatori della Mesopotamia a realizzare nel Protodinastico II una produzione glittica compiutamente articolata sfugge ancora a una esauriente motivazione, poiché nel Protodinastico I temi e schemi dei sigilli risultano l'esito di una faticosa mediazione in atto tra il patrimonio dell'età protostorica e il nuovo sentire dell'età protodinastica, con soggetti animali e vegetali ridotti a segni grafici o a puri elementi decorativi in un fitto ordito di immagini, con effetto denominato "a broccato". Ciò che invece sussiste quale comune denominatore tra Protodinastico I e II è la predilezione del tratto grafico e del rilievo piatto delle superfici, scandito piuttosto dall'uso frequente del bulino. Nel Protodinastico II i protagonisti, mostri ed eroi e mondo animale, si intrecciano in una serrata sequenza efficacemente definita a Figurenband, talvolta interpunta da segni di scrittura cuneiforme. Soprattutto nel Protodinastico III, accanto alle lotte spicca un altro tema maggiore, quello del banchetto; ricorre la partizione in registri e alle frequenti iscrizioni è riservato uno spazio definito. L'intreccio delle figure fantastiche e animali si scompone ora in gruppi di due o tre soggetti che emergono plasticamente dallo sfondo. I "motivi secondari" sono costituiti da composizioni di tipo araldico o da iterazioni in scala ridotta degli schemi e dei soggetti principali delle scene. Il tema del simposio risulta motivo unificante del linguaggio figurativo dell'arte piana, dalla glittica alle placche votive. La variazione in atto del rapporto tra il fedele e la divinità che "abita" nei centri urbani risponde a un mutato senso del sacro, tangibile e visibile per così dire, come prova la piena antropomorfizzazione delle divinità in tutte le espressioni artistiche.
Gli intarsi figurativi a sagome scontornate e a piccole lastre incise e inserite su di uno sfondo di scisto e di legno costituiscono un altro genere artistico specifico del periodo protodinastico, che ricorre a Uruk e in tutte le città-stato principali. Sebbene persistano soggetti fantastici e animalistici, la tematica prevalente attiene a eventi secolari di particolare rilievo nella sfera della regalità, quali il trionfo sui nemici e il simposio celebrativo della vittoria. La contestuale presenza di intarsi nelle decorazioni sia palatine che templari e l'analogia dei temi indicano l'avvenuta penetrazione nello spazio del culto di intendimenti e di valori propriamente regali, supportati dal consenso divino.
Età di Accad - Sargon, il fondatore del regno accadico, è considerato un usurpatore: la matrice etnica della dinastia che con lui ha inizio costituisce ora l'élite al potere di una più ampia e più remota componente culturale già presente nella Bassa Mesopotamia. La struttura di controllo sul territorio e la rete di rapporti commerciali rispondono a tendenze già emerse nel Protodinastico, così come alcune scelte nel campo artistico. Accanto a questi e ad altri elementi di continuità con la cultura sumerica spiccano, d'altro canto, notevoli innovazioni nella concezione stessa della regalità, che pone il sovrano attraverso le forme della comunicazione visiva in una dimensione eroica, quale artefice di azioni epiche.
L'accentramento politico con un'unica capitale dopo la stagione delle città-stato autonome stabilizza in gran parte della Bassa Mesopotamia un assetto territoriale ove due poli maggiori si riconoscono in Kish, già luogo di provenienza di Sargon, e in Nippur e i vari centri sono governati spesso da funzionari locali subordinati al cuore del regno; ciò consente di attuare una estesa organizzazione commerciale e di contatti a lunga distanza: a sud dall'Oman alla valle dell'Indo fino a Bahrain e a nord dall'Anatolia alla Siria alle coste del Mediterraneo. Con Naram-Sin si amplieranno ancora sia il controllo dall'Elam a gran parte dell'Alta Mesopotamia, sia l'espansione commerciale fino alle barriere del Tauro e dell'Amano, sia i contatti diplomatici e le relazioni dinastiche. Il controllo politico della Mesopotamia è anche gestito attraverso designazioni dirette di membri femminili della dinastia ai vertici dell'apparato del clero nelle maggiori sedi del culto.
Urbanistica e architettura. - L'impianto urbano delle città non ci è noto, come la stessa capitale del regno situata nell'Alta Mesopotamia ma non ancora individuata. Le aree maggiori di culto del Paese furono restaurate, primi fra tutti l'Ekur di Enlil e il complesso del dio Nanna-Sin a Ur. Nella sfera del culto assunsero particolare rilievo la triade astrale e il dio Shamash e il suo santuario a Sippar. Architettura monumentale a carattere secolare, ma anche templare è attestata a Tell Brak, mentre edifici palatini ricorrono a Mari e a Tell Wilaya e forse ad Assur, con caratteri planimetrici solo in parte di tradizione tardo-protodinastica e impiantati sull'enfatizzazione delle gerarchie delle corti interne di distribuzione.
Necropoli. - L'area cimiteriale di Ur accoglie anche tombe di età accadica, in maggioranza relative a individui del ceto medio, come si evince sia dalle iscrizioni sui sigilli sia dagli strumenti di lavoro deposti con il defunto, sebbene la percentuale di personaggi di alto rango si mantenga comunque alta. Nippur ha restituito una sequenza di inumazioni dal periodo Protodinastico III a quello di Accad, in camere multiple al di sotto di abitazioni e corti, e mostra particolare eccellenza di corredi e l'associazione di un equide al defunto, che richiama la precedente pratica funeraria regale a Ur.
Classi di produzione artistica. - La produzione toreutica della Mesopotamia raggiunge esiti massimi nella piena età accadica nella testa bronzea maschile regale da Ninive e nella statua frammentaria di rame di un eroe nudo con iscrizione di Naram-Sin. Il carattere di queste opere come delle poche altre scolpite in pietra a tutto tondo e a rilievo indica una committenza di ambito regale, sebbene la loro prevalente dispersione fuori dall'originario contesto geografico e culturale non permetta di ricostruire precisamente destinazioni e funzioni. L'impiego del rilievo per commemorare eventi bellici appare comunque il mezzo di trasmissione visiva privilegiato dalla dinastia, anche alla periferia dell'impero nella forma delle sculture rupestri. La presenza accadica in Bassa Mesopotamia è esiguamente documentata da alcuni resti di opere a rilievo e a tutto tondo riconducibili ai figli di Sargon. Il disco votivo al dio Nanna-Sin dal recinto sacro di Ur ritrae Enkheduanna, figlia del fondatore, nel ruolo di sacerdotessa suprema del culto. La stele frammentaria a due facce scolpite da Tello restituisce invece le sequenze di una battaglia corpo a corpo, certo preludio della vittoria sui nemici e della esaltazione del re quale protagonista di azioni epiche; ugualmente celebrativa di una vittoria è la stele di Naram-Sin. È in questa interpretazione visiva e ideologica del re di Accad che si coglie una considerevole diversità dalla tradizione sumerica di monumenti regali celebrativi, ove decisivo è l'intervento divino.
La produzione glittica assai ampia supporta l'evidenza della centralità della natura fisica dell'individuo e delle sue potenzialità, esaltate dalla resa plastica dei soggetti nelle scene tradizionali di lotte tra eroi ed esseri misti e fiere che campiscono densamente la superficie dei sigilli. Il retaggio della tarda cultura protodinastica resta forte mentre compare una nuova elaborazione nello specifico dei partiti figurativi, nella misura e disposizione delle iscrizioni che progressivamente assumono un posto-chiave nel campo figurativo e nell'equilibrio degli elementi della composizione.
Età Neosumerica - A seguito del crollo della dinastia di Accad, la facies insediamentale e urbana della Mesopotamia subì una sensibile riduzione e, in taluni casi, un vero arresto nello sviluppo, fino alla ripresa avviata nel Paese già a Lagash, quindi a Uruk e definitivamente a Ur. Con l'ensi Gudea la dinastia di Lagash si affermò pienamente nella Bassa Mesopotamia, in aree del centro e forse anche del Nord; i rapporti commerciali si spinsero nuovamente a nord fino all'Amano, a Ebla, a Urshu e a Nagar, e all'estremo Sud fino a Melukhkha; infine una politica di poderosa ricostruzione e incremento dell'edilizia sacra aumentò prestigio e consenso e precostituì una sorta di modello nella più complessa strategia politica e di propaganda della III Dinastia di Ur. È infatti già con il primo re di Ur che l'egemonia territoriale, l'espansione commerciale, la riedificazione e il potenziamento delle fabbriche sacre e in parte secolari, la piena funzionalità di un sistema amministrativo-burocratico e di controllo economico dell'intero Paese secondo una struttura di province a forte centralizzazione si pongono in atto. Al consolidamento interno del dominio su gran parte della Mesopotamia fa eco la realizzazione di grandi opere edili di viabilità, quali i porti fluviali a Ur, e il perseguimento nel corso della dinastia di un programma di alleanze diplomatiche e di campagne militari fino in Elam e ai margini settentrionali fino a Simurrum e, ancora a est, nell'area transtigrina. La dinastia neosumerica dopo un secolo circa tracollò sotto le pressioni degli Amorrei a ovest e per la ritrovata compagine degli Elamiti a est, aprendo il campo a un'ampia affermazione di regni amorrei dalla Mesopotamia alla Siria e alla Palestina.
Urbanistica e architettura. - Si devono riconoscere in Ur-Nammu e in Shulgi i fautori di un grandioso programma di edilizia templare nell'intera Mesopotamia, in una sostanziale unità ideologica che marca il cambiamento tra città-stato e regni regionali e stati territoriali, quali saranno fin dagli inizi del II millennio a.C. Il segno della creatività e della tecnica costruttiva neosumeriche si riconosce nelle imponenti fabbriche a più piani sormontate da un sacello, che furono per prime erette, sotto il fondatore, a Uruk e a Ur. La serrata scansione dei recinti sacri, delle mura dei templi e degli annessi esemplificata dai complessi nel temenos di Ur appare un meditato richiamo alla grande tradizione sumerica di età protostorica. L'impianto innovativo dei templi che resisterà per circa un millennio si riconosce nella logica planimetrica della piena assialità dei percorsi, nella cella a sviluppo latitudinale e nell'inserimento fisso di una corte interna che ripropone lo schema quadrangolare, principio regolatore nell'architettura neosumerica monumentale.
Necropoli. - Il complesso maggiore, fortemente danneggiato dalla distruzione postuma della città, si trova a Ur nello stesso temenos che accoglie significativamente edifici sacri, residenze, palazzi e ipogei regali. L'imponente serie di tre mausolei regali collocati fuori dal recinto sacro del tempio di Nanna reca le firme dei committenti Shulgi e Amar-Sin e fu forse edificata da ciascuno di essi per i rispettivi predecessori defunti; ogni complesso era costituito da più camere inferiori e, al piano superiore, allestito con arredi fissi di chiara funzione rituale.
Metallurgia e oreficeria. - In relazione alla prassi del rituale dei depositi di fondazione, i sovrani di Lagash II e di Ur III impiegano ampiamente figurine maschili di bronzo con varianti interessanti rispetto al passato, in cui è manifestamente un dio a reggere un chiodo simbolicamente conficcato nel terreno e provvisto di iscrizione votiva o, più raramente, un chiodo sormontato da un torello. L'età di Gudea e la produzione sotto la III Dinastia di Ur prevedono per lo più figurine regali stanti rastremate verso il basso, che reggono un mattone o il cesto con l'argilla per la costruzione del tempio.
Sebbene i dati sull'oreficeria dell'età di Ur III e in parte sui primi secoli del II millennio a.C. provengano per lo più dalle fonti testuali e in parte dagli ornamenti delle immagini scolpite, alcune tombe private dalla capitale del regno, precedenti e coeve alla III Dinastia, hanno restituito monili d'oro e perle di varie tipologie e materiali incastonate in capsule auree. L'opera più pregiata resta la celebre collana d'oro e pietre dall'Eanna di Uruk che reca il nome della principessa titolare (Abbabashti) coeva del re Amar-Sin.
Classi di produzione artistica. - I caratteri comuni e distintivi della statuaria si riconoscono nell'uso prevalente della diorite, nell'impiego frequente di lunghe iscrizioni dedicatorie.
L'ampiezza e l'alta qualità della statuaria della II Dinastia di Lagash ne fanno una testimonianza unica nella cultura artistica mesopotamica, sebbene tale patrimonio risulti ormai privo della sua originaria contestualizzazione. Fin dal predecessore di Gudea, Ur-Baba, la statuaria regale votiva continua secondo la tradizione consolidata a ritrarre il sovrano stante o seduto in atteggiamento devoto, ma ora vi compaiono spesso iscrizioni mirate alla celebrazione del dio Ningirsu, dall'Eninnu alle numerose fabbriche a lui dedicate, e alla esaltazione delle imprese commerciali fino a confini intesi come estremi, dall'Amano a nord a Magan a sud. La linea politica e ideologica di Gudea propone la centralità del sovrano pio, eppure ne esalta le doti fisiche, riflesso delle qualità morali, in un richiamo esplicito ai nuovi valori elaborati dall'arte accadica, senza raggiungerne la compiutezza formale e l'efficacia del linguaggio, fino agli epigoni delle statue di Ur-Ningirsu II, ove traspaiono tratti di più modesto decorativismo e schematismo. La statuaria maggiore della III Dinastia di Ur, scarsa, denota l'influsso dello stile lagashita e del vigore plastico di età accadica, ma ciò che soprattutto ne emerge è la solennità grave delle immagini regali.
Nell'ambito della raffigurazione piana la categoria delle stele celebrative sembra mantenere il ruolo cardine acquisito in età accadica ma con dei notevoli distinguo: il tema dominante risulta infatti, nuovamente, quello della celebrazione delle opere edili in onore degli dei. Forti analogie nella concezione, nei temi e negli schemi si riscontrano tra le opere da Tello e da Ur, tanto da presumerne un concorso di maestranze.
Sono ancora il rituale e il tema del culto che prevalgono nei repertori dei sigilli, coerentemente con il nuovo corso politico e culturale delle dinastie regnanti: dell'epoca di Accad si assumono solamente le scene di presentazione, le lotte tra l'eroe e il leone.
Le botteghe neosumeriche solo raramente realizzano prodotti di alto livello stilistico, mirando piuttosto a una vasta produzione e all'impiego diffuso del sigillo nelle varie stratificazioni sociali. La glittica neosumerica risponde a esigenze di una chiara comunicazione ai sudditi e ai funzionari dello Stato, dell'esercizio della regalità, che si realizza, in primo luogo, nella scelta prioritaria di scene con una divinità in trono e una seconda che introduce e intercede per il sovrano o il fedele che vi si accosta; in secondo luogo, si avvale più di frequente di iscrizioni con circostanziate informazioni su identità e funzioni dei titolari dei sigilli, che rendono tangibile e ufficiale il riconoscimento del ruolo del proprietario nel tessuto sociale. La manifesta divinizzazione dei dinasti di Ur fa ritenere inoltre in alcuni casi il re stesso in trono al posto del dio, costituendo una significativa variante allo schema classico.
Nel campo dell'artigianato artistico, di media e bassa qualità, uno sviluppo determinante nella produzione coroplastica si riconosce nel corso della II Dinastia di Lagash, quando alla plurimillenaria tecnica di lavorazione a mano di figurine si affianca, fino a prevalere nel II millennio a.C., quella a stampo da matrici di terracotta, soprattutto per placche a rilievo a soggetti divini e regali come dalle produzioni di Isin, Larsa e Nippur. La provenienza dei manufatti anche da contesti domestici avvalora la tesi che tale produzione alimentasse in parte un circuito privato di religiosità popolare e di sommaria tradizione dei maggiori cicli mitici.
Periodo paleobabilonese - Dopo la fine del dominio della III Dinastia di Ur, lo scenario mesopotamico agli inizi del II millennio a.C. si configura sotto l'egida dei sovrani di Isin, che ricompattano la Bassa Mesopotamia e restituiscono autorevolezza e visibilità a Ur come a Nippur; ma la frammentazione latente al nuovo assetto determina sia l'affermazione, nel XIX sec. a.C., di un altro centro, Larsa, sia il proliferare di regni minori prevalentemente guidati da signori di stirpe amorrea, da Uruk a Eshnunna a Babilonia stessa. Da quest'ultima città mosse, nel pieno XVIII sec. a.C., il grande Hammurabi che unificò temporaneamente sia la Bassa che l'Alta Mesopotamia, spingendosi oltre fino a Mari.
Urbanistica e architettura. - La fisionomia urbanistica e l'attività edilizia dei centri maggiori sono caratterizzate dal potenziamento o dalla costruzione di mura urbiche e imponenti fortificazioni e dalla escavazione estensiva di numerosi canali. L'edilizia monumentale si dispiega anche nei restauri e nelle fondazioni di palazzi, sedi del sovrano.
L'eco delle formulazioni planimetriche e spaziali del periodo di Ur III si scopre, a tratti, nelle fabbriche secolari maggiori, che ripropongono alcuni elementi architettonici e planimetrici degli edifici dell'area sacra di quella città. Il tratto comune dell'edilizia palatina riguarda la concentrazione di molteplici e differenti funzioni all'interno della sede regale, in sintonia con la rinnovata e rafforzata centralità del potere. Paradigmatici, così, appaiono sia i resti del palazzo di Nur-Adad a Larsa, sia il palazzo di Mari, convenzionalmente attribuito al re Zimri-Lim. Di area palatina corredata da distinte fabbriche templari deve piuttosto trattarsi nel caso di Eshnunna, dove alla persistenza del complesso residenziale e ufficiale si aggiunge la presenza di nuovi edifici, come il Palazzo Meridionale. Testimonianza più ridotta offre il palazzo di Uruk commissionato dal re Sin-Kashid, restituito quasi solo nelle fondamenta, ma ancora leggibile nella specificità della pianta trapezoidale e nella sua compattezza. Nulla ci è purtroppo noto dell'architettura e dell'impianto urbano della maggiore capitale del tempo, Babilonia, sigillati sotto i resti di età neobabilonese.
Metallurgia e oreficeria. - Nell'attività artigianale-artistica si profilano due filoni principali, l'uno relativo alla produzione di figurine reali nel solco della tradizione sumerica, ma di fattura cursoria, l'altro attinente a statuine bronzee di accurata esecuzione e talvolta di alto livello formale, per lo più destinate all'ambito votivo-cultuale. Spiccano tra queste opere, nel pieno periodo paleobabilonese, la rappresentazione a tutto tondo di bronzo di un illustre fedele/committente (Lu-Nanna) o lo stesso re Hammurabi con il volto e le mani rivestiti di lamina d'oro e la coppia di leoni a guardia del tempio di Dagan a Mari. Produzione toreutica è infine testimoniata da oggetti votivi particolari per tipologia, tema e composizione, dai piedistalli con capridi rampanti sorretti da figure umane (?) alle fibbie ritenute esornative di paramenti religiosi con animali esotici e figure femminili in rituale nudità. La conoscenza dell'oreficeria dell'epoca si limita al "tesoro" di gioielli da Larsa, ove è impiegata anche la tecnica della granulazione, e alla contemporanea e pregiatissima collana dalla babilonese Dilbat.
Classi di produzione artistica. - Una significativa concentrazione di documenti pittorici appare in Mesopotamia nel pieno II millennio a.C. in contesti palatini: le testimonianze più organiche riguardano il palazzo di Mari e indicano la continuità d'impiego di questa complessa espressione artistica per svariati secoli, dagli inizi del II millennio a.C. fino a Hammurabi di Babilonia.
Nei cicli pittorici presenti nelle sale e nelle corti del palazzo si riconoscono aspetti tematici e ideologici di forte coesione, quali la centralità del ruolo della dea palatina Ishtar nell'esercizio della regalità e del ruolo dell'acqua vivificatrice, che scandisce rituali e immagini della sfera divina. Campeggia il sovrano che versa libagioni davanti alla divinità seduta, mentre lo stesso Zimri-Lim di Mari riceve dalle mani di Ishtar gli strumenti per la giustizia, nella scena dell'investitura dalla corte 106. Cultura e tradizione tardosumerica e paleobabilonese alimentano dunque l'impianto delle opere, ma si coniugano con una elaborazione stilistica estranea all'arte mesopotamica così come lo è l'esuberanza dei costumi, entrambi prestiti paleosiriani della prima metà del II millennio a.C. Di notevole originalità risultano sia l'impostazione delle opere su più registri che la differenziata scala dimensionale delle figure.
Nell'ambito della produzione artigianale le placche a stampo si presentano come la classe più diffusa e variata nei primi secoli del II millennio a.C. L'ampiezza del repertorio tematico spazia da soggetti divini e regali alla caratterizzazione dei mestieri e delle arti, alle scene erotiche o a sfondo mitico. Il tipo di fruitore è certamente il fedele che coltiva la sua devozione nei templi e nella propria abitazione, gli unici contesti di provenienza dei manufatti. Tangente alla maggiore qualità formale di alcuni di questi manufatti appare, poi, la produzione fittile a tutto tondo e spesso con pittura applicata, a tema animalistico e a soggetti umani e divini.
La ricchezza e la frequenza di statue pregiatissime di sovrani e di divinità, erette e dedicate dalle dinastie di Isin e di Larsa nelle sedi di culto maggiori di Nippur, di Larsa stessa e di Ur, appare un tratto distintivo dell'epoca e dell'esercizio della regalità fino al culmine con Hammurabi di Babilonia. La documentazione archeologica, scarsa ed esigua, è frutto di bottino tardivo da parte dei sovrani elamiti (nel XII sec. a.C.), esibito nella capitale Susa a mo' di trofeo, così come alcuni celebri monumenti dell'età di Accad. La statuaria rinvenuta propriamente nella Mesopotamia proviene invece da centri massimi del culto, come Ur, o da siti "provinciali" talvolta di raffinata cultura, come Mari, o da sedi illustri dell'epoca, come Eshnunna, e riguarda numerose immagini a tutto tondo di governatori stanti o seduti in trono, purtroppo acefali. Una serie relativamente omogenea di statuine, testimonia della continuità della tradizione neosumerica per tipologia e soggetti.
Dal suo originario contesto, il palazzo di Mari amorrea, proviene la statua femminile di una divinità dell'acqua rinvenuta smembrata, probabile superstite di una coppia che simboleggia il valore vitale dell'acqua e il ciclo perpetuo della fecondità, con la concreta manifestazione dell'acqua zampillante dal vaso sorretto dalla dea, grazie a un sistema di elevata tecnica che ne regolava circolazione e deflusso. A una corrente artistica che apre a formulazioni innovative, sia formali che in parte stilistiche, deve invece attribuirsi la testa maschile di alabastro dallo stesso palazzo mariota, presumibilmente di un personaggio regale in tenuta bellica. Del bottino elamita era trofeo illustre la piccola testa di diorite, anch'essa maschile e sicuramente regale, che sopravanza l'intera produzione fin qui nota nella raggiunta combinazione di elementi iconografici e fisionomici arcaici sumerici con l'intento pervicace di rendere la sofferta identità umana del soggetto.
Parimenti scarse e occasionali risultano le scoperte nell'altro maggiore genere artistico dell'arte figurativa, il rilievo, che si presenta in assoluta prevalenza a carattere votivo seppur sempre celebrativo delle imprese, pacifiche e a sfondo sociale, del sovrano. La tradizione antico-sumerica e accadica delle stele di trionfo quale strumento di propaganda politica trova eco nei frammenti di stele a più registri, con scene di battaglia e di vittoria, di un "piccolo re" di Eshnunna (Dadusha). Un tratto innovativo si coglie nella diffusione di raccolte di sentenze giuridiche tramite cippi e stele, sistema testimoniato da opere eloquenti come la stele di Hammurabi, di diorite, votata nel santuario di Sippar del dio Shamash e recuperata tra le eminenti opere trasportate a Susa. La stele si apre con l'incontro del sovrano con il dio, che gli trasmette attraverso i simboli della giusta misura la virtù della giustizia o/e lo investe del ruolo di giudice e di garante dell'equità sulla terra, quale promulgatore di un sistema di leggi. I due interlocutori rispondono ai canoni dell'arte della piena età paleobabilonese, ma l'opera rivela anche soluzioni innovative, tese alla ricerca di una corretta rappresentazione prospettica.
La produzione di sigilli cilindrici risulta assai ampia nel corso della prima metà del II millennio a.C. e ben documentata anche da manufatti originali e corredata da iscrizioni che permettono una definizione generale della sequenza cronologica e stilistica.
La produzione glittica delle dinastie di Isin e di Larsa mantiene nel repertorio e nei soggetti stretta continuità con quella del periodo della III Dinastia di Ur, privilegiando ampiamente le "scene di presentazione" del fedele al cospetto della divinità, introdotto da una dea minore, con varianti significative sia nello schema compositivo, sia nella comparsa di motivi sovente definiti "secondari" ma certo significativi nell'economia della rappresentazione. Alle formulazioni di alto livello creativo e compositivo fa riscontro, infine, un senso pieno dei volumi e della resa plastica dei soggetti, esito dell'intaglio libero a bulino oltre che della maestria di bottega, e che scandirà la produzione fino a poco oltre Hammurabi, quando tecniche più rapide risponderanno all'accresciuta richiesta di sigilli a scapito della qualità formale dei manufatti, puro supporto alle iscrizioni che ormai campiscono la superficie e ne costituiscono il riferimento essenziale.
Età cassita - L'avvento sulla scena mesopotamica degli Hittiti (inizi del XVI sec. a.C.) determina il crollo definitivo del grande regno di Babilonia, esposto fin nella stessa capitale alla ormai sistematica occupazione della Bassa Mesopotamia da parte dei Cassiti. Le loro origini, cultura e lingua restano ancora dibattute, sebbene la loro provenienza dall'area montagnosa degli Zagros possa considerarsi attendibile. Nel fenomeno più generale di riduzione delle aree di insediamento e di urbanizzazione, la Bassa Mesopotamia cassita mostra maggiore concentrazione di popolazione e al contempo contrazione demografica, elementi questi che concorreranno allo spostamento del centro del circuito commerciale sempre più a occidente, diversamente dall'età paleobabilonese.
La Babilonia cassita trova nel pieno XV e nel XIV sec. a.C. il periodo di maggiore caratterizzazione culturale e artistica. Le città della Bassa Mesopotamia più interessate alla ricostruzione e, indirettamente, alla circolazione dei beni pregiati sono le città sante di Nippur, l'antica capitale amorrea di Larsa, la sumerica Ur e naturalmente la nuova capitale Dur Kurigalzu, fondata da uno dei due sovrani omonimi. L'estensione del regno tocca anche Uruk, Sippar, Borsippa e l'area cruciale del bacino del Diyala.
Urbanistica e architettura. - In parte nel solco della tradizione paleobabilonese e con l'intento di una piena legittimazione all'esercizio del potere, i Cassiti improntano l'attività edilizia e di riassetto urbano avviando i restauri di Ur, Nippur, Uruk e Babilonia, ma anche operando innovativamente nella erezione di alcuni templi e soprattutto nella realizzazione della monumentale area palatina della capitale di nuova fondazione, Dur Kurigalzu.
Il segno netto seppure isolato di una peculiarità architettonica e spaziale rispetto al passato prossimo sta già nel tempio per la dea Inanna nell'omonima area sacra a Uruk, eretto da Karaindash. Sebbene largamente lacunosa nei resti architettonici, l'area sacra della capitale, fondata verosimilmente dal primo sovrano omonimo (XIV sec. a.C.), mantiene tracce di una grandiosità e complessità progettuale che si manifestano nelle tre fabbriche sacre e delle quali la relativamente meglio conservata risulta l'Eugal, dedicata al dio Enlil, costituita dalla ziqqurrat e da un tempio posto su terrazza in asse con la ziqqurrat stessa, entrambi scanditi da fitte articolazioni a lesene e nicchie, certo retaggio permanente di tradizione sumerica. Sui due lati brevi dell'area sacra gravitano altrettanti templi, dedicati al dio Ninurta e alla dea Ninlil. Gli interventi ex novo nell'area di Sin a Ur, oltre ai restauri, rivelano lo spirito di fondo che anima l'architettura monumentale cassita, a mezzo tra persistenze della tradizione babilonese e sperimentazioni, o patrimonio, proprie della cultura della popolazione attualmente dominante, così anche nel tempio ancora a doppia cella a Isin, per la dea Gula e il dio Ninurta, decorato lungo le pareti esterne nella sua fase finale da sculture architettoniche del tipo di quelle del santuario di Karaindash a Uruk.
Una certa inadeguatezza degli scavi non ha consentito di acquisire dati sufficienti sull'architettura secolare di questo lungo periodo, se non in parte a Dur Kurigalzu, ove a nord-ovest dell'area sacra si sviluppa un esteso complesso residenziale-ufficiale. Benché i resti siano frammentari, si deducono ancora i principi ispiratori, per lo più innovativi, del progetto architettonico del Palazzo Reale e dei suoi annessi, edificato per sistemi parattattici e di blocchi subordinati.
Oreficeria e metallurgia. - Sebbene la documentazione risulti ancora più scarsa che nell'età paleobabilonese, i pochi resti di monili, grani di collana e bracciali dalla capitale attestano senza dubbio un alto livello di toreutica e di ricercatezza formale in sostanziale continuità con la tradizione precedente e anche l'esistenza di botteghe regali in sede.
Classi di produzione artistica. - Le testimonianze di pitture parietali nella Mesopotamia preclassica risultano purtroppo episodiche; nel caso cassita, la conoscenza e la perizia delle tecniche pittoriche si rivelano nella resa ad acquerello dei contorni delle figure e nell'applicazione dei colori su uno sfondo di pittura crema, steso sulle superfici murarie trattate a intonaco.
A Dur Kurigalzu il Palazzo Reale ha restituito resti di pannelli parietali dipinti sugli sguinci degli ingressi maggiori delle sale, e anche delle "gallerie" del complesso H. Alle decorazioni a tema floreale e geometrico si affiancano nei periodi più tardi (seconda metà del XIII e forse pieno XII sec. a.C.) due serie di rappresentazioni di cortei di dignitari. Sul piano tecnico si ravvede un tratto innovativo nella gamma cromatica brillante, ove prevalgono il cobalto per gli sfondi e per alcuni dettagli dei soggetti astratti e floreali e il nero bituminoso per le masse dei capelli, i tratti fisionomici e soprattutto la linea netta di demarcazione delle figure; sul piano compositivo, nell'assunzione di una tematica, quella dei cortei di dignitari, che richiama l'attenzione sulla struttura ufficiale-amministrativa del regno e al contempo esplicita la relazione tra ambienti palatini e funzioni di rappresentanza.
La plastica maggiore a tutto tondo, seppure estremamente ridotta, testimonia di una continuità con la precedente tradizione di committenza regale e di una produzione parallela, di media qualità e di standard dimensionali relativamente uniformi, documentata da alcune teste umane, trattate nei particolari fisionomici ed espressivi con accenti di realismo; gli esemplari più perspicui mostrano la tendenza ancora persistente per la combinazione di materiali diversi e cromaticamente a contrasto che richiama il senso decorativistico delle tipiche "teste-maschere" dell'Alta Mesopotamia e della Siria, ma anche della cultura artistica del lontano Elam.
La cultura artistica propriamente cassita si manifesta nel rilievo di segno ufficiale e regale, distinto nella concezione dell'impianto figurativo e peculiare nella scelta univoca del tipo di supporto, il kudurru, cippo lapideo solo raramente noto nella documentazione più arcaica della Mesopotamia. Il kudurru è destinato alla solenne ratifica di donazioni e transazioni dal potere regio ai suoi funzionari con il consenso e sotto l'egida della volontà degli dei.
Il valore di questi documenti dell'amministrazione regia e le modalità della loro trasmissione ai posteri rendono plausibile la originaria collocazione dei kudurru nelle aree templari piuttosto che nei confini di proprietà, nonostante la tipologia stessa dei monumenti e la loro funzione. I simboli divini che risultano assolutamente prevalenti nell'impianto figurativo sono disposti variamente ma costantemente nella parte superiore del monumento, così come l'iscrizione occupa uno spazio considerevole e risulta il fulcro dell'opera stessa, secondo una logica forse in parte desunta dal "modello" paleobabilonese della Stele di Hammurabi. Attorno alle dettagliate iscrizioni si articolano la sequenza cronologica dei kudurru, per circa sette secoli (dal XIV al VII sec. a.C.) fin oltre il regno cassita, e la loro classificazione in otto gruppi maggiori, ove si colgono sia uno sviluppo compositivo e iconografico nel corso del tempo e un cambiamento nella resa e nello stile dei soggetti antropomorfi divini e umani; sia l'introduzione, o la scomparsa, nella struttura figurativa e ideologica di base, di simboli pregnanti del Pantheon.
Impronte di indubbia originalità, riflesso della identità culturale dei Cassiti, si ravvedono anche nella plastica minore a tutto tondo di argilla, probabilmente prodotta in ambito regale a giudicare dai soggetti e dalla cura per i dettagli. Con l'età cassita sembrano affermarsi una specificità della coroplastica e forse una sua più distinta funzione, che la rende non più subalterna o preparatoria all'arte scultorea.
La sfragistica cassita, nota fin dai suoi esordi nel XVI sec. a.C., rivela anch'essa tratti di originalità sia nel preziosismo dei materiali, dall'agata al diaspro marezzato al calcedonio, sia per la prassi di inserimento dei manufatti in capsule auree di fine fattura, a granulazione. Nel merito della composizione, sebbene la tematica ricorrente nel XVI-XV sec. a.C. attenga ancora alla "scena di presentazione" del sovrano, elementi innovatori si riscontrano di già nell'adozione di lunghe iscrizioni che occupano gran parte del campo, e talvolta dei suoi margini, e di motivi già definiti impropriamente "secondari", liberamente disposti nello spazio. Ma la peculiarità di questa classe si manifesta nell'ambito dello stile, a figure armonicamente e insolitamente slanciate, che trovano eco solo più tardi nei rilievi dei kudurru.
Il nucleo della glittica propriamente cassita si riconosce nella produzione dei secoli XIV e XIII a.C., ove esemplari significativi sotto ogni aspetto restano quelli del tempo del re Burna-Buriash (XIV sec. a.C.) con il sovrano in trono di fronte al suo funzionario dedicante, o con il dio della montagna che regge le ampolle dell'acqua zampillante, e quelli dell'età di Nazi-Marutash (XIII sec. a.C.), a simbologia più complessa, ove un dio bifronte della montagna racchiude in sé un piccolo genio dalle acque zampillanti in uno scenario di lussureggiante natura vegetale e animale. La predominanza di temi animalistici e vegetali diverrà la norma in quella produzione più tarda e finale che predilige schemi araldici con soggetti animali e insoliti esseri compositi, parallelamente a scene di culto ove campeggiano gli stessi podi-simboli delle divinità ricorrenti nei kudurru. La concezione della rappresentazione, come librata nel campo figurativo in uno spazio libero da coordinate visibili, condivide le tendenze manifeste nella glittica dell'età medioassira e di Mitanni e può esserne stata la fonte ispiratrice.
Se la glittica dell'età successiva della II Dinastia di Isin segna da un lato sostanzialmente l'epilogo del percorso artistico della produzione cassita, finanche nella simulazione sul supporto lapideo dell'ornamento a granulazione realizzato nel passato prossimo con capsule auree, dall'altro elegge al centro di molte composizioni la pianta sacra a elementi compositi, che costituirà un fulcro figurativo e ideologico della rappresentazione piana dell'età neoassira.
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di Frances Pinnock
Età neobabilonese - Durante lo svolgersi delle vicende dell'impero assiro, la Mesopotamia meridionale aveva vissuto una fase non facile di instabilità politica, segnata dal continuo conflitto con l'Assiria, che a diverse riprese conquistò Babilonia, giungendo a porvi governatori assiri. La rinascita babilonese coincise con il regno di un principe caldeo, Nabopolassar (625-605 a.C.), il quale, con l'aiuto di Ciassare re dei Medi e con quello degli Sciti, assediò e conquistò Ninive, ampliando poi notevolmente l'estensione del regno babilonese. Il suo successore Nabucodonosor II (605-562 a.C.) inglobò praticamente tutto il territorio precedentemente occupato dagli Assiri e rifondò Babilonia con un'impressionante attività edilizia. L'ultimo sovrano babilonese fu Nabonedo (556-539 a.C.), figlio di una dama di corte, Adadguppi, forse originaria di Kharran, che fu particolarmente devoto del dio Sin, procurandosi l'ostilità del clero di Marduk, tanto che alla fine, nel 539 a.C., i sacerdoti accolsero quasi come un liberatore il re persiano Ciro il Grande, che restituì loro gli antichi privilegi.
Dal punto di vista economico il periodo presenta luci e ombre: da un lato il progressivo depauperamento delle campagne appare senza rimedio, dando vita a fondi sempre più estesi; dall'altro, la società subisce forti mutamenti, con il palazzo e il tempio che controllano, talora in competizione, la produzione agricola e gli artigiani che si organizzano in corporazioni autonome, con committenti anche esterni ai centri del potere, mentre il commercio, che ormai segue rotte che tagliano fuori la Babilonia, è sempre più nelle mani di Arabi e Fenici.
Urbanistica e architettura. - Nel periodo neobabilonese, nel quadro del vasto programma ricostruttivo di Babilonia, iniziato da Nabopolassar e completato da Nabucodonosor II, ha luogo una completa ristrutturazione del centro urbano, che ha completamente cancellato i livelli più antichi, secondo un preciso progetto non solo urbanistico, ma squisitamente politico, che si imperniò su tre settori fondamentali. In primo luogo la triplice cinta muraria esterna, con un muro interno di mattoni crudi, uno intermedio e uno esterno di mattoni cotti e un ampio fossato esterno, con torri intercalate a intervalli regolari; anche la cittadella interna venne circondata da un duplice muro, con torri rettangolari grandi e piccole alternate, con due porte su ciascun lato. Il secondo gruppo di grandi cantieri interessò le aree templari, soprattutto l'Esagila di Marduk, con il completamento della ziqqurrat Etemenanki, iniziata da Nabopolassar, ai quali si aggiunsero diversi templi minori, dedicati alle divinità più importanti del Pantheon mesopotamico, come Nabu, dio della scrittura e della sapienza. Infine il sovrano fece costruire almeno tre grandi complessi palatini, il palazzo meridionale, il palazzo settentrionale e il cosiddetto Palazzo d'Estate, mentre forse esterno al perimetro urbano era un altro edificio palaziale, probabilmente usato per la celebrazione della Festa del Nuovo Anno; tale festa proprio nel periodo neobabilonese assurse a momento forse fondamentale dei rituali della regalità e fu definitivamente codificata in una importante versione scritta, che resta a tutt'oggi l'unico testo cuneiforme completo del rituale. I primi due palazzi, che hanno impianto simile, presentano non l'articolazione dei palazzi assiri, per blocchi collegati tra loro, ma una giustapposizione di settori affiancati, tra i quali quello centrale è il nucleo ufficiale, con la sala del trono. Se, quindi, nell'edificio palatino assiro la sala di ricevimento era una sorta di cerniera tra parte pubblica e parte privata, nel palazzo neobabilonese essa assume l'aspetto del luogo quasi sacrale dell'epifania del sovrano. Contestualmente, spariscono i rilievi e le pitture di contenuto narrativo, per far posto a mattonelle dipinte e smaltate, di valore eminentemente decorativo, ove anche gli elementi figurati, palme e leoni, diventano simboli astratti e contribuiscono ad accrescere l'aspetto fortemente rituale della presenza del re.
Nabucodonosor II costruì il suo palazzo su un impianto precedente del padre, forse riconoscibile nel settore residenziale imperniato sulle due corti occidentale e "dell'annesso", mentre tutto il complesso si articola in un sistema di corti in successione, a partire da quella di ingresso, la corte orientale. Nella sala del trono, che a differenza di quella assira non è più a impianto longitudinale ‒ con triplice portale in uno dei lati lunghi e podio lungo uno dei lati corti ‒, ma latitudinale con portale assiale, il trono è posto in una nicchia al centro del lato lungo opposto al triplice portale di ingresso. Oltre ai due blocchi residenziali, per il re e la regina, i due complessi antecedenti la corte principale erano riservati a operazioni amministrative; in particolare, nel blocco dell'angolo nord, con il gruppo di ambienti lunghi e stretti circondati da un muro più spesso, tradizionalmente identificato con i giardini pensili di Babilonia, si riconosce invece un settore di magazzini. La collocazione dei giardini è tuttora incerta, ma è probabile che si trovassero in una zona sopraelevata, non lontano dalle mura della cittadella. Nel fregio decorativo della sala del trono i sovrani neobabilonesi abbandonarono del tutto la decorazione narrativa dei loro predecessori assiri, utilizzando ampiamente pannelli di mattoni modellati e invetriati con figure stilizzate; spesso vi compaiono i leoni, probabilmente simbolo della dea Ishtar, cui era dedicata la vicina porta monumentale, ed eleganti colonne con capitelli pseudoeolici, che dovrebbero, da un lato, alludere ai paesi lontani raggiunti dal sovrano nelle sue imprese e, dall'altro, simboleggiare sinteticamente l'ambiente silvano dove si trovano i leoni. In realtà è palese che all'intento narrativo e celebrativo si è sostituita la volontà di creare, con queste immagini vivacemente colorate e risplendenti, una quinta scenografica per le apparizioni rituali del sovrano.
Una delle maggiori aree sacre del mondo antico, divenuta famosa per i racconti dell'Antico Testamento e per le descrizioni degli storici greci, in particolare di Erodoto, era l'Esagila di Marduk di Babilonia, con l'annessa ziqqurrat Etemenanki (la Torre di Babele), a sette terrazze di colori diversi, completamente ricostruita da Nabopolassar e Nabucodonosor II. La torre templare, di enormi dimensioni, fu iniziata dal primo sovrano e completata dal secondo e, forse per questa lunga elaborazione, assurse a simbolo dell'orgoglio e della disfatta umana; oggi non è più possibile apprezzarne neppure parzialmente la maestosità, poiché la sua immane struttura di mattoni cotti fu depredata in tempi relativamente moderni per ottenerne materiale da costruzione, lasciando al suo posto una voragine, dalla quale si può solo ricavare la dimensione della pianta di base. La terrazza era costruita in mattoni cotti, ricoperti da uno strato di mattoni smaltati e invetriati, probabilmente di colore diverso a ogni piano. Per la sua ricostruzione ci si basa sull'accurata descrizione della cosiddetta "tavola dell'Esagila" e su quella, forse più impressionistica, di Erodoto. Secondo la tavola dell'Esagila, la ziqqurrat aveva pianta quadrata, con i lati di 91,5 m, corrispondenti alla dimensione dell'altezza, mentre i singoli gradoni erano di altezza decrescente; alla sommità si trovava il tempio, di 24 × 22,5 m, nel quale erano conservate statue di diverse divinità, non solo l'effigie di Marduk, e, soprattutto, il letto delle nozze sacre, di 4,50 × 2 m. Secondo la tavola, la terrazza aveva complessivamente sette gradoni, l'ultimo dei quali era il tempio, mentre secondo Erodoto sarebbero stati sette più il tempio; inoltre, lo storico greco parla di una rampa di ascesa elicoidale, certamente inverosimile, mentre le tracce sul terreno rivelano l'esistenza di una rampa perpendicolare, simile a quella della più antica ziqqurrat di Ur, e di due rampe addossate alla facciata della torre. Iniziata da Nabopolassar e rimasta a lungo incompiuta, Etemenanki divenne, per gli Israeliti deportati a Babilonia, il simbolo della superbia umana e il suo ricordo fu tramandato nel racconto della Torre di Babele.
L'Esagila era il santuario tradizionale del dio Marduk, che conteneva un prezioso simulacro d'oro del dio, più volte asportato e restituito nel corso della storia della Babilonia. Descritto dettagliatamente in iscrizioni contemporanee, l'edificio era ricco di arredi preziosi, come la soffittatura della cella di legno di cedro del Libano rivestito di foglia d'oro, ed era certamente di impianto particolare, con la tradizionale cella latitudinale a ingresso assiale, ma con la forte permeabilità degli spazi, attraversati da ingressi multipli anche in corrispondenza della cella.
Forse in occasione della festa del Nuovo Anno dovevano svolgersi processioni che, dall'area sacra dell'Esagila e della ziqqurrat, raggiungevano il Palazzo Meridionale, residenza del sovrano, e da qui si dirigevano con ogni verosimiglianza verso il cosiddetto bīt akītu, al di fuori della cinta urbica. Parte di questa via cerimoniale, chiamata Ayiburshabu, è conservata nella cittadella, soprattutto in corrispondenza del palazzo, su un fianco del quale la cinta difensiva interna era attraversata dalla monumentale Porta di Ishtar, assai articolata e fiancheggiata da torri, tutte decorate da mattoni smaltati e invetriati, nei quali, su un fondo blu, si alternavano figure di tori e draghi mušḫuššu, entrambi appartenenti al mondo della dea Ishtar. Secondo una tradizione neobabilonese, la porta comprendeva anche un'imponente parte sotterranea, che più che una fondazione era una sorta di replica dell'alzato visibile, tanto che aveva la stessa decorazione in mattoni modellati, anche se non smaltati, con figure di tori e draghi.
I sovrani neobabilonesi, in particolare Nabucodonosor II e Nabonedo, appaiono anche impegnati in rilevanti attività edilizie nella città di Ur. L'area sacra venne completamente restaurata, seguendo in generale le linee tracciate dalla risistemazione del periodo cassita e aggiungendo un importante e articolato muro di cinta, attraversato da numerose porte. Apparentemente, pur impegnandosi in scavi archeologici, i re neobabilonesi non furono in grado di ricostruire né la collocazione, né l'impianto del Giparku, la residenza delle sacerdotesse: in luogo del più antico edificio palatino, che era rimasto nello stesso posto dall'età della III Dinastia di Ur al periodo cassita, venne creata una struttura, articolata su tre corti; tale struttura in corrispondenza dell'ingresso secondario alla terrazza della ziqqurrat, aveva come complemento un ben più rilevante palazzo, ugualmente definito Giparku e ugualmente articolato su una corte maggiore con sala di ricevimento e su tre corti secondarie, sempre con sala di ricevimento, che fu costruito a ridosso del porto settentrionale, con evidenti funzioni non solo di residenza delle sacerdotesse, ma anche di controllo dei flussi commerciali. Durante il regno di Nabonedo, riprendendo un'antichissima tradizione, venne nominata grande sacerdotessa del dio Nanna la figlia del sovrano, Ennigaldinanna. L'intenzione era, però, non solo quella di restaurare un antico e venerato centro di culto, quanto quella di tentare di rivitalizzare la città, tanto che vennero contestualmente edificati eleganti quartieri residenziali, nei quali vennero trasferite famiglie di mercanti babilonesi, ma l'operazione non ebbe successo.
Classi di produzione artistica. - Rispetto alla ricca fioritura della grande arte monumentale e palatina delle corti assire, l'arte neobabilonese appare singolarmente austera. Non è attestata la statuaria regale e il rilievo è limitato a pochi monumenti che, nella forma e nello stile della decorazione, si collegano con il genere dei kudurru cassiti. Tra queste si può ricordare la stele-kudurru di Marduk-zakir-shumi, nella quale il sovrano riceve l'omaggio di un dignitario alla presenza, secondo la tradizione cassita, di simboli delle maggiori divinità; il costume tipico del periodo prevede l'abito liscio e il copricapo con il nastro pendente sulle spalle, mentre il sovrano tiene un'asta e un oggetto ricurvo. Lo stile che caratterizza queste opere predilige forme morbide, dai contorni tondeggianti, che ne accentuano la volumetria. Un rilievo in calcare da Sippar, che in una lunga iscrizione ricorda le complesse ricerche effettuate per recuperare l'antico simulacro del dio, il ritrovamento di un modello di argilla della statua e la sua riproduzione in oro e cristallo di rocca, mostrano, nel partito figurativo, l'immagine del dio solare, sotto un baldacchino, davanti al quale su un altare è un disco solare, sorretto da due protomi divine poste sulla sommità del baldacchino stesso. Di fronte al dio, il gran sacerdote conduce per mano il sovrano, seguito dalla dea intercedente Lama. Il rilievo riproduce l'antico schema della scena di presentazione, ma la presenza della figura del sacerdote in posizione preminente bene illustra quali fossero i rapporti di forza tra sovrano e clero in questo periodo. Di particolare interesse è poi una piccola stele di pietra da Babilonia che raffigura il re assiro Assurbanipal, celebrato per le sue attività edilizie nella capitale meridionale e, pertanto, raffigurato con in testa il paniere per l'argilla da costruzione. In questa opera vengono utilizzati modelli stilistici tipicamente babilonesi: così se il sovrano reca sul capo la tipica tiara assira, i contorni della figura appaiono particolarmente morbidi, secondo lo stile preferito a Babilonia.
Molto difficile è attribuire ad ambienti babilonesi oggetti di metallo che provengono prevalentemente dal mercato antiquario, ma sembra tipica di questa produzione la creazione delle numerose immagini del demone Pazuzu, talvolta limitate alla sola testa mostruosa, che avevano probabilmente funzione apotropaica e ben simboleggiano la visione fondamentalmente pessimistica dei Babilonesi e il ricorso a pratiche magiche. Numerose sono le piccole teste del demone di pietra o, più frequentemente, di pasta di vetro da utilizzare come elemento di collana.
Così come avviene nel mondo assiro, la glittica a cilindro non gode in questo periodo di grande fortuna, pur utilizzando in modo analogo pietre dure, nelle quali sembra si prediliga la qualità della pietra, spesso traslucida e di colore attraente: abbastanza frequente è, infatti, l'uso dei quarzi per questa produzione. Forse influenzata da quella a stampo, la glittica del periodo neobabilonese predilige composizioni con pochi personaggi, ben spaziati nel campo figurativo, e abbandona completamente gli schemi araldici, come nel caso dell'eroe che domina il leone; stilisticamente, comunque, spesso questi sigilli difficilmente si differenziano da quelli neoassiri.
Bibliografia
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di Antonio Invernizzi
A. (ass. Ašš'r), capitale dell'Assiria, le cui rovine sono oggi note come Qalat Sherqat, sorge sulla riva destra del Tigri (Iraq), ai margini dello sperone del Gebel Hamrin, in posizione eminente su uno strapiombo, dove la montagna è tagliata dal fiume. Questo ne lambisce la base sul lato est e un tempo anche su quello nord.
Le rovine di A. furono scoperte e più volte visitate e divennero oggetto di limitati ma fruttuosi scavi nell'Ottocento a opera di alcuni tra i maggiori esploratori; solo negli anni 1903-14, però, furono sottoposte a esplorazione sistematica da parte della Deutsche Orient-Gesellschaft, sotto la direzione di R. Koldewey e soprattutto di W. Andrae. In anni relativamente recenti la Direzione delle Antichità dell'Iraq ha promosso una ripresa delle indagini, con intense campagne di restauro accompagnate da saggi di scavo, mentre l'attività della missione archeologica della Freie Universität di Berlino è stata purtroppo interrotta dallo scoppio della prima guerra del Golfo.
I livelli più antichi messi in luce risalgono al periodo protodinastico, quando la cultura della città appare dominata dall'innesto di tratti tipici locali su un tessuto ampiamente permeato dalla cultura che contemporaneamente fiorisce in Sumer. Nel periodo paleoassiro, nei primi secoli del II millennio a.C., A. è partecipe in maniera originale del rinnovamento che la cultura mesopotamica sperimenta sotto nuovi influssi, in particolare d'origine amorrea. È però soprattutto in seguito, con i grandi sovrani di età medioassira, che conosciamo ad A. lo sviluppo di una cultura tipicamente assira, sia nell'architettura sia nell'arte figurativa, in stretto rapporto con quella della Babilonia, ma con esiti assolutamente originali. In età neoassira, a partire da Assurnasirpal II (883-859 a.C.), A. cessa di essere la capitale politica dell'impero, ma il prestigio acquisito la conferma come capitale morale e religiosa, oltre che come sede di tombe reali. I sovrani non solo non ne trascurano i templi vetusti, ma erigono nuove fabbriche templari e palaziali e, soprattutto nel VII sec. a.C., procedono anche a un sostanziale rinnovamento del poderoso sistema di fortificazioni. Nel 614 a.C. la città è in mano alle armate neobabilonesi e mede che assoggettano in breve tutto l'impero assiro. La conquista tuttavia non pone termine alla vita nella città, dove si costruiscono ancora piccoli templi e si rinnovano case. Le cause e i modi dell'abbandono che segue sono ignote e del tutto oscura è la sorte della città nei periodi achemenide e seleucide. Occorre attendere l'età partica perché, tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C., A. riacquisti importanza e vi vengano eretti non solo templi, ma anche un palazzo. Con i Sasanidi però la città sembra definitivamente abbandonata. Sulle sue rovine furono costruiti ancora un bagno e un mausoleo nel X secolo e infine, nel XIX, il castello.
Difesa naturalmente dalla scarpata sui lati nord ed est, A. era protetta da mura possenti che disegnavano un arco sui lati ovest e sud, a partire forse da età paleoassira. La parte dell'abitato verso sud lungo il fiume era anch'essa protetta da queste mura. In età neoassira, all'interno delle vecchie mura fu costruita una nuova linea che seguiva da vicino l'andamento del muro esterno, lasciando fuori solo i quartieri meridionali, ma recingendo anche i lati nord ed est della città, lungo il fiume. Qui anzi furono erette imponenti sostruzioni e alcuni bastioni più muniti, nonché una banchina praticabile che proteggeva il lato est dalla corrente. Le mura, davanti al cui lato ovest correva anche un fossato, erano costruite con mattoni crudi e blocchi di pietra ed erano interrotte da poche aperture sul lato della Gezira, ma a nord si saliva in città anche dal fiume. Mentre la porta ovest e la porta sud servivano direttamente l'abitato, le più importanti, la porta di Gurgurri e quella dell'acqua, erano in relazione con l'area del palazzo. Lo schema planimetrico delle porte è costante: un'apertura tra torri introduce in un atrio largo, dal quale su un lato si può accedere al cammino di ronda, mentre attraverso un secondo passaggio si entra nella città. Le principali fabbriche cittadine si tovavano nel settore settentrionale, disponendosi lungo il vecchio ramo del fiume. Il tempio di Assur, la divinità poliade, sorgeva sul punto più prominente dello sperone.
La costruzione più antica, di Shamshi-Adad I (1812-1780 a.C.), risale al periodo paleoassiro e si compone di un corpo di fabbrica principale che ospita un'antecella larga (con ingresso al centro del lato lungo) e una cella forse con ingresso a gomito. L'edificio si affaccia su un cortile a cui è anteposto il corpo di fabbrica d'ingresso, che comprende atrio esterno, cortile e atrio interno. L'edificio mantenne sostanzialmente immutato questo schema nei successivi restauri, fino a quando Sennacherib (704-681 a.C.) aggiunse al suo angolo est un nuovo corpo di fabbrica, che trasformò la cella in una normale cella lunga assira (con ingresso assiale dal lato breve); lo spiazzo recintato all'esterno del santuario fu poi ampliato con un recinto minore.
Immediatamente a sud-ovest del santuario di Assur sorge la ziqqurrat, la cui dedica originaria a Enlil sembra rinviare a una situazione anteriore all'affermazione del dio assiro. Il massiccio di mattoni crudi ha pianta quadrata e pareti articolate da nicchie profilate. Come di solito in Assiria, manca il triplice corpo scalare aggettante, ma non sono emerse indicazioni relative al sistema di accesso. Al di là del Palazzo Vecchio, che si estende nell'area immediatamente a ovest, sono situati altri importanti santuari: il tempio di Anu e Adad, quello di Sin e Shamash e quello di Ishtar. I primi due sono tipici templi doppi assiri, strutturati cioè con due celle analoghe di pari importanza che si affacciano entrambe ‒ affiancate in un caso, contrapposte nell'altro ‒ su uno stesso cortile recinto. Le celle di Anu e Adad sono entrambe addossate a una ziqqurrat, più piccola di quella di Enlil, ma non meno accuratamente decorata. La fondazione di questi templi doppi risale a età paleoassira, ma la fase meglio documentata è quella medioassira. Essi furono ancora rinnovati in età neoassira. Il tempio a cui dobbiamo non soltanto le più importanti informazioni su A. protodinastica, ma anche sulla stratigrafia e sulla cultura della città, è quello di Ishtar Ashuritu. Il culto della dea è stato infatti praticato ininterrottamente nello stesso luogo, seppure in fabbriche via via ricostruite, lungo tutto l'arco della vita millenaria della città, dal Protodinastico fino alla fine dell'impero assiro. È oltremodo istruttiva la sua storia, in primo luogo per lo sviluppo dei caratteri della progettazione architettonica, ma più ancora per l'evoluzione religiosa e in particolare delle pratiche cultuali. Nella ricostruzione di Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.) si fece spazio a una cella per Ishtar Dinitu nella medesima fabbrica, ma con ingresso indipendente. Più tardi, ormai alla fine dell'età neoassira, Sin-shar-ishkun (627-612 a.C.) lo trasformò in un tempio complesso, dove si praticavano da un lato il culto di Ishtar e dall'altro quello di Nabu e della sua consorte Tashmetu. Mentre a quest'ultimo è stata data la tipica forma di un tempio doppio assiro, con due complessi equivalenti e simmetrici composti di cella con tribuna, antecella e stanze sussidiarie, l'ultimo tempio edificato per Ishtar ripropone, sostanzialmente immutato, dopo tanti secoli, lo schema del sanctum, una cella con asse a gomito di discendenza protodinastica, sia pure con la tribuna sopraelevata che dall'età medioassira ne articola il lato breve, e con la presenza di una cella larga di tipo babilonese.
Fu Sennacherib a costruire il bīt akītu, dove terminava fuori le mura la processione del dio Assur, in un giardino poco distante verso ovest, sul vecchio ramo del Tigri. L'impianto molto semplice era di forma pressoché quadrata e disponeva la cella, larga, sul fondo del cortile-giardino, dove erano piantati filari di alberi e ai cui lati sorgevano insoliti porticati. Il Palazzo Vecchio fu costruito tra l'età neosumerica e quella paleoassira, tra la ziqqurrat e il tempio di Anu e Adad, secondo una pianta rettangolare e una divisione interna dello spazio che individua quartieri a diversa destinazione: da quello di rappresentanza dominato dall'ampia sala del trono affacciata sul cortile maggiore, a quello dei magazzini organizzati sui due lati di un lungo e stretto cortile. Malgrado Tukulti-Ninurta I avesse progettato una nuova residenza, il Palazzo Nuovo, su una grande terrazza all'angolo ovest della città, il Palazzo Vecchio restò la sede reale: venne ricostruito in età medioassira e per l'ultima volta, in età neoassira, da Assurnasirpal II. Qui, sotto l'ala sud, alcuni sovrani predisposero la propria sepoltura in grandi, semplici sarcofagi litici deposti in stretti ipogei.
Con qualche eccezione, poco si conosce dell'abitato, anche se la sua area è stata solcata da lunghe trincee aperte a distanza regolare, le quali hanno permesso di accertare l'esistenza di un fitto tracciato di strade e di densi nuclei abitativi. Una casa di età protodinastica è però stata scavata integralmente nell'area del tempio di Ishtar e il periodo paleoassiro è documentato da una casa presso il tempio di Assur. Per l'età neoassira le informazioni sono più ricche e relative anche a grosse case con cortile e con sale di rappresentanza sui lati, grazie soprattutto allo scavo del quartiere che con complesse vicende edilizie venne a impiantarsi sulla terrazza del Palazzo Nuovo di Tukulti-Ninurta.
Con le abitazioni risultano spesso connesse le tombe. Le testimonianze sono considerevoli e riguardano tutti i periodi della storia di A., ma in particolare quelli neoassiro e partico. Esiste un'ampia casistica, anche in relazione alla diversa agiatezza dei defunti: dalle semplici inumazioni in vaso (tipicamente neoassire quelle a doppio vaso), a quelle in sarcofagi (di diverso tipo a seconda dei periodi, neoassiro e partico), in cassa, alla cappuccina (tipiche del periodo partico), in ipogeo in genere coperto a volta (con tratti costruttivi diversi tra il periodo medioassiro e quello partico).
Gli scavi di A. nel complesso hanno fornito manufatti in abbondanza. Le ceramiche, tra cui si distinguono la Khabur Ware del II millennio e quelle invetriate neoassire, e le arti suntuarie di età medioassira sono soprattutto note grazie a ricchi corredi funerari. L'arte protodinastica è documentata dalle numerose statue del tempio di Ishtar, quella accadica è relativamente ben rappresentata, mentre il periodo medioassiro ci ha conservato alcuni documenti di importanza capitale come i rilievi degli altari di Tukulti-Ninurta I. Ma anche dell'arte neoassira ci sono importanti documenti, dalla statuaria al rilievo, alla coroplastica, agli ziqqatu (placche di terracotta smaltata che si applicano alle pareti dei palazzi) e ai piccoli ortostati di terracotta smaltata. Relativamente povero è invece il complesso di tavolette cuneiformi, anche se il materiale epigrafico riferibile direttamente alle costruzioni, dunque con relativa possibilità di attribuzioni cronologiche dirette, è invece insolitamente ricco.
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di Roberta Venco Ricciardi
L'antica capitale dopo la sua caduta nel 614 a.C. a opera dei Medi e un lungo declino in epoca achemenide e seleucide, di cui rimangono scarsissime tracce, visse in età partica un periodo di nuova fioritura.
È possibile che mantenesse il nome di A.; l'identificazione con Labbana, suggerita da E. Herzfeld, è molto discussa. Probabilmente la sua nuova importanza è da connettere con l'emergere del Tigri come confine strategico, legato all'apparire dei Romani nel Vicino Oriente nel I sec a.C. La nostra conoscenza del periodo partico di A. è basata essenzialmente sui risultati degli scavi tedeschi diretti da W. Andrae; solo recentemente sono state riprese le ricerche a opera di archeologi iracheni e tedeschi. Andrae e H.J. Lenzen hanno rilevato tre fasi di attività edilizia (altpartisch, jungpartisch, spätpartisch), basate sulla diversità dei materiali impiegati e separate da strati di distruzione, che essi riferivano agli attacchi nella regione, e a Hatra in particolare, di Traiano e di Settimio Severo, mentre quelli sasanidi alla metà del III sec. d.C. avrebbero posto fine alla città.
Le strutture più importanti (palazzo, Tempio A, tempio di Assur) sembrano risalire al periodo più antico: sono attribuite quindi al I sec. d.C. circa e ritenute uno degli esempi architettonici e decorativi più antichi del periodo partico. Nella seconda fase i grandi edifici del periodo precedente furono restaurati, migliorati e in parte ampliati, e furono forse costruiti il Peripteros e il Freitreppenbau. Nell'ultima, più povera fase, il palazzo perse la sua fisionomia unitaria e fu parzialmente coperto da abitazioni minori. Data la varietà delle tecniche di costruzione, non è in realtà possibile tracciare con sicurezza un confine tra le diverse fasi e quindi l'attribuzione è generalmente ipotetica. Confronti ceramici fanno supporre che la città sia vissuta almeno fino alla metà del III sec. d.C. Sembra, inoltre, che provengano da questo sito alcune coppe magiche che farebbero supporre un'occupazione nel periodo tardosasanide.
In periodo partico la città era in gran parte abitata, ma è incerta la sua reale estensione, poiché non sembra che il circuito murario assiro sia stato ricostruito o restaurato in periodo arsacide, se non in aree limitate. P.A. Miglus ipotizza una nuova linea muraria più a ovest di quella assira. Le principali aree della città interessate dalle costruzioni di periodo partico, indagate da scavi estensivi, sono la zona nord-orientale, essenzialmente templare, presso la ziqqurrat, e quella meridionale, dove furono messi in luce un quartiere abitativo e un palazzo, che è l'edificio meglio conservato della città partica. Altre abitazioni furono scoperte, anche in tempi recenti, in vari settori dell'area settentrionale della città. Al centro dell'area cultuale a nord-est si trova la zona principale, di forma irregolare, considerata da Andrae l'agorà, delimitata a ovest dalla mole della ziqqurrat e da cinte murarie con colonnati sui lati meridionale e orientale; comprende il Freitreppenbau e il Peripteros. La pianta del Freitreppenbau, molto mal conservato, risulta di difficile ricostruzione anche per quanto riguarda la sua funzione. L'interpretazione di Andrae come bouleuterion è molto aleatoria; più verosimile è l'ipotesi di una funzione cultuale.
Il tempio periptero è formato da tre ambienti in asse (un iwān e due ambienti larghi, di tradizione babilonese) e un colonnato su tre lati. La facciata è tripartita: al centro è l'ampia apertura dell'iwān, affiancata da quelle minori del deambulatorio, secondo uno schema ben testimoniato nel palazzo meridionale. Sulla mera somiglianza planimetrica si basa la ricostruzione grafica dell'elevato, che, in realtà, è del tutto ipotetica. Questo tempio è un chiaro esempio di quella mescolanza di tipologie architettoniche di diversa origine (iwān, stanza larga, peristasi) tipica del periodo partico, specialmente nella Mesopotamia settentrionale. Non vi sono dati per il culto. Le rare divinità testimoniate ad A. indicano sia una continuità con il periodo precedente, sia apporti nuovi di cultura partica, ma i loro templi non ne riflettono la diversa origine: così il Tempio A, di pianta tipicamente babilonese, probabilmente in periodo partico era dedicato a Eracle, mentre il tempio costruito al di sopra delle rovine di quello antico di Assur, che, secondo le iscrizioni, probabilmente manteneva il culto originario, presentava, nella sua fase finale, una pianta tipicamente partica a tre iwān. Il bīt akītu, invece, fu ricostruito essenzialmente nella forma assira; è discusso se avesse mantenuto la sua funzione di celebrazione della festa del Nuovo Anno.
Nella zona meridionale è stato messo in luce il "palazzo partico", forse la sede del governatore della città, la cui fase principale (50 × 80 m) è quella antico-partica. Esso si sviluppava, secondo l'antica tradizione mesopotamica, intorno a un cortile centrale quadrangolare, su cui si aprivano quattro iwān di dimensioni diverse, con stanze adiacenti. Le quattro facciate del cortile, costruite con mattoni cotti e malta di gesso e probabilmente di altezze diverse, si articolavano secondo uno schema comune, in cui i grandi archi degli iwān erano fiancheggiati da due strette aperture, che corrispondevano a corridoi o a piccoli ambienti. La facciata occidentale, completamente ricoperta di stucco colorato, era suddivisa in tre grandi ordini di nicchie cieche e colonnine, con capitelli ionici molto schematizzati, e ognuna era delimitata in alto da fregi con disegni geometrici continui. I chiari prestiti occidentali appaiono completamente svuotati di ogni significato tettonico e utilizzati come una semplice decorazione di superficie. La parte più importante sembra essere la zona nord con la grande sala a quattro pilastri collegati da archi di mattoni cotti e coperta con volte ortogonali agli archi. A essa si accedeva dall'iwān settentrionale attraverso un percorso indiretto, che mette in dubbio la sua prospettata funzione di rappresentanza. A est l'entrata monumentale era costituita da un peristilio con colonne di mattoni cotti sui quattro lati, collegate da archi. La tipologia dell'ambiente è superficialmente occidentale, ma, anche in questo caso, utilizzata secondo un gusto tipicamente partico nell'uso eminentemente decorativo di elementi occidentali, estrapolati dalla loro funzione originaria. I quattro iwān del palazzo e le ali corrispondenti non sembrano essere stati costruiti contemporaneamente; anche il peristilio si affiancava a strutture precedenti. Nel periodo tardo-partico, su parte dell'area del palazzo e a fianco di questo sorsero alcune case.
All'interno della cinta assira sono state rinvenute numerose tombe, in parte raggruppate in necropoli, appartenenti ai tipi partici più diffusi (a vaso, a vaso capovolto, a sarcofago frequentemente invetriato, a cassa di mattoni cotti, a camera sotterranea) ed edifici funerari. Nella necropoli all'esterno della cinta urbica assira erano edifici funerari monumentali a più ambienti. I corredi, non particolarmente ricchi, erano composti da vasi di ceramica, vetro, pietra, monete, ornamenti personali e, raramente, armi.
La scultura è scarsamente documentata: insolite, e di grande interesse per la data di introduzione della frontalità nell'arte partica, sono tre stele, forse funerarie od onorarie, di cui due, molto simili, rappresentano due figure maschili di profilo, la terza una figura frontale. La somiglianza tra le tre stele e l'analogo luogo di ritrovamento hanno fatto supporre una data grosso modo contemporanea: una stele con figura di profilo è datata da un'iscrizione al 12/3 d.C. Sono conservate scarsissime tracce di pitture parietali. Non ci sono pervenute pitture di soggetto sacro, quali sono suggerite dal disegno dipinto su un grande pithos che rappresenta figure sacrificanti in presenza di divinità, tutte rigidamente frontali, accompagnate da iscrizioni. La ceramica è di produzione locale e fa parte della koinè partica nord-mesopotamica, molto simile a quella di Hatra.
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di Antonio Invernizzi
B. (gr. Βαβυλόν; lat. Babylon, Babilonia) è situata sulla riva dell'Eufrate (Iraq), il quale ancor oggi scorre attraverso il suo territorio, ma con un percorso che, un poco più a ovest di quello antico, taglia il settore occidentale della città.
L'immenso campo di rovine fu noto all'Europa molto presto: fin dal Cinquecento il sito venne regolarmente visitato dai grandi viaggiatori europei che raggiungevano Baghdad. I primi scavi furono però effettuati solo molto più tardi, tra il 1811 e il 1817, da C.J. Rich; a questi seguirono i saggi di altri grandi esploratori dell'Ottocento, da H. Layard a H. Rassam. Ma la città fu portata alla luce sostanzialmente da R. Koldewey, che tra il 1899 e il 1917 vi effettuò estesi scavi sistematici per conto della Deutsche Orient-Gesellschaft. Negli anni Trenta e nel dopoguerra la Direzione Generale delle Antichità dell'Iraq vi ha promosso un'attività di restauro e conservazione accompagnata anche da scavi, mentre l'Istituto Archeologico Germanico ha effettuato sondaggi, tesi soprattutto a chiarire la storia strutturale della ziqqurrat. È tuttavia negli anni Ottanta che nella città si intensificano le ricerche per l'iniziativa del Presidente della State Organization of Antiquities, M.S. Demerji, al quale si deve il lancio di un grandioso programma di indagini e restauri. Prima dello scoppio della prima guerra del Golfo (1990-91), il Centro Scavi e Ricerche Archeologiche di Torino per il Medio Oriente e l'Asia ha eseguito un rilievo topografico generale dell'area e ha condotto saggi nella parte meridionale del settore orientale.
B. è menzionata nei testi fin dal III millennio a.C., ma i resti portati alla luce non risalgono generalmente oltre il periodo neobabilonese, quando la città fu sottoposta a un grandioso programma ricostruttivo a opera soprattutto di Nabucodonosor II. Risulta certamente più antico di questa età il nucleo interno della ziqqurrat, risalente a data imprecisata, in cui comunque l'edificio aveva già pianta quadrata. Anche al di sotto del tempio di Marduk di Nabucodonosor i sondaggi hanno raggiunto abitati sigillati dai livelli assiri, nei quali il tempio aveva la stessa pianta di quello successivo di età neobabilonese. Delle fortificazioni di Sargon II restano tracce a nord-ovest del Palazzo Sud e anche il lastricato della Strada delle Processioni è stato preceduto da uno analogo in periodo assiro. Resti ancora più antichi sono stati messi in luce dagli scavi tedeschi nel quartiere di abitazioni in località Merkes: si tratta soprattutto di tombe con i relativi corredi, che datano da età cassita in poi. Al contrario, i livelli del I millennio a.C., quando B. era sotto il dominio assiro, sono qui mal definiti.
L'aspetto della città che conosciamo è dunque quello modellato dai grandi sovrani neobabilonesi, quello dell'epoca di massimo splendore di B., quando l'area protetta dalle mura raggiungeva l'estensione di 950 ha circa. L'abitato era allora diviso in due dal fiume, che scorreva in senso nord-sud. Sulla riva orientale si estendevano i principali centri politico-amministrativi e religiosi, il palazzo reale e il santuario del dio poliade Marduk, mentre sulla riva occidentale si sviluppava il quartiere la cui denominazione, "città nuova", prova la sua inclusione nell'area cittadina in periodo successivo alla fondazione. Di questo quartiere, delle case, dei templi e delle mura non sappiamo virtualmente nulla, al di là delle citazioni nelle fonti.
La città orientale era protetta da un doppio sistema di mura. Le mura interne si componevano di tre muraglie distinte: due, di mattoni crudi, sorgevano a distanza ravvicinata verso la città e portavano il nome di Nimitti-Enlil, l'esterna, e di Imgur-Enlil, l'interna. Quest'ultima, più spessa, era rafforzata da possenti torri a cavaliere disposte a intervalli relativamente regolari, nei quali trovavano posto torri minori. La cinta esterna correva parallela a quella interna a una distanza di 7,2 m ed era articolata da torri a cavaliere più piccole. Più all'esterno, a una distanza di 20 m circa, correva un fossato largo 80 m circa, alimentato dall'acqua dell'Eufrate, protetto sul lato interno da una terza muraglia, di mattoni cotti e a scarpa. Il quarto lato, lungo l'Eufrate, era difeso dal muro dell'Arakhtu (denominazione del fiume a B.), completato da una banchina praticabile. I resti del sistema di fortificazione risalgono a Nabopolassar, Nabucodonosor II e Nabonedo, ma a tratti è documentata anche l'attività di Sargon II e i più antichi bolli di mattoni riconducibili alle mura risalgono alla fine del II millennio a.C.
Le mura esterne costituivano anch'esse un sistema complesso. Il muro interno di mattoni crudi era rafforzato da torri a cavaliere a distanza relativamente regolare, intervallate da torri minori. Il muro esterno, di mattoni cotti, si ergeva a una distanza di 12 m circa; spesso 7,8 m, era rafforzato all'esterno da un basamento di 3,3 m di spessore. Lo spazio tra i due muri era riempito di terra, in modo da formare un larghissimo cammino di ronda. Le mura esterne correvano presso quelle interne sul lato sud, se ne allontanavano sensibilmente agli angoli est e nord, fino a includere, qui, il Palazzo d'Estate (Babil). L'area tra le due fortificazioni non era fittamente occupata, ma vi dovevano prevalere campi e aree aperte; inoltre sono noti dalle fonti i nomi di parecchi sobborghi, addensati soprattutto verso sud. Le porte che si aprivano nelle fortificazioni interne comportavano un semplice passaggio attraverso il muro di mattoni cotti, un atrio largo in corrispondenza del muro esterno di mattoni crudi e un lungo fabbricato connesso al muro interno e aggettante, a protezione di un tratto del cammino che introduceva in città.
Tra queste porte, ognuna delle quali era sotto la protezione di una divinità, spiccava la Porta di Ishtar, che si apriva sul lato nord in corrispondenza della Strada delle Processioni, la quale correva tra il Palazzo Sud e il tempio di Ninmakh. I muri di cotto del passaggio interno della porta erano decorati da figure di mušḫuššu, i draghi di Marduk, e di tori in file alterne. La facciata monumentale, un grande arco aperto tra due torri, era completamente ricoperta dallo stesso motivo. Dopo due fasi iniziali, infine essa fu realizzata in mattoni a rilievo smaltati con fondo blu e animali in giallo e bianco. L'effetto smagliante era amplificato dall'impiego della stessa tecnica nel fregio di leoni gradienti alla base dei muri turriti del Palazzo Nord e del bastione, che per un tratto limitavano la strada all'esterno della porta.
Sebbene l'impianto cittadino non fosse il frutto di un progetto urbanistico unitario, ma il suo fitto intreccio di vie e vicoli fosse il risultato di una vita millenaria, esistevano tuttavia nel tessuto viario alcuni punti primari di riferimento, in particolare le strade collegate alle porte. Di queste è ben nota però solo la Strada delle Processioni (Aiburshabu), che dalla Porta di Ishtar costeggiava il Palazzo Sud, poi il tempio di Nabu-sha-Hare e, oltre, il recinto della ziqqurrat, per piegare infine verso ovest all'angolo sud-est di questo, donde giungeva al ponte sull'Eufrate, dopo aver diviso la ziqqurrat dal tempio di Marduk. Era la strada percorsa dalle statue divine nelle solenni processioni della festa del Nuovo Anno, pavimentata con mattoni bitumati e con una striscia di lastre di calcare.
Il centro della vita religiosa di B. era il santuario di Marduk, che comprendeva due nuclei distinti, il tempio e la ziqqurrat. Della ziqqurrat Etemenanki ("Casa del fondamento del cielo e della terra") resta solo la parte inferiore del massiccio di mattoni crudi, mentre i mattoni cotti del rivestimento e della scalinata monumentale sono stati depredati in antico. La sua enorme mole disegnava in pianta un quadrato e doveva essere articolata in elevato in sette terrazze, coronate da un piccolo tempio rivestito di mattoni smaltati azzurri, nel quale Erodoto narra si svolgeva la cerimonia della ierogamia, culmine delle festività del Nuovo Anno. La torre si ergeva al fondo di un vasto spiazzo recinto, che sui lati est e sud si articolava in corpi di fabbrica complessi, variamente organizzati mediante la disposizione di diversi ambienti intorno a un cortile centrale. Tra i singoli fabbricati erano sistemate grandi corti, completamente aperte lungo la Strada delle Processioni, sul fondo delle quali si aprivano i portali di accesso al recinto sacro. I due enormi corpi di fabbrica del lato est ospitavano, nelle ali intorno al cortile, serie uniformi di magazzini stretti e lunghi. I complessi lungo il lato sud dovevano essere in rapporto con l'amministrazione del santuario. I resti di abitazione scavati all'interno del recinto, all'angolo nord-est, hanno portato a ricostruire un quartiere abitativo per le necessità del clero o del personale del santuario, lungo il lato nord del peribolo. Diversamente dalla norma, il tempio di Marduk, Esagila ("Casa del levare il capo"), era nettamente diviso dal recinto della ziqqurrat tramite il braccio della Strada delle Processioni che portava al ponte sull'Eufrate. Come fosse delimitato il terreno del tempio rispetto alla strada non è documentato dallo scavo, perché in questa località la continuità di vita fino al periodo islamico avanzato ha fatto nascere un tell di 21 m circa, detto Amran ibn Ali.
Il tempio di Marduk è una costruzione quadrata di mattoni crudi di tipico schema babilonese, le cui facciate esterne, protette alla base da un bancone (kisu) di mattoni cotti, sono variamente articolate da una ricca decorazione di lesene e nicchie profilate, così come quelle del cortile interno. La divisione dello spazio interno segue i criteri della casa a cortile centrale. Qui sul lato ovest, attraverso l'antecella larga, si affaccia la cella di analoga forma di Marduk, il cui portale è in asse con il portale d'ingresso est. Gli altri ambienti ospitano celle secondarie per il culto di altri dei e locali di servizio. Sul basamento della cella dov'era forse venerato Ea sono stati trovati anche i resti del ricco trono ligneo del dio, decorato da figure e simboli divini. Alla facciata orientale fu addossato un corpo di fabbrica che aumentava sensibilmente l'estensione dell'area sacra.
I templi minori si uniformano generalmente alle regole di un'analoga prassi cultuale, adattata evidentemente sia ai requisiti dei culti specifici in essi praticati, sia ai condizionamenti di natura topografica o economica. Tra i templi noti spicca quello di Nabu-sha-Hare, sul lato ovest della Strada delle Processioni, grosso modo all'altezza del tempio di Ishtar. Esso si distingue per l'eccezionale stato di conservazione, dovuto al riempimento di sabbia dei suoi spazi prima della ricostruzione in mattoni cotti. Oltre al sanctum principale, ne contiene uno minore organizzato su un secondo cortile. Le pareti, conservate fino a oltre 4 m di altezza, erano intonacate con calce bianca e bitume nero, in modo da creare una struttura di fasce e cornici. Particolarmente ricco e informativo, anche dal punto di vista delle vicende edilizie di B., è l'archivio di tavolette. Tra i vecchi templi l'Emakh, a est della Porta di Ishtar, era consacrato a Ninmakh. Il culto di Ishtar si praticava invece nell'Emashdari, un tempio stretto tra le case. L'Epatutila, la casa di Ninurta, è stato scavato nel settore a sud del tempio di Marduk, così come il Tempio Z, che era forse uno dei templi sacri alla dea Gula, della cui esistenza ci informano le fonti.
Il secondo polo della vita cittadina era il palazzo, le cui fabbriche formavano due maestose cittadelle, una al vertice nord delle mura esterne (il Palazzo d'Estate), e l'altra al vertice nord-ovest di quelle interne, tra la Porta di Ishtar e il fiume (il Qasr). Quest'ultimo complesso era diviso dalle mura in due parti prive di comunicazione diretta fra loro, il Palazzo Sud e il Palazzo Nord. Quanto è noto in entrambi è di età neobabilonese ed è opera prevalentemente di Nabucodonosor, ma il settore più antico del Palazzo Sud, verso il fiume, era stato costruito in parte già da Nabopolassar. Il Qasr era particolarmente ben difeso da due poderosi baluardi all'esterno della Porta di Ishtar (il Palazzo Nord era in relazione con quello occidentale), mentre le ampie, massicce sostruzioni di un avamposto si trovavano nel fiume immediatamente a ovest del Palazzo Sud. Quest'ultimo occupa un vasto appezzamento di terreno trapezoidale con ingresso monumentale dalla Strada delle Processioni. Lo spazio è diviso in cinque settori, ognuno con un vasto cortile al centro, connessi tra loro da atri monumentali, disposti sui lati est e ovest dei cortili. Rispettivamente a sud e a nord di questi sono invece dislocate le maggiori sale di rappresentanza e diversi quartieri più o meno riccamente articolati e a varia destinazione. Sul lato sud del cortile maggiore, s'innalza la facciata a mattoni smaltati della sala del trono, che con i suoi 17,52 × 51,85 m è la più grande sala nota dell'architettura mesopotamica e con i suoi caratteri richiama l'architettura sacra. La definizione delle funzioni dei singoli ambienti è resa problematica dal fatto che le murature portate alla luce erano divenute semplici fondamenta nella fase finale del complesso processo edilizio del palazzo, interessato, come le vicine Porta di Ishtar e Strada delle Processioni, da un enorme innalzamento del piano di calpestio. Lo schema a cortile centrale di molti quartieri alle spalle delle sale di rappresentanza, tuttavia, suggerisce usi abitativi. Altri gruppi di ambienti, soprattutto a nord, dovevano ospitare uffici dell'amministrazione, laboratori e magazzini. Questo era l'uso più probabile del quartiere all'angolo nord-est, dove gli scavatori hanno immaginato i Giardini Pensili, che altri studiosi preferiscono invece collocare in differenti parti del palazzo, più vicine al fiume.
La pianta del Palazzo Nord, immediatamente a settentrione delle mura, è nota in modo molto frammentario, ma sufficiente per constatare una divisione degli spazi intorno a due grandi cortili collegati da atri monumentali in senso est-ovest, sul lato meridionale dei quali si aprono i grandiosi portali di vaste sale di rappresentanza. Lo stesso schema di base si ritrova nel Palazzo d'Estate, pur in una pianta ancora una volta lacunosa. Il palazzo univa a un'utilizzazione residenziale e di rappresentanza funzioni militari e strategiche, come implica la posizione di avamposto al vertice nord delle mura esterne.
L'architettura domestica è nota in minima parte, ma le case messe in luce mostrano un sostanziale carattere di uniformità. Lo schema comune è infatti quello classico a cortile centrale, caratterizzato molto frequentemente dalla disposizione su di un lato di un'ampia sala larga di rappresentanza. Un tratto tecnico-espressivo comune in questa architettura è poi la conformazione a profilo seghettato di molte superfici murarie esterne, una soluzione di compromesso al problema di armonizzare il diverso orientamento della facciata sulla strada e dei muri interni.
La città continua a prosperare dopo la conquista achemenide come una delle capitali del nuovo impero. Questa posizione ha un riflesso nella costruzione del padiglione achemenide sull'area del Palazzo Sud, verso il fiume. Le epigrafi rinvenute provano che molti sovrani furono attivi a B., ma i resti a noi giunti, insieme con le fondazioni di quel piccolo edificio, non rendono certo giustizia all'importanza che la città deve aver avuto in quel tempo. I pochi documenti di architettura domestica mostrano invece chiari segni di continuità, non solo dal periodo neobabilonese a quello achemenide, ma, attraverso quello seleucide, fino al pieno periodo partico, come provano soprattutto le strutture dei due livelli partici del tell orientale, o la casa presso il teatro greco, che fu abitata fino a età partica.
Le pratiche funerarie sono abbastanza bene documentate per l'uso di seppellire i morti in casa o in città. È dunque soprattutto lo scavo dei quartieri residenziali a fornire un'ampia casistica di tombe, almeno a partire da età cassita. Si tratta talora di piccoli ipogei a volta, ma più frequentemente di altri tipi, che variano da età a età, anche per la forma. La documentazione di B. si inserisce bene nella norma di ogni periodo nota da altre località della Mesopotamia, sia per la tipologia delle tombe sia per i corredi. Questi hanno fornito una buona parte dei manufatti provenienti dagli scavi, che, ricchissimi sul piano architettonico, sono stati relativamente poveri di opere d'arte e d'artigianato, certo raccolte in numero del tutto inadeguato all'antica ricchezza.
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di Carlo Lippolis
Le fonti classiche tramandano che Alessandro Magno intraprese la ricostruzione dell'antica città sull'Eufrate, 90 km a sud di Baghdad. I dati archeologici, tuttavia, sembrano dimostrare che, sebbene il Macedone abbia dato inizio a una serie di lavori di sgombero e pulizia all'interno di alcuni complessi in rovina, interventi edilizi di notevole portata cominciarono soltanto con i suoi successori, in particolare durante i regni di Seleuco I, Antioco I e Antioco IV.
L'idea di Alessandro di una grandiosa ricostruzione della città verrà definitivamente abbandonata con la fondazione di Seleucia sul Tigri. È comunque noto che Alessandro elesse a propria residenza il palazzo di Nabucodonosor II, dimora reale anche per gli Achemenidi: una legittimazione del suo dominio in Mesopotamia all'insegna della continuità delle antiche tradizioni. All'interno del palazzo il livello ellenistico è attestato da una serie di interventi di ripristino caratterizzati dall'introduzione di elementi innovativi greci: è il caso dei frammenti di intonaco dipinto delle facciate interne a motivi geometrici e vegetali in stile greco, ma soprattutto di tegole e antefisse in terracotta evidentemente da riferire all'inserimento di un peristilio in una delle corti. In epoca seleucide si assiste alla continuità nella vita del grande santuario cittadino consacrato a Marduk, nei settori del tempio basso (Esagila) e del recinto della ziqqurrat. I lavori delle missioni tedesche nell'Esagila hanno appurato la presenza di fasi pavimentali sovrapposte a quelle neobabilonesi, forse attribuibili all'età seleucide, e la presenza di mattoni privi del caratteristico bollo reale neobabilonese sembra confermare l'ipotesi che il restauro su ampi segmenti del recinto esterno sia da riferire a questo periodo. L'alternanza in nicchie e aggetti delle facciate, tipica dell'architettura mesopotamica, viene mantenuta. Più consistenti i lavori intrapresi all'interno del recinto dell'Etemenanki, che la tradizione fa cominciare sotto Alessandro con la rimozione dei detriti della ziqqurrat e delle strutture in rovina, trasportati all'esterno del complesso e ammassati nel settore nord-est della città fino a formare una collina artificiale. Con i successori del Macedone anche il recinto dell'Etemenanki conosce interventi di ripristino, forse in relazione a un rialzamento della vicina Strada delle Processioni. I testi cuneiformi emersi dagli scavi citano inoltre offerte e celebrazioni in altri antichi edifici religiosi cittadini, confermando la continuità del loro utilizzo per tutta l'età seleucide: tra questi vi è la menzione di offerte recate al bīt akītu, l'edificio per la celebrazione della festa tradizionale del Nuovo Anno.
La questione relativa alla presenza di una comunità greca nella città rimane ancor oggi aperta, soprattutto nel voler definire l'esatto peso culturale e politico di questo apporto "esterno". La presenza di una comunità greco-macedone si rispecchia nell'adozione di nuove tipologie all'interno del tessuto urbano: il teatro, l'agorà o ginnasio sono elementi inequivocabili dell'esistenza a B. di forme artistiche e istituzioni culturali puramente greche, che perdurano anche nel periodo partico. La continuità nell'utilizzo del teatro è testimoniata dalla complessa sequenza delle sue fasi edilizie che dal IV sec. a.C. scendono fino al II sec. d.C. L'edificio, la cui cavea venne addossata alla collina artificiale di Homera, era interamente di mattoni crudi e solo i dettagli architettonici utilizzavano altri materiali: gesso per i fregi decorativi della scena e gesso misto a pietre o mattoni cotti nel caso delle colonne, delle basi e degli stilobati. Di fronte alla cavea si apriva un'ampia corte a peristilio, aggiunta alla costruzione originaria: rimangono incerte la restituzione planimetrica e la destinazione degli ambienti laterali della corte, mentre l'interpretazione delle strutture oscilla da agorà a ginnasio, a khan.
L'edilizia privata è nota soprattutto dalle ricerche condotte nel settore del Merkes, l'antico quartiere residenziale che mantiene l'impianto tradizionale neobabilonese, privo di razionale e ordinata pianificazione e con la caratteristica disposizione agglutinante delle cellule abitative. Le case, sia in età seleucide che partica, sono di tipo classico a cortile centrale: a livello planimetrico l'inserimento del peristilio costituisce l'unico apporto innovativo, mentre l'articolazione dei muri esterni nel disegno a "denti di sega" riprende moduli tradizionali. In periodo partico il grande santuario cittadino non viene ricostruito e nel settore dell'Esagila (dopo la metà del II sec. a.C.) compaiono edifici domestici. Un ampio edificio residenziale occupa il settore compreso tra il recinto della ziqqurrat e l'Esagila, lungo l'antica strada processionale che ora viene arricchita da portici. Gli scavi dell'edificio hanno rilevato almeno tre grandi fasi edilizie, a testimoniare il lungo periodo di utilizzo delle strutture fino al II sec. d.C. Le murature prevedono, a fianco del tradizionale mattone crudo, un nuovo uso combinato di mattone cotto e malta di gesso che ricorre anche nel peristilio del cortile centrale, tipologia architettonica introdotta nei livelli seleucidi che permane nelle fasi partiche.
Al periodo partico tardo della città (I sec. d.C.) si devono datare alcune sepolture che tagliano i livelli antichi di un'ala del palazzo meridionale. Le tipologie funerarie attestate, secondo quanto emerge anche da altre inumazioni individuate nella residenza sulla collina di Babil, sono quelle tipiche del periodo e dell'area: sepolture in giara, alla cappuccina, a cassa o a sarcofago (a bagno, a pantofola). È dai corredi di queste inumazioni, oltre che dai settori residenziali della città, che proviene la maggior parte delle figurine di terracotta: una produzione, che ricorre nelle tecniche del modellato a mano o a stampo, che abbraccia tutto il periodo seleucide e partico. Tra soggetti ricorrenti nella coroplastica si incontrano temi e motivi mesopotamici (figure femminili stanti con le braccia lungo il corpo o al petto), a fianco di modelli occidentali (soldati, divinità, placche decorative) o di caratteri più tipicamente iranici (soprattutto nelle vesti dei personaggi raffigurati).
Le fonti relative agli ultimi anni di B. ricordano l'antico palazzo reale trasformato dai sovrani partici in una residenza riccamente arredata. I testi classici sono concordi nel fissare al II sec. d.C. l'inizio dell'inesorabile declino della città. Traiano, durante la campagna orientale (115/6 d.C.), trascorre l'inverno in una città deserta ove solo le strutture dell'antica residenza meridionale restano agibili. I dati archeologici, tuttavia, attestano ricostruzioni e fasi costruttive (è il caso dell'ultimo ampliamento del teatro) posteriori all'incendio che nel 125 d.C. distrusse parte della città. L'epoca sasanide (224-651 d.C.) è invece testimoniata da sporadici interventi di rinforzo sulla cortina dell'antica residenza reale sulla collina di Babil: il muro che circonda l'antica residenza estiva è ora articolato in torri semicircolari. Le mura cittadine, uniche strutture ancora in uso, vengono trasformate nel monumentale recinto di una residenza di caccia con parco per i nuovi signori sasanidi.
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di Hartmut Kühne
Tell Sheikh Hamad, corrispondente all'antica D.-K. prima e Magdalu poi, si trova nella Siria nord-orientale, 65 km a nord/nord-est del moderno centro provinciale di Der az-Zor, sulla riva orientale del fiume Khabur, il più grande affluente dell'Eufrate. Gli scavi sono condotti dal 1978 da H. Kühne, dal 1980 anche con il patrocinio della Freie Universität Berlin.
Il materiale di superficie indica che l'insediamento più antico può essere datato alla parte finale del IV millennio a.C. (tardo Uruk). Apparentemente, il sito è stato occupato in maniera continuativa nel Bronzo Antico e Medio. Originariamente un piccolo villaggio, la prima estensione del sito sembra essersi formata nel periodo paleobabilonese, con la costruzione di una cittadella e di una città bassa a est e a sud di essa, con una superficie di circa 25 ha. Questa configurazione dell'insediamento si mantenne durante il Bronzo Tardo (periodo mitannico e medioassiro). Un archivio medioassiro del XIII sec. a.C. fu rinvenuto in un'ala del grande edificio (palazzo?) sul declivio occidentale della collina e ha svelato il nome del sito, D.-K., che serviva come sede di un governatore provinciale e allo stesso tempo di un visir (sukallu rabiu), che aveva il compito di amministrare e governare la parte occidentale dell'impero, recentemente istituita. Durante l'"età oscura" alla fine del II millennio a.C., la regione del basso Khabur rimase apparentemente sotto il controllo assiro, nonostante l'impatto delle invasioni aramee. Verso la fine del IX sec. a.C., l'insediamento fu allargato considerevolmente con la creazione di una seconda città bassa che si estendeva a nord-est della cittadella. Nuove mura urbiche, di 4 km di lunghezza, racchiudevano un insediamento di 65 ha di superficie. Al di fuori delle mura, un'area suburbana a nord e a est sorse improvvisamente incrementando di 50 ha la città neoassira di D.-K. Scavi intensivi hanno riportato alla luce uno schema urbanistico con larghe strade, edifici (pubblici) aperti, canali, un grande edificio amministrativo nell'angolo nord-est e residenze delle élites al centro della seconda città bassa. Almeno due porte permettevano l'accesso alla città da nord e da est. Un sistema regionale di canalizzazioni forniva scorte d'acqua sufficienti per bere così come per l'irrigazione, in grado di sostenere una popolazione di 7000 individui. La popolazione era formata sempre più da Aramei che chiamarono il sito con un nuovo nome: Magdalu. La scrittura aramaica è ben documentata da circa 120 bullae così come da tavolette cuneiformi. La città fungeva ancora da centro provinciale amministrativo ed economico, ma, essendo ormai posizionata al centro del territorio assiro, ospitava inoltre un presidio militare e unità di intelligence sotto il controllo di un confidente del re.
Mentre il centro dell'Assiria crollava sotto l'attacco dei Babilonesi e dei Medi nel 612 a.C., l'insediamento assiro di D.-K./Magdalu perdurò integro e passò sotto il controllo del sovrano babilonese Nabucodonosor. L'insediamento funzionò a pieno regime come prima; una grande residenza (la Casa Rossa) fu costruita e altre residenze assire furono occupate e utilizzate. Con la distruzione della Casa Rossa a causa di un incendio, ebbe inizio una fase contemporanea all'età dell'impero achemenide. A causa dello spostamento delle capitali verso la Persia, D.-K./Magdalu divenne marginale e cadde in declino; l'insediamento si ridusse alla prima configurazione di cittadella e città bassa. Durante i periodi ellenistico, partico e romano (dal 300 a.C. al 250 d.C.) l'area della seconda città bassa fu riutilizzata come cimitero. Il sito, ora noto con il nome di Magdala, ottenne di nuovo una certa importanza, quando fu inglobato nel limes orientalis romano e un castrum fu costruito sulla superficie della prima città bassa nel II sec. d.C.
Bibliografia
H. Kühne - C. Becker - S. Bottema, Berichte der Ausgrabung Tall Šeh Hamad-Dur Katlimmu, I. Die rezente Umwelt von Tall Šeh Hamad und Daten zur Umweltrekonstruktion der assyrischen Stadt Dur-Katlimmu, Berlin 1991; P. Pfälzner, Berichte der Ausgrabung Tall Šeh Hamad-Dur-Katlimmu, III. Mittanische und mittelassyrische Keramik. Eine chronologische, funktionale und produktionsökonomische Analyse, Berlin 1995; E.C. Cancik-Kirschbaum, Berichte der Ausgrabung Tall Šeh Hamad-Dur Katlimmu, IV. Die mittelassyrischen Briefe aus Tall Šeh Hamad, Berlin 1996; M. Novák et al., Berichte der Ausgrabung Tall Šeh Hamad-Dur-Katlimmu, V. Der parthisch-römische Friedhof von Tall Šeh Hamad-Magdala, 1, Berlin 2000; K. Radner, Berichte der Ausgrabung Tall Šeh Hamad-Dur-Katlimmu, VI. Die Neuassyrischen Texte aus Tall Šeh Hamad, Berlin 2002.
di Antonio Invernizzi
Città dell'Iraq ubicata in località Aqar Quf, nella periferia nord-occidentale di Baghdad. Sebbene la sua importanza fosse da tempo indicata dai resti della ziqqurrat, l'area è stata sottoposta solo recentemente a una serie di ricerche, con scavi sistematici del principale centro religioso e di quello palaziale, poi con considerevoli restauri e ricostruzione della ziqqurrat.
La città fu fondata su un terreno apparentemente libero da insediamenti più antichi dal re cassita Kurigalzu (verosimilmente il primo con questo nome) all'inizio del XIV sec. a.C. e godette di una fase di grande floridezza che sembra concludersi entro la fine del II millennio a.C., sostanzialmente entro i limiti del periodo di regno della dinastia cassita. Nulla si conosce in pratica dell'abitato, a parte l'esistenza di un corso d'acqua che correva in stretta relazione con la città, dal momento che le indagini archeologiche hanno avuto come obiettivo soprattutto il grande santuario di Enlil, Eugal, la sua monumentale ziqqurrat e il palazzo reale a Tell al-Abiad.
Il santuario di Enlil mostra un impianto complesso, ma apparentemente strutturato in una serie di cortili circondati da fabbricati e con diverse strutture. Il più ampio è naturalmente quello nel quale sorge la ziqqurrat Egikil con un lastricato di mattoni. I resti della ziqqurrat rendono subito evidenti le novità concrete apportate a questo tipo di monumento dopo i tempi della III Dinastia di Ur. La scelta di una base all'incirca quadrata, con lati che si avvicinano agli 80 m di lunghezza, è in relazione al deciso sviluppo in altezza delle proporzioni dell'insieme, il cui verticalismo è accentuato dall'enorme aggetto della scalinata centrale di accesso e dall'inizio delle scalinate laterali sistemato oltre gli angoli della facciata, sui lati. La preponderante altezza delle sostruzioni della terrazza inferiore, la disposizione di scarichi pluviali verticali sui lati e sul retro e l'articolazione delle pareti mediante una fitta successione di larghe e piatte lesene sono tratti più tradizionali, ma è interessante notare come quest'ultimo allestimento non riguardi soltanto le facciate esterne del massiccio rivestimento di mattoni cotti, bensì anche le superfici del nucleo di mattoni crudi che tale rivestimento viene a nascondere. Nulla resta dell'edificio templare e anche la ricostruzione dei piani superiori presenta punti oscuri. La tecnica edilizia è caratterizzata dall'uso di strati di canne, che ricorrono alternandosi in altezza ogni 8 o 9 corsi di mattoni crudi, e dalla disposizione a direzioni alterne, ortogonali, di fasci intrecciati di canne inseriti in canali risparmiati nella muratura in funzione di tiranti. Immediatamente di fronte alla monumentale scalinata centrale, è dislocata un'ampia terrazza rivestita di mattoni cotti, dalle pareti ornate di lesene scanalate e provvista di una scaletta di accesso all'angolo est. Essa si trova stretta da presso su almeno due lati dai recinti dei cortili che si estendono sul lato sud-est del santuario, di cui alcuni dedicati a Ninlil e Ninurta. Oltre l'angolo ovest della ziqqurrat, al di fuori del recinto di questa, si erge un'altra terrazza, di 28 × 65 m alla base, alta oltre 5 m e rivestita di mattoni cotti. Un piccolo edificio di analoghe proporzioni ne occupa quasi completamente la sommità; si tratta della cucina del dio, dotata di un grande forno.
A Tell al-Abiad sono stati portati alla luce i resti di un grande palazzo reale, una vasta costruzione che ha oggi un'estensione di circa 200 × 300 m. Il palazzo fu eretto probabilmente dal fondatore della città, ma sperimentò una serie di vicende edilizie, le ultime delle quali scendono forse alla metà circa del XII sec. a.C. Il complesso si articola in quartieri di varie dimensioni caratterizzati da ambienti di diverse proporzioni disposti intorno a cortili. I singoli quartieri sono ora giustapposti, ora più strettamente concatenati. Ma le lacune non facilitano la piena comprensione della sintassi generale, anche se sono evidenti la grande regolarità dell'insieme e dei dettagli, la tendenza a conferire una forma molto stretta e lunga alle sale monumentali e ad allineare intorno a queste o fra di loro stanze in proporzione piccole. Il centro principale del palazzo è costituito dal complesso A, con il suo enorme cortile quasi quadrato. Su tre lati di esso si trovano quartieri caratterizzati da un'analoga disposizione tripartita dei vani, con una lunga stanza mediana e tutt'intorno stanze per lo più di ridotte dimensioni. È questo probabilmente il settore di rappresentanza. Ma una certa tendenza all'uniformità nella conformazione dei vani e dei loro rapporti non facilita la definizione delle loro funzioni. Tra tutti si distingue la coppia di ambienti lunghi e stretti sui cui lati si aprono profondi nicchioni voltati. L'impianto venne a sostituire quello che originariamente poteva essere il tesoro reale ed è stato interpretato come il bīt kispim, il luogo delle sepolture dei sovrani.
L'ultimo quartiere costruito è il complesso H, all'angolo nord: un impianto relativo al regno di Marduk-apla-iddina I (1171-1159 a.C.). A giudicare dalla parte rimasta, esso si differenzia dallo schema più comune nei quartieri più antichi perché direttamente sul grande cortile danno lunghe sale rettangolari, trasformate quasi in porticati dalla fitta successione di aperture nel muro verso lo spazio aperto. La serie di pitture murali rappresentanti una successione ininterrotta di dignitari da un lato sottolinea questa facilità di circolazione, dall'altro costituisce una significativa anticipazione degli schemi narrativi del rilievo assiro. Tra i pochi reperti rinvenuti spiccano alcuni esempi della più raffinata oreficeria del tempo, resti di sculture reali monumentali e una serie di figurine di terracotta modellate a mano, tra le quali una testina maschile dipinta e una figura di felino.
Bibliografia
T. Baqir, Iraq Government Excavations at 'Aqar Qūf, 1942-1943, in Iraq, 1944, suppl.; Id., Iraq Government Excavations at 'Aqar Qūf: Second Interim Report, 1943-1944, ibid., 1945, suppl.; Id., Iraq Government Excavations at 'Aqar Qūf: Third Interim Report, 1944-1945, ibid., 8 (1946), pp. 73-93; M. Ali Mustafa, Kassite Figurines, in Sumer, 3 (1947), pp. 19-22; Y.M. Al-Khalesi, The Bit Kispim in Mesopotamian Architecture, in Mesopotamia, 12 (1977), pp. 53-82; Y. Tomabechi, Wall Paintings from Dur Kurigalzu, in JNES, 42 (1983), pp. 123-31; G. Gullini, New Suggestions on the Ziqqurrat of Aqar Quf, in Sumer, 41 (1985), pp. 133-37; F. Baffi Guardata - R. Dolce, Archeologia della Mesopotamia. L'età cassita e medioassira, Roma 1990, passim.
di Antonio Invernizzi
E. è il più meridionale tra i centri importanti della pianura sumerica (od. Iraq), dove sorge in una lieve depressione; di antiche origini preistoriche, ebbe un considerevole significato in tale periodo e in quello seguente, protourbano.
La sua fioritura sembra interrompersi in età protodinastica, per riprendere, soprattutto come centro religioso, con la III Dinastia di Ur e decadere poi definitivamente per cause che non sono state oggetto di ricerche approfondite. L'area archeologica porta oggi il nome di Abu Shahrein. Limitate indagini di scavo sono iniziate relativamente presto, nel XIX secolo, ma scavi regolari di considerevole entità sono stati effettuati solo negli anni 1946-49 a opera della Direzione Generale delle Antichità dell'Iraq.
A E. gli scavi hanno portato alla luce una sequenza archeologica particolarmente significativa per la continuità delle manifestazioni culturali accertate nelle fasi più antiche della vita della città. Qui infatti è stato possibile seguire per la prima volta con una certa precisione, grazie a una documentazione relativamente ampia e complessa, l'evoluzione delle caratteristiche culturali di Sumer tra la preistoria e la protostoria, anzi vi è stata rivelata quella che, all'epoca della scoperta, era la fase preistorica più antica della cultura Ubaid, la quale rappresenta la prima cultura attestata nella pianura della Mesopotamia meridionale. Dalla città, appunto, questa fase ricevette la denominazione ancor oggi in uso. La sequenza preistorica di E. è stata messa in luce soprattutto nel corso degli scavi condotti nell'area del santuario cittadino, ai piedi delle rovine della ziqqurrat. Il sondaggio fu sufficientemente ampio da permettere di documentare non solo una fitta successione di strati con una precisa sequenza ceramica, ma anche resti architettonici di grande importanza perché, alla fine del periodo Ubaid, essi appartengono a edifici che possono essere considerati i predecessori dei templi di età successiva. Anzitutto fu qui stabilita l'ossatura portante dello sviluppo delle forme ceramiche della cultura Ubaid, articolato nelle fasi Eridu (livelli XIX-XVI) ‒ qui scoperta per la prima volta ‒, Hajji-Mohammed (livelli XV-XII), Ubaid 3 (livelli XI-VIII) e Ubaid 4 (livelli VII-VI). È peraltro particolarmente significativo che quasi tutti questi livelli abbiano fornito resti edilizi. Nei livelli basali sono emerse parti di strutture sconnesse, ma talora anche piccoli edifici che mostrano una pianta organica conclusa. Ma è soprattutto a partire dal livello IX che si assiste alle continue ricostruzioni di quello che sembra essere un edificio particolare, che ha pianta rettangolare lacunosa nei livelli inferiori, ma per lo più completa in quelli più recenti. Esso sorge su uno zoccolo provvisto di una piccola scalinata di accesso alla sommità, e che si fa più alto da una fase all'altra, poiché la ricostruzione avviene nello stesso luogo senza che siano spostati tutti i detriti della costruzione precedente. All'interno, gli ambienti si dispongono secondo uno schema tripartito, cioè sui due lati lunghi di una sala maggiore di forma rettangolare; all'esterno le pareti presentano una scansione abbastanza regolare di lesene. Queste caratteristiche, planimetriche e di elevato, stabiliscono un evidente rapporto con analoghi caratteri dell'architettura protourbana e, in particolare, con la pratica ben nota in età storica di trattare le pareti degli edifici sacri. La localizzazione di questi edifici sotto la ziqqurrat, la continuità dei caratteri architettonici e, certo, delle funzioni d'uso hanno portato a interpretarli come templi. Oggi una simile caratterizzazione religiosa viene ritenuta prematura, in quello che apparentemente è lo stadio di sviluppo sociale delle genti Ubaid, non ancora sufficientemente complesso e articolato per la creazione di una religione e di un apparato cultuale nelle comuni accezioni. Si preferisce dunque interpretarli come edifici centrali della comunità, il punto di riferimento della loro vita, nel quadro di una società che andava sviluppando forme di controllo centralizzate a livello socioeconomico. Sarà comunque da questi edifici che si svilupperanno nell'età protourbana le grandiose, monumentali costruzioni connesse con l'organizzazione di quelli che possiamo interpretare allora come grandi santuari cittadini.
L'interesse eccezionale della sequenza preistorica di E. sta anche nel fatto che essa permette di constatare come il processo naturale di crescita, prodotto dalle successive ricostruzioni dell'edificio sullo stesso luogo, abbia presto portato alla definizione formale e allo sviluppo dimensionale di una sostruzione: questa è dapprima un modesto zoccolo, ma poi diviene un'alta e larga terrazza sulla cui sommità sorge l'edificio. Le fasi di questo edificio databili a età protourbana (livelli V-I) sono meno ben documentabili. Esse sono infatti più direttamente inglobate nel massiccio di mattoni crudi della ziqqurrat, che costituisce un ostacolo all'approfondimento delle ricerche. Si può tuttavia parlare infine di tempio, per quanto dell'edificio non sia stata portata alla luce che una parte delle alte sostruzioni con pareti riccamente decorate. Dell'architettura del periodo dà comunque testimonianza un edificio tripartito, di particolare importanza anche perché documenta l'uso di una copertura a volta sui passaggi di comunicazione tra ambienti.
Mentre la documentazione dell'occupazione protodinastica è altrove, nel tell nord, gli scavi attestano una ripresa di attività edilizia in età accadica e alla fine del III millennio a.C., con i primi sovrani della III Dinastia di Ur, tutti i resti di questo millenario sviluppo architettonico sono inglobati nel massiccio della ziqqurrat, mentre l'area del santuario viene racchiusa da un'imponente opera di recinzione di blocchi di pietra. La ziqqurrat era in stato di conservazione relativamente buono, aveva pianta rettangolare (62 × 46 m ca.), un triplice corpo scalare di accesso e poderosi scarichi pluviali verticali di blocchi di mattoni cotti immorsati nella superficie del massiccio di mattoni crudi. La ziqqurrat costituiva il cuore del santuario di Ea/Enki, il dio dell'Absu, l'oceano sotterraneo di acque dolci fonte di vita.
Sul tell nord, poco lontano dal recinto sacro al dio, in età protodinastica fu costruito un grande complesso edilizio. Si tratta di un palazzo di impianto rettangolare, composto da due settori equivalenti, di pianta non molto diversa, riuniti entro un muro di cinta esterno rettilineo e in parte segnato da pilastri. Lo spazio di ognuno dei due settori è diviso in quartieri di forma regolare, spesso disposti intorno a un cortile, più o meno grandi e variati in accordo con le diverse funzioni di rappresentanza, cucina, servizi, magazzini. Sulle fasi finali della vita della città mancano notizie esaurienti, anche se documenti epigrafici attestano lavori edilizi nei secoli successivi e ancora in età neobabilonese. Gli scavi hanno messo in luce una documentazione ceramica di primaria importanza soprattutto per l'età pre- e protostorica e, sempre per queste età, una notevole collezione di figurine e attrezzi. Molto vasta sembra poi la necropoli tardo-Ubaid, che si estendeva al di fuori del recinto della ziqqurrat, per la quale lo scavo ha fornito sostanziali informazioni.
J.E. Taylor, Notes on Abu Shahrein and Tel el Lahm, in JRAS, 25 (1855), pp. 404-15; R. Campbell Thompson, The British Museum Excavations at Abu Shahrein in Mesopotamia in 1918, in Archeologia, 70 (1920), pp. 101-45; H.R. Hall, A Season's Work at Ur, London 1930; H. Lenzen, Mesopotamische Tempelanlagen von der Frühzeit bis zum zweiten Jahrtausend, in ZA, 51 (1955), pp. 1-36; S. Lloyd, Ur-al 'Ubaid, 'Uqair and Eridu, in Iraq, 22 (1960), pp. 23-31; J. Oates, Ur and Eridu, the Prehistory, ibid., pp. 32-50; F. Safar - M. Ali Mustafa, Eridu, Baghdad 1981; E. Heinrich, Die Tempel und Heiligtümer im alten Mesopotamien, Berlin 1982; J.-C. Margueron, Du nouveau concernant le palais d'Eridu?, in Syria, 60 (1983), pp. 225-31; E. Heinrich, Die Paläste im alten Mesopotamien, Berlin 1984; P.P. Vértesalji, Zur chronologischen und sozial- sowie religionsgeschichtlichen Bedeutung des Eridu-Friedhofs, in BaM, 15 (1984), pp. 9-33.
di Antonio Invernizzi
Città della Babilonia nord-orientale (Iraq), situata non lontano dal corso inferiore del fiume Diyala, identificata con Tell Asmar.
Insieme con Khafagia, E. fu l'obiettivo principale della grande missione archeologica dell'Oriental Institute dell'Università di Chicago che, sotto la guida di H. Frankfort, gettò le fondamenta delle moderne conoscenze della civiltà sumerica. Le sue rovine furono indagate sistematicamente ed estensivamente negli anni 1930-37. Si deve proprio ai risultati di questa indagine, e in particolare a una stratigrafia particolarmente continuativa e ricca, la chiarificazione dei lineamenti dello sviluppo culturale della civiltà sumerica. La regione è in posizione periferica rispetto ai grandi centri dinastici di Sumer, rispetto ai quali E. giocò un ruolo, anche politico, importante soprattutto dopo il periodo di Ur III. Eppure, la sequenza stabilita nei centri del Diyala costituisce ancor oggi il modello, l'ossatura portante dello sviluppo storico-cronologico delle manifestazioni culturali della Mesopotamia tutta tra la fine dell'età protourbana e l'età paleobabilonese, cioè per tutto il III millennio a.C. e i primi secoli del II, grosso modo fino alla conquista della città da parte di Hammurabi. Da questo avvenimento sembra infatti datare la sua decadenza.
In particolare, fu sulla base della sequenza stratigrafica risultante dagli scavi di E. e di Khafagia che venne elaborata quell'articolazione del periodo protodinastico in tre fasi (I, II, III) che è ancor oggi di uso comune, mentre è per lo più abbandonata la terminologia di Protoliterate con cui gli archeologi americani definirono i livelli più antichi, risalenti alla fine dell'età protourbana e alla transizione a quella protodinastica. Nella città sono stati indagati templi, case, palazzi e mura cittadine. Le cognizioni dell'architettura religiosa protodinastica e del suo sviluppo sono ancor oggi fondamentalmente basate sui risultati degli scavi dei templi di Khafagia e di E. Qui, in particolare, è nota nei dettagli la storia del tempio di Abu, in origine una piccola costruzione irregolare inserita nel tessuto urbano, che si amplia però nel corso delle successive ricostruzioni. Nel momento di massimo sviluppo l'edificio assume una forma quadrata con cortile centrale e celle o vani di altra destinazione tutt'intorno, secondo un tipico schema dell'architettura domestica. Solo nelle fasi finali della sua vita, che segnano anche la transizione al periodo accadico, l'edificio, definito ora Single Shrine, acquista un certo respiro rispetto alle costruzioni circostanti, riportando tuttavia le proprie dimensioni e la complessità di pianta a livelli più modesti.
Gli scavi sono stati coronati da grande successo, come negli altri cantieri analoghi, anche per la messa a punto di osservazioni relative all'uso e al rituale di accesso. Fondamentale nelle costruzioni protodinastiche, persiste per tutto il periodo lo schema con asse a gomito della cella, una sala rettangolare con ingresso aperto nel lato lungo presso un angolo. Numerosi tuttavia anche gli arredi fissi e mobili messi in luce, dagli altari, alle tavole delle offerte, ai banconi, alle statue dedicate dai fedeli, talora sepolte nella muratura degli arredi come in una favissa. L'abitato è stato sondato da strette e lunghe trincee un po' su tutta la sua estensione all'interno delle poderose mura. Ma sono stati sottoposti a scavo estensivo soprattutto i quartieri dislocati all'angolo nord della città, il quartiere del tempio di Abu e quello immediatamente a sud. I risultati sono di grande importanza anche perché, a tutt'oggi, la documentazione di E. è ancora la più ampia e ricca disponibile sull'architettura domestica di Sumer protodinastico. Particolarmente informativo lo scavo del quartiere a sud del tempio di Abu, anche se le case sono per lo più di modesto formato, o forse soprattutto per questo, per la generale rappresentatività del livello medio degli impianti abitativi in Sumer. Gli schemi accertati contemplano diverse possibilità in relazione con le dimensioni e la posizione della casa, che solo negli esempi più grandi ha un cortile centrale, mentre le file di vani sui lati di questo possono essere tre, due o addirittura una soltanto con il ridursi dell'area.
Nel quartiere del tempio di Abu fu eretto alla fine del Protodinastico un edificio di particolare impegno costruttivo e destinazione d'uso, il Palazzo Nord, che fu ampliato nel corso delle ricostruzioni e venne inglobato, apparentemente come accessorio, in un complesso più grande. L'edificio mostra una struttura planimetrica divisa in quartieri con cortili e installazioni adatte da un lato a ospitare attività residenziali, dall'altro (nelle stanze lungo il perimetro orientale) attività non meglio definibili che i resti consistenti di canalizzazioni fanno ritenere implicassero l'uso abbondante di acqua. Il palazzo reale si compone di una serie di strutture distinte, dislocate approssimativamente al centro dell'abitato, costruite e ricostruite a partire da età postaccadica. È infatti a iniziare dal periodo di Ur III che si definisce la particolare importanza di E., retta successivamente da una dinastia di abili sovrani che le conquistarono un posto di primo piano a livello sia culturale sia politico nel periodo che precede la conquista di Hammurabi.
Dell'impianto palaziale di Ur III sono note due fabbriche, un'ampia costruzione appartenente al palazzo e, attiguo, il tempio del sovrano deificato di Ur, Shu-Sin (Gimil-Sin). Quest'ultimo è una piccola ma monumentale costruzione quadrata, del tipo a cortile centrale e con cella larga, ed è dotato di un basamento rituale lungo i muri esterni (kisu). Il palazzo si compone fondamentalmente di due parti separate da un ampio cortile. In una trova posto la cappella palatina, in realtà un tempio completo con accesso autonomo, cortile centrale, antecella e cella. Nell'altra, lungo il cortile, è la grande sala interpretata come sala del trono, con alle spalle una sala di dimensioni ancor più grandi e di fianco un monumentale corpo scalare. Sia il tempio sia il palazzo furono poi sottoposti a una serie di interventi edilizi che ne trasformarono l'aspetto, portando in primo luogo a una più stretta integrazione del primo nel secondo, e in seguito alla scomparsa di un'area specifica per la cappella palatina, mantenendo invece la funzione prioritaria dell'ala con la sala del trono. A questo nucleo si aggiunsero: sul lato sud, di fronte all'ingresso, un grande edificio con una successione di quartieri a cortile centrale, del quale non rimanevano che le fondazioni (Edificio Sud); sul lato nord, un altro grande edificio che tuttavia non fu mai finito (Edificio Incompiuto); presso l'angolo nord-est, la Sala delle Udienze di Naram-Sin, una piccola costruzione con pareti esterne decorate a nicchie profilate e lesene, nel cui perimetro si apre, dall'esterno, una piccola cappella. Si trova verosimilmente ormai al di fuori dell'area palaziale l'Edificio di Azuzum, complessa costruzione che riunisce al suo interno quartieri diversamente strutturati. Tra i risultati più significativi degli scavi vanno ricordati i documenti artistici non solo del Protodinastico, ma anche dei periodi postaccadici: soprattutto statue di devoti e di sovrani e un numero considerevole di cilindri originali, i quali rappresentano, con quelli di Khafagia e Tell Agrab, un punto fermo per la classificazione tipologica e stilistica e per la cronologia della glittica dalla fine del Protourbano all'età di Hammurabi. Non meno ricchi, ma ancora in gran parte inediti, i piccoli oggetti, ornamenti, attrezzi, ecc.; e naturalmente di importanza fondamentale la sequenza ceramica e la documentazione relativa agli usi funerari.
Bibliografia
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di Gian Maria Di Nocera
Il sito di G.A. è localizzato sulla riva occidentale del medio corso dell'Eufrate, nella Repubblica Araba di Siria, a est di Aleppo. L'insediamento è posto su una cresta collinare di origine calcarea, a 60 m di altezza rispetto alla pianura circostante. Scavi sistematici dell'università olandese di Leida, diretti da G. van Driel, sono stati effettuati tra il 1972 e il 1982.
L'insediamento ha restituito un'ampia area cerimoniale/religiosa, posta su una collina isolata in posizione preminente, e due aree residenziali adiacenti, collocate a nord e a sud di essa, su un terrazzo a quota inferiore. Il periodo di occupazione di questo centro è molto breve e copre un arco di tempo compreso, sulla base del materiale archeologico messo in luce e delle date radiometriche calibrate, tra il 3350 e il 3000 a.C. e coincide con lo sviluppo della cultura tardo-Uruk in Mesopotamia. Alla fine di questo periodo un violento incendio devasta gran parte degli edifici residenziali e quel momento rappresenta presumibilmente la fine dell'occupazione.
L'architettura religiosa di G.A. riflette in modo puntuale gli schemi planimetrici dei templi sud-mesopotamici. Sulla sommità più alta della collina viene edificato inizialmente un primo edificio templare, il Tempio Rosso, con un cortile delimitato da un muro di cinta. Sul limite della terrazza a quota più bassa una zona, attrezzata con numerosi focolari, era adibita a cucina. In una seconda fase costruttiva l'area terrazzata è ampliata per la costruzione di un altro edificio, il Tempio Grigio. In una terza e ultima fase tutte le strutture vengono racchiuse in un'unica ampia terrazza in mattoni di argilla cruda, offrendo maggiore visibilità all'intero complesso. I singoli templi sono costituiti da una grande sala centrale con altari e ambienti laterali più piccoli. Esternamente i muri sono movimentati da nicchie e nell'insieme ripetono gli schemi architettonici del Tempio Bianco di Uruk e soprattutto del Tempio Dipinto di Tell Uqair. A nord e a sud dell'intero impianto cultuale si estendono le aree residenziali probabilmente destinate al personale dell'istituzione templare. Le case più grandi sono costituite da edifici separati organizzati intorno a un cortile, che risulta mancante nelle unità domestiche minori. Lo schema planimetrico comune è quello tripartito presente anche in altri siti della regione nel periodo tardo-Uruk, come ad esempio Habuba Kabira. Il vero e proprio quartiere amministrativo doveva essere localizzato a sud della zona templare. Uno dei complessi architettonici abitativi più imponenti dell'insediamento, infatti, ha restituito una significativa quantità di materiale amministrativo come tavolette numeriche, cretule d'argilla, un sigillo, ciotole fabbricate in massa e aree per l'immagazzinamento.
La ceramica, così come la glittica e gli altri aspetti della produzione materiale di G.A. ripropone stile e motivi della ceramica e della glittica di Uruk e in particolar modo, anche se in forma più ridotta e selettiva, quelli di Susa. L'esistenza di questo sito, nato come vero e proprio centro coloniale, è caratterizzata da una forte connotazione amministrativo-religiosa e mostra in modo evidente la forza di affermazione della cultura meridionale nelle regioni del medio Eufrate. Si può sostenere che le comunità residenti a G.A. siano un valido specchio della società mesopotamica del periodo tardo-Uruk.
G. van Driel, The Uruk Settlement on Jebel Aruda: a Preliminary Report, in J.-C. Margueron (ed.), Le Moyen Euphrate, Paris 1977, pp. 75-93; G. van Driel - C. van Driel-Murray, Jebel Aruda1977-1978, in Akkadica, 12 (1979), pp. 2-28; G. van Driel, Tablets from Jebel Aruda, in G. van Driel et al. (edd.), Zikir Šumim. Assyriological Studies Presented to F.R. Kraus on the Occasion of his Seventieth Birthday, Leiden1982, pp. 12-25; Id., Seals and Sealings from Jebel Aruda 1974-78, in Akkadica, 33 (1983), pp. 34-62; G. van Driel - C. van Driel-Murray, Jebel Aruda, the 1982 Season of Excavation, Interim Report, ibid., pp. 1-26; G. van Driel, Gebel Aruda, in O. Rouault - M.G. Masetti-Rouault (edd.), L'Eufrate e il tempo, Milano 1993, pp. 139-42.
di Roger Matthews
G.N. è un piccolo sito archeologico, 100 km a sud di Baghdad nell'Iraq centrale. Il sito comprende due basse colline, denominate A e B.
Scavi vi furono condotti nel 1926 e nel 1928 da una spedizione di Oxford e Chicago guidata dall'assiriologo S. Langdon, con lo scopo di trovare tavolette simili a quelle rinvenute da alcuni locali. Il materiale rinvenuto fu considerato di estrema importanza per la conoscenza della società mesopotamica durante un breve periodo, attorno al 3000-2900 a.C., denominato Gemdet Nasr dopo la scoperta del sito, che segue immediatamente i decisivi sviluppi socioculturali del periodo Uruk (ca. 4000-3000 a.C.), che vide la comparsa nella Bassa Mesopotamia delle prime vere città e della pratica della scrittura. Due nuove stagioni di scavo, dirette da R. Matthews, furono intraprese a G.N. nel 1988-89.
Un ampio edificio di 92 × 48 m, individuato probabilmente nella sezione nord-orientale della collina B, costruito con mattoni crudi e un limitato impiego di mattoni cotti, fu individuato su una bassa piattaforma; la sua pianta si sviluppa in una lunga serie di stanze con adiacenti corti o aree aperte. È difficile definire la funzione dell'edificio, ma il ritrovamento di circa 240 tavolette d'argilla iscritte al suo interno induce a ritenere che questi appartamenti ospitassero attività incentrate sull'amministrazione dei prodotti rurali e sulla redistribuzione agricola nelle vicinanze di G.N. stessa. La maggior parte delle tavolette quasi certamente costituiva un archivio intatto. La scrittura di questi testi assomiglia a quella dei livelli dell'Eanna III di Uruk. I testi trattano argomenti amministrativi, come l'assegnazione di appezzamenti di terreno, la lavorazione dei cereali, la distribuzione di derrate alimentari, l'organizzazione degli armenti e l'amministrazione della manodopera. A G.N. queste operazioni sono affidate al controllo di un'unica istituzione centrale. La struttura architettonica dell'edificio sembra, peraltro, riflettere la presenza di tale istituzione.
Particolarmente significativa per la comprensione della società mesopotamica all'inizio del III millennio a.C., è la comparsa su 13 tavolette di G.N. dell'impronta di un sigillo molto caratteristico, il cosiddetto "sigillo della città", che comprende una lista di nomi di città tra cui probabilmente Ur, Larsa, Nippur, Uruk, Kesh, Zabala e Urum. Queste impronte sembrano almeno indicare la partecipazione di un gruppo di importanti città della Mesopotamia in una qualche forma di attività comune, che combina forse elementi economici e cultuali. Un altro gruppo di sigilli cilindrici fu rinvenuto da Langdon nell'ampio edificio, con raffigurazioni stilizzate di animali, esseri umani occupati in attività apparentemente economiche, e scene geometriche. Essi sono datati principalmente al periodo tardo-Uruk. Le impronte di sigillo sulle tavolette di G.N., mostrano scene figurative realistiche che possono essere comparabili a quelle impresse sulle tavolette antico-Uruk da Uruk stessa.
Molto significativa è la ceramica rinvenuta a G.N., in particolare quella dipinta policroma che ha assunto il valore di indizio del periodo Gemdet Nasr nella Mesopotamia centrale e meridionale. Su grandi vasi erano dipinte scene figurative e geometriche nelle tonalità del rosso, del viola e del nero. Uno studio delle forme ceramiche non dipinte provenienti da G.N. e da altri siti connessi ha permesso di stabilire la natura relativamente limitata, sia nel tempo sia nello spazio, del fenomeno culturale Gemdet Nasr. Il reale significato del periodo Gemdet Nasr è quello di veicolo per la trasmissione, nel tempo, degli elementi della civiltà Uruk ‒ città, scrittura, sigilli ‒ alle importanti città sumeriche del periodo protodinastico nella Bassa Mesopotamia che stavano fiorendo negli ultimi secoli del III millennio a.C.
S. Langdon, Ausgrabungen in Babylonien seit 1918, in AltOr, 26 (1927), pp. 3-75; Id., The Herbert Weld Collection in the Ashmolean Museum. Pictographic Inscriptions from Jemdet Nasr, Oxford 1928; E. Mackay, Report on Excavations at Jemdet Nasr, Chicago 1931; U. Finkbeiner - W. Röllig (edd.), Gamdat Nasr: Period or Regional Style?, Wiesbaden 1986; R.J. Matthews, Excavations at Jemdet Nasr, 1988, in Iraq, 51 (1989), pp. 225-48; Id., Excavations at Jemdet Nasr, 1989, ibid., 52 (1990), pp. 25-39; R.K. Englund - J.-P. Grégoire, The Proto-Cuneiform Texts from Jemdet Nasr, Berlin 1991; R.J. Matthews, Defining the Style of the Period: Jemdet Nasr 1926-28, in Iraq, 54 (1992), pp. 1-34; Id., Cities, Seals and Writing: Archaic Seal Impressions from Jemdet Nasr and Ur, Berlin 1993; Id., Secrets of the Dark Mound. Excavations at Jemdet Nasr 1926-1928, Warminster 2002.
di Gian Maria Di Nocera
Sito localizzato nel distretto di Hafza nella Repubblica Araba di Siria, circa 18 km a nord di Meskene, sulla riva occidentale dell'Eufrate (alt. 7-11 m rispetto al fiume).
È costituito da tre aree collinari principali: Tell Habuba Kabira a nord, una collina più ampia nella zona centrale e Tell Qannas nell'area meridionale. Queste ultime due aree sono definite come H.K. Sud. Alle prime ricerche condotte da R. Maxwell-Hyslop nel 1939 fanno seguito indagini di superficie realizzate tra il 1963 e il 1964 da Siriani e Americani su tutta l'area, che hanno permesso di stimare in 10 ha l'intera estensione del sito. Tra il 1969 e il 1975 sono stati condotti scavi sistematici su H.K. Sud, diretti da E. Heinrich ed E. Strommenger per la Deutsch Orient-Gesellschaft e da una missione belga coordinata da A. Finet, che ha concentrato in particolare i suoi sforzi su Tell Qannas. Questi scavi erano parte integrante del progetto internazionale di salvaguardia e tutela dei beni archeologici a rischio in relazione alla costruzione della diga di Tabqa/eth-Thawra lungo l'Eufrate siriano.
L'insediamento si sviluppa in un arco di tempo piuttosto breve corrispondente alla fine del IV millennio a.C. Date radiometriche calibrate dei livelli più recenti si inseriscono in un periodo compreso tra il 3300 e il 2950 a.C. Questa attribuzione cronologica viene confermata anche dal materiale archeologico messo in luce durante gli scavi: ceramica comune prodotta in serie costituita soprattutto da ciotole a bordo tagliato (bevelled rim bowls), olle quadriansate decorate con un motivo geometrico inciso sulla spalla e bottiglie con beccuccio ripiegato, oltre ad abbondanti oggetti con funzioni amministrative. Questo materiale permette di attribuire la maggior parte dei contesti al periodo tardo-Uruk della fine del IV millennio a.C. ed è correlabile al livello 17 dell'acropoli di Susa e al livello IVB-V dell'area sacra dell'Eanna a Uruk.
Il nucleo abitativo è circondato da un imponente muro di fortificazione, che raggiunge 3 m di spessore. Questa struttura è articolata sul fronte esterno da torri rettangolari, di cui 8 sono state riconosciute a nord e 29 lungo il lato occidentale, mentre un muro ancora più esterno corre lungo tutto il perimetro della fortificazione, costituendo un primo sistema difensivo. Lungo le mura si aprono due porte di accesso alla città, entrambe precedute da un ampio ambiente rettangolare. Le aree residenziali o quelle destinate ad attività artigianali si estendono a nord di Tell Qannas e risultano costituite da un tessuto urbano articolato. Sono presenti strade pavimentate con ghiaia o ciottoli, costruite su assi ortogonali e attrezzate con sistemi di drenaggio. I quartieri abitativi sono stati ampliati progressivamente e mostrano come risultato aree densamente occupate. Il motivo planimetrico comune è costituito da una struttura tripartita con un'ampia sala centrale fiancheggiata da ambienti più piccoli. In molti casi questo schema costruttivo, affiancando più case o unendo cortili, viene utilizzato per la realizzazione di veri e propri complessi architettonici.
Si tratta solitamente di strutture domestiche, ma non mancano, soprattutto nei cortili, zone destinate ad attività artigianali, come nel caso della produzione metallurgica. Altre strutture sono destinate invece allo stoccaggio e al controllo amministrativo dei beni. Questa attività viene documentata dalla presenza di cretule con impronte di sigillo, bullae e tavolette numeriche. Lo schema insediativo di H.K. mostra una forte aderenza al modello sud-mesopotamico e i templi messi in luce a Tell Qannas, che rappresenta il centro amministrativo e religioso della città, confermano queste strette relazioni. I templi sono a pianta tripartita, costruiti con lo stesso tipo di mattoncini (Riemchen) e con gli stessi coni d'argilla per il rivestimento esterno utilizzati nei templi contemporanei della città di Uruk.
È dai grandi centri della Mesopotamia meridionale del periodo tardo-Uruk che H.K. trova la sua ragion d'essere come vera e propria colonia commerciale. Con la fine della cultura Uruk la città viene definitivamente abbandonata.
Bibliografia
E. Strommenger, Die Grabung in Habuba Kabira-Süd. Kleinfunde, in MDOG, 102 (1970), pp. 61-71; D. Sürenhagen, Untersuchungen zur Keramikproduktion innerhalb der späturukzeitlichen Siedlung Habuba Kabira-Süd in Nordsyrien, in ActaPraehistA, 5-6 (1974-75), pp. 43-164; E. Strommenger, Habuba Kabira, eine Stadt vor 5000 Jahren, Mainz a.Rh. 1980; K. Kohlmayer, Houses in Habuba Kabira-South. Spatial Organisation and Planning of Late Uruk Residential Architecture, in K.R. Veenhof (ed.), Houses and Households in Ancient Mesopotamia. Papers Read at the 40th Rencontre Assyriologique Internationale (Leiden, July 5-8, 1993), Leiden 1996, pp. 89-103; Id., Habuba Kabira, in B. Salje (ed.), Vorderasiatische Museen: gestern, heute, morgen. Kolloquium aus Anlaß des Einhundertjährigen Bestehens des Vorderasiatischen Museums Berlin, Mainz a.Rh. 2001, pp. 105-16.
di Frances Pinnock
Sito di forma irregolare, denominato in antico Neribtum, scavato da archeologi americani, per conto dell'Oriental Institute di Chicago tra il 1934 e il 1936, sotto la direzione di H. Frankfort.
I settori più rilevanti messi in luce sono un quartiere residenziale, denominato "serraglio", con funzione amministrativa, due importanti complessi sacri, uno verosimilmente dedicato al dio-Luna Sin e l'altro dedicato a Ishtar Kititum, e un settore limitato della cinta urbica con un portale monumentale in corrispondenza del tempio di Sin. Tutti gli edifici si datano al periodo paleobabilonese, anche se il complesso residenziale del serraglio potrebbe risalire a una fase più avanzata della stessa epoca.
Del settore residenziale è stato scavato un consistente numero di ambienti, che dovrebbero costituire due unità abitative principali, unite in una seconda fase di uso tramite un'ala di vani intermedi. Il quartiere, a ridosso del tempio di Ishtar, ospitava probabilmente personaggi di un certo rango, come sarebbe dimostrato dal rinvenimento al suo interno di alcuni lotti di tavolette cuneiformi, il cui contenuto (un testo scolastico, alcuni testi giuridici relativi a prestiti di granaglie o ad assegnazioni di incarichi, testi amministrativi) appare troppo poco coerente per suggerire ipotesi più precise sugli occupanti. Uno dei documenti, sigillato con il cilindro di un personaggio definito "sacerdote degli incantesimi", potrebbe indicare chi fossero i proprietari degli edifici.
Il tempio di Sin, addossato alla porta urbica, è un piccolo complesso con ampio spazio centrale, quasi quadrato e probabilmente aperto, antecella e cella latitudinali assiali e una serie di ambienti minori che fiancheggiano la cella e i lati lunghi della corte. L'edificio mostra spiccati caratteri di regolarità e simmetria e la costruzione dovrebbe aver preceduto, anche se di poco, l'erezione della cinta urbica. Nonostante le dimensioni siano decisamente inferiori a quelle del tempio di Ishtar, la documentazione cuneiforme contemporanea indicherebbe in Sin la divinità poliade di I. All'edificio si addossa un piccolo quartiere, di scarse qualità edilizie, al cui interno si trovano anche installazioni che ne suggeriscono un'interpretazione come stalle, ipotesi confortata da un documento cuneiforme che cita gli asini del dio.
L'edificio principale è il complesso dedicato a Ishtar Kititum, che comprende il tempio vero e proprio, con impianto classico a corte centrale, su cui si aprono il blocco dell'antecella e della cella a sviluppo latitudinale con ingressi assiali e una serie di vani minori. Il tempio ha un'entrata monumentale, in asse con l'accesso alla cella, e un secondo portale, ancora più imponente, collegato con una corte più grande della prima, a sua volta provvista di un ingresso a gomito rispetto all'asse principale e, quindi, allineato con il portale maggiore. Sulla corte si aprono numerosi vani, ma appare particolarmente sviluppato il lato maggiore nord, in cui due ambienti sono stati interpretati come celle secondarie, secondo un'ipotesi non pienamente confortata dal dato archeologico.
Tra gli oggetti rinvenuti, insieme a un gran numero di figurine e placchette di argilla a stampo, del tipo consueto nel periodo paleobabilonese, si possono ricordare due immagini di bronzo di divinità a quattro facce dalla zona del serraglio e il frammento di uno splendido vaso di pietra bituminosa, scolpito con immagini di mufloni, dall'area del tempio di Ishtar, che rivelano l'alta qualità delle botteghe templari locali, a ulteriore conferma della rilevanza dei due santuari, seppure in un periodo di tempo limitato.
H.D. Hill - Th. Jacobsen - P. Delougaz, Old Babylonian Public Buildings in the Diyala Region, Chicago 1990; P. Matthiae, La storia dell'arte dell'Oriente Antico. Gli stati territoriali, 2100-1600 a.C., Milano 2000.
di Reinhard Dittmann
K.-T.-N. (od. Tulul al-Aqir) si trova circa 2 km a nord di Assur, sulla riva orientale del fiume Tigri nella piana di Machmur.
Il sito è stato scavato da W. Bachmann nell'inverno del 1913-14 e da R. Dittmann nel 1986 e nel 1989. Dalla fine degli anni Novanta, consistenti scavi, ancora inediti, sono stati condotti dal governo iracheno. Secondo la tradizione storica, il sito fu fondato dal sovrano medioassiro Tukulti-Ninurta I (1233-1197 a.C.) "su un suolo vergine" come richiesto dal dio Assur. Si pensava che le attività edilizie alla residenza avessero avuto inizio solo dopo la vittoria di Tukulti-Ninurta I su Kashtiliash IV, ma le fonti scritte e le differenti fasi costruttive nel complesso-terrazza del cosiddetto Palazzo Meridionale indicano una data molto più antica. Dopo la prima spedizione condotta sul sito nel 1913-14, si credette di aver scoperto una superficie di circa 60 ha, ma la ricognizione intrapresa nel 1986 e nel 1989 consentì di esplorare circa 250 ha; all'incirca la stessa estensione rimane ancora inesplorata.
La città è dotata di due cinte murarie: la parte meridionale della cinta esterna è situata a circa 1,5 km dal muro interno. Gli scavi hanno identificato una serie di possibili edifici pubblici, a sud della porta cerimoniale della parte ufficiale della città. Questo sembra essere il distretto della città dove la maggior parte dei deportati provenienti dai territori conquistati era collocata dal re assiro. La parte pubblica della città è suddivisa in un settore occidentale e uno orientale. Nella metà occidentale si ergono ancora le rovine del palazzo e del tempio di Assur con la ziqqurrat. Una vasta area palaziale era un tempo situata lungo la sponda del Tigri con un'estensione da nord-ovest a sud-est di circa 750 m, di cui solo la parte centrale e meridionale è stata finora scavata. Il Palazzo Meridionale si caratterizza come una terrazza con la fabbrica palatina costruita sulla sommità. Dalle macerie dell'edificio superiore provengono pitture murali. La struttura della terrazza ha una lunga storia: in una prima fase, essa ospitava un edificio pubblico adibito a magazzino, in seguito fu aggiunto un secondo edificio con decorazione a nicchie, successivamente modificato, e infine la terrazza fu ricostruita con due blocchi separati da uno spazio che fungeva forse da rampa o da scala interna. A nord della terrazza, sono state identificate corti e strutture poste in basso.
Ancora più a nord, è stata scavata un'altra parte del palazzo, chiamato inizialmente Palazzo Settentrionale. La parte occidentale dell'edificio mostra tracce di un grave e vasto incendio, confermato dai nuovi settori scoperti e in parte scavati nel 1989 e negli anni seguenti. I muri erano ancora ricoperti con blocchi colorati di faïence, talvolta decorati con motivi a rosette. A est di esso, una struttura a torre con funzioni ignote fu scavata da Bachmann. Un piccolo tempio, databile al tempo di Tukulti-Ninurta I, è stato individuato circa 450 m a nord-ovest del Palazzo Settentrionale. Tra questa struttura e il palazzo, un'unità con resti considerevoli di macine e mortai indica la presenza di un complesso per la lavorazione della farina, noto dalle fonti storiche come una specie di prigione. Si è pensato che K.-T.-N. sia stata abbandonata dopo la morte di Tukulti-Ninurta I, sebbene le fonti storiche attestino l'esistenza di un'occupazione sino alla fine dell'impero assiro, ma frammenti ceramici, così come altre evidenze, documentano che il sito fu occupato fino a questo periodo. In particolare, il Palazzo Settentrionale, così come alcune abitazioni, testimonia questa fase di occupazione più tarda. Non è tuttavia chiaro se la sequenza occupazionale vada ininterrottamente dal periodo medioassiro al periodo neoassiro, ma la presenza delle cosiddette "mani di Ishtar" indica un riutilizzo del sito almeno a partire dal IX sec. a.C. in poi.
H. Freydank, Zwei Verpflegungstexte aus Kar-Tukulti-Ninurta, in AltorF, 1 (1974), pp. 55-89; Id., Kar-Tukulti-Ninurta. A. Philologisch, in RlA, V, 1976-80, pp. 455-56; T. Eickhoff, Kar-Tukulti-Ninurta. B. Archäologisch, ibid., pp. 456-59; H. Freydank, Zur Lage der deportierten Hurriter in Assyrien, in AltorF, 7 (1980), pp. 89-117; T. Eickhoff, Kar Tukulti Ninurta. Eine mittelassyrische Kult- und Residenzstadt, Berlin 1985; R. Dittmann et al., Untersuchungen in Kar-Tukulti-Ninurta (Tulul al-'Aqar) 1986, in MDOG, 120 (1988), pp. 97-138; R. Dittmann et al., Vorläufiger Bericht über die von der Freien Universität Berlin aus den Mitteln der Deutschen Forschungsgemeinschaft und der State Organization of Antiquities and Cultural Heritage der Republik Iraq in Kar Tukulti Ninurta unternommenen Untersuchungen, in Sumer, 45 (1989-90), pp. 86-97; R. Dittmann, Ausgrabungen der Freien Universität Berlin in Assur und Kar-Tukulti-Ninurta/Iraq in den Jahren 1986-89, in MDOG, 122 (1990), pp. 157-71; G. Frame, Assyrian Clay Hands, in BaM, 22 (1991), pp. 335-81; R. Dittmann, Assur and Kar-Tukulti-Ninurta 1986, 1988-89, in AJA, 96 (1992), pp. 307-12; K. Deller - A. Fadhil - K.M. Ahmad, Two New Royal Inscriptions Dealing with Construction Work in Kar-Tukulti-Ninurta, in BaM, 25 (1994), pp. 459-72; K. Bastert - R. Dittmann, Anmerkungen zu einigen Schmuckelementen eines mittelassyrischen Tempels in Kar-Tukulti-Ninurta (Iraq), in AltorF, 22 (1995), pp. 8-29; R. Dittmann, Ruinenbeschreibungen der Machmur-Ebene aus dem Nachlass von Walter Bachmann, in U. Finkbeiner - R. Dittmann - H. Hauptmann (edd.), Beiträge zur Kulturgeschichte Vorderasiens. Festschrift für Rainer Michael Boehmer, Mainz a.Rh. 1995, pp. 87-102; Id., Die inneren und äußeren Grenzen der mittelassyrischen Residenzstadt Kar-Tukulti-Ninurta/Nord-Iraq, in M. Jansen - P. Johanek (edd.), Grenzen und Stadt. Veröffentlichungen der interdisziplinären Arbeitsgruppe Stadtkulturforschung (I.A.S.), II, Aachen 1997, pp. 101-15; R. Dittmann et al., Bericht über die von der FU-Berlin in Assur und Kar-Tukulti-Ninurta durchgeführten Arbeiten, in Sumer, 49 (1997-98), pp. 29-88.
di Annie Caubet
K. si trova in Iraq, 15 km a nord-est di Mossul. Nel 1843, P.-E. Botta riportava alla luce i primi colossi assiri sul sito di K. e le iscrizioni cuneiformi iscritte su grandi lastre. Il pittore E. Flandin fu chiamato a collaborare, disegnando la pianta topografica del palazzo e iniziando una minuziosa lettura dei rilievi rimasti. Grazie alla ripetizione simmetrica di alcune figure, fu possibile proporre le restituzioni grafiche delle parti andate perdute.
Alcune sculture tra le meglio conservate furono inviate al Louvre (ad es., il trasporto dei tronchi di legno del Libano, i funzionari che portano il mobilio del re, la facciata L, con il re e il principe ereditario, e il fregio dei tributari medi del corridoio 10, un altorilievo con un eroe con leone dalla sala del trono e due tori alati della facciata N). Nel 1847 veniva così inaugurato il primo Museo Assiro del mondo. Questa prima spedizione portò alla scoperta delle principali facciate decorate di un edificio che Botta considerò il palazzo di Ninive. La decifrazione del cuneiforme mostrò tuttavia che il sito era quello di Dur-Sharrukin, nuova capitale fondata da Sargon II alla fine dell'VIII sec. a.C. e abbandonata dopo la sua morte.
Il successore di Botta al consolato di Mossul, V. Place, riprese gli scavi a K. dal 1852 al 1854, proseguì l'esplorazione archeologica del palazzo e intraprese lo studio delle mura della città. Egli riportò così alla luce una porta delimitata da figure di tori interamente conservata, compresa la volta. La documentazione e gran parte dei reperti di quello scavo andarono perdute nel naufragio delle zattere che le trasportavano. Si salvò solo un toro monolitico, oggi conservato al Louvre. Il sito fu in seguito abbandonato per un lungo periodo, durante il quale ebbero luogo saccheggi e le sculture furono depredate. Nel 1929, una spedizione dell'Università di Chicago diretta da G. Loud riprese l'esplorazione scientifica del sito e grazie alle tecniche moderne rettificò e completò le piante del palazzo e la topografia della città.
A fronte delle altre capitali assire scoperte in seguito (Ninive e Nimrud/Kalkhu), la città messa in luce a K. offre lo straordinario vantaggio di essere creata ex nihilo senza preesistenze vincolanti e senza modifiche successive, poiché la morte brutale di Sargon provocò il suo abbandono prima ancora del suo completamento. La città sorge su tre livelli di altezza progressiva, a partire dal piano inferiore destinato al popolo, verso un piano intermedio dove sorgono i palazzi amministrativi e i templi, fino al piano superiore che ospita a sua volta la residenza del re e la ziqqurrat del dio. La disposizione in piano di questa piramide si innalza da sud-ovest a nord-est; la città intermedia, racchiusa nella propria cinta muraria, si incastra nel fianco nord della città; la cittadella a sua volta si eleva dall'interno della cinta muraria mediana e la sua terrazza forma un'importante sporgenza sulla linea settentrionale delle mura della città. Una rampa permetteva l'accesso alla terrazza superiore su cui sorgevano la ziqqurrat e il palazzo. Templi e residenze amministrative del piano intermedio adottano dispositivi classici dell'architettura assira: i palazzi sono composti di lunghe sale attorno a grandi corti; il tempio di Nabu ha una cella longitudinale circondata da un corridoio, preceduta da due corti circondate da
strette sale. Il palazzo reale invece, sulla terrazza superiore, presenta considerevoli innovazioni nella distribuzione delle unità funzionali e nella circolazione, rispetto ai dispositivi elaborati precedentemente da Assurnasirpal II e dai suoi successori. Questi ultimi avevano progettato una formula architettonica caratterizzata dalla divisione in due corti di pari importanza, la prima destinata al servizio della porta, il babānu, la seconda alla casa del re, il bitānu, separate dall'imponente dispositivo della sala del trono, preceduta da un'anticamera. A K., una facciata monumentale (facciata A), decorata con raffigurazioni di geni che domano leoni, accoglieva il visitatore che saliva la rampa provenendo dalla terrazza intermedia. Una porta conduceva alla corte, la quale a sua volta dava accesso da una parte al quartiere dei templi palatini, a sud-ovest, dall'altra alla corte antistante la sala del trono, a nord-est. Dopo la corte della sala del trono, un lungo corridoio (corridoio 10) conduceva a un'unità architettonica sporgente sulla terrazza che dominava la campagna e i frutteti esterni. Questo tipo di disposizione costituisce un unicum nell'architettura assira.
La decorazione della città e del palazzo riprende le grandi formule ideate a partire da Assurnasirpal II, con ortostati di pietra addossati ai muri di mattoni tramite un sistema di travi (Callot 1995). Le porte della città e le porte principali del palazzo erano decorate con alti rilievi a forma di tori androcefali alati, provvisti di cinque zampe affinché la visione frontale e di profilo di questo tipo di decorazione fosse completa. Geni alati benedicenti raffigurati di profilo seguono i tori nella decorazione. La facciata verso la città, così come il complesso della porta della sala del trono, era protetta da questo tipo di figure. La facciata verso la corte della sala del trono presentava un dispositivo particolarmente imponente, con un triplice ingresso a baluardo, il cui elemento centrale era protetto da due coppie di tori androcefali, i più grandi innalzati lungo il muro con la testa volta frontalmente. Essi erano inoltre scortati da geni che domano leoni, raffigurati frontalmente: sono singole figure monumentali che stabiliscono un contatto visivo magico con il visitatore e rappresentano probabilmente esseri mitologici di natura reale.
La composizione degli ortostati che si dipana lungo le pareti può essere ricostruita grazie ai disegni di Flandin; l'analogia con i principi compositivi e dell'ideologia reale noti dalla decorazione di Nimrud contribuisce alla comprensione. Il re è ripetutamente raffigurato, seguito sempre da giovani funzionari che portano le sue armi e un flabello, spesso accompagnato dal principe ereditario in testa alla processione di tributari e di portatori di mobili regali (facciata L). Nell'angolo nord-est della corte antistante la sala del trono, una serie di lastre reca la raffigurazione detta "del trasporto del legname": in un paesaggio di montagna, alcuni alberi di cedro abbattuti sono trasportati dapprima via terra poi su imbarcazioni che rimorchiano allo stesso tempo dei tronchi galleggianti sull'acqua. Il mare, universo sconosciuto agli artisti assiri, è popolato da creature reali e fantastiche, sirene barbute e tori alati. Alcune isole raffigurano probabilmente Arado e Tiro. Sulle pareti del corridoio 10 è raffigurata una scena di tributo di cavalli e di modellini di città portati da tributari medi. Al di sopra dei rilievi di pietra, una decorazione di mattoni smaltati evidenziava gli elementi architettonici, come gli archi sulle porte o il podio dei templi; i motivi figurativi con animali mitologici e alberi stilizzati avevano certamente un significato simbolico per gli Assiri (Reade 1995).
La decorazione della città e del palazzo, eseguita senza dubbio molto rapidamente da squadre di artisti, architetti e muratori, guidati in modo da realizzare un preciso programma, è caratterizzata da una grande unità di stile, una monumentalità e un'ampiezza delle forme che saranno profondamente modificate nell'arte delle generazioni successive che lavoreranno a Ninive.
Bibliografia
J. Mohl (ed.), Lettres de Botta sur les découvertes à Khorsabad près de Ninive, Paris 1845; P.-E. Botta - E. Flandin, Monument de Ninive, I-V, Paris 1848-50; A.H. Layard, Nineveh and its Remains, I-II, London 1849; V. Place, Ninive et l'Assyrie, avec des essais de restauration par F. Thomas, I-III, Paris 1867-70; D.D. Luckenbill, Ancient Records of Assyria and Babylonia, I-II, Chicago 1926-27 (rist. London 1989); G. Loud - H. Frankfort - Th. Jacobsen, Khorsabad, I. Excavations in the Palace and at a City Gate, Chicago 1936; G. Loud - Ch.B. Altman, Khorsabad, II. The Citadel and the Town, Chicago 1938; P. Albenda, The Palace of Sargon, King of Assyria, Paris 1986; S. Lakenbacher, Le Palais sans rival. Le récit de construction en Assyrie, Paris 1990; E. Fontan - N. Chevalier, De Khorsabad à Paris. La découverte des Assyriens, Paris 1994; O. Callot, La pose des reliefs de pierre dans le palais de Sargon, in A. Caubet (ed.), Khorsabad, le palais de Sargon II, roi d'Assyrie. Actes du Colloque (Paris, 21-22 janvier 1994), Paris 1995, pp. 213-23; J.-C. Margueron, Le palais de Sargon: réflexions préliminaires à une étude architecturale, ibid., pp. 181-212; J. Reade, The Khorsabad Glazed Bricks and their Symbolism, ibid., pp. 225-51.
di Nicolò Marchetti
L'antica K. si trova in Iraq circa 12 km a est di Babilonia. Nella zona di K. sorgono numerosi monticoli (complessivamente l'area misura 8 km est-ovest e 2,5 km nord-sud).
La K. protodinastica si estendeva sia nell'area di Tell Uhaimir, dove si trova la celebre ziqqurrat con rifacimenti dal Protodinastico al Neobabilonese, sia sui monticoli più a ovest (tell W, A, Tell Ingharra), un'area nota nei testi di Ur III come Khursagkalama. Scavi occasionali furono condotti da J. Oppert e poi W.K. Loftus nel XIX secolo e da H. de Genouillac nel 1912, mentre la spedizione principale è stata quella dell'Ashmolean Museum di Oxford e del Field Museum di Chicago dal 1923 al 1933, diretta dall'assiriologo S. Langdon (i cui direttori sul campo furono E. Mackay e poi L. Watelin).
Tell Ingharra è costituito da un gruppo di monticoli, di cui fa parte anche il tell A, dove si sono messi in luce un complesso templare e una consistente sequenza del III e dell'inizio del II millennio a.C. I livelli del Protodinastico I, II e IIIa sono rappresentati da una spessa stratificazione di case e sepolture (la necropoli Y, che mostra chiari in-
dizi di differenziazione sociale). Dopo uno strato di fango (detto "del Diluvio", dagli scavatori) vi sono altri livelli del Protodinastico IIIa ("strato rosso" e due ziqqurrat di mattoni piano-convessi relativamente piccole e con facciate decorate da semipilastri poco profondi) e IIIb; a questi ultimi è probabilmente pertinente un'area di necropoli (cui devono anche riferirsi le sette "sepolture con carro"), che si estende nel periodo accadico antico, seguita poi da un'area sacra (il Monumento Z tardoaccadico che resta in uso fino alla fase paleobabilonese). Il tempio neobabilonese, costruito probabilmente da Nabucodonosor II e fondato direttamente su livelli protodinastici, consiste di due edifici uniti e comunicanti, con facciate decorate da nicchie e lesene. Nell'edificio maggiore la cella era alle spalle di una grande corte.
Sul tell A si sono scavate una necropoli e un sottostante palazzo, entrambi del Protodinastico III. Il Palazzo A, la cui datazione al Protodinastico IIIa si fonda su una tavoletta di tipo Fara, consiste di un nucleo originario residenziale, cui furono poi aggiunti un ingresso con scalinata monumentale e, a sud, un blocco con funzione cerimoniale. Numerosi intarsi di calcare o madreperla, posti su una base di scisto, con soggetti bellici, di banchetto e agresti sono stati rinvenuti nell'edificio. Sopra alle rovine del palazzo (abbandonato o bruciato alla fine del Protodinastico IIIa), vennero edificate modeste costruzioni con alcuni forni per ceramica e fu impiantato il cimitero A, datato tra il Protodinastico IIIb e la fase antico-accadica.
Nell'area P è stato scavato l'edificio di mattoni piano-convessi, i cui muri perimetrali a sud-est formavano un angolo acuto, con ampi contrafforti all'esterno. L'entrata, protetta da due torri, era situata nel muro nord-est e da essa si giungeva a una corte pavimentata con mattoni, da cui si poteva accedere al settore orientale, con ambienti di lavorazione e di immagazzinamento, o a quello occidentale, con funzioni residenziali, la cui circolazione particolarmente complessa e tortuosa ricorda quella del Palazzo A. Il Palazzo P, costruito nel Protodinastico IIIa, fu abbandonato nella fase IIIb, come mostra la ceramica di alcune sepolture e fosse di scarico. Sembra trattarsi di una residenza fortificata, una sorta di "arsenale", un interessante elemento nel valutare la natura e la struttura del potere secolare a K., il cui pieno dispiegamento sembra essersi attuato nel Protodinastico III.
A Uhaimir si trovava il complesso dell'Emeteursag del dio Zababa, noto da testi di Babilonia I, ma tramite accenni già da epoca accadica. Zababa e K. sono peraltro citati fin dal Protodinastico IIIa ed è possibile che le più profonde strutture di mattoni piano-convessi rinvenute nell'area datino a tale periodo. I resti della ziqqurrat erano alti quasi 20 m e misuravano circa 60 × 60 m. Si sono individuate quattro fasi costruttive: la più antica è costituita dal nucleo di mattoni piano-convessi protodinastici, cui erano associate strutture simili all'esterno; la seconda è probabilmente paleobabilonese, di mattoni cotti, e la terza/quarta è neobabilonese (Nabucodonosor II), con una facciata decorata da recessi e aggetti, al pari dei muri perimetrali del complesso, che racchiudevano una serie unica di vani probabilmente su tre lati e una multipla sul lato della corte. La fondazione di tale complesso perimetrale risale almeno al Paleobabilonese. La cella non è stata localizzata. A ovest si trovava un'area di case private, forse paleobabilonesi, in cui sono state trovate numerose tavolette.
Sul tell W sono state scavate case, che hanno restituito una grande quantità di tavolette neoassire e neobabilonesi. Livelli di epoca achemenide e partica erano variamente presenti sul sito. Sul tell H vi era un consistente insediamento sasanide (III-VI sec. d.C.), ampiamente scavato.
S. Langdon, Excavations at Kish, I, III, IV, Paris 1924-34; E. Mackay, Report on the Excavations of the "A" Cemetery at Kish, I, Chicago 1925; Id., A Sumerian Palace and the "A" Cemetery at Kish, Mesopotamia, II, Chicago 1929; McG. Gibson, The City and Area of Kish, Miami 1972; P.R.S. Moorey, Kish Excavations 1923-1933, Oxford 1978.
di Donald P. Hansen
Il sito di al-Hiba, identificato con l'antica L., sorge nella parte meridionale dell'Iraq nella provincia di an-Nasiriyah, a circa 24 km dalla moderna città di Shatra.
È uno dei più grandi siti archeologici della Mesopotamia meridionale (1900 m di largh. e 3600 m di lungh.). In gran parte della sua estesa area la collina è relativamente bassa; solo nella porzione centro-occidentale il cumulo di macerie si erge fino a 6 m sul piano circostante. Ciò è dovuto al fatto che l'occupazione in quest'area perdurò fino al periodo paleobabilonese, mentre nella parte inferiore della collina l'occupazione cessò, in gran parte, alla fine del periodo protodinastico. Numerosi aspetti dell'evidenza archeologica hanno spinto a identificare al-Hiba con l'antica città di L. nello Stato di Lagash. Scavi recenti hanno confermato tale identificazione grazie al ritrovamento dei templi di Inana e Ningirsu che, come documentato dalle fonti testuali, sono da localizzare nella città di L.
Nel 1887, R. Koldewey intraprese una breve indagine archeologica di sei settimane ad al-Hiba per conto dei Königliche Preussische Museen. Tra il 1968 e il 1990 ‒ con una lunga interruzione a causa della guerra tra Iraq e Iran ‒ l'Institute of Fine Arts of New York University e il Metropolitan Museum of Art hanno condotto sei stagioni di scavo. Gli sforzi maggiori furono diretti alla parte sud-occidentale della collina, che si rivelò essere l'Eanna di Inana, e all'area centro-occidentale identificata come il Bagara del dio poliade di L., Ningirsu. All'interno del recinto dell'Eanna sorgeva il tempio di Inana, noto con il nome di Ibgal. Furono riconosciuti tre livelli del tempio; il livello I, il più superficiale, fu datato al regno di Eannatum (Protodinastico IIIb), ensi della II Dinastia di L. L'Ibgal fu costruito seguendo una forma ovale, una diffusa tipologia architettonica sumerica nota a Tell el-Ubaid nella Mesopotamia meridionale così come a Khafagia nella regione del Diyala. Solo le fondazioni dell'edificio di Eannatum si erano conservate. In seguito allo scavo e alla rimozione del livello I del tempio, furono scoperti circa dieci depositi di fondazione. Ogni deposito era formato da una pietra iscritta che indicava che il tempio era l'Ibgal della dea Inana nell'Eanna, costruito dal re Eannatum I di L. Assieme alla pietra era deposta una figurina di rame di Shulutula, divinità personale del sovrano.
Solo il Bagara del dio Ningirsu, nell'elevata parte centrale della collina, venne continuamente ricostruito dopo il periodo protodinastico. Una piattaforma estesa ma mal conservata ricopriva parte dell'area. La dimensione dei mattoni, così come altri dati, ha permesso di datare le fondazioni e alcuni ambienti incompleti al periodo di Isin-Larsa/paleobabilonese. Gran parte del precedente tempio di Bagara dell'età di Gudea ‒ identificato grazie agli stampi sui mattoni ‒ fu distrutta, quando l'area fu sgomberata per la costruzione di età paleobabilonese. Nel Protodinastico IIIb, il tempio di Ningirsu era composto di numerosi edifici che probabilmente circondavano il santuario principale. Fu possibile scavarne solo due al di sotto della piattaforma più tarda. Uno può essere descritto come la cucina templare in cui erano preparati alcuni pasti del dio, mentre l'altro, sulla base del fortunato ritrovamento di una tavoletta, doveva essere la fabbrica di birra di Ningirsu. Il punto centrale di questo edificio consisteva in un ampio forno con un diametro approssimativamente di 5 m, costruito con mattoni crudi allettati in modo da formare una falsa volta. Era datato al periodo protodinastico III anche un ampio edificio amministrativo, distrutto da un vasto incendio. Architettonicamente modesto, l'edificio copriva una superficie di circa 1000 m2. Tra i ricchi ritrovamenti al suo interno vi erano tavolette e impronte di argilla di sigilli con l'impressione, parzialmente conservata, del sigillo reale di Eannatum.
Durante la stagione finale di scavo, parte di un altro muro curvilineo di recinzione fu scoperta a sud del Bagara. Sebbene rinvenuti immediatamente al di sotto della superficie della collina, sia il muro sia un edificio a esso associato sono datati al Protodinastico I. Non è chiaro se questo recinto facesse originariamente parte del Bagara o se invece fosse stato il precedente recinto di un'altra divinità come Gatumdug, che nei periodi più tardi veniva chiamata "la madre di Lagash".
D.P. Hansen, Al-Hiba, 1968-1969. A Preliminary Report, in ArtAs, 32 (1970), pp. 243-50; Id., Al-Hiba, 1970-1971. A Preliminary Report, ibid., 35 (1973), pp. 62-70; E.L. Ochsenschlager, Mud Objects from al-Hiba, in Archaeology, 27 (1974), pp. 171-72; R.D. Biggs, Inscriptions from Al-Hiba-Lagash. The First and Second Seasons, Malibu 1976; D.P. Hansen, Al-Hiba. A Summary of Four Seasons of Excavation, 1968-1976, in Sumer, 34 (1978), pp. 72-85; J. Bauer - D.P. Hansen, s.v. Lagash, in RlA, VI, 1980-83, pp. 267-71; K. Mudar, Early Dynastic Animal Utilization in Lagash. A Report on the Fauna of Tell al-Hiba, in JNES, 41 (1982), pp. 23-34; G. Colbow, Zur Rundplastik des Gudea von Lagas, München 1987; K. Maekawa, Collective Labor Service in Girsu-Lagash, in M.A. Powell (ed.), Labor in the Ancient Near East, New Haven 1987, pp. 49-71; Z. Bahrani, The Administrative Building at Tell Al-Hiba, Lagash, New York 1989; E.F. Carter et al., Al-Hiba (Lagash) Survey 1984, in Sumer, 46 (1989-90), pp. 61-67; D.P. Hansen, Al-Hiba, 1990, in AfO, 38-39 (1991-92), pp. 267-71; D.O. Edzard, The Royal Inscriptions of Mesopotamia, Toronto 1997; E.L. Ochsenschlager, Viewing the Past: Ethnoarchaeology at al-Hiba, in Visual Anthropology, 11 (1998), pp. 103-43; C.E. Suter, Gudeas Temple Building, Gröningen 2000.
di Jean-Louis Huot
Le rovine di Tell es-Sinkara (190 ha) nella Mesopotamia meridionale sorgono circa 20 km a est di Uruk e 40 km a nord di Ur, in una zona desertica dell'Iraq meridionale. Sono state identificate a partire dal 1854 come le vestigia dell'antica L. da W.K. Loftus, che vi effettuò alcuni sondaggi e ne riportò alcuni mattoni iscritti. Nel 1933, A. Parrot cercò di arrestare il saccheggio delle tavolette cuneiformi. Dopo aver abbandonato L. per altri scavi, vi fece di nuovo ritorno nel 1967, sostituito da J.-C. Margueron prima e da J.-L. Huot poi.
Il sito è stato occupato sin dall'epoca Ubaid (VI-V millennio a.C.), ma la presenza degli strati preistorici, nascosti sotto le vestigia storiche, non è documentata che da frammenti ceramici fuori contesto. La città è menzionata nei testi sumerici del III millennio a.C. Il suo apogeo risale all'epoca paleobabilonese (inizio del II millennio a.C.). Una successione di re, dal 2025 al 1763 a.C. (secondo la cd. "cronologia media") si conclude con il regno di Rim-Sin (1822-1763 a.C.). Hammurabi pose fine all'indipendenza di L., ma sotto il regno del suo successore, Samsu-iluna, la città si ribellò. I principali re cassiti (XIV-XII sec. a.C.) e i loro successori della II Dinastia di Isin ricostruirono l'Ebabbar, il tempio di Shamash, che Nabucodonosor e Nabonedo restaurarono. Il tempio continuò a funzionare fino all'epoca ellenistica e la città venne abbandonata alla fine del II o all'inizio del I sec. a.C. Una prospezione ha permesso di delineare i principali tratti topografici del sito. Al centro sorge l'Ebabbar con la sua ziqqurrat. A nord è situato il palazzo del re Nur-Adad (1865-1850 a.C.), a nord-est alcuni quartieri di abitazioni private. A sud si estende un settore artigianale e al di là delle fortificazioni si trovano le necropoli.
Della L. di epoca sumerica arcaica, si conosce una grande residenza costruita con mattoni piano-convessi (B33), che si estende su una superficie di oltre 2000 m2 (Protodinastico III). Dell'epoca paleobabilonese, si sono scavate due grandi case (B27 e B59) costruite con mattoni crudi su basamenti di mattoni cotti, dei veri e propri piccoli "palazzi privati" (ca. 500 m2 ciascuno) con stanze ripartite attorno a una corte centrale, che datano al regno di Rim-Sin e furono distrutte sotto quello di Samsu-iluna. Si è indagata la parte più estesa del palazzo del re Nur-Adad, dove si può riconoscere la pianta tipica dei palazzi amorrei: un blocco "ufficiale" costituito da una sala del trono e uno spazio centrale che ne è il cuore. Probabilmente incompiuto e mai occupato, esso mostra la pianta così come concepita dall'architetto, senza alterazioni e modificazioni secondarie. L'Ebabbar, da una ziqqurrat dovuta probabilmente ad Hammurabi, fino a un santuario propriamente detto, si estende su 277 m di lunghezza. Le facciate sono ornate con l'alternanza di sporgenze e rientranze, talvolta provviste di doppie nicchie e di pannelli con semicolonne a tortiglione di cui si conoscono alcuni paralleli nella Siria del Nord e nell'Alta Mesopotamia, a Tell Leilan e a Tell er-Rimah. I re del II e del I millennio a.C. restaurarono costantemente questo tempio fino all'epoca ellenistica. L'importanza di questo santuario è pari all'Ebabbar di Sippar nella Babilonia centrale. Il complesso è stato rinvenuto vuoto, tranne alcuni oggetti nascosti o riutilizzati in epoche posteriori: una statua assisa anepigrafe, un toro androcefalo con il nome della nuora di Gudea, due kudurru cassiti con il nome di Nazi-Marutash (1323-1248 a.C.) e Kudur-Enlil (1264-1256 a.C.) e una giara contenente gioielli e serie di pesi di ematite o agata. Il complesso è datato al 1738 a.C. grazie a un'impronta di sigillo con il nome di un servitore di Samsu-iluna. Oltre ai mattoni e alle ralle di cardine iscritti, un gran numero di testi amministrativi appartiene agli archivi del tempio dell'Ebabbar e riguarda la gestione giornaliera di un grande santuario dell'epoca paleobabilonese.
Bibliografia
J.-L. Huot (ed.), Larsa, travaux de 1987-1989, Beyrouth 2003 (con bibl. prec.).
di Jean-Claude Margueron
M. (Tell Hariri) si trova in Siria sulla riva destra dell'Eufrate, presso il confine con l'Iraq, in una regione quasi desertica.
Gli scavi furono iniziati da A. Parrot nel 1933, in seguito alla scoperta fortuita di una statua, e proseguirono fino al 1974. Dal 1979 la direzione dello scavo fu assunta da J.-C. Margueron. Le prime scoperte, particolarmente ricche, rivelarono subito lo straordinario interesse archeologico del sito. Vi si rinvennero, infatti, la prima collezione orientale di statue, pitture parietali uniche nell'ambito mesopotamico, migliaia di tavolette che documentano la vita di un regno dell'inizio del II millennio a.C., monumenti ‒ palazzi e templi ‒ in un ottimo stato di conservazione, con muri conservati talvolta per un'altezza di 5 m. Per lungo tempo si è considerata M. una città periferica, un annesso della Babilonia. Oggi si ritiene che nessun altro sito mesopotamico, a eccezione delle grandi capitali Uruk, Assur e Babilonia, abbia fornito informazioni così numerose e varie come M. La prolungata esplorazione del sito (protrattasi per tre quarti di secolo) ha giovato a tale riconsiderazione, offrendo una molteplicità di dati relativi al III e II millennio a.C. M. non fu, dunque, solo un riflesso di Babilonia ma, anzi, uno dei due poli della civiltà mesopotamica, controllando, tra il III millennio e il XVIII sec. a.C., il dominio settentrionale, mentre il Sud era allora sotto l'influenza della città di Ur.
M. è divenuta anche il sito di riferimento imprescindibile per la comprensione di fenomeni quali la nascita della città, lo sviluppo del potere regale, il funzionamento del palazzo regio, la vita religiosa, l'attività economica, la società, l'organizzazione della città e i dati dell'urbanistica mesopotamica, così come l'evoluzione della produzione artistica. Di M. si conoscono, infatti, le principali fasi, le basi della sua potenza, le caratteristiche della sua evoluzione e poi le cause della sua debolezza.
La Città I (2900-2650 a.C.) è fondata con l'evidente sostegno di un potere politico che organizza l'intera base regionale in modo da consentirle di vivere nell'ambiente desertico. Ha pianta circolare (diam. 1,9 km) ed è circondata da una diga destinata a proteggere l'agglomerato dalle inondazioni; un muro di cinta sorge probabilmente al di sopra di questa linea di difesa contro l'acqua. All'interno di questo cerchio è innalzato un vero terrapieno, intervallato da torri, per proteggere la città vera e propria. Un canale unisce la città nuova al fiume e assicura l'approvvigionamento idrico, permettendo al contempo alle imbarcazioni di raggiungere il porto; un canale di irrigazione assicura invece la possibilità di coltivare la riva destra, mentre un canale navigabile di 120 km sulla riva sinistra facilita gli scambi con le regioni settentrionali attraverso la valle del Khabur. L'ampiezza di questi lavori è giustificata dall'organizzazione di una potente attività metallurgica, le cui materie prime provengono dalle montagne del Tauro: tale attività ha chiaramente assicurato a M., per l'intera sua storia, ricchezza e potenza. Si ignorano le cause che portarono alla scomparsa della città, avvenuta intorno al 2650 a.C.
Un secolo più tardi, per le stesse ragioni economiche e il protrarsi del funzionamento del sistema regionale di canali, si attua la rifondazione del sito (Città II, 2550-2220 a.C.). La ricostruzione avviene secondo i principi di una nuova urbanistica; M. manifesta la sua potenza attraverso l'edificazione di una serie di templi e di un palazzo di cui si conoscono quattro fasi e che appare come il più maestoso di tutti gli edifici regali noti di questo periodo (Protodinastico III), età particolarmente ricca della storia della Mesopotamia. Purtroppo per M., la nascita di un potere accentratore ad Accad comporterà dapprima un indebolimento della città sotto i colpi di Sargon e infine il suo totale annientamento per opera di Naram-Sin, una sessantina d'anni più tardi. Tuttavia, le testimonianze storiche e artistiche (ad es., una splendida collezione di statue, il re Ishki-Mari, Ur-Nanshe la cantatrice, l'aquila leontocefala) documentano il grado di sontuosità di tale periodo. Sulle rovine, una nuova dinastia insediata da Naram-Sin assicura progressivamente il suo potere e intraprende una ricostruzione della città (Città III) a partire dal 2220 a.C. circa. Questa conosce una notevole longevità dal momento che solo nel XVIII sec. a.C. viene vinta e distrutta da Hammurabi. Alla dinastia degli šakkanakku succede una dinastia di sovrani amorrei, di cui Zimri-Lim è il più celebre, ma anche l'ultimo rappresentante. A questo periodo risale il palazzo che ha restituito tavolette, pitture (l'Investitura) e statue (Ishtup-Ilum, la dea con il vaso zampillante), che hanno reso celebre M. Qui inoltre si trovava la principale documentazione scritta che permette di comprendere la civiltà dell'antico impero di Babilonia.
M. non si risollevò più dalla sconfitta subita da Zimri-Lim per opera dei Babilonesi nel 1760 a.C. e la sua potenza politica ed economica scomparve. Tuttavia è rimasta un'abbondante documentazione di qualità incomparabile, che permette ora di ripercorrere la vita della Mesopotamia durante la prima metà della sua storia.
J.-C. Margueron - J.-M. Durand (edd.), Mari. Annales de recherches interdisciplinaires, I-VIII, Paris 1980-97; J.-M. Durand (ed.), Amurru, I. Mari, Ebla, et les Hourrites. Dix ans de travaux. Actes du Colloque International (Paris, mai 1993), Paris 1996; J.-C. Margueron, Mari, reflet du monde syro-mésopotamien au IIIe millénaire, in Akkadica, 98 (1996), pp. 11-30; J.-M. Durand, Documents épistolaires du palais de Mari, I-III, Paris 1997-2000; J.-M. Durand - D. Charpin (edd.), Amurru, II. Mari, Ebla, et les Hourrites. Dix ans de travaux. Actes du Colloque International (Paris, mai 1993), Paris 2001; J.-C. Margueron, Mari. Métropole de l'Euphrate au IIIe et au début du IIe millénaire av. J.-C., Paris 2004 (con bibl. prec.).
di Nicolò Marchetti
N., l'antica Kalkhu (biblica Kalah), si trova lungo la riva sinistra del Tigri, subito a nord della confluenza con un piccolo tributario, circa 35 km a valle di Mossul. Nelle vicinanze vi sono un guado del Tigri e un deposito di bitume.
Dopo gli scavi di A.H. Layard a partire dal 1845 e di numerosi altri studiosi nella seconda metà del XIX secolo (tra cui soprattutto H. Rassam e W.K. Loftus), la principale indagine sul sito è stata condotta dalla Scuola Archeologica Britannica in Iraq, sotto la direzione di M. Mallowan e poi di D. Oates, dal 1949 al 1963, un progetto proseguito poi con gli scavi polacchi di J. Meuszynski negli anni Settanta e con quelli iracheni degli anni Ottanta e Novanta. Il livello più antico raggiunto negli scavi è medioassiro, quando Kalkhu, probabilmente (ri)fondata da Salmanassar I, era un distretto ammministrativo provinciale. È solo con Assurnasirpal II (883-859 a.C.) che inizia però la fase meglio documentata di N., quella neoassira, proseguita fino alla distruzione dell'impero assiro nel 612 a.C. Questo sovrano rifondò la città facendone una capitale: la sua "stele del banchetto", che ricorda l'inaugurazione del palazzo reale, elenca 69.574 invitati di cui 17.500 cittadini e 47.074 stranieri, forse lavoratori forzati.
Le fortificazioni del sito hanno un perimetro di forma quadrangolare di 7,5 km e racchiudono un'area di 360 ha; esse presentano tratti costruiti in tecnica diversa (per lo più con fondazioni di pietra, su cui poggia una struttura di mattoni crudi larga 12 m e alta 15 m) e sono datate all'età di Assurnasirpal II con rifacimenti posteriori. Le fortificazioni dell'acropoli (20 ha), eccentrica rispetto al resto della città e con il lato ovest lungo l'antico corso del Tigri, erano invece più elaborate. L'acropoli stessa sorgeva su una massiccia piattaforma alta 10 m. Sul lato lungo il fiume vi era un possente muro di blocchi squadrati, conservato in alzato fino a 10 m. Nella seconda metà dell'VIII sec. a.C. venne aggiunto un massiccio rivestimento esterno. Delle porte dell'acropoli, solo quella di Salmanassar III è stata scavata sul lato orientale ed era costituita da un vano fiancheggiato da leoni scolpiti e un acciottolato. Il Palazzo Nord-Ovest costituisce il più antico complesso palatino neoassiro (misurando oltre 200 × 120 m). Costruito da Assurnasirpal II, rimase in uso fino alle distruzioni del 612. In particolare sono attestati rifacimenti pavimentali con mattoni di Salmanassar III in alcuni vani e un archivio epistolare regale, rinvenuto nei vani intorno alla corte principale (babānu), con testi che si estendono da Tiglatpileser III al 707, anno in cui Sargon II e la sua corte si trasferirono a Khorsabad e il Palazzo Nord-Ovest cessò di essere una residenza regale.
Alcune lastre scolpite furono asportate per essere riutilizzate (ad es., nel Palazzo Sud-Ovest di Esarhaddon, in particolare sul lato nord della sala del trono e nel corpo occidentale). L'entrata al palazzo doveva essere sul lato ovest del babānu, mentre un passaggio secondario metteva in comunicazione con il tempio di Ninurta e la ziqqurrat a nord (costruiti anch'essi da Assurnasirpal II). I vani circostanti il babānu avevano una funzione amministrativa e un magazzino si trovava nei pressi della sala del trono. Quest'ultima è costituita da un vano lati-
tudinale con una nicchia in asse con l'ingresso (usata per l'epifania regale) e il trono collocato su un lato corto; su quello opposto vi era una scala che portava agli appartamenti del piano superiore. Alle spalle della sala del trono, vi era un settore interno articolato su una corte minore (bitānu): il blocco occidentale aveva numerosi rilievi e almeno due sale di rappresentanza. Questo settore presentava anche una corte tra l'edificio, con un corpo probabilmente aggettante a ovest, e le mura. L'area del bitānu era comunque destinata a funzioni cerimoniali, la vera e propria ala domestica essendo infatti alle spalle del bitānu e articolata su una propria corte, con un accesso indiretto dall'esterno. È qui che sono state trovate dagli archeologi iracheni le tombe delle regine del IX e VIII sec. a.C., con i loro ricchissimi corredi.
Il ciclo decorativo delle sale del palazzo è di grande interesse. I rilievi con soggetti rituali si concentrano intorno al bitānu. Nelle sale un motivo ricorrente è quello dell'albero sacro ai due lati del quale stanno due geni (alati con testa umana o d'aquila), con pigna e situla. Al posto dell'albero o accanto a esso si può trovare il sovrano. Rituali particolari connessi a quest'ultimo, sempre in connessione ai geni, sono la purificazione delle armi o la libagione. I rilievi celebrativi erano localizzati nella sala del trono B e nell'ala occidentale. Sulla facciata verso il babānu, oltre ai geni tutelari (tori alati androcefali e leoni alati con busto umano lungo i portali minori) si trovavano rilievi con tributari nord-siriani. All'interno della sala B, si trovavano l'albero sacro con a fianco geni alati, negli angoli, e il re ai lati dell'albero, sul lato breve dietro al podio reale. I rilievi a narrazione storica su due registri, separati dalla cosiddetta Iscrizione Standard ‒ un compendio degli annali ‒, con gli Assiri raffigurati spalle al trono, mentre i nemici erano rivolti nella sua direzione, erano posti sulle pareti nord e sud (sulle quali oltretutto vi era anche una ripartizione geografica delle scene). Nei pressi del trono è raffigurata una caccia reale al leone dal carro, con una scena di libagione sugli animali uccisi nel registro inferiore. La semplice giustapposizione di scene distinte favorisce la continuità della narrazione figurativa. Nel fregio superiore sarebbero rappresentate scene che sono la conseguenza degli eventi narrati in basso.
A Salmanassar III data, oltre a varie attività sull'acropoli (da cui viene anche il celebre Obelisco Nero), l'eccezionale complesso di Forte Salmanassar, ossia l'ekal-mašarti o arsenale, situato presso l'estremità sud-est della città, rimasto in uso fino al 612 a.C. L'edificio principale (350 × 250 m) è solo una parte di un vasto complesso che misurava 750 × 500 m. Di quest'ultimo solo una piccola parte del perimetro, caratterizzato da potenti contrafforti, è stata indagata. Il forte presentava anch'esso contrafforti a distanze regolari all'esterno ed entrate con torrioni laterali, nei pressi dell'angolo nord-ovest e al centro del lato nord. Internamente era articolato su quattro grandi spazi principali, tre corti e un'area suddivisa, alle spalle dei quali si trovava l'ala cerimoniale e regale. Quest'ultima consiste di una sala del trono e di un corpo avanzato tripartito latitudinalmente, derivato dal Palazzo Nord-Ovest. Nella sala del trono vi erano un podio a gradini scolpito (un dono del governatore di Kalkhu) e pitture rappresentanti il re e soldati e motivi geometrici. Nella sala posteriore vi era un pannello invetriato. Altri vani dell'ala erano decorati da pitture (ad es., geni-pesce con funzione tutelare delle porte). Il vano T10 conservava l'originale decorazione di avori del IX sec. a.C. Sulle tre grandi corti del complesso si aprivano magazzini, botteghe (ad es., di fabbricanti di corazze e scalpellini), unità residenziali per militari e funzionari. Un'ampia area domestica era rigidamente separata da queste zone. La grande maggioranza degli avori rinvenuti proviene dai magazzini, in cui venivano ammassati i bottini di guerra non utilizzati altrove. Gli stili rappresentati sono principalmente tre: assiro, fenicio (pienamente egittizzante) e siriano (suddiviso in sud- e nord-siriano).
Particolarmente complessa è la valutazione della regione centrale e sud-occidentale dell'acropoli. L'Edificio Centrale si data ad Assurnasirpal II: si tratta di un altro edificio con funzioni cerimoniali (era infatti provvisto di lamassu e rilievi), restaurato e ampliato da Salmanassar III, situato subito a sud-est del Palazzo Nord-Ovest. L'ampliamento di Salmanassar III è stato denominato Palazzo di Centro. La facciata monumentale con tori e leoni indica che quest'edificio, certo palatino, si sviluppava a nord e aveva una corte a sud, trattandosi quindi di un secondo palazzo di Assurnasirpal II. A picco sul fiume si trovava un palazzo di Adad-Nirari III (Camere Superiori): una guida nel pavimento della sala maggiore farebbe pensare che sia parte di un ambiente di ricevimento, forse una sala del trono. I vani laterali sembrano essere stati erroneamente posizionati e avrebbero comunque confronti per lo schema generale ad Arslan Tash. Il Palazzo Centrale di Tiglatpileser III, situato subito a est, pone vari problemi in relazione alla descrizione che ne fa lo stesso sovrano, risolvibili interpretando l'iscrizione nel senso che egli inglobò i palazzi dei suoi predecessori. Alcuni dei rilievi di Tiglatpileser III, al pari di alcuni di quelli di Assurnasirpal II, furono asportati da Esarhaddon per la decorazione del suo Palazzo Sud-Ovest, indagato solo parzialmente, ma consistente in una doppia sala con estremità colonnate cui era anteposta una corte. L'edificio non sembra essere mai stato terminato.
Il periodo tra Salmanassar III e Tiglatpileser III è un periodo di consolidamento e in alcune fasi di crisi. A esso sull'acropoli risalgono il Palazzo Bruciato, l'Edificio AB, l'Ezida con le celle di Nabu e Tashmetum di Shammuramat (la Semiramide classica) o di Adad-Nirari III, il palazzo con le Camere Superiori di Adad-Nirari III, il Palazzo del Governatore dello stesso sovrano e l'edificio dell'VIII sec. a.C. (entrambi con funzioni amministrative). L'area stratigraficamente meglio nota è quella sud-est. Qui alla precedente denominazione complessiva di Palazzo Sud-Est si sono sostituite quelle di Palazzo Bruciato, Ezida (entrambi coperti da spesse ceneri) ed Edificio AB. Sopra all'ultimo livello neoassiro vi erano livelli di "accampati" e una consistente sequenza del periodo ellenistico, con ceramica tipologicamente discendente dal repertorio neoassiro. Nella fase D (883-810 a.C.) furono fondati l'Edificio AB e l'ala ovest del Palazzo Bruciato; Salmanassar III in particolare operò un riassetto urbanistico: costruì una porta da cui una via acciottolata saliva verso ovest (tra il Palazzo del Governatore e la fronte nord dell'Ezida).
Nella fase E (810-727 a.C.) si costruì una massiccia piattaforma che sopraelevò di 3 m il tempio di Nabu, edificato in questa fase. Si tratta di un vasto complesso (Ezida era il nome della sede principale del dio) costituito da due celle affiancate nel tipico schema assiro, dedicate al dio della scrittura e alla sua paredra (la cui cella era un po' più piccola e con antecella ridotta). Nei pressi dell'entrata monumentale del tempio di Nabu si trovavano le statue di Shammuramat e di Adad-Nirari III. Nel settore nord-ovest si trovavano due celle più piccole, con facciata articolata da nicchie e semicolonne, analogamente alla facciata esterna ovest del complesso. Le quattro celle presentavano tutte un adyton rialzato, accessibile con gradini. Sulla stessa corte di queste cappelle minori si trovava una sala del trono (il tutto è stato interpretato come bīt akītu sulla base di un testo ivi rinvenuto, ma resta incerto). Questo settore e il plasticismo delle facciate sono opera di Sargon II al pari della Fish Gate, l'entrata principale al complesso, fiancheggiata da due tritoni di pietra.
Il Palazzo Bruciato fu edificato da Sargon II: la forma trapezoidale dell'edificio è dovuta non solo all'allineamento della facciata est con quella del complesso dell'Ezida, da cui era separato da una strada, ma anche da precedenti fasi costruttive nell'area, l'ultima di Adad-Nirari III, cui datano dei depositi votivi di mattoni con figurine di argilla di geni e guerrieri all'interno. L'accesso era da nord: attraversando due corti circondate di vani si giungeva alla sala del trono, i cui muri spessi ne indicano una maggiore altezza, con una soglia scolpita a rosette e decorazioni parietali geometriche dipinte. In essa una guida di pietra conduce a un podio di mattoni contro il lato breve, su cui era una grande quantità di avori datati all'ultimo quarto dell'VIII sec. a.C., bruciati nella conflagrazione del supporto ligneo, probabilmente un trono e altri arredi. Ricchi gli altri ritrovamenti eburnei, di bronzo e vetro all'interno del palazzo. A ovest doveva trovarsi un altro settore del palazzo.
La parte cerimoniale dell'Edificio AB era già stata scavata da Layard, mentre G. Smith ne aveva messo in luce altri vani lungo il limite sud-est dell'acropoli. Gli scavi più recenti hanno rivelato una sala del trono con guida nel pavimento e sala parallela minore sul retro, oltre a piccoli vani laterali. Le pareti erano decorate con pitture, ortostati non scolpiti, pannelli di avorio. Sondaggi a est mostrano che il palazzo giungeva fino al limite orientale dell'acropoli. L'edificio sembra essere stato fondato forse nel regno di Shamshi-Adad V (825-810 a.C.) o di Shammuramat, sua moglie, nonostante alcuni mattoni di Salmanassar III.
Le case private ai limiti nord-est dell'acropoli forniscono una documentazione interessante tutta relativa al VII sec. a.C. Solo in un sondaggio limitato si sono esposte pavimentazioni datate dal XIII alla fine dell'VIII sec. a.C. Le case erano costruite contro il muro di fortificazione e presentavano un perimetro irregolare.
A. H. Layard, The Monuments of Nineveh, I-II, London 1849-53; M.E.L. Mallowan, Nimrud and its Remains, London 1966; J. Meuszynski, Neo-Assyrian Reliefs from the Central Area of Nimrud Citadel, in Iraq, 38 (1976), pp. 37-43; N. Postgate - J.E. Reade, s.v. Kalhu, in RlA, V, 1977-1980, pp. 303-23; J. Meuszynski, Die Rekonstruktion der Reliefdarstellungen und ihren Anordnung im Nordwestpalast von Kalhu (Nimrud), Mainz a.Rh. 1981; P. Matthiae, Nuove ricerche a Nimrud: il palazzo di Assurnasirpal II alle origini della cultura neoassira, in Scoperte di Archeologia Orientale, Roma - Bari 1986, pp. 176-94; Y. Tombaechi, Wall Paintings from the Northwest Palace at Nimrud. Aššurnasirpal II, 883-859 B.C., in AfO, 33 (1986), pp. 43-54; S.M. Paley - R.P. Sobolewski, The Reconstruction of the Relief Representations and their Position in the Northwest-Palace at Kalhu (Nimrud), II-III, Mainz a.Rh. 1987-92; S.M. Paley, The Entranceway Inscriptions of the "Second House" in the Northwest Palace of Ashurnasirpal II at Nimrud (Kalhu), in JANES, 19 (1989), pp. 135-47; N. Marchetti, Il Palazzo Nord-Ovest di Assurnasirpal II a Nimrud, in R. Dolce - M. Nota Santi (edd.), Dai palazzi assiri, Roma 1995, pp. 258-63.
di Paolo Matthiae
N., uno dei massimi e più antichi centri urbani della Mesopotamia, capitale dell'impero d'Assiria durante tutto il VII sec. a.C., si trova oggi alla periferia est di Mossul a poca distanza dal Tigri, che in età assira lambiva i basamenti della sua poderosa cinta fortificata.
La sua massima estensione nell'età di Sennacherib (704-681 a.C.) e dei suoi successori era di circa 750 ha, seconda solo nell'antico Oriente alla Babilonia di Nabucodonosor II. L'immenso territorio urbano di N., cinto dalle rovine delle mura erette da Sennacherib ancora oggi ben visibili sul terreno, aveva due imponenti cittadelle: sul limite occidentale delle fortificazioni la cittadella principale di Quyungiq, tell originario dell'insediamento protostorico e sito dei numerosi monumentali santuari e palazzi della città costruiti nel corso dei secoli, e poco più a sud, sempre a ovest, la cittadella secondaria di Tell Nebi Yunus, anche nel nome arabo legata alla memoria del mitico racconto biblico del profeta Giona (in arabo Yunus), dove era almeno un importante edificio palaziale neoassiro adibito ad arsenale. N. fu definitivamente distrutta e abbandonata nel 612 a.C., quando l'attacco congiunto di Medi e Babilonesi ne permise la conquista e un gravissimo saccheggio.
Nella lunga, saltuaria e tormentata storia dell'esplorazione archeologica di Quyungiq fortunatissime furono le prime spedizioni, nel 1847 e nel 1849-51, sotto la guida di A.H. Layard, e poi nel 1852-54, sotto la supervisione di H.C. Rawlinson e il disinvolto controllo di H. Rassam: durante questi scavi vennero alla luce il Palazzo Sud-Ovest di Sennacherib e il Palazzo Nord di Assurbanipal e furono rinvenute le oltre 30.000 tavolette della cosiddetta Biblioteca di Assurbanipal, oggi al British Museum di Londra. Nel 1873 e 1874 i lavori ripresero sotto la guida di G. Smith e poi ancora, nel 1878-82, 1888-89, 1890-91 a cura di Rassam e di E.W. Budge, nel 1903-1905 con L.W. King e, soprattutto, tra il 1927 e il 1932, a cura di R. Campbell Thompson, che cercò di far luce su tutti i più importanti altri edifici monumentali neoassiri della cittadella imperiale. Intense attività di ricerca e di restauro delle autorità irachene negli anni Sessanta e Settanta, sotto la guida di Feisal el-Wailly e di Isa Salman, ebbero il grande merito, oltre che dello scavo di alcune delle porte urbiche e della costruzione del cosiddetto Museo di Nergal sul sito appunto della porta di Nergal, di istituire il Parco Archeologico di Ninive, che da allora ha protetto il sito della capitale assira dall'espansione moderna di Mossul. Infine, un programma di esplorazione archeologica integrata è stato intrapreso dall'Università di California a Berkeley, sotto la direzione di D. Stronach, sull'intero sito di N. con scavi che hanno potuto aver luogo solo dal 1987 al 1990, mentre nel 1998 le autorità irachene si dichiararono disponibili a un'ampia collaborazione internazionale per scavi sistematici. Ogni attività di ricerca si è interrotta sul sito con l'embargo all'Iraq e gravi saccheggi vi sono avvenuti nella primavera 2003, dopo l'occupazione del Paese a opera delle truppe anglo-americane.
Come era tramandato con chiarezza già ai tempi di Sennacherib, che ricorda che N. era un centro di straordinaria antichità, a Quyungiq la successione dei livelli archeologici documenta la presenza di villaggi di piena età neolitica, di strutture dell'età di Hassuna (Ninive 1) e di Tell Halaf (Ninive 2), quindi, al tempo del cosiddetto Calcolitico tardo, resti di Ubaid soprattutto 4 (Ninive 3 iniziale), arrivando anche a occupazioni non secondarie sia nell'età di Uruk (Ninive 3 tardo) che nell'età di Gemdet Nasr e di Gawra X-VIII (Ninive 4) e al tempo di Ninive 5, corrispondente in larga parte al periodo protodinastico, con una successione considerata ininterrotta dal VII millennio a.C. fino a circa il 2400 a.C. Certamente in virtù della sua posizione ecologicamente molto favorita al centro della fertile piana assi-
ra, N. dovette avere un ruolo rilevante già nel Calcolitico tardo, ma potrebbe aver raggiunto una quarantina di ettari nel tardo Uruk, quando si datano le rilevanti strutture di crudo di magazzini e quando, come risulta da recenti riesami dei materiali degli antichi scavi, sono da datare una tavoletta con notazioni numeriche come a Uruk, Habuba Kabira e Susa e una bulla con impronte di sigilli tipicamente Uruk. Resta di difficile soluzione il problema della relazione culturale e politica tra N., Uruk e Susa, proprio perché indizi contraddittori farebbero ritenere, sul versante dell'architettura, una piena appartenenza di N. alla tradizione locale rappresentata da Tepe Gawra, mentre tavolette numeriche e bullae con impronte di sigilli Uruk indurrebbero a supporre la presenza di élites amministrative di provenienza meridionale.
È probabile che durante il periodo di Ninive 5, che è caratterizzato da una ceramica dipinta o incisa con decorazioni plastiche molto tipica, largamente diffusa in Alta Mesopotamia, con forme prevalenti a piedistallo o ad alte spalle oblique e pigmenti di colore violetto o rossastro impiegato per sontuose decorazioni geometriche e animali stilizzate, N. abbia conosciuto una forte dilatazione dell'insediamento urbano, forse oltre gli 80 ha, con una cittadella e una città bassa, ben oltre i limiti di Quyungiq: è ai piedi di Quyungiq che sono state trovate, invece, testimonianze importanti della fortificazione di N. della successiva età accadica, quando la città doveva avere forse 40 ha di superficie. È probabile che N. abbia conosciuto, già in età medioassira, un'estensione notevole fino ai limiti nord-ovest della cinta muraria di Sennacherib, raggiungendo forse i 100 ha, mentre a sud i suoi confini sarebbero stati segnati dal corso del fiume Khusur, ai piedi di Quyungiq. È certo che, nei tempi storici, la grande importanza di N. dipendeva anche dalla presenza nella città del più venerato santuario di Ishtar di tutta l'Assiria, il celebre Emashmash, di cui un'iscrizione di Shamshi-Adad I ricorda la ricostruzione già al tempo di Manishtusu, figlio di Sargon di Accad.
Mentre durante tutta l'età medioassira Assur rimase la capitale politica e religiosa d'Assiria, l'ultimo grande re medioassiro Tiglatpileser I (1114-1076 a.C.) non solo operò restauri al celebre tempio di Ishtar, ma si prodigò costruendo diverse residenze regali sulla cittadella e nella città bassa di N. e soprattutto innalzandovi un palazzo che sembra essere stato, anche nel suo nome cerimoniale, un doppio della sua nuova residenza costruita ad Assur e un padiglione reale forse decorato con lastre fittili dipinte e invetriate, forse le prime testimonianze dell'arte storica assira. Un totale rinnovamento urbanistico della città, sia per la qualità degli interventi che per la loro scala, fu quello realizzato da Sennacherib, che nelle sue iscrizioni insiste sull'antichità, la bellezza e la santità della città: egli solo, tuttavia, secondo le sue parole, ne avrebbe ampliato enormemente la superficie, l'avrebbe cinta di nuove mura colossali, avrebbe aperto una serie di arterie viarie al suo interno, avrebbe scavato canali per regolamentare i corsi dei due affluenti del Tigri che l'attraversavano, avrebbe piantato numerosi alberi per creare un grande parco cittadino e avrebbe infine rinnovato, ampliandola, la residenza regale.
Sulla cinta muraria, in effetti, Sennacherib aprì ben 15 porte urbiche potentemente fortificate, di cui si conoscono tutti i nomi, mentre le mura erano costituite da una doppia cinta, di cui quella esterna era turrita. Se nella zona centrale della cittadella di N., a Quyungiq, restauri furono compiuti ai due grandi santuari di Ishtar a sud e di Nabu a nord, estesissimi furono i lavori per la rifondazione del palazzo reale, il cosiddetto Palazzo Sud-Ovest, definito nelle iscrizioni del re "palazzo inimitabile", che nella sua ultima formulazione, dopo dieci anni di interventi, aveva una lunghezza di circa 503 m sull'asse est-ovest e una larghezza di circa 242 m su quello sud-nord, mentre l'area scavata non è superiore a 200×190 m. Architettonicamente assai complesso, il Palazzo Sud-Ovest presenta una serie di innovazioni rispetto alla tradizione palatina neoassira, nella nuova concezione della sala del trono, nella duplicazione della corte cosiddetta del bitānu, nella circolazione continua periferica, nella sostituzione del corpo aggettante posteriore della tradizione di Khorsabad con un altro quartiere delle udienze: queste innovazioni hanno fatto definire la spazialità dell'edificio a struttura pervasiva e a tendenza centrica, contro la tradizione mesopotamica in generale e neoassira in particolare.
La straordinaria decorazione scultorea del Palazzo Sud-Ovest è in larga parte dell'età di Sennacherib, ma alcune sale sono opera di Assurbanipal, che vi risiedette agli inizi del suo regno. In generale, a differenza di quanto era avvenuto per i palazzi precedenti, ogni sala dell'edificio era decorata con l'illustrazione di un unico episodio di particolare importanza di una campagna militare del sovrano e un'innovazione notevole fu l'adozione del soggetto edile tra le tematiche prevalentemente belliche della decorazione: alcuni lati di una delle corti interne erano decorati, infatti, con le famose scene dell'estrazione dei blocchi e del trasporto delle sculture dei tori androcefali non finiti a N. Sul piano della composizione e della spazialità, la grande innovazione di Sennacherib è l'impostazione scenica fondata sull'osservazione da un punto di vista estremamente elevato ed estremamente distante, ciò che permette di configurare amplissimi scenari di grande suggestione paesaggistica. Sul piano formale perfettamente funzionale a questa concezione spaziale è il miniaturismo plastico che contraddistingue l'esecuzione delle figure dei rilievi. Mentre Sennacherib costruì, sulla cittadella secondaria di Tell Nebi Yunus, un palazzo-arsenale che fu completato e ampliato da suo figlio Esarhaddon, Assurbanipal compì a N. l'ultimo intervento di grande rilievo, costruendovi il Palazzo Nord, che è conosciuto molto frammentariamente, ma che ha restituito una massa di rilievi parietali dell'ultimo grande re d'Assiria.
I celeberrimi rilievi di Assurbanipal, che in qualche modo a ragione sono considerati l'apogeo dell'arte storica assira, spiccano per essere il magistrale risultato di una complessa sintesi delle visioni spaziali e plastiche maturate nella storia da Assurnasirpal II a Sennacherib, che si esalta nel realismo tipico dell'arte di Assurbanipal, di cui sono celebratissimi esempi i rilievi delle cacce al leone. È in questi rilievi straordinari che, superando lo schema dei registri multipli, talora interrotto e alterato reintroducendo il principio della visione da un punto distante dell'età di Sennacherib, gli artisti di Assurbanipal introdussero la felice invenzione dello spazio astratto in cui i corpi agonizzanti, stecchiti o rantolanti delle fiere colpite dal gran re si librano liberamente creando una straordinaria suggestione di lirico realismo.
A.H. Layard, Niniveh and its Remains with an Account of a Visit to the Chaldaen Christians of Kurdistan and the Yedizis or Devil-Worshippers and an Enquiry into the Manners and Arts of the Ancient Assyrians, I-II, London 1849; P.-E. Botta - E. Flandin, Monument de Ninive, découvert et décrit par M. P.E. Botta, mesuré et dessiné par M. E. Flandin, I-V, Paris 1849-50; A.H. Layard, Niniveh and Babylon. A Narrative of a Second Expedition to Assyria during the Years 1849, 1850 and 1851, London 1867; R. Campbell Thompson, The Excavation on the Temple of Nabu at Niniveh, in Archeologia, 79 (1929), pp. 103-48; R. Campbell Thompson - R.W. Hutchinson, A Century of Exploration at Niniveh, London 1929; Iid., The Site of the Palace of Ashurbanipal at Niniveh, Excavated in 1929-30 on Behalf of the British Museum, in AAALiv, 18 (1931), pp. 17-40; R. Campbell Thompson - R.W. Hamilton, The British Museum Excavations on the Temple of Ishtar at Niniveh, 1930-31, ibid., 19 (1932), pp. 55-116; R. Campbell Thompson - M.E.L. Mallowan, The British Museum Excavations at Niniveh 1931-32, ibid., 20 (1933), pp. 71-186; T.A. Madhloom, Niniveh: the 1965-67 Campaign, in Sumer, 23 (1967), pp. 76-79; Id., Niniveh: the 1967-68 Campaign, ibid., 24 (1968), pp. 45-51; Id., Niniveh: the 1968-69 Campaign, ibid., 25 (1969), pp. 44-49; G. Turner, Tell Nebi Yunus: The Ekal Masharti of Niniveh, in Iraq, 32 (1970), pp. 68-85; R.D. Barnett, Sculptures from the North Palace of Ashurbanipal at Niniveh, London 1986; S. Lackenbacher, Le palais sans rival. Le récit de construction en Assyrie, Paris 1990; J.M. Russel, Sennacherib's Palace without Rival at Niniveh, Chicago - London 1991; P. Matthiae, L'arte degli Assiri. Cultura e forma del rilievo storico, Roma - Bari 1994; R.D. Barnett - E. Bleibtreu - G. Turner, Sculptures from the South-West Palace of Sennacherib at Nineveh, London 1998; P. Matthiae, Ninive, Milano 1998.
di Nicolò Marchetti
Il sito di Nuffar, antica N., sorgeva sulla riva sinistra del braccio orientale dell'Eufrate, circa a metà strada tra Babilonia e Tello. N. occupa una superficie di circa 135 ha ed è suddivisa in due settori da un ampio wādī che scorre nord-sud. Il primo a compiere sondaggi sul sito fu A.H. Layard nel 1851, ma scavi estensivi furono condotti nelle quattro campagne dirette da J.P. Peters, H.V. Hilprecht e J.H. Haynes per conto dello University Museum di Philadelphia tra il 1888 e il 1900. Una spedizione congiunta di tale istituzione e dell'Oriental Institute di Chicago ha condotto 19 campagne sul sito tra il 1948 e il 1990, sotto la direzione dapprima di D. McCown e poi di R. Haines, di J. Knustad e di McG. Gibson. N. non ebbe mai reale importanza politica nell'antichità, quanto piuttosto eminentemente religiosa, in quanto sede del culto del dio supremo Enlil: il controllo di N. era considerato essenziale nel III millennio a.C. per quei sovrani che aspiravano a conseguire un ruolo egemonico sulla Mesopotamia meridionale.
Su una tavoletta cassita databile intorno al 1300 a.C. è incisa una mappa della città, assai precisa come è risultato dai controlli topografici della missione americana. La città era attraversata da un canale principale (od. wādī). Nel settore orientale si trovava il temenos neosumerico di Enlil (che include una ziqqurrat e il cd. "tempio di Enlil"), a ovest del quale era il tempio di Inana di Duranki. A nord del complesso di Enlil è stato scavato il North Temple, dedicato a una divinità non identificata. L'architettura domestica è stata esposta estensivamente a sud del santuario di Enlil sulla Tablet Hill, ora denominata Scribal Quarter (aree TA e TB) a causa del reperimento nella zona di una grande massa di testi lessicali e letterari paleobabilonesi. Un sondaggio, condotto nel settore occidentale, ha confermato l'angolo formato dalle mura sud-ovest (databili al periodo di Ur III) indicato nella tavoletta cassita.
La prima sicura sistemazione del tempio di Inana risalirebbe al livello IX, che data alla transizione tra Protodinastico I e II. Il tempio consiste di un ambiente quadrato scoperto, in cui alcune installazioni mostrano continui rifacimenti, alle cui spalle si trovava un piccolo vano con due altari forniti di un gradino e due tavole offertorie. Dal vano aperto si accedeva a una corte in cui era un ambiente con asse a gomito, probabilmente un piccolo sacello. A nord e a sud del complesso templare correvano due strade. Un vasto edificio a nord con grandi forni, pur apparentemente separato dal tempio, ne era forse parte sulla base del confronto con i livelli successivi. Nel livello VIII (Protodinastico II), costruito sopra a una piattaforma di mattoni, il vano anteriore rimane aperto (con un basso muretto perimetrale) e quello posteriore con nicchie in facciata è provvisto di un podio quadrato. A sud di tale tempio, se ne trova un secondo con asse a gomito provvisto di podi e banchette. Essi risultano inseriti in un complesso allungato, con numerosi vani, corti e forni, con l'accesso principale all'estremità lontana. Un portale monumentale viene costruito davanti alle celle.
Il livello VIIB è datato al Protodinastico IIIa per il ritrovamento di tavolette di tipo Fara. Il tempio assiale continua a comporsi di due ambienti, mentre le nicchie in facciata sono più elaborate e l'esterno della cella era provvisto di contrafforti. A lato vi erano un santuario con asse a gomito e varie banchette e altari. I due santuari erano inclusi all'interno di un vasto complesso allungato, articolato su corti porticate. La monumentalità è segnata da entrate e corti a nicchie di dimensioni grandiose progressivamente aggiunte. Nei settori di servizio si trovavano vasche e forni circolari. In tre punti del santuario si sono scavate delle favisse in cui erano stati seppelliti oggetti di pietra: statuette di oranti, tra cui celebre quella di gesso traslucido verde con maschera d'oro; vasi di pietra, tra cui figura quello di steatite dedicato a Inana con intarsi e pittura raffigurante una lotta tra una pantera e un serpente; arredi; intarsi di conchiglia; vasche scolpite. In un annesso del tempio sono stati trovati resti di pitture. I livelli VI-V, costruiti con mattoni piano-convessi, vengono datati al periodo accadico e di Ur III iniziale. Il tempio del livello IV, costruito da Shulgi (con depositi di fondazione in forma di statuine bronzee del re col cesto sul capo), subisce una radicale trasformazione, nella regolarità dell'impianto, nella monumentalità (100 × 60 m) comprendente un perimetro regolare con tre portali fiancheggiati da torri e mura contraffortate, numerose corti e una complessa circolazione. Sotto il profilo cronologico, il livello IV durerebbe fino a Isin-Larsa, il III potrebbe essere stato abbandonato nel Paleobabilonese, il II è tardocassita, il I data a Esarhaddon. Dei livelli III-I rimane solo la facciata monumentale con torrioni, mentre il tempio partico ricorda il livello IV.
Il North Temple è un santuario inserito nel tessuto urbano. Il tempio, probabilmente fondato alla metà o nella seconda parte del Protodinastico I e sviluppatosi fino al periodo accadico, con asse a gomito e podio sul lato breve vicino all'entrata del livello VIII, era accessibile da una corte attraverso due vani latidunali assiali, con contrafforti a lato dell'accesso esterno. Nei livelli VII-VI la cella comunica direttamente con una corte che presenta una stretta entrata con banchine sul lato opposto. Nel livello V l'organizzazione interna del santuario diviene più complessa con vani provvisti di forni (cucine), una partizione della corte anteriore e una seconda entrata alla cella, all'estremità opposta della facciata. Questo schema viene sostanzialmente mantenuto anche nei livelli IV-III, a parte un'entrata alla cella provvista di recessi e un aumento delle installazioni nella cella stessa, peraltro già iniziato nel livello V. Il quartiere circostante comprende numerosi piccoli vani con alcuni grandi forni. I livelli II-I sembrano analoghi. Nel livello SE VI (tutti i livelli superiori a NT I, accadico, sono denominati SE), neosumerico, venne costruita un'ampia piattaforma contraffortata all'esterno, certo da interpretare come un basamento per un tempio alto completamente asportato dalle costruzioni domestiche dei livelli successivi.
L'Ekur, sede del santuario di Enlil, venne radicalmente ricostruito da Ur-Namma. Tale schema restò poi fondamentalmente lo stesso fino all'epoca partica. I livelli precedenti non sono stati indagati e sono solo rappresentati da una serie di pavimenti. La ziqqurrat di Enlil, circondata da un muro con una porta di fronte a essa, era priva di scalinate laterali. A nord-est della ziqqurrat si trovava il cosiddetto "tempio di Enlil", una particolare costruzione interpretabile piuttosto come un "tempio cucina", a motivo della presenza di forni circolari. Esso aveva due entrate opposte, di cui una decorata con nicchie e recessi; all'interno vi erano due vani principali in comunicazione tra loro e con altri secondari. Il tempio di Ur III (liv. V) venne costruito su una sottofondazione che ne riprendeva la pianta (liv. VI). I livelli successivi mantennero la medesima pianta, abolendo però l'entrata posteriore.
L'architettura domestica delle aree TB e TA fornisce un chiaro quadro sintetico. Durante il periodo accadico le case sono piccole e costruite con mattoni sia piano-convessi sia squadrati. Durante Ur III vengono costruite case ampie e ricche. All'inizio di Isin-Larsa l'area non è edificata, segnando forse un allentamento dei vincoli di proprietà, ma nel livello successivo riappaiono case di una certa ampiezza. Il modulo fondamentale è quello a corte centrale, ma specie durante il Bronzo Medio prevalgono costruzioni complesse articolate su due o tre corti e con doppia fila di vani sui lati. Nel periodo tardocassita le case hanno una planimetria più semplificata, mentre nel periodo neoassiro è nuovamente attestato lo schema a corte centrale. Le cappelle domestiche erano rappresentate da pilastri, altari o nicchie in un ambiente peraltro destinato al soggiorno o ad altre attività comuni. Alcune aree aperte cintate dovevano servire a tenervi del bestiame. Nelle aree WA e WB sono rispettivamente stati messi in luce un tempio dell'età di Isin e Larsa, con asse a gomito e stipiti a rientranza, e un palazzo di età cassita con corte anteriore e vani latitudinali assiali. Estesi livelli di occupazione partici sono stati rimossi dalla prima spedizione sul sito (la ziqqurrat era, ad es., obliterata da una grande fortezza di tale periodo).
J.P. Peters, Nippur, or, Explorations and Adventures on the Euphrates: the Narrative of the University of Pennsylvania Expedition to Babylonia in the Years 1888-1890, New York 1897; C.S. Fisher, Excavations at Nippur: Plans, Details and Photographs of the Buildings, with Numerous Objects Found in Them during the Excavations of 1889-1890, 1893-1896, 1899-1900, Philadelphia 1905-1906; R.C. Haines, A Report of the Excavations at Nippur During 1960-1961, in Sumer, 17 (1961), pp. 67-70; D.P. Hansen - G.F. Dales, The Temple of Inanna Queen of Heaven at Nippur, in Archaeology, 15 (1962), pp. 75-84; D.P. Hansen, New Votive Plaques from Nippur, in JNES, 22 (1963), pp. 145-66; D.E. McCown - R.C. Haines - D.P. Hansen, Nippur, I. Temple of Enlil, Scribal Quarter and Soundings, Chicago 1967; McG. Gibson, Excavations at Nippur: Twelfth Season, Chicago 1978; D.E. McCown - R.C. Haines - R.D. Biggs, Nippur, II. The North Temple and Sounding E, Chicago 1978; K.L. Wilson, Nippur: The Definition of a Mesopotamian Ğamdat Nasr Assemblage, in U. Finkbeiner - W. Röllig (edd.), Ğamdat Nasr. Period or Regional Style?, Wiesbaden 1986, pp. 57-89; E. Carter, Nippur Neighbourhoods, Chicago 1987; M. Ellis De Jong (ed.), Nippur at the Centennial. Papers Read at the 35e Rencontre Assyriologique Internationale, Philadelphia 1988; R.L. Zettler, The Ur III Temple of Inanna at Nippur. The Operation and Organization of Urban Religious Institutions in Mesopotamia in the Late Third Millennium B.C., Berlin 1992; Id., Nippur, III. Kassite Buildings in Area WC-1, Chicago 1993.
di Francesca Baffi
L'antica N. è stata localizzata in corrispondenza di un tell maggiore e di alcuni più piccoli nella regione del Kurdistan iracheno, 13 km a sud-ovest di Kirkuk, a est del fiume Tigri. Delle colline sono state scavate solo la più grande, Yorgan Tepe, di circa 4 ha, e tre minori: una che ricopriva il sito preistorico (Qudush Soghir) e due siti minori della metà del II millennio a.C., circa 300 m a nord del primo.
La prima campagna di scavo si svolse nel 1925-26 con la direzione di E. Chiera, in accordo con l'Iraq Museum e le American Schools of Oriental Research, a seguito del ritrovamento presso la collina maggiore di alcune tavolette in caratteri cuneiformi simili ad altre circolanti sul mercato antiquario e provenienti da Kirkuk (antica Arrapha). Seguirono altre quattro campagne di scavo, sponsorizzate dalle American Schools of Oriental Research unitamente al Semitic Museum of Boston e dirette da Chiera (1927-28), R. Pfeiffer (1928-29) e da ultimo R.F.S. Starr (1929-30, 1930-31). Una prima classificazione di Starr voleva che il sito avesse tre strati, individuabili nell'area templare: periodo protodinastico della città di Gasur (III), fase di Nuzi (II), fase postnuzita (I). La presenza di pavimenti solo in relazione a parte dei livelli individuati crea alcuni problemi, per cui è stata ricostruita, per il periodo più antico, una successione con una fase Ubaid all'inizio, seguita da fasi riferibili ai periodi tardo-Uruk e protodinastico. Alcuni sondaggi connessi al palazzo, al tempio e al muro difensivo documentano l'epoca della città di Gasur ed elementi riscontrati nelle oltre 200 tavolette associate confermano una cronologia di periodo paleoaccadico. Per le epoche seguenti è stato fatto un tentativo di seriazione cronologica che va dal 2100 (Ur III) al 1650 a.C. (Paleobabilonese).
La fase relativa al periodo di supremazia mitannica (1550/1450-1350), più attestata, è stata riportata alla luce sul tell maggiore e sui due settentrionali, fornendo un quadro completo della vita di N. nel Bronzo Tardo, anche nell'aspetto socioeconomico documentato da circa 5000 tavolette. Il palazzo era l'edificio più rappresentativo: le dimensioni conservate sono di 120 m × 70, quindi esso doveva occupare più di un quarto dell'intera area della città; si articolava in tre settori: a est i servizi, il settore ufficiale-amministrativo al centro e il settore privato a ovest. La parte nord-occidentale ospitava un'area dedicata al culto, testimoniata dal rinvenimento di una figurina di Ishtar e di pomelli di ceramica invetriata blu-verde identici ad altri trovati nella cella settentrionale del complesso templare. L'accurata decorazione pittorica, recuperata in vari frammenti sulle pareti, ha permesso la ricostruzione degli schemi figurativi nonché della tecnica utilizzata. Il complesso templare sorgeva in un'area sacra ‒ nel settore nord-occidentale della collina di Yorgan Tepe ‒ già in epoca protodinastica e accadica e una strada lo separava dal palazzo. In una prima fase si costruì il Tempio G, con cella a sviluppo longitudinale, entrata a gomito sul lato orientale e tre vani supplementari.
La cronologia di tale fase (forse accadica) non è chiara, perché asportata quasi totalmente durante la successiva fase F (periodo di Isin-Larsa), in cui si aggiunge alla prima cella, dopo l'eliminazione dei vani supplementari, una seconda a sud del tutto indipendente e di impianto simile. Nei livelli successivi (E-A) la struttura rimane immutata e una lettera di Shaushshatar relativa alla fase A offre un riferimento cronologico all'epoca di N. All'interno del recinto le due celle erano separate da un muro e si ritiene che quella meridionale fosse dedicata a Teshup e quella settentrionale al culto di Ishtar, per il rinvenimento di materiali associabili a una divinità femminile, tra cui una statuina di avorio seminuda che rimanda a modelli hittiti. L'architettura domestica è ben documentata da case costruite intorno al tempio e al palazzo e al di fuori della cinta urbana. Le migliaia di tavolette rinvenute nel palazzo e nelle case hanno restituito un numero elevatissimo di impronte di sigillo, che hanno contribuito in modo sostanziale allo studio della glittica mitannica.
Per le epoche tarde la documentazione, molto limitata, si concentra nel limite nord-occidentale della collina maggiore: tre monete d'argento di epoca partica e una sasanide indicano per l'insediamento un arco cronologico dal tardo II al tardo III sec. d.C.
R.F.S. Starr, Nuzi Excavations, I-II, Cambridge (Mass.) 1939; E.R. Lacheman, Excavations at Nuzi. Economic and Social Documents, Cambridge (Mass.) 1958; S.M. Cecchini, La ceramica di Nuzi, Roma 1965; E. Cassin, Le palais de Nuzi et la royauté d'Arrapha, in P. Garelli (ed.), Le Palais et la Royauté, Paris 1974, pp. 373-92; J.-C. Margueron, Recherches sur les palais mésopotamiens de l'âge du Bronze, Paris 1982; D.L. Stein, s.v. Nuzi, in ANE, IV, pp. 171-75; B. Lion, Les archives privées d'Arrapha et de Nuzi, in D.I. Owen - G. Wilhelm (edd.), Studies on the Civilization and Culture of Nuzi and the Hurrians, Bethesda 1999, pp. 35-62.
di Nicolò Marchetti
La città di Fara (antica S.) si trova circa 6 km a sud della moderna Abu Hatab (l'antica Kisurra), lungo il braccio occidentale dell'Eufrate, quasi a metà strada tra Nippur e Uruk.
Il sito fu oggetto di varie esplorazioni occasionali, ma la prima campagna importante fu condotta da W. Andrae e altri per conto della Deutsche Orient - Gesellschaft nel 1902-1903 (con un metodo di scavo che prevedeva lunghe trincee parallele per quasi tutta l'area del sito, ma solo di rado collegate tra loro o ampliate). Nel 1931 E. Schmidt per conto dello University Museum di Philadelphia eseguì alcuni sondaggi per controllare la stratigrafia del sito. S. sembra essere stata fondata nel periodo di Gemdet Nasr, quando si estendeva per 70 ha. La potenza della S. arcaica potrebbe forse essere indicata dal ruolo dei re antidiluviani della città nella Lista Reale sumerica (tra cui il mitico Ziusudra).
Il livello superiore era bruciato nella grande conflagrazione che mise fine alla Fara del Protodinastico IIIa e quindi più facilmente riconoscibile negli scavi tedeschi, mentre i livelli inferiori sono stati identificati più limitatamente e con maggiori difficoltà. I materiali, specialmente le centinaia di cretule, sono stati suddivisi stilisticamente e
quindi si sono datati i relativi contesti di provenienza quando noti, tra cui appunto una parte consistente risale al Protodinastico I; in questo periodo a S. si usavano grandi sigilli con anche motivi derivati dalla tradizione di Gemdet Nasr, mentre alla fine dell'epoca i sigilli erano più piccoli e con motivi di lotta animalistica, alla base degli sviluppi glittici del Protodinastico II e III. S. è uno dei centri noti dai logogrammi sui sigilli arcaici del Protodinastico I detti "sigilli delle città", che hanno fatto pensare a una sorta di lega amministrativa per questo periodo e per il precedente in Mesopotamia sotto il controllo di Uruk o forse Ur. Nel periodo successivo, Fara passò a 100 ha, ma gli insediamenti si concentrarono lungo il braccio orientale dell'Eufrate, segnando l'inizio del declino dell'area di S.
Le tavolette di Fara, più di un migliaio, appartengono a una fase paleografica caratteristica e sono contemporanee all'orizzonte artistico del Protodinastico IIIa. Alcune di esse sono state trovate associate a cretule del tardo Protodinastico II, ma la maggior parte era associata a impronte del tipo detto Sud-anzu (precedentemente letto Imdugud-Sukurru), uno sviluppo dello stile incrociato del Protodinastico II. Dalle tavolette si è ricostruito un sistema economico fondato su gruppi allargati forniti di propri funzionari più che un sistema dipendente da un'istituzione centrale, a sua volta inserito in una sorta di lega sotto il controllo probabilmente di Uruk. Le case avevano una corte centrale con file di vani singole o doppie. Talora alcuni complessi più articolati presentavano una circolazione più complicata con gruppi multipli di vani di varia dimensione. In un caso si è proposto di identificare un tempio con asse a gomito.
L'occupazione successiva al Protodinastico IIIa è scarsamente nota, sia perché l'insediamento si ridusse, sia a motivo dell'erosione. Livelli accadici, di Ur III (in cui S. doveva essere un centro importante come indicano testi coevi) e paleobabilonesi erano certo presenti, come indicano ceramica, glittica e altri oggetti. In seguito la città non fu più abitata.
E. Heinrich, Fara, Berlin 1931; H.P. Martin, Fara. The Reconstruction of the Ancient Mesopotamian Town of Shuruppak, Birmingham 1988; H.P. Martin et al., The Fara Tablets in the University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology, Bethesda 2001.
di Rita Dolce
Nella Lista Reale sumerica, che restituisce pur frammentariamente la tradizione mitica dell'origine delle prime città sorte per volere degli dei nella Mesopotamia, S. è menzionata tra le più antiche sedi della regalità prima del diluvio, accanto a Eridu, Fara, Bad-Tibira e Larak; i dati storico-documentari e archeologici hanno finora rivelato la lunga durata dell'insediamento, situato a nord di Babilonia e lungo l'originario corso dell'Eufrate (od. Abu-Habba), e l'eccellenza del centro quale sede principale settentrionale del culto del dio Shamash, forse fin dal pieno III millennio a.C.; a Shamash era dedicata un'area sacra nel corso dell'età paleobabilonese e fino alla fase tarda neobabilonese (II millennio e prima metà del I millennio a.C.). Studi filologici hanno stabilito che il sito è designato nelle fonti anche come S.-Yarurum o, più raramente, con altre definizioni riferite al dio Shamash, distinguendosi da S.-Amnanum, toponimo antico della vicina Tell ed-Der.
La conformazione del sito consta di due tell distinti da un'apprezzabile depressione e la sua estensione raggiunge 96 ha circa, solo in parte indagati sia dai vecchi sia dai nuovi scavi archeologici. I primi attengono le esplorazioni di H. Rassam, effettuate nel 1881-82, che furono di particolare successo per la messa in luce già di settori dell'area templare maggiore, della ziqqurrat e di parte del santuario attualmente ritenuto della dea Aya. Si recuperarono, inoltre, numerosi reperti e una messe di tavolette d'argilla iscritte a caratteri cuneiformi (oltre 100.000 secondo le stime delle autorità irachene e attualmente confluite in musei europei e in collezioni private, anche in seguito ai ricorrenti saccheggi e scavi clandestini verificatisi nel corso del XIX secolo).
L'identificazione del sito con l'antica S. avvenne, tuttavia, più tardi (nel 1885), alla lettura di un'iscrizione allora in situ da parte di Th.G. Pinches. Ancora all'età pionieristica delle ricognizioni nel Vicino Oriente attiene l'attività di scavo di V. Scheil, concentrata sull'esposizione di parte dell'area sacra, ma anche di numerose abitazioni private di età paleobabilonese, tra le quali spicca la residenza della stessa sacerdotessa del dio Shamash, Narubta. S. è stata inoltre oggetto di sondaggi mirati da parte di una missione belga coordinata da L. De Meyer nel corso degli anni Settanta del Novecento e poi di scavi sistematici dal 1978 sotto la guida dell'iracheno W. al-Jadir, che hanno condotto a notevoli risultati riguardo all'entità e alla durata dell'insediamento grazie ai livelli di occupazione pertinenti il Bronzo Antico e il Bronzo Medio (III-II millennio a.C.), messi in luce in una sequenza stratigrafica che in termini di fasi culturali e storico-artistiche attiene la tarda età protodinastica, la fase di Accad e il periodo paleobabilonese.
Con la statua votiva con epigrafe del re di Mari, Ikun-Shamash (del periodo protodinastico III), rinvenuta proprio nel tempio del dio-Sole e a lui dedicata, cominciano infatti i dati storico-documentari sull'esistenza della città, mentre i pur numerosi manufatti registrati sommariamente nel corso degli scavi di Rassam e non più identificabili, da sculture di pietra a iscrizioni lapidee e su cilindri di terracotta, prefigurano un alto livello di cultura urbana del sito. La latitudine cronologica di S. raggiunge comunque, come limite superiore, la tarda età calcolitica, attestata dalla ceramica Uruk rinvenuta nella prospezione effettuata già negli anni Settanta del Novecento da R.McC. Adams, e si protrae, come sopra menzionato, fino all'età del Ferro, nel periodo neobabilonese e, con esigue tracce in una ridotta zona del tell, all'età partica (I-II sec. d.C.). Alterne vicende segnano la storia politica di S. quale città eminente della Babilonia, che soccombe sotto i colpi degli Elamiti (con Shutruk-Nakhunte nel XII sec. a.C.) agli esordi della crisi irreversibile del dominio cassita sul Paese e si arrende all'avanzata assira (con Tukulti-Ninurta II nel IX sec. a.C.) fino alla conquista persiana e all'entrata di Ciro il Grande nella città.
Il culmine della floridezza di S. si registra sotto il regno di Hammurabi di Babilonia, che predilige la città e vi realizza lavori poderosi di difesa urbana ‒ quali le mura di cinta e il relativo sistema di canalizzazione delle acque, dettagliatamente descritti nella tecnica costruttiva in una sua iscrizione reale ‒, e di decoro, quali i restauri delle aree di culto maggiori: tra queste spicca l'Ebabbar, il complesso principale religioso per il dio Shamash nella Babilonia settentrionale, fondatamente ritenuto, come già ricordato, sede del culto nel corso del III millennio a.C., sebbene esso rivestì prestigio particolare e riconosciuto nell'età paleobabilonese, pari a quello dell'omonimo santuario di Larsa, nella Babilonia meridionale. In realtà consta dalle fonti epigrafiche che statue dei sovrani accadici e la stessa Stele di Vittoria di Naram-Sin di Accad sui Lullubi dell'Est, rinvenuta come bottino a Susa, fossero dedicate proprio nell'Ebabbar di S.; tali rinvenimenti avvalorano l'autorevolezza del centro settentrionale del culto di Shamash già nel corso del dominio semitico della Mesopotamia nell'area di elezione della dinastia stessa.
Una tale eloquente tradizione regale viene perpetuata ed esaltata in età paleobabilonese oltre lo stesso Hammurabi, quando il figlio Samsu-iluna designa il suo 6° anno di regno con l'evento dell'introduzione a Babilonia (nell'Esagila), ma anche a S. nell'Ebabbar, di statue auree devozionali e di divinità. Uno dei suoi successori, Ammi-ditana (XVII sec. a.C.), ricorre alla medesima prassi per nominare vari anni del suo lungo regno, menzionando statuaria regale e divina d'oro dedicata nello stesso tempio di Shamash/Utu. L'importanza di questa sede del culto del dio, e del suo ruolo indiscusso di garante divino della giustizia terrena oltre i confini territoriali, è anche dedotta dalla strategia diplomatico-politica attivata dal re Zimri-Lim di Mari per comporre i rapporti con la grande Babilonia di Hammurabi, destinando una figlia al rango di sposa-sacerdotessa del dio proprio nella residenza del clero femminile dell'Ebabbar di S., il gagûm delle nadītum; parimenti, il ruolo centrale di S. nello scenario vicino-orientale dell'età paleobabilonese si evince dal sistema di controllo doganale da parte del regno di Mari nel transito fluviale sul medio Eufrate, dalla Siria alla Babilonia, fino a S. e oltre.
Del complesso dell'Ebabbar, letteralmente "la Casa (ri)splendente", era parte integrante la monumentale ziqqurrat, di cui attualmente restano le rovine dell'età neobabilonese per un'estensione di oltre 40 m alla base sull'asse sud-est e di circa 33,5 m sull'asse nord-est; la torre a gradoni, che costituisce la forma più peculiare dell'architettura sacra nel Vicino Oriente, consta ancora di un nucleo di mattoni crudi ed è circondata da un muro di delimitazione dello spazio sacro, il kisu, eretto, secondo le fonti coeve, da Nabucodonosor II (VI sec. a.C.), costruttore anche del recinto che delimitava il tempio inferiore per il dio Utu/Shamash, entrambi esposti da scavi recenti. L'allineamento del lato nord-est della ziqqurrat parallelo a quello del tempio maggiore per il dio testimonia la progettazione unitaria del grande complesso, di cui la ziqqurrat costituisce il fulcro ideologico e visivo: essa rappresenta infatti l'asse che collega il cielo alla terra, il punto massimo di congiunzione tra la sfera celeste e quella terrestre, concetto che ricorre nei nomi attestati nelle fonti per distinguere le numerose ziqqurrat dei centri mesopotamici, da Larsa a Babilonia. Alla ziqqurrat di S. si accedeva da un'imponente rampa posta lungo la facciata principale della fabbrica, a sud-est, che conduceva alla sommità ove era eretto il tempio per il dio Shamash, definito "la soglia del cielo puro", in armonia con il significato ascensionale del monumento sacro sopra richiamato. Nel santuario inferiore per il dio sono stati recuperati manufatti con epigrafi che hanno consentito l'identificazione del titolare divino del tempio e dei committenti regali degli interventi edilizi più tardi, ricordati in due depositi di fondazione: i sovrani neobabilonesi Nabopolassar e Nabonedo (fine VII e metà VI sec. a.C.).
Del resto dell'area sacra di S. sono stati esposti dagli scavi iracheni settori del temenos, il recinto sacro dell'intero complesso di culto, lungo il lato nord-ovest, di 3,5 m circa di spessore, costituito da mura di mattoni crudi, articolate a nicchie a doppio recesso secondo una consolidata tradizione architettonica, e sono stati recuperati alcuni mattoni con lo stampo regale di Nabucodonosor II (VI sec. a.C.). Nell'area a nord della ziqqurrat gli scavi più recenti hanno esposto le strutture di un ampio complesso di culto (3500 m2 ca. messi in luce) con numerose sale, dalle mura articolate a nicchie e contrafforti e spesso ornate da pitture bicrome bianche e nere a motivi geometrici, forse dedicato alla paredra del dio-Sole, Aya. La planimetria templare si presenta a corte centrale, forse a cielo aperto, con la quale comunicano i vari settori della fabbrica, tra loro collegati da un sistema di circolazione interna probabilmente su ispirazione del celebre santuario di Babilonia per il dio protettore degli scribi, Nabu-sha-Khare.
Da un primo ritrovamento di alcune tavolette in caratteri cuneiformi si è giunti all'identificazione e al recupero di un "archivio", collocato in un piccolo ambiente oltre l'angolo nord-est della corte centrale, preservato nella sua originaria disposizione su 56 scaffali di mattoni, lungo tre pareti del vano. Il contesto archeologico del ritrovamento e i dati desunti dalle centinaia di tavolette che riguardano testi letterari e storici (tra cui un'iscrizione del re di Accad Manishtusu e quella di Hammurabi relativa all'erezione delle mura di S.), astronomici e matematici, tutte copie da originali redatte tra i regni di Samsu-iluna (XVIII sec. a.C.) e Cambise (fine VI sec. a.C.), hanno indicato la notevole durata di questa biblioteca. Infine nel settore più occidentale, ancora a nord della ziqqurrat, si estende un ampio complesso architettonico da considerare unitario nella progettazione urbana per la fitta rete viaria e la rigorosa frammentazione in blocchi (per lo più a due vani) delle strutture abitative, secondo il criterio delle insulae; per la sua collocazione topografica era verosimilmente destinato alle residenze del clero e del personale adibito al tempio e forse identificabile con la sopracitata sede privata delle stesse sacerdotesse - nadītum del dio.
È da tale complesso che provengono numerose placchette di terracotta scolpite con figure divine, sigilli cilindrici e impronte glittiche della piena età paleobabilonese, segni ulteriori del carattere elitario del quartiere residenziale e funzionale all'area propriamente sacra. La produzione glittica di S. è comunque ampiamente nota e documentata dalle impronte (ca. 5000) apposte su numerose tavolette, ove è stato possibile sia distinguere correnti e botteghe artigianali-artistiche operanti dal regno di Sin-muballit a quello di Samsu-iluna (XIX-XVIII sec. a.C.), sia opere di importazione (3000 ca.) provenienti dalla Siria grazie al circuito di relazioni culturali e commerciali dell'epoca, spesso impiegate come documenti di identità dai sovrintendenti ai magazzini palatini e templari di beni alimentari della città.
Infine, le indagini svolte nel versante nord-est dalla missione belga e nel versante nord-ovest da quella irachena nel perimetro dell'insediamento hanno verificato che il sistema di costruzione difensiva risulta simile a quello delle mura urbiche della vicina Tell ed-Der; esso è mirato ad arginare gli straripamenti dell'Eufrate causati dalle frequenti alluvioni ed è già realizzato all'età di Hammurabi (come celebrano le fonti), sebbene gli indicatori ceramici rinvenuti datino solo al VII-VI sec. a.C. Le attività archeologiche hanno anche posto attenzione al recupero di settori non monumentali dell'impianto urbano di S., come nell'area più settentrionale del tell ove sono ubicate abitazioni di notevole decoro, secondo nuclei con una o più serie di vani gravitanti su una corte centrale preceduta da un vestibolo, corredate da installazioni igieniche e canali di drenaggio e collegate tra loro da percorsi viari, attribuibili a quattro fasi consecutive di frequentazione, tutte del periodo paleobabilonese sulla base dei dati archeologici e testuali rinvenuti.
J. Jordan - W. Andrae, Abu Habbah-Sippar, in Iraq, 1 (1934), pp. 51-55; R. Harris, Biographical Notes on the nadītum Women of Sippar, in JCunSt, 16 (1962), pp. 1-12; R.McC. Adams, Settlement and Investigation Patterns in Ancient Akkad, in McG. Gibson (ed.), The City and Area of Kish, Miami 1972, pp. 182-208; R. Harris, Ancient Sippar, Leiden 1975; Id., On Kingship and Inheritance in Old Babylonian Sippar, in Iran, 38 (1976), pp. 129-32; L. De Meyer, Tell ed-Der. Sounding at Abu Habbah (Sippar), Louvain 1980; W. al-Jadir - L. al-Gailani Werr, Seal Impressions from Sippar, in Sumer, 37 (1981), pp. 129-44; H. Gasche, Tell ed-Der et Abu Habbah: deux villes situées à la croisée des chemins nord-sud, est-ouest, in Mari, 4 (1985), pp. 579-83; O. Renger, Zu den altbabylonischen Archiven aus Sippar, in K.R. Veenhof (ed.), Cuneiform Archives and Libraries. Papers Read at the 30e Rencontre Assyriologique Internationale (Leiden, 4-8 July 1983), Leiden 1986, pp. 96-105; H. Gasche, La Babylonie au 17e siècle avant notre ère. Approche archéologique, problèmes et prospectives, Ghent 1989; W. al-Jadir, Le Quartier de l'É-Babbar de Sippar (Sommaire des fouilles de 1985-1989, 8-11èmes campagnes), in L. De Meyer (ed.), Mesopotamie et Elam. Actes de la 36ème Rencontre Assyriologique Internationale (Gand, 10-15 juillet 1989), Ghent 1991, pp. 193-96; D. Charpin, Le point sur les deux Sippar, in Nouvelles assyriologisques brèves et utilitaires, 1992, 114, pp. 84-85; F. Joannès, Les temples de Sippar et leurs trésors à l'époque néo-babylonienne, in RA, 86 (1992), pp. 159-84; N.H. Al-Rawi - A.R. George, Tablets from the Sippar Library, III. Two Royal Counterfeits, in Iraq, 56 (1994), pp. 135-48; L. Dekiere, Old Babylonian Real Estate Documents from Sippar in the British Museum, London 1995; A.C.V.M. Bongenaar, The Neo-Babylonian Ebabbar Temple at Sippar. Its Administration and its Prosopography, Istanbul - Leiden 1997; W. al-Jadir, Le dégagement de la Ziggurat à Sippar, in H. Waetzoldt - H. Hauptmann (edd.), Assyrien im Wandel der Zeiten. Actes de la 39. Rencontre Assyriologique Internationale (Heidelberg, 6.-10. Juli 1992), Heidelberg 1997, pp. 291-93; Id., Découverte d'une bibliothèque dans le Temple de la Ville de Sippar (Abu Habbah), in H. Erkanal - V. Donbaz - A. Oguroglu (edd.), Kongreye sunulan bildiriler. Actes de la 34. Rencontre Assyriologique Internationale (Istanbul, 6-10 july 1987), Ankara 1998, pp. 707-15; M.A. Dandamayev, Temple Archers in the Neo-Babylonian Sippar, in Y. Avishur - R. Deutsch (edd.), Michael. Historical, Epigraphical and Biblical Studies in Honor of Prof. Michael Heltzer, Tel Aviv - Jaffa 1999, pp. 95-98; Id., Land Use in the Sippar Region during the Neo-Babylonian and Achaemenid Periods, in M. Hudson - B.A. Levine (edd.), Urbanization and Land Ownership in the Ancient Near East, Cambridge 1999; B. Lion, Dame Inanna-Ama-Mu, scribe à Sippar, in RA, 95 (2001), pp. 7-32; N.H. Al-Rawi, Tablets from the Sippar Library, X. A Dedication of Zabaya of Larsa, in Iraq, 64 (2002), pp. 247-48; K. S. Ismael - A.R. George, Tablets from the Sippar Library, XI. The Babylonian Almanac, ibid., pp. 249-58; N.P. Heebel - F.N.H. Al-Rawi, Tablets from the Sippar Library, XII. A Medical Therapeutic Text, ibid., 65 (2003), pp. 221-39.
di Peter A. Miglus
Il sito di T.B. si trova alla periferia della moderna città di ar-Raqqa, nella Siria settentrionale, in un'area di circa 650 × 750 m, che si estende lungo il versante orientale del medio Eufrate, presso la foce del fiume Balikh. Dal 1980 al 1995 il sito è stato oggetto di scavi condotti da E. Strommenger, sotto gli auspici della Deutsche Orient-Gesellschaft e del Museum für Vor- und Frühgeschichte di Berlino. Sulla base dei documenti cuneiformi rinvenuti a T.B. e negli archivi di Mari il sito è stato identificato con l'antica città di Tuttul.
Sulla scorta della ceramica rinvenuta in superficie, l'abitato più antico può datarsi alla metà del IV millennio a.C. Nel corso della prima età del Bronzo l'insediamento si sviluppò in un centro urbano, cinto da spesse mura di mattoni crudi, in cui sembra si aprissero quattro porte d'accesso. Diverse abitazioni private sono state rinvenute nella zona sud-orientale della città; si tratta in gran parte di modeste strutture costituite da alcuni ambienti con cortile. Il complesso di edifici con funzioni ufficiali, collocato sull'altura principale E, ha restituito i resti più significativi riguardo al III e al II millennio a.C., che hanno contribuito a migliorare le conoscenze sulla storia di Tuttul quale regno indipendente. Gli scavi hanno anche interessato l'area meridionale, che comprende i resti di almeno tre palazzi del Bronzo Antico. La struttura più antica è stata raggiunta in un sondaggio, mentre nel secondo edificio sono venute alla luce tombe reali. Benché i tumuli siano stati spogliati dei ricchi corredi già in età antica, i resti delle numerose sepolture attribuibili all'entourage della corte reale, inumata insieme al sovrano, possono ricondurre a una tradizione simile a quella del Cimitero Reale di Ur.
Le caratteristiche architettoniche del terzo palazzo (B), bruciato e distrutto alla fine del Protodinastico, mostrano stretti contatti con la tradizione architettonica siro-mesopotamica settentrionale. Un edificio, realizzato come dipendenza del Palazzo B, può essere datato al successivo periodo accadico. Durante tale periodo le prime menzioni storiche della città di Tuttul e della sua divinità principale Dagan sono quelle dei sovrani accadici Sargon e Naram-Sin (XXIV-XXIII sec. a.C.). Il palazzo più tardo (A), centro amministrativo della città durante il periodo paleobabilonese, è stato interamente scavato. La pianta rivela un impianto architettonico noto dalle abitazioni private e dalle residenze mesopotamiche meridionali. Diverse tavolette cuneiformi, rinvenute sparse in più punti dell'edificio, dimostrano che in questo periodo la città perse la sua posizione indipendente e che essa passò sotto il controllo degli Assiri (durante il regno di Shamshi-Adad I) e, più tardi, del re di Mari (Zimri-Lim). La definitiva conquista del sito (probabilmente da parte di Hammurabi) è testimoniata da evidenti tracce di distruzione violenta nel palazzo.
Al termine del III millennio a.C. sull'altura occidentale C si ergeva, entro i quartieri abitativi, una profonda fondazione di mattoni crudi relativa a un tempio dedicato a una divinità femminile. Tale struttura si presentava come una lunga sala con l'ingresso assiale, a cui era affiancata un'anta, elemento caratteristico dell'architettura sacra dell'età del Bronzo in Siria. Un ulteriore santuario, di cui è ancora visibile lo sviluppo della pianta sulla superficie dell'altura F, è stato identificato come il tempio del dio Dagan. Nel corso della tarda età del Bronzo sulle strutture dei palazzi antichi vennero erette abitazioni con vaste corti centrali (Mittelsaalhaus). Probabilmente, in questa fase, T.B. fu provvisoriamente un centro provinciale dell'amministrazione medioassira sul confine lungo il medio Eufrate. Non vi sono precisi elementi archeologici per quanto riguarda l'età del Ferro.
Nella seconda metà del I millennio a.C. l'insediamento venne trasferito. Seleuco I (301-281 a.C.) fondò la città ellenistica di Nikephorion sulle rive dell'Eufrate a sud di T.B., la quale venne successivamente ampliata, con ogni probabilità, da Seleuco II (246-226 a.C.) nella città di Kallinikos/Callinicum e infine ricostruita dall'imperatore Giustiniano (527-565 d.C.). In questo periodo tardo della vita di T.B. vennero eretti un monastero e una chiesa sull'altura E e le antiche rovine adiacenti vennero trasformate in cimitero. Di scarsa importanza sono infine i resti relativi al periodo islamico di T.B., successivo alla conquista della città da parte dell'esercito musulmano (640 d.C.).
Bibliografia
Resoconti preliminari di scavo in MDOG, 113-127 (1981-95); B. Einwag, Die Keramik aus dem Bereich des Palastes A in Tall Bi῾a/Tuttul und das Problem der frühen Mittleren Bronzezeit, München - Wien 1998; E. Strommenger - K. Kohlmeyer, Ausgrabungen in Tall Bi῾a/Tuttul, I. Die altorientalischen Bestattungen, Saarbrücken 1998; Iid., Ausgrabungen in Tall Bi῾a/Tuttul, III. Die Schichten des 3. Jahrtausends v. Chr. im Zentralhügel E, Saarbrücken 2000; M. Krebernik, Ausgrabungen in Tall Bi῾a/Tuttul, II. Die altorientalischen Schriftfunde, Saarbrücken 2002; P.A. Miglus - E. Strommenger, Ausgrabungen in Tall Bi῾a/Tuttul, VIII. Stadtbefestigungen, Häuser und Tempel, Saarbrücken 2002; A. Otto, Ausgrabungen in Tall Bi῾a/Tuttul, IV. Die Siegel und Siegelabrollungen, Saarbrücken 2004; P.A. Miglus - E. Strommenger, Ausgrabungen in Tall Bi῾a/Tuttul, VII. Der altbabylonische Palast A, in c.s.
di Nicolò Marchetti
T.B. è situato a nord del passo di Bara, tra il Gebel Sinjar e il Gebel Geribe, circa 2 km a nord della confluenza tra i wādī Giaghgiagh (sulla cui riva destra si trova T.B.) e Giarra. Il sito è esteso per circa 100 ha, mentre il tell vero e proprio occupa una superficie di 43 ha. Il centro è identificato con Nagar/Nawar, una città-stato menzionata già dai testi di Ebla e poi nota anche da altre iscrizioni regali posteriori.
Nel 1934, T.B. era stato oggetto di una ricognizione condotta da M. Mallowan, che vi aveva poi condotto tre campagne di scavo tra il 1937 e il 1938. Gli scavi sono poi ripresi nel 1976 e sono tuttora in corso, sempre condotti dalla British School of Archaeology in Iraq, sotto la direzione di D. e J. Oates, con la responsabilità sul campo dapprima di R. Matthews dal 1994 al 1996 e poi di G. Emberling.
Gli strati più antichi esposti sono attribuibili alla fase di Ubaid terminale e al periodo di Uruk antico. I periodi dal Calcolitico tardo finale al Bronzo Antico II sono stati rinvenuti in varie parti del tell, mentre la parte centrale di quest'ultima epoca è nota da un piccolo santuario con asse a gomito. Livelli dal Bronzo Antico III al Bronzo Tardo I dimostrano la vita continua del centro, in seguito non più occupato. Livelli neoassiri sono presenti a nord-ovest del tell principale, mentre un accampamento romano di forma quadrata è stato scavato a nord-est.
In un settore di scavo è venuta in luce la facciata est di un edificio databile al Calcolitico tardo 4, conservato solo in fondazione, che presentava contrafforti rettangolari poco profondi, di cui uno con un recesso al centro. Situato sulle pendici sud-ovest del tell, il Tempio degli Occhi si colloca al termine di una lunga sequenza edilizia. Esso infatti sorgeva su una piattaforma di mattoni alta 6 m, formata con ogni verosimiglianza da almeno tre templi precedenti del Calcolitico tardo, non scavati, che erano stati livellati e riempiti con mattoni per sostenere l'edificio superiore. Dallo strato intermedio provengono molte migliaia di oggetti, tra cui sculture, amuleti di pietra, idoli "a occhi" di alabastro (da cui il nome dell'edificio principale), analoghi ad altri esemplari scavati nei livelli del Calcolitico tardo 4 in un'altra area (in cui tra l'altro ampie case tripartite documentano attività di "banchetto" e redistribuzione). In analogia al coevo tempio di Tell Uqair, è stato proposto che l'accesso al basamento fosse da sud. Il tempio, con la sua articolazione a nicchie delle pareti esterne, si inserisce nella tradizione delle fabbriche sacre mesopotamiche del IV millennio (nella parete esterna sud, si conservava inoltre un mosaico di coni di argilla, con la testa dipinta di rosso). La cella, di forma rettangolare (18 × 6 m), aveva una pianta cruciforme dovuta alla presenza di due recessi; sulla parete breve di fondo si trovava un podio decorato da un fregio con bande di calcare e di scisto grigio, incorniciate da una lamina d'oro. Dal lato lungo nord si accedeva a un settore caratterizzato da ambienti stretti e lunghi, disposti su file longitudinali e trasversali, secondo alcuni dei magazzini. Il Tempio degli Occhi data con ogni verosimiglianza al Calcolitico tardo 5.
Nel periodo accadico, T.B. doveva verosimilmente essere la sede del sukkal accadico della Mesopotamia settentrionale (nominato su una tavoletta), come suggerito dai documenti amministrativi e dai monumenti rinvenuti. Nell'area situata di fronte al cosiddetto "palazzo di Naram-Sin", a ovest di una depressione che segnala probabilmente la zona dell'ingresso all'insediamento antico, sono stati rinvenuti un tempio di tradizione mesopotamica meridionale (obliterato ritualmente in una fase successiva) e la facciata sud di un complesso, dotata di nicchie e basamenti di marmo alabastrino; l'intera struttura è stata interpretata come cerimoniale, suddivisibile in quattro settori e cinta da un possente muro di pisé. Numerosissime cretule documentano attività amministrative. Un secondo tempio con asse a gomito, probabilmente dedicato al dio Shakkan, è stato ritrovato all'interno di un più vasto complesso cerimoniale. Il palazzo di Naram-Sin, con superficie probabilmente di oltre 1 ha, sorgeva sopra un edificio monumentale del Bronzo Antico III. Il complesso era articolato intorno a tre corti minori periferiche e a una grande (41 × 41 m) quadrata centrale. Il muro perimetrale aveva uno spessore di 10 m. Il palazzo, costruito seguendo il rilievo su cui sorgeva, avrebbe avuto tre zone a quote diverse. È documentata una ricostruzione del palazzo risalente a una fase tardoaccadica oppure a una postaccadica, meno probabile perché non sono attestate ricostruzioni postaccadiche impostate sulla stessa planimetria degli edifici anteriori. In realtà non è noto se i mattoni stampigliati col nome di Naram-Sin siano relativi a muri della prima o seconda fase.
L'area pubblica mitannica, distrutta probabilmente nella prima metà del XIII sec. a.C. da un'incursione di un sovrano medioassiro, comprendeva un palazzetto e un tempio. La fabbrica palatina, con articolazione originaria delle pareti a recessi irregolari (da 4 a 7 m), contenenti ciascuno un pannello di tre semicolonne (successivamente coperto), era incentrata su una corte quadrata, sul cui lato nord era posta la sala di ricevimento, mentre a est vi erano magazzini, laboratori e una cucina. L'ingresso doveva quasi certamente essere verso sud, analogamente al tempio. Alla seconda fase costruttiva risale il tempio, che mantenne una simile articolazione sino alla definitiva distruzione: formato da una cella latitudinale e un podio aggettante di mattoni a gradini, sul fondo del quale si apriva una nicchia poco profonda, aveva nella parte posteriore due vani, comunicanti con la cella, secondo una tradizione conosciuta anche dal tempio di Alalakh II.
M.E.L. Mallowan, Excavations at Brak and Chagar Bazar, in Iraq, 9 (1947), pp. 1-259; Id., Twenty-Five Years of Mesopotamian Discovery (1932-1956), London 1956. Rapporti preliminari e studi in Iraq dal 1977. Rapporti finali: D. Matthews, The Early Glyptic of Tell Brak. Cylinder Seals of Third Millennium Syria, Freiburg (Schweiz) - Göttingen 1997; D. Oates - J. Oates - H. McDonald, Excavations at Tell Brak, I. The Mitanni and Old Babylonian Periods, Cambridge 1997; Iid., Excavations at Tell Brak, II. The Third Millennium, Cambridge 2001; R. Matthews (ed.), Excavations at Tell Brak, IV. Exploring a Regional Centre in Upper Mesopotamia, 1994-1996, Cambridge 2002.
di Winfried Orthmann
T.H., vicino a Ras al-Ain, sul limite occidentale del triangolo del Khabur, fu il primo sito archeologico a essere scavato estensivamente nell'Alta Mesopotamia.
Il rinvenimento accidentale di resti di sculture monumentali, dallo stile fino a quel tempo sconosciuto, spinse M. von Oppenheim, che scoprì T.H. nel 1899, a dirigere la prima campagna di scavo tra gli anni 1911 e 1913 e una seconda più breve nel 1927. Egli stabilì una sequenza di tre periodi insediamentali principali, che definì come "periodo della Ceramica Dipinta", "periodo Kapara" e "periodo Guzana".
Il periodo della Ceramica Dipinta si rivelò in seguito essere una sequenza di resti di insediamenti preistorici, che sono stati comunemente datati all'inizio del Calcolitico, ma che potrebbero essere altrettanto attribuiti al Neolitico tardo, dal momento che in questo periodo l'uso del metallo sembra essere piuttosto limitato. Questa civiltà fu chiamata "cultura Tell Halaf" in considerazione del fatto che questo era il primo sito in cui tali resti venivano riportati alla luce. Sebbene numerosi frammenti di ceramica dipinta siano stati rinvenuti a T.H., lo sviluppo dello stile ceramico, dell'architettura e della struttura insediamentale di questo periodo sono stati altrove definiti da più recenti scavi archeologici.
Il periodo Kapara prende il nome dalle iscrizioni di un governatore locale, rinvenute sulle sculture utilizzate per decorare l'entrata e il lato posteriore di un tipo di edificio monumentale, il cosiddetto ḫilāni. Kapara era un membro della dinastia aramaica che governò nella tarda metà del X secolo e soprattutto fino alla fine del IX sec. a.C. su un territorio avente Guzana (T.H.) come capitale, probabilmente riconoscendo i sovrani neoassiri come loro signori dopo le campagne militari nel IX sec. a.C. Se Kapara abbia regnato prima delle conquiste assire o all'incirca attorno alla metà del IX secolo, è ancora oggetto di discussione. Le serie di rilievi ortostatici che decoravano il retro dell'edificio di Kapara sono state probabilmente qui impiegate secondariamente e le loro iscrizioni sembrano essere state aggiunte in un secondo momento. A. Moortgat, pertanto, distinse un gruppo di sculture pre-Kapara da un gruppo propriamente Kapara. Quest'ultimo consiste di sette ortostati provenienti dalla nicchia d'entrata, due figure di sfinge dagli stipiti di una porta e tre statue di divinità stanti su leoni e tori a sostegno dell'architrave al di sopra dell'entrata esterna. A questi si devono aggiungere due ortostati con leoni alati e due figure di aquile con testa di grifone dagli stipiti dell'ingresso interno. Sebbene queste differiscano minimamente per esecuzione, il gruppo di sculture Kapara presenta uno stile più omogeneo nella resa dei dettagli e dell'iconografia. Il dio della tempesta, i due uomini-toro che sorreggono il disco solare alato, leoni incedenti e scene di caccia sono i temi figurativi principali. Piccole tavole offertorie con raffigurazione di esseri soprannaturali, rinvenute davanti agli ortostati, indicano che le immagini non assolvevano semplicemente una funzione decorativa, ma erano anche oggetti di culto e venerazione. La serie di ortostati pre-Kapara dal retro dell'edificio ha dimensioni inferiori e una esecuzione meno raffinata. Vi è raffigurata una varietà di animali, uomini, esseri soprannaturali; solitamente solo una o due figure riempiono la totale superficie del blocco di pietra, mentre composizioni più grandi sono rare. Le sculture di T.H. non mostrano alcuna stretta relazione con l'arte neoassira né nello stile né nell'iconografia. Per certi aspetti esse sembrano influenzate dalle sculture neohittite di località quali Karkemish, che in questo periodo era un importante centro. L'architettura dello stesso ḫilāni sembra far riferimento a una relazione di questo tipo.
Oltre al ḫilāni, sono state scavate altre strutture architettoniche all'incirca dello stesso periodo: la Porta Meridionale e settori delle mura difensive della cittadella, così come il Palazzo Settentrionale, una residenza simile ai palazzi neoassiri, eretta o dagli ultimi esponenti della dinastia locale oppure dai governatori che ressero Guzana dopo che questa divenne parte dell'impero assiro alla fine del IX sec. a.C. Il periodo del governatorato assiro fu definito "periodo di Guzana". Gli archivi di un governatore assiro della prima metà dell'VIII sec. a.C., rinvenuti a T.H., mostrano che Guzana all'epoca aveva perso la sua specifica natura di capitale di una dinastia aramaica.
Bibliografia
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di Frances Pinnock
Piccolo sito, il cui nome antico era Shaduppum, localizzato in Iraq nei pressi di Baghdad, in corrispondenza del villaggio moderno di Tell Mohammed.
Nel corso di alcune campagne di scavo, condotte dalla Direzione Generale delle Antichità di Baghdad a partire dalla fine degli anni Quaranta del Novecento, sono stati messi in luce i resti di alcuni edifici di una piccola città cinta da mura, che doveva essere un importante centro amministrativo del regno di Eshnunna, poiché conteneva migliaia di documenti cuneiformi di vario argomento. I testi amministrativi del livello II, distrutto da un incendio, recavano formule di datazione del re Ibal-pi-El II di Eshnunna (1784-1770 a.C.), mentre uno dei documenti più rilevanti è certamente il cosiddetto "codice di Eshnunna", in realtà una tabella di "prezzi giusti".
Il centro, con impianto quadrangolare irregolare, possiede una cinta con torrioni angolari, apparentemente fornita di un'unica porta urbica. Il tessuto urbano è abbastanza regolare, attraversato da due assi viari principali, che si incontrano quasi ad angolo retto, spostati verso la metà meridionale della città; il settore più rilevante sembra essere costituito dal quadrante sud-orientale, nel quale si riconoscono due edifici templari e una probabile residenza, con pianta piuttosto simmetrica, che sembra articolarsi sui lati di un ambiente centrale quadrato, o probabilmente una corte. A ovest di questo edificio, al di là di un settore non completamente messo in luce, un secondo complesso mostra ugualmente le caratteristiche di una residenza, con una possibile corte quadrata, minore di quella del primo edificio, mentre il resto del tessuto urbano è composto da unità abitative prive di regolarità.
I due complessi templari, entrambi doppi, presentano qualche anomalia rispetto agli impianti tradizionali. Il tempio maggiore, infatti, ha un'ampia corte rettangolare, con ingressi assiali, antecella e cella tradizionalmente latitudinali e assiali, ma il gruppo secondario di antecella e cella situato nell'angolo nord-occidentale della corte si apre ad angolo retto rispetto alla cella principale. Il tempio minore non ha due celle aperte sulla stessa corte, ma è costituito da due unità parallele, ognuna formata da una corte longitudinale con ingresso assiale e da una cella a impianto latitudinale, ma più profonda del solito, senza antecella. Gli accessi ai templi erano verosimilmente decorati da immagini di leoni accosciati ruggenti, non realizzate in metallo come di consueto, ma in argilla. I numerosi frammenti rinvenuti inducono a ritenere che le statue fossero almeno sei e quelle ricostruite più integralmente rivelano l'alto livello qualitativo raggiunto dalle botteghe locali, pur nella realizzazione di opere certamente provinciali, che rivelano un gusto tendente al popolaresco. I due complessi erano probabilmente dedicati alla coppia divina Nisaba-Khaia; mentre il tempio maggiore appare abbastanza isolato, quello minore si inserisce in un'area sacra che comprende anche tre cappelle minori, di pianta irregolare.
T. Baqir, Tell Harmal. A Preliminary Report, in Sumer, 2 (1946), pp. 22-30; Id., Tell Harmal. A Preliminary Report, ibid., 4 (1948), pp. 137-38; Id., Tell Harmal, Baghdad 1959; S.A. Al-Alusi, Excavations at Tell Harmal, in Sumer, 15 (1959), pp. 47-48; A. Naji, Seventh Season at Tell Harmal, ibid., 17 (1961), pp. 201-208; R. Al-Hashimi, New Light on the Date of Tell Harmal and Dhiba'i, ibid., 28 (1972), pp. 29-34; E. Heinrich, Die Tempel und Heiligtümer im Alten Mesopotamien. Typologie, Morphologie und Geschichte, Berlin 1982, pp. 189-90; P. Matthiae, La storia dell'arte dell'Oriente Antico. Gli stati territoriali, 2100-1600 a.C., Milano 2000, pp. 72, 111-12.
di Nicolò Marchetti
T.K. è situato poco a sud del confine turco in territorio siriano, circa a metà tra i bacini del Balikh e del Khabur, in una piatta steppa, solcata da ampi widyān poco profondi. Il tell, di forma circolare con un diametro di circa 950 m, ha una superficie di 65 ha. La città bassa occupa una fascia di circa 100 m tra le mura e l'acropoli e si estende per 22 ha. L'acropoli si eleva di 10-15 m sulla città bassa e ha al centro una depressione nord-ovest/sud-est.
Il tell è stato oggetto di un'approfondita ricognizione da parte di M. von Oppenheim nel 1913. Nel 1955 il Servizio delle Antichità Siriano ha eseguito dei sondaggi, rimasti inediti. Nel 1958 sono iniziati gli scavi della Fondazione M. von Oppenheim, sotto la direzione di A. Moortgat, fino alla sua morte avvenuta nel 1977. Gli scavi sono ripresi nel 1982, sotto la guida di U. Moortgat-Correns e di W. Orthmann per le prime tre campagne (1982-1983, 1985) e sono poi proseguiti, dal 1986 fino a oggi, sotto la direzione dapprima di Orthmann e poi di J.-W. Meyer.
Due sono le fasi culturali principali del sito: Khuera IB-E (Bronzo Antico II, III e IV iniziale, periodo protosiriano, con un vasto insediamento); Khuera IIA-B (periodo mediosiriano, insediamento assai più ridotto dalla metà alla fine del II millennio). Sotto il profilo urbanistico, l'acropoli occupava quattro quinti della superficie totale del tell; la città bassa, con strade radiali verso il centro dell'acropoli, era cinta da un muro della fase Khuera ID. All'estremità sud-est della depressione centrale dell'acropoli sorgeva un'estesa area sacra, la cui stratificazione è parzialmente conosciuta. I templi in antis sono sette: sei sull'acropoli e uno al di fuori della cinta muraria. Per il Kleiner Antentempel sono stati identificati cinque livelli, corrispondenti all'incirca ad altrettante fasi dell'area abitativa circostante. I livelli 5-4 (Khuera IC) erano costituiti da un edificio irregolare, la cui destinazione sacra è provata dall'identica posizione dell'altare e del muro di fondo nei livelli successivi. Nei livelli 3-1 (Khuera ID, Bronzo Antico III finale, ma da cui provengono statuette di oranti di datazione più arcaica) il tempio aveva una pianta in antis e, come per le altre fabbriche sacre di questo tipo sul sito ‒ cioè Tempio Nord, Edificio Esterno e gli edifici di pietra I, III, VI e probabilmente IV ‒ l'orientamento era est-ovest con entrata a est. A differenza di tali edifici, però, il Kleiner Antentempel era interamente costruito in mattoni crudi, senza basamento di pietra.
A nord della depressione centrale dell'acropoli si situa la più grande area sacra del III millennio a.C. dell'Alta Mesopotamia, comprendente gli edifici di pietra I, III, IV e II (in realtà una sorta di propileo d'ingresso), che sorgono su terrazze di pietra monumentali, alte fino a 7 m. Il complesso include anche una serie di annessi, in cui si sono distinte varie fasi (livelli 8-1, fasi Khuera IC-D). Questo tipo di tempio potrebbe avere delle connessioni con le fabbriche sacre mesopotamiche protodinastiche. All'esterno della città si trovava la Via delle Stele, una sorta di percorso processionale fiancheggiato da monoliti nelle cui vicinanze sorgeva l'Edificio Esterno (fase Khuera IC). L'architettura domestica testimonia un modulo costante a corte centrale, con ingresso su una strada provvista di canalizzazioni. Lungo la corte vi era un'unica fila di vani su tre lati con il vano principale dotato di installazioni (banchine, ecc.) e spesso con un vano secondario comunicante. Alla fase Khuera ID appartiene il Quartiere Domestico, mentre alla IE il Quartiere dei Ceramisti. Le costruzioni palatine (nell'accezione più ampia del termine) sono due, entrambe della fase più recente (Khuera IE). L'Edificio di Pietra V era di forma trapezoidale e doveva avere un'estensione di 530 m2. Il Palazzo F sorgeva presso l'estremità occidentale della depressione centrale dell'acropoli e presentava delle fondazioni realizzate in grandi blocchi calcarei, sopra cui si trovava una preparazione di ciottoli per l'alzato di mattoni crudi, quasi quadrati; i muri, molto spessi e talora conservati fino a un'altezza di 2,5 m, erano accuratamente intonacati. Il palazzo era costruito su terrazze. A nord si trovavano due corridoi stretti e lunghi, mentre a sud vi era una corte, pavimentata con grandi lastre di pietra.
Nel periodo mitannico (Khuera IIA) vi era, nella metà nord del sito, un insediamento che sorgeva direttamente sui livelli del periodo protosiriano, che comprendeva un edificio interpretato come un santuario del tipo a ingresso con asse a gomito. Dal XIV al XII sec. a.C. nella parte nord-est del tell sorgeva un insediamento medioassiro (Khuera IIB), cui si riferiscono vari livelli ed edifici (con piccoli archivi cuneiformi) e la residenza di un governatore provinciale.
A. Moortgat, Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die Grabungskampagne 1958, Köln - Opladen 1960; Id., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die zweite Grabungskampagne 1959, Wiesbaden 1960; Id., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die dritte Grabungskampagne 1960, Köln - Opladen 1962; Id., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die vierte Grabungskampagne 1963, Köln - Opladen 1965; Id., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die fünfte Grabungskampagne 1964, Wiesbaden 1967; A. Moortgat - U. Moortgat-Correns, Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die sechste Grabungskampagne 1973, Berlin 1975; Iid., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die siebente Grabungskampagne 1974, Berlin 1976; Iid., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die achte Grabungskampagne 1976, Berlin 1978; W. Orthmann - H. Klein - F. Lüth, Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die neunte und zehnte Grabungskampagne 1982-1983, Berlin 1986; U. Moortgat-Correns, Tell Chuera in Nordost-Syrien. Vorlaüfige Berichte über die neunte und zehnte Grabungskampagne 1982-1983, Berlin 1988; Ead., Tell Chuera in Nordost Syrien. Vorläufiger Bericht über die elfte Grabungskampagne 1985, Berlin 1988; W. Orthmann, Tell Chuera. Ausgrabungen der Max Freiherr von Oppenheim-Stiftung in Nordost-Syrien, Damaskus - Tartous 1990; Id., L'architecture religieuse de Tell Chuera, in Akkadica, 69 (1990), pp. 1-18; W. Orthmann (ed.), Ausgrabungen in Tell Chuera in Nordost-Syrien, I. Bericht über die Grabungskampagnen 1986 bis 1992, Saarbrücken 1995; J.-W. Meyer, Im Tod den Göttern nahe. Eine prunkvolle Bestattung in Tell Chuera, Nordsyrien, in AW, 32, 4 (2001), pp. 383-90.
di Nicolò Marchetti
T.L. è situato sulla riva sinistra del Wadi Giarra, 30 km a est/sud-est di Qamishli. Il sito occupa una superficie di 90 ha e può suddividersi in quattro regioni topografiche: la prima costituita dalle mura lunghe 3,7 km e alte dai 5 ai 15 m sopra la pianura circostante; la seconda e la terza rappresentate dalla città bassa (90 ha) e dalla zona localizzata tra le mura sud e l'acropoli; infine l'acropoli, 15 ha, che comprende l'area sacra a nord-est, l'area forse pubblica di nord-ovest e la ziqqurrat a sud-ovest.
T.L. sarebbe stata una delle stazioni lungo la rotta commerciale paleoassira verso la Cappadocia. Il sito è stato identificato con la Shekhna del III millennio a.C. e la Shubat-Enlil del II millennio; dopo la morte del nuovo fondatore, Shamshi-Adad I di Assiria, quest'ultima fu denominata di nuovo con il nome antico. Dopo una ricognizione nel 1978, le campagne di scavo dell'Università di Yale sotto la direzione di H. Weiss hanno avuto luogo a partire dal 1979.
I livelli più antichi sono stati esposti sulle pendici nord-ovest dell'acropoli. Erano presenti i periodi di Ubaid e del Calcolitico tardo, cui seguiva una consistente lacuna nella stratificazione. La sequenza riprendeva in una fase centrale antica del periodo di Ninive 5 o Bronzo Antico II (Leilan III), di cui si sono distinte quattro fasi. Durante quest'ultima epoca si costruirono dei magazzini sull'acropoli, con chiari segni di attività amministrative (numerose cretule impresse con sigilli di iconografia derivata dalla Mesopotamia meridionale, che suggeriscono un possibile controllo centralizzato e redistributivo), e il sito si estese da 15 ha a oltre 90 (nella città bassa sud, si è esposto un vasto tratto di un quartiere abitativo con forni per ceramica, organizzato ai due lati di una strada radiale rispetto all'acropoli). Nel successivo periodo di Leilan IIa (Bronzo Antico III) venne costruito il muro di fortificazione dell'acropoli (spesso 2,5 m), mentre quello urbico, di cui è stato scavato uno degli accessi, fu eretto solo durante Leilan IIb (fine del Bronzo Antico III e inizio del Bronzo Antico IV): esso si componeva di un settore di due muri paralleli, ciascuno largo 8 m e dotato di casematte, mentre altrove vi era un terrapieno con anteposto un fossato. Resti di Leilan IIId-IIb sono stati esposti sia sull'acropoli, sia nella città bassa.
Dopo una pausa nell'occupazione di alcuni secoli, il sito fu reinsediato (Leilan I, con una superficie ridotta a 75 ha) per divenire la capitale del grande Shamshi-Adad, con il nome di Shubat-Enlil ("dimora di Enlil"). A tale sovrano risalgono le due fasi costruttive del tempio nel settore nord-est dell'acropoli (livelli III-II), l'Edificio X, immediatamente a sud e probabilmente palatino. Il tempio, dedicato alla Beleth-Apim, "la Signora del Paese di Apum", aveva una cella longitudinale e un'antecella latitudinale, costituendo così la più antica attestazione del tempio longitudinale di tipo assiro, con le facciate settentrionale e meridionale decorate da semicolonne tortili e lisce, inserite in nicchie. Nella città bassa, è stato parzialmente scavato nel 1985 il Palazzo Est di Leilan I finale con due fasi costruttive principali, che seguivano la stessa planimetria. Nel palazzo, articolato su un ambiente quadrato pavimentato in mattoni cotti con vani piccoli e un'elaborata circolazione, sono stati trovati circa 600 tavolette e frammenti, tra cui, oltre a testi economici, vi erano testi letterari (Lista Reale sumerica) e un trattato. Tali testi coprono i regni dei tre successori di Shamshi-Adad fino alla conquista di Samsu-iluna alla fine del XVIII sec. a.C. Nella città bassa, a nord, si è esposta parte di un secondo edificio palatino, che ha restituito 600 tavolette amministrative. Tra le impronte dei sigilli provenienti dalla città bassa e quelle invece dall'acropoli vi sarebbe una differenza stilistica, forse anche con valenza funzionale.
Tutte le strutture menzionate restarono in uso con vari rifacimenti fino alla distruzione definitiva della città a opera di Samsu-iluna di Babilonia, cui fece seguito una breve e modesta rioccupazione (livello 1). Si sono riconosciuti solo scarsi resti di occupazione islamica e tutti comunque assai erosi.
Bibliografia
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di Giorgio Buccellati, Marilyn Kelly-Buccellati
T.M., nella Siria nord-orientale, fra i moderni centri di Amuda e Qamishli, si trova in una pianura molto fertile, di faccia alle pendici del Tur-Abdin. La parte bassa del sito misura quasi 150 ha di superficie, quella alta circa 25 ha.
M. Mallowan vi fece un breve sondaggio nel 1934, concludendo che il sito fosse di epoca romana. Nel 1984, M. Kelly-Buccellati e G. Buccellati vi iniziarono uno scavo, tuttora in corso, sotto l'egida dell'International Institute for Mesopotamian Area Studies e con la partecipazione di varie università. Dal 1998 al 2003 ha preso parte agli scavi anche la Deutsche Orient-Gesellschaft di Berlino, sotto la direzione di P. Pfälzner e H. Dohmann-Pfälzner. L'identificazione del sito con Urkesh, uno dei centri più significativi dei Hurriti, proposta all'inizio degli scavi, venne verificata nel 1995.
Il documento di fondazione per un tempio costruito dal re Tishatal a Urkesh per il dio Nergal scoperto a T.M. è la più antica iscrizione hurrita. Altri documenti parlano di ulteriori sei re con nomi hurriti, tranne gli ultimi due con nomi amorrei e vassalli del re di Mari, distribuiti lungo un arco di circa sei secoli, dal 2300 al 1700 a.C. L'identità etnica della popolazione è particolarmente significativa, in quanto T.M. è finora l'unica città del III millennio che possa considerarsi propriamente hurrita. L'apogeo della città sembra sia da collocarsi tra il 2500 e il 2200 a.C., a giudicare dalle strutture monumentali di quel periodo e dal fatto che una figlia di Naram-Sin, re di Accad, venne a Urkesh molto verosimilmente come regina. Dopo essere passata sotto il controllo di Mari verso il 1800, la città si ridusse nel periodo di Mitanni (tra il 1500 e il 1400 a.C.) a un piccolo insediamento, in seguito completamente abbandonato.
Per i periodi più antichi abbiamo finora solo piccoli sondaggi senza rilevanti resti architettonici. Le prime grandi strutture datano al 2700 a.C. Si tratta di una terrazza monumentale ovale con un massiccio muro perimetrale di pietra, su cui si ergeva un tempio, esposto solo in una riedificazione posteriore, databile tra il 2500 e il 2400 a.C. Il tempio è rettangolare e di medie dimensioni, con accesso nel lato lungo. A questo stesso periodo deve risalire la costruzione del grande muro di cinta esterno, vicino al quale sono stati rinvenuti accumuli, appartenenti a un edificio di carattere amministrativo. è meglio attestato il periodo successivo (età accadica in Mesopotamia). L'edificio più imponente è il palazzo reale (AP) realizzato dal re Tupkish verso il 2250 a.C.: una costruzione a due livelli, di cui finora è nota completamente la zona dei servizi, più bassa. Della zona di rappresentanza, rialzata di circa 2,5 m, si conoscono solo parte di un grande cortile monumentale, lastricato in pietra, e parte del settore di accesso. Un massiccio sistema di scarico delle acque è strettamente inglobato nel sistema murario, costituito da una solida base di pietra, con alzati di mattoni crudi. Sul lato est, il palazzo si affacciava su una piazza che lo collegava al tempio. Sul lato sud-est, una fossa necromantica, legata in maniera esclusiva a culti hurriti, era incorniciata dall'angolo fra zona dei servizi e zona di rappresentanza del palazzo. Essa è un'imponente struttura quasi interamente sotterranea, con un'anticamera quadrata di 4 m di lato e una fossa cilindrica di quasi 5 m di diametro, interamente costruita con massi di notevoli dimensioni. I più importanti ritrovamenti sono le quasi 2000 cretule con impronte di sigillo, delle quali circa 200 con iscrizioni del re Tupkish, tra cui alcune che lo qualificano endan Urkesh (signore di Urkesh) hanno reso possibile l'identificazione del sito, della regina Uqnitum e di vari membri della loro corte. Nei livelli immediatamente successivi, furono rinvenute delle impronte di sigillo di Taram-Agade, figlia di Naram-Sin. I frammenti di tavolette cuneiformi di questo periodo sono in genere testi di carattere amministativo. A questa epoca si data anche una piccola placca di pietra con un episodio della saga di Gilgamesh.
Il periodo successivo è caratterizzato, nell'area del palazzo, da una lunga e continua sequenza stratigrafica (dal 2100 fino a ca. il 1700 a.C.) di case private con notevoli strutture funerarie inserite nel contesto urbano e poi di zone a carattere industriale con forni per la produzione di ceramica dipinta del tipo cosiddetto Khabur. Nell'area C2 un grosso edificio sembra aver assolto alle funzioni di caravanserraglio, con stanze riservate ai mercanti. Interessanti manufatti di questo periodo sono dei fornelli (andirons), forse con funzione religiosa domestica, poiché a volte decorati con simboli divini, e caratteristici della cultura nota come Early Transcaucasian, diffusa nell'altopiano anatolico e fino al Caucaso, dunque indizio di un possibile collegamento di carattere etnico fra i Hurriti di Urkesh e le popolazioni dell'entroterra montano.
G. Buccellati - M. Kelly-Buccellati, Mozan, I, III, Malibu 1988, 1998; Iid., The Identification of Urkesh with Tell Mozan (Syria), in Orient-Express, 1995, 3, pp. 67-70; Iid., The Royal Storehouse of Urkesh: the Glyptic Evidence from the Southwestern Wing, in AfO, 42-43 (1995-96), pp. 1-32; M. Kelly-Buccellati, Nuzi Viewed from Urkesh, Urkesh Viewed from Nuzi: Stock Elements and Farming Devices in Northern Syro-Mesopotamia, in D.I. Owen - G. Wilhelm, Richard F.S. Starr Memorial Volume, Bethesda 1996, pp. 247-68; G. Buccellati, Urkesh and the Question of Early Hurrian Urbanism, in M. Hudson - B.A. Levine (edd.), Urbanization and Land Ownership in the Ancient Near East, Cambridge (Mass.) 1999, pp. 229-50; G. Buccellati - M. Kelly-Buccellati, Überlegungen zur funktionellen und historischen Bestimmung des Königspalastes AP in Urkesch. Bericht über die 13. Kampagne in Tall Mozan/Urkesch: Ausgrabungen im Gebiet AA, Juni-August 2000, in MDOG, 133 (2001), pp. 59-96; Iid., Die Große Schnittstelle. Bericht über die 14. Kampagne in Tall Mozan/Urkeš: Ausgrabungen im Gebiet AA, Juni-Oktober 2001, ibid., 134 (2002), pp. 103-30; Iid., Tar'am-Agade, Daughter of Naram-Sin, at Urkesh, in L.W. Al-Gailani et al., Of Pots and Plans. Papers on the Archaeology and History of Mesopotamia and Syria Presented to David Oates in Honour of his 75th Birthday, London 2002, pp. 11-31; M. Kelly-Buccellati, Ein hurritischer Gang in die Unterwelt, in MDOG, 134 (2002), pp. 131-48; Ead., Andirons at Urkesh: New Evidences for the Hurrian Identity of Early Trans-caucasian Culture, in A. Sagona (ed.), A View from the Highlands. Studies in Honor of Charles Burney, Herent 2003.
di Enrico Ascalone
T., l'antica Girsu (ca. 100 ha), sorge in Mesopotamia meridionale (Iraq), in prossimità della confluenza tra il Tigri e l'Eufrate, vicino alla città di Lagash (od. Tell al-Hiba) che rappresentò il maggiore centro della regione.
Gli scavi archeologici vi iniziarono già nel 1877, per volontà del viceconsole francese a Bassora, E. de Sarzec, e si protrassero sino al 1900. In particolare furono esplorati il palazzo identificato sul Tell A, la cosiddetta Maison des Fruits sul Tell K e la collina delle tavolette (Tell V), ove si rinvennero, in una sola stagione, ben 40.000 tavolette in gran parte cronologicamente circoscritte al periodo neosumerico (ca. 2120-2000 a.C.). Gli scavi portarono alla luce numerose statue iscritte, perlopiù frammentarie, dell'ensi (re) di Lagash Gudea, che formarono, sotto la direzione di L. Heuzey, la prima importante collezione orientale preclassica del Museo del Louvre. Alla morte di de Sarzec, gli scavi di T. furono condotti da G. Cros (1903-1909), da H. de Genouillac (1929-31) e da A. Parrot (fino alla conclusione dell'esplorazione avvenuta nel 1933).
Le sequenze dinastiche della città devono necessariamente essere riconosciute nelle vicissitudini politiche dei sovrani dello Stato di Lagash. Girsu conobbe due periodi di maggiore stabilità dinastica e di splendore economico e artistico: il primo è approssimativamente da collocare verso la metà del III millennio a.C. (2550-2350 a.C.), con il Protodinastico III, quando il fondatore della I Dinastia della città, Ur-Nanshe, attuò una politica mirata alla realizzazione di opere pubbliche (complessi templari, ovvero lo scavo di canali idrici) come ampiamente divulgato dalle placche celebrative forate, verosimilmente collocate all'interno delle fabbriche sacre di Mesopotamia. Attività di una certa importanza militare dovettero, invece, essere svolte dal nipote, Eannatum (successore di Akurgal, secondo re della dinastia). Egli, secondo quanto si ricava dalle sue iscrizioni, affrontò in battaglia gli Elamiti, che rappresentarono la minaccia più concreta allo Stato di Lagash, una coalizione settentrionale delle città di Kish, Akshak e Mari e infine i centri meridionali di Ur e Uruk. Un carattere decisamente bellicoso, dopo la sovranità di Enannatum I, sembra essere riconosciuto anche in Enmetena che, con una stele commemorativa, celebrò gli esiti dello scontro militare contro la confinante Umma; nuovi rapporti di natura economica con Larsa, Bad-Tibira e Uruk sono tuttavia ricordati nelle sue iscrizioni. L'ultimo sovrano della I Dinastia di Lagash è Urukagina, il cui regno fu profondamente segnato da una serie di riforme interne di natura giuridica e sociale e dall'ascesa di Lugalzagesi di Umma, che regnò sulla Bassa Mesopotamia prima di Sargon di Accad.
Un secondo periodo di grande splendore è rappresentato dalla II Dinastia di Lagash che, durante il XXII sec. a.C., mostra una rinnovata autonomia politica: i suoi sovrani (Ur-Baba, Gudea, Ur-Ningirsu) riuscirono a mantenere un delicato equilibrio di rapporti con le altre città-stato e, probabilmente, a esercitare quache controllo anche in Bassa Mesopotamia e lungo i più vicini lembi costieri del Golfo Persico. La produzione artistica di questo periodo, in particolare con Gudea, è ampiamente documentata da numerose statue di diorite, perlopiù acefale, che riproducono il sovrano nella sua pia operosità edile volta alla massima divinità cittadina, Ningirsu. La floridezza artistica del periodo è testimoniata da questo tipo di statuaria che, insieme alla produzione glittica, introduce nuovi canoni espressivi, artistici, ideologici e stilistici di forte rottura con la tradizione artistica del periodo accadico.
E. de Sarzec, Découvertes en Chaldée, I-II, Paris, 1889-1912; G. Cros, Nouvelles fouilles de Tello, Paris 1910; A. Falkenstein - R. Opificius, s.v. Girsu, in RlA, III, 1928, pp. 385-401; H. de Genouillac, Fouilles de Telloh, Paris 1934; A. Parrot, Tello. Vingt campagnes de fouilles, 1877-1933, Paris 1948; M.T. Barrelet, Une construction énigmatique à Tello, in Iraq, 27 (1965), pp. 100-18; E. de Vaumas, L'écoulement des eaux en Mésopotamie et la provenance des eaux de Tello, ibid., pp. 81-99; Th. Jacobsen, A Survey of the Girsu (Telloh) Region, in Sumer, 25 (1969), pp. 103-09; V. Donbaz - B.R. Foster, Sargonic Texts from Telloh in the Istanbul Archaeological Museum, Philadelphia 1982; B.R. Foster, The Sargonic Victory Stele from Telloh, in Iraq, 47 (1985), pp. 15-30; H.E.W. Crawford, The "construction inférieure" at Tello. A Reassessment, ibid., 49 (1987), pp. 71-76; B. Lafont - F. Yildiz (edd.), Tablettes cunéiformes de Tello au Musée d'Istanbul, Istanbul 1989-96.
di Joan Oates
T.er-R. (ar. "collina delle lance") si trova nell'Iraq settentrionale, 13 km a sud di Tell Afar e sul limite settentrionale della regione stepposa che si estende a sud del Gebel Sinjar e del Gebel Ishkaft.
Durante i lavori a Nimrud, T.er-R. ‒ in quanto tipica città fortificata del II millennio a.C. ‒ fu scelta per un'indagine archeologica da D. Oates, direttore dellla British School of Archaeology in Iraq. L'intento era di ampliare la conoscenza dell'antica Assiria nel II millennio, a quel tempo considerato come una "età oscura". T.er-R. fu scavata tra il 1964 e il 1971; le prime tre campagne furono condotte in collaborazione con l'University Museum di Philadelphia.
Il sito consiste di un ampio tell centrale largo circa 100 m e alto 29 m, con una città esterna circondata da un irregolare poligono di mura che raggiungono un'altezza superiore ai 6 m e racchiudono un'area di circa 600 m di diametro. Sia l'alta collina sia la città bassa sono state indagate, senza rinvenire in quest'ultima alcuna evidenza di occupazione prima dell'inizio del II millennio a.C. Un corso d'acqua stagionale scorre attorno al terrapieno esterno, che si è dimostrato essere composto da un considerevole cumulo di terra, costruito nel 1800 a.C. circa e originariamente sormontato da un muro di mattoni crudi. I dati di superficie suggeriscono che il tell fu occupato al più presto nel VI millennio a.C., ma si è dimostrato che nel II millennio consisteva di un unico edificio importante. Effettivamente, lo sviluppo del sito al tempo di Shamshi-Adad I riflette un sorprendente cambiamento a T.er-R. A quel tempo e contemporaneamente alla costruzione del muro esterno della città e del più antico palazzo, la sommità del tell esistente fu livellata per apprestare le fondazioni di un monumentale complesso religioso, che, nella sua concezione originale, doveva includere una terrazza inferiore circondata da un temenos, una rampa indipendente ad arcate che conduceva dalla città bassa a una seconda terrazza su cui il tempio era costruito e una terza alta terrazza o ziqqurrat, addossata a ovest al tempio e raggiungibile dal suo tetto. Il tempio stesso ricalca la classica tipologia babilonese (Breitraum), mentre la ziqqurrat addossata al tempio costituisce il solo aspetto distintivo tipicamente assiro.
Per la copertura della maggior parte delle stanze, se non tutte, furono impiegate le volte, mentre le facciate esterne e della corte erano decorate con 277 colonne incassate in forma di spirale o di tronco di palma. L'unica scoperta risalente a questo periodo fu un ortostato di marmo di Mossul raffigurante un uomo-scorpione, mentre grandi blocchi di pietra di imposte, con raffigurazioni di Lama e di Khumbaba, si trovavano riutilizzati in posizione secondaria; blocchi di imposte, probabilmente di periodo mitannico, provenivano dalla porta orientale della camera. Una delle più straordinarie scoperte fu fatta molto al di sotto della piattaforma del tempio più antico, sul pendio meridionale della collina. Si trattava delle fondazioni di un edificio del tardo III millennio a.C., che consisteva di basse stanze con copertura a falsa volta (mattoni sporgenti verso l'interno) poggianti su autentiche sporgenze e rassomiglianti pertanto a basse cupole. Il tempio venne rinnovato nel periodo mitannico e vi fu rinvenuto forse il più antico esemplare di una bottiglia di vetro dal più antico livello dell'epoca. Durante le più tarde fasi mitanniche di occupazione, la corte del tempio fu notevolmente ridimensionata a un'area con la costruzione di piccole stanze sopra e contro i resti dei muri originali; una stanza, forse una bottega per le offerte al santuario, conteneva un inusuale numero di oggetti di fritta e di vetro. Tavolette, rinvenute in una giara nel livello 1, datano la fase finale di utilizzo del tempio all'epoca di Tukulti-Ninurta I, mentre è della fine dell'occupazione del periodo medioassiro un'altra collezione di vetri e fritta, tra cui le elegantissime maschere.
Nella città esterna furono scavati sia le case private sia i palazzi dei governatori del periodo paleoassiro (Bronzo Medio). Sono state identificate tre fasi del palazzo su un'area di circa 1000 m2. La più antica includeva un appartamento convenzionale con un ingresso a gomito; nella fase più tarda, circa 1700 a.C., questo fu sostituito da una grandiosa sala del trono dalle tipiche caratteristiche architettoniche babilonesi. Tavolette e impronte di sigillo hanno fornito il nome di cinque governatori, il più antico dei quali è Shamshi-Adad I, il cui protetto, Samu-Addu, probabilmente costruì la versione più antica del palazzo; i governatori successivi erano chiaramente contemporanei di Hammurabi e di Zimri-Lim e il palazzo più tardo, quasi certamente "lo splendente palazzo di Ashkur-Addu", è citato in una lettera di Mari. I governatori locali sono menzionati nei testi di Mari come quelli "di Karana", identificazione accolta dagli scavatori sebbene altri dati suggeriscano la possibilità che Rimah possa essere Kattara. Il lotto più interessante di testi del palazzo è rappresentato dall'archivio di Iltani, figlia di Samu-Addu e moglie di Aqba-Hammu, l'ultimo governatore attestato. Altri edifici sono stati scavati nella città esterna, comprendenti una grande struttura in cui una stanza, definita come cucina, conteneva la più grande collezione di ceramica rinvenuta. Sebbene chiaramente datato al periodo paleobabilonese, questo materiale mostra numerose somiglianze con la successiva ceramica mitannica, un'interessante continuazione locale.
Sono state identificate due principali fasi di occupazione mitannica, con molta ceramica vetrificata e vetri, provenienti in gran parte da quelle che sembrano essere state case relativamente opulente. Un piccolo numero di sepolture mitanniche fu rinvenuto in associazione con le case e in scavi sul muro esterno della città, di cui la più importante era una tomba a volta con ricche sepolture multiple. Nella metà del II millennio a.C., case mitanniche vennero costruite non solo sul muro della città, non più in uso, ma anche su terrazze ricavate sulle macerie che si erano accumulate contro la sua faccia interna. Tre livelli di case del periodo medioassiro furono scavate nella città esterna. Come nei livelli mitannici, sono state registrate abbondanti quantità di fritta, vetro e oggetti vetrificati.
Un considerevole intervallo di tempo separava questi livelli dalla successiva occupazione neoassira di IX sec. a.C.; quest'ultima includeva ampie case con corti e alcune sepolture a esse associate. La scoperta più interessante fu un piccolo tempio a terrazze ricavato nell'allora abbandonata ziqqurrat. Ortostati di pietra raffiguranti leoni con lame di pugnali fuoriuscenti dalla bocca, forse sostegni di colonne, fiancheggiavano la porta della cella in cui è stata rinvenuta un'elegante stele di Adad-nirari III. Dall'iscrizione si ricava che T.er-R. era nota all'epoca come Zamahu, mentre il suo più antico nome era oramai stato dimenticato. Il sito fu nuovamente abbandonato nel corso dell'VIII sec. a.C., sebbene si siano identificate una occupazione partica minore e una fattoria medievale.
S. Lloyd, Some Ancient Sites in the Sinjar District, in Iraq, 5 (1938), pp. 123-42; D. Oates, The Excavations at Tell al-Rimah, 1964, ibid., 27 (1965), pp. 62-80; Id., Excavations at Tell al-Rimah, 1965, ibid., 28 (1966), pp. 122-39; Id., The Excavations at Tell al Rimah, 1966, ibid., 29 (1967), pp. 70-96; Id., Excavations at Tell al-Rimah, 1967, ibid., 30 (1968), pp. 115-38; Id., Studies in the Ancient History of Northern Iraq, Oxford 1968; S. Page, A Stela of Adad-Nirari III and Nergal Eres from Tell al Rimah, in Iraq, 30 (1968), pp. 139-53; H.W.F. Saggs, The Tell al Rimah Tablets, 1965, ibid., pp. 154-74; D. Oates, Excavations at Tell al-Rimah, 1968, ibid., 32 (1970), pp. 1-26; Id., The Excavations at Tell al-Rimah, 1971, ibid., 34 (1972), pp. 77-86; B. Parker, Cylinder Seals from Tell al Rimah, ibid., 37 (1975), pp. 21-38; S. Dalley - C.B.F. Walker - J.D. Hawkins, The Old Babylonian Tablets from Tell al Rimah, London 1976; D. Oates, Tell al Rimah, in J. Curtis (ed.), Fifty Years of Mesopotamian Discovery, London 1982, pp. 86-98; D. Charpin - J.M. Durand, Le nom antique de Tell Rimah, in RAssyr, 81 (1987), pp. 125-46; D. Oates, Innovations in Mud-Brick: Decorative and Structural Techniques in Ancient Mesopotamia, in WorldA, 21 (1990), pp. 388-406; C. Postgate - D. Oates - J. Oates, The Excavations at Tell al Rimah: the Pottery, Warminster 1997.
di Frances Pinnock
T.el-U., di cui non è noto il nome antico, è costituito da due tell: su quello più settentrionale si trova il tempio, mentre quello meridionale ospitava il cimitero e una parte dell'insediamento più arcaico, probabilmente costituito da capanne di canne.
T.el-U. fu oggetto di scavi per la prima volta nel 1919, a opera di H.R. Hall; l'esplorazione fu interrotta e ripresa nel corso della campagna del 1923-24 condotta dalla missione congiunta a Ur del British Museum e dell'Università di Pennsylvania a Philadelphia, diretta da C.L. Woolley. Una breve campagna fu condotta da P. Delougaz per conto dell'Università di Chicago nel 1937.
A T.el-U. si lega una fase importantissima della storia dell'antica Mesopotamia, definita "cultura di Ubaid" e caratterizzata da una particolare produzione ceramica, con vasellame di elevate qualità tecniche e formali, decorato con motivi geometrici o stilizzati, che vide l'evoluzione finale delle comunità di villaggio verso il modello propriamente urbano. La presenza di repertori analoghi ha fatto attribuire a questa cultura una serie di centri diffusi in tutta la regione mesopotamica, in cui si manifestano le prime forme di organizzazione dell'abitato di tipo urbano. A T.el-U. l'esplorazione si è concentrata sull'area templare, mentre l'abitato dell'età di Ubaid, probabilmente situato a una sessantina di metri di distanza dall'area sacra, era stato asportato, consentendo così di raggiungere un'importante area cimiteriale protodinastica, dove in due tombe è stato rinvenuto il caratteristico materiale ceramico della fase Ubaid. Alcune tombe di età più recente confermerebbero in questo settore una persistenza insediamentale fino al periodo neosumerico.
Il monumento più rilevante è il tempio dedicato probabilmente a Ninkhursag, secondo un'iscrizione su una tavoletta di fondazione di marmo, che ne attribuisce la costruzione ad Aanepadda, figlio di Mesanepadda, entrambi re della I Dinastia di Ur. Già in questa fase il tempio fu innalzato su una piattaforma di mattoni crudi, con un paramento di mattoni cotti su fondazioni di pietra. Violentemente distrutto e incendiato, fu ricostruito in un periodo difficile da precisare, ma verosimilmente nel Protodinastico IIIb, trasformando la terrazza in una piattaforma a gradoni; probabilmente in questo periodo il complesso venne racchiuso da un muro ovale. All'opera di Shulgi, secondo alcuni mattoni iscritti, si possono attribuire lavori di ripristino della struttura più antica, con la costruzione di un muro che corre lungo il canale che fiancheggia il tempio, che segue l'andamento ovale del recinto più antico, e con la probabile erezione di un nuovo edificio templare sulla terrazza, di cui restano tracce di una fondazione di mattoni cotti.
I resti della ricchissima decorazione dell'edificio più antico, che rappresenta certamente la fase di massima fioritura del centro, sono del più grande interesse, sebbene di difficile ricostruzione nel loro aspetto originario. La piattaforma di base del tempio presenta la tipica articolazione delle superfici a nicchie e lesene, caratteristica dell'architettura sacra a partire dalla successiva età di Uruk. Gli elementi delle decorazioni, applicate verosimilmente sulla facciata del complesso o solo su quella del tempio vero e proprio, erano costituiti da quattro colonne di legno di palma, ricoperte di bitume con tessere applicate quadrate o romboidali di conchiglia, calcare e ardesia, a creare disegni geometrici; vi erano inoltre tre fregi: uno a intarsio rappresentante greggi, armenti e scene di mungitura e, in alto forse, una fila di uccelli, un altro di lamina di rame ribattuta con figure a rilievo di tori accosciati, un ultimo con figure di rame a tutto tondo di tori passanti; alcune teste leonine di bitume, coperte di foglia di rame, con occhi e lingua a intarsio; fiori compositi di terracotta, con petali di pietra variamente colorati, probabilmente da inserire nella muratura; una sorta di pedana di mattoni cotti, alcuni forati, posta ai piedi della scalinata di accesso alla terrazza e, soprattutto, un pannello di rame, di 2,3 × 1 m circa, con un'immagine di aquila leontocefala, fiancheggiata da due cervi passanti, con il muso volto verso l'esterno e con imponenti palchi, che quasi certamente decorava l'architrave dell'ingresso al tempio.
H.R. Hall - C.L. Woolley, Ur Excavations, I. Al-῾Ubaid, Oxford 1927; P. Delougaz, A Short Investigation of the Temple at al-'Ubaid, in Iraq, 5 (1938), pp. 1-11; C.L. Woolley, Ur Excavations, IV. The Early Periods, Philadelphia 1956; S. Lloyd, Ur-al ῾Ubaid, ῾Uqair and Eridu, in Iraq, 22 (1960), pp. 23-31; E. Heinrich, Die Tempel und Heiligtümer im alten Mesopotamien. Typologie, Morphologie und Geschichte, Berlin 1982, pp. 115-17.
di Frances Pinnock
Tell el-Muqaiyir fu identificato con l'antica U. già nel 1854, quando il console inglese a Bassora, J.E. Taylor, scoprì alcune iscrizioni contenenti il nome della città antica.
Dopo brevi sondaggi nel 1854 e nel 1918, nel 1918-19 una missione del British Museum, diretta da H.R. Hall, operò a U., Eridu e Ubaid, con risultati promettenti. Nel 1922, iniziò l'esplorazione sistematica, sotto la direzione di C.L. Woolley, che operò per dodici anni sul sito.
U., sede del culto del dio-Luna, Nanna/Sin, conobbe un'iniziale fioritura con le prime due dinastie del periodo protodinastico, terminato con l'ascesa di Accad. Dopo la caduta di Accad, verso il 2200 a.C., fu grande protagonista di una fase di ripresa, con la III Dinastia, fondata da Ur-Namma, a cui si può attribuire il grande progetto di sistemazione monumentale dell'area sacra della città. Poco prima del 2000 a.C., gli Elamiti conquistarono e distrussero la città, ricostruita però quasi subito, con un ruolo non secondario nel commercio sulla lunga distanza. Grazie alla sua particolare importanza religiosa, la città sopravvisse a lungo con notevoli ricostruzioni dal periodo cassita fino al periodo neobabilonese, quando venne ampiamente restaurata. U. comprende il centro principale e alcuni sobborghi, dei quali sono stati parzialmente esplorati solo el-Ubaid e Diqdiqqah. La città vera e propria era formata da una serie di colline artificiali, per una superficie di circa 60 ha. La cinta muraria è stata identificata solo a tratti, mentre non sono state individuate le porte urbiche, a eccezione dei due accessi maggiori, costituiti dai due porti, a ovest e a nord. All'interno nel perimetro, quasi ovale, l'area sacra appare spostata verso nord.
Delle fasi formative di U. poco è noto. Per il periodo fino alla I Dinastia si conosce una sequenza ceramica abbastanza completa, alcune tavolette dell'età di Gemdet Nasr e un'ampia serie di impronte di sigilli cilindrici arcaici. Uno dei ritrovamenti più rilevanti è il cosiddetto Cimitero Reale, situato nell'angolo sud-orientale dell'area delimitata dal temenos di età neobabilonese, con 1850 sepolture esplorate, databili dal periodo protodinastico III al periodo neosumerico. I corredi delle tombe spiccano per la ricchezza e la varietà degli oggetti, realizzati con materiali di grande pregio (oro, lapislazzuli e corniola), che hanno consentito la ricostruzione di arredi prima ignoti (strumenti musicali o scatole da gioco).
Con l'avvento della III Dinastia di U., quando la città raggiunge probabilmente il massimo della sua espansione, si assiste a un complesso e organico programma di monumentalizzazione dell'area sacra. Viene costruita, o ricostruita la ziqqurrat, con tre gradoni e tripla scalinata di accesso, cui viene annesso il recinto di Nanna. Il complesso comprende anche un tesoro, il Ganunmakh e il Giparu, un articolato edificio che includeva i settori residenziali riservati alle sacerdotesse di Nanna/Sin e due templi dedicati alla paredra di Nanna, Nintu. Un po' isolato si innalzava l'Ekhursag, il probabile palazzo reale, mentre al margine meridionale del temenos furono costruiti i mausolei dei re della III Dinastia di U. A Ur-Namma si attribuisce la costruzione della cinta urbica, in parte eretta con mattoni cotti.
Al periodo delle dinastie di Isin e di Larsa appartengono alcuni rilevanti settori di abitazioni private, appartenenti a mercanti o al personale del tempio. Al re cassita Kurigalzu datano ricostruzioni, con sostanziali modifiche dell'area sacra. Il recinto della ziqqurrat, quello di Nanna e il Ganunmakh mantennero l'impianto originario, mentre completamente diverso appare il Giparu, ormai solo residenza delle sacerdotesse, con lo spostamento del tempio di Nintu all'interno del recinto della ziqqurrat. Il settore dell'Edublamakh, in origine un accesso secondario all'area della ziqqurrat, viene trasformato in un piccolo tempio con annessi, contenenti migliaia di documenti cuneiformi, e laboratori di lapicidi. Il palazzo, invece, non fu più ricostruito.
In epoca neobabilonese si tentò di dare a U. un volto nuovo e di farne rifiorire l'economia. A Nabucodonosor II si attribuiscono il muro di cinta dell'area sacra e, probabilmente, l'elaborazione dell'impianto urbano, mentre Nabonedo si concentrò sugli edifici di culto, ricostruendo la ziqqurrat, attraverso un cambiamento completo dell'area esterna a essa e alla corte di Nanna. Poiché il porto ovest era interrato, fu potenziato il porto settentrionale, accanto a cui fu costruita una seconda residenza della grande sacerdotessa. A questo periodo appartiene anche un quartiere di case private, organizzato ai lati di strade ampie e regolari, indizio di uno scarso popolamento della città.
C.J. Gadd, History and Monuments of Ur, London 1929; C.L. Woolley, Ur of the Chaldees, London 1930; Id., Ur Excavations, II, IV-VI, VIII, Oxford 1934, 1939-1974, 1965; C.L. Woolley - L. Legrain, Ur Excavations, III. Archaic Seal Impressions, London 1936; C.L. Woolley, Excavations at Ur. A Record of Twelve Years' Work, London 1955; H.J. Nissen, Zur Datierung des Königsfriedhofes von Ur, unter besonderer Berücksichtigung der Stratigraphie der Privatsgräber, Bonn 1966; P.N. Weadock, The "Giparu" at Ur, in Iraq, 37 (1975), pp. 101-28; C.L. Wooley - M. Mallowan, Ur Excavations, VII. The Old Babylonian Period, London 1976; S. Kolbers, Zur Chronologie des sog. Gamdat Nasr-Friedhofs in Ur, in Iraq, 45 (1983), pp. 7-17; S. Pollock, Chronology of the Royal Cemetery of Ur, ibid., 47 (1985), pp. 129-58; P. Steinkeller, Sale Documents of the Ur III Period, Stuttgart 1989; F. Pinnock, Ur. La città del dio-Luna, Roma - Bari 1995; J. Vorys Canby, The "Ur-Nammu" Stela, Philadelphia 2001.
di Nicolò Marchetti
Il gruppo di monticoli dell'odierna Warka, l'antica U., si trova circa 15 km a est dell'attuale corso dell'Eufrate, nell'Iraq meridionale. I primi scavi furono condotti da W.K. Loftus nel 1850 e 1857. La Deutsche Orient-Gesellschaft vi condusse campagne nel 1912-13 e poi dal 1928 al 1939 (con la direzione di J. Jordan e altri), 1953-67 (direttore H. Lenzen), 1968-77 (J. Schmidt) e 1980-90 (R.M. Boehmer).
La città protostorica ha conosciuto un progressivo sviluppo. Nella fase di Uruk antico essa aveva una superficie di circa 70 ha, cresciuti a 100 nel periodo di Uruk tardo (di contro alla media di 50 ha di Nippur e altre città nello stesso periodo) e a oltre 400 all'inizio del Protodinastico (alla cui fase I risale la costruzione delle mura urbiche). Boehmer ha ipotizzato che vi fossero anche mura di Uruk tardo, come suggerito da un'impronta di sigillo. Le mura furono poi distrutte in epoca accadica e restaurate all'inizio del II millennio a.C., ma già alla fine del XVIII sec. a.C. erano in uno stato di definitivo abbandono. Due erano le divinità principali della città: Inana e Anu. Il culto di Anu si interruppe però alla fine del Protodinastico, per essere poi ripreso solo nel Bit-Resh seleucide. Tale dualismo si originò forse dall'unificazione di due insediamenti vicini ma distinti, Eanna e Kullab. Gli estesi santuari che portano questi nomi sono inoltre diversi sotto il profilo architettonico, mostrando quindi forse la distinzione di culti e personalità divine. Il complesso di Anu comprende un'alta terrazza e un edificio sotterraneo, mentre l'Eanna si compone di una serie di edifici monumentali isolati e di un'alta terrazza (la più tarda ziqqurrat).
L'area dell'Eanna, la cui stratigrafia generale fu stabilita nel 1928-29, doveva essere vasta almeno 9 ha. I livelli superiori erano relativi all'ampliamento di Ur-Namma, mentre al di sotto venne distinto il livello Arcaico I con sette sottofasi e architettura protodinastica di mattoni piano-convessi. Il livello III aveva tre sottofasi (dominate da un tempio su terrazza rettangolare, in seguito ampliata fino ad assumere una forma a L, inglobata nella ziqqurrat del Protodinastico I e via via fino a quella di Ur-Namma, davanti alla quale vi era il "labirinto", un vasto insieme di piccole strutture, probabilmente con funzioni amministrative), al pari del livello Eanna IV. I livelli V e VI vennero definiti sulla base della stratigrafia architettonica. Un sondaggio profondo ‒ condotto nel transetto del Tempio di Calcare ‒ è essenziale per la definizione delle fasi di Uruk antico e medio (cioè Calcolitico tardo 1-3): in esso si sono distinti i livelli XIV-VII, che coprono la fase con ceramica di Ubaid terminale fino all'apparizione delle ciotole a orlo obliquo nel livello IX e al diffondersi della ceramica ingobbiata rossa o grigia. Gli edifici sacri dell'Eanna derivano dalle tipologie tripartita o monocellulare dell'unità domestica e sono stati descritti da E. Heinrich come "case per culto" piuttosto che come templi.
L'Eanna si presentava come un insieme di edifici collegati da spazi aperti e porticati, al cui interno mancavano podi e nicchie di culto essendovi invece un ampio focolare. In questa gigantesca area per feste e cerimonie, dovevano parallelamente svolgersi importanti attività economiche e amministrative, come testimoniano le concentrazioni di ceramica, cretule e tavolette pittografiche (in particolare rinvenute nell'area del Tempio Rosso, livello IVa). La tipologia tripartita con aula centrale provvista di podi deriva dalla tradizione delle case di rango nel periodo di Ubaid e di Gawra. La costruzione più antica, attribuita al livello VI, è il Tempio con Mosaici a Coni di Pietra, eccentrico rispetto all'area sacra. L'edificio, costruito in una fossa di fondazione rituale, presentava alcuni adattamenti dovuti alla sua natura rituale (come, ad es., una vasca idraulica a L). Le tecniche architettoniche di U. nell'Eanna VI-IV sono mirabili e in continua evoluzione e sperimentazione. I coni e le fondazioni di pietra vengono abbandonati a favore di coni fittili e del mattone crudo, che raggiunge eccelsi livelli nella messa in opera, testimoniata anche dai diversi formati impiegati (da mattoni ampi e rettangolari per i riempimenti a piccoli mattoncini parallelepipedi a sezione quadrata, un modulo eccezionalmente maneggevole).
L'Eanna conosce, fino alla cesura del livello III caratterizzata da un cambiamento netto delle planimetrie degli edifici, successive creazioni architettoniche nel segno della continuità e dell'evoluzione delle tecniche e delle planimetrie, realizzate attraverso la demolizione degli edifici spianati fino a due corsi e livellati, per poi ricostruirvi sopra nuove strutture. La pianta tripartita con transetto, a T, viene sviluppata dal gigantesco (30 × 77 m) Tempio di Calcare (livello V e proseguito in uso nel livello IV). Al livello IVb-a risalgono il cosiddetto Palazzo e la Grande Corte, adesso interpretata come un giardino. Il Palazzo, di funzione incerta, presenta una peculiare permeabilità negli accessi: tutti i vani connettono la corte centrale con l'esterno. Il Tempio D è l'edificio più tardo dell'Eanna IVa e in esso si compiono le tendenze monumentali dell'architettura di Uruk tardo (80 × 50 m). L'alternanza di nicchie e pilastri giunge al culmine. Si moltiplicano i vani scala negli annessi laterali. L'unico tempio per cui si conoscano dati dettagliati di contesto (generalmente ignorati in questo scavo a fondamento architettonico) è il Tempio a Mattoncini (Eanna IVa), da cui vengono numerosissime giare da conservazione, arredi compositi carbonizzati e una statua a grandezza naturale del cosiddetto "re-sacerdote".
L'edificio in pisé, con un'intricata circolazione, fu probabilmente costruito dal sovrano protodinastico Lugalzagesi, nei pressi della ziqqurrat dell'Eanna (la cui organizzazione in quest'epoca mostra ancora la propria derivazione da quella del livello III): si tratta verosimilmente del palazzo di questo sovrano. La ziqqurrat neosumerica costruita da Ur-Namma e ampliata da Shulgi risultò dal rinnovamento della precedente struttura. Essa misurava 55 × 52 m ed è oggi alta 14 m; la costruzione si articolava probabilmente su tre livelli, come a Ur. A ovest della ziqqurrat si trovava il Giparu della sacerdotessa (entu). L'area sacra era cinta da due temena concentrici, che si attaccavano a un'area con portali contraffortati impostata su due corti. Nella media età cassita il sovrano Karaindash eresse un tempietto con uno schema assiale con antecella e cella con podio (secondario) e una circolazione periferica accessibile da entrambi i vani; le pareti esterne presentavano un'articolazione plastica. Alla fine dell'VIII sec. a.C. Sargon II d'Assiria eseguì un radicale restauro della ziqqurrat, cui vennero anteposti due templi affiancati latitudinali. Il complesso, ampliato e restaurato in epoca neobabilonese, era racchiuso all'interno di un temenos che abbracciava varie corti quadrangolari, contro il cui limite meridionale si trovavano alcune case, secondo un impianto ben confrontabile con l'area sacra di Nanna a Ur.
L'alta terrazza di Anu ha restituito un'impressionante sequenza stratigrafica, su cinque livelli. I due inferiori (E-D), costruiti sul terreno vergine, datano al tardo periodo di Ubaid ed erano costituiti da templi tripartiti su terrazza, più o meno analoghi a quello del livello B, il celebre Tempio Bianco, che sorgeva su una piattaforma alta 12 m, che ebbe sempre una forma irregolare e un'articolazione contraffortata, in una delle cui rientranze era situata la scalinata d'accesso. Negli anni Settanta del Novecento Schmidt stabilì che la fase più recente (A) della ziqqurrat di Anu era correlabile con Eanna III. Nell'area sono stati trovati modellini di pietra riproducenti le facciate degli edifici templari. Probabilmente coevo al livello C è un edificio parzialmente sotterraneo, l'edificio in pietra, con mura concentriche di pietre e mattoni di gesso, intenzionalmente riempito per essere poi inglobato nelle successive piattaforme. Nell'area K/L XII, H.J. Nissen ha scoperto alcune installazioni per la fusione del metallo datate al Protodinastico I; si tratta di canalette parallele scavate nel terreno con resti di scorie nelle vicinanze.
Al tardo periodo di Isin e Larsa risale il Palazzo di Sinkashid rimasto in uso fino all'epoca di Samsu-iluna di Babilonia. Il dispositivo della sala del trono presentava quasi certamente un vestibolo che introduceva alla parallela sala lunga con ingresso laterale, uno schema attestato anche nel Palazzo di Nur-Adad a Larsa, di Zimri-Lim a Mari, dei Governatori a Eshnunna.
Rapporti preliminari in BaM, specialmente dal 1980; in Uruk Vorläufige Berichte, dal 1929 al 1983. Studi monografici e testi cuneiformi in Ausgrabungen der Deutschen Forschungsgemeinschaft in Uruk-Warka. Rapporti finali in Ausgrabungen in Uruk/Warka Endberichte dal 1987.
di Carlo Lippolis
U. (gr. ᾿Οϱχόη, ʹΟϱχοι), a seguito della conquista macedone, torna a essere uno dei principali centri religiosi della Mesopotamia e diviene sede di un'importante scuola caldea di astrologia.
Sotto i Seleucidi si registrano consistenti interventi edilizi nei complessi monumentali di Bit Resh, Irigal, Eanna e, fuori le mura, bīt akītu. Il mantenimento delle pratiche religiose babilonesi e la continuità delle forme architettoniche tradizionali derivano da una precisa scelta programmatica e politica dei sovrani seleucidi, tesa a consolidare il legame tra gli interessi dell'aristocrazia babilonese e quelli della casa reale. Il patrocinio dei sovrani seleucidi, attuato attraverso la conservazione delle pratiche tradizionali e la ricostruzione dei maggiori complessi sacri, non esclude tuttavia l'esistenza di pratiche cultuali greche; per esse mancano finora riscontri oggettivi, ma un testo cuneiforme fa riferimento a usanze forse riconducibili al culto dinastico. Gli interventi edilizi seleucidi non introducono elementi nuovi alla tradizione architettonica ed è significativo che l'adozione sistematica di caratteri decorativi greci sia evidente solo a partire dal periodo partico.
Il santuario cittadino più importante è il Bit Resh, dimora della coppia divina babilonese Anu-Antu, che viene interamente ricostruito, sebbene il nuovo impianto si collochi nella più genuina tradizione architettonica mesopotamica. Il tempio principale di Anu prevede un cortile centrale dal quale si sviluppa la successione assiale di antecella e cella larghe: uno schema che si ripete, in forma più ridotta, nel settore dedicato ad Antu. Le facciate esterne del recinto, del tempio e di tutti i cortili interni sono ritmate dalla successione in aggetti e rientranze tipica dell'architettura tradizionale. Anche la tecnica di decorare il portale di ingresso con mattoni smaltati a raffigurazioni animali è babilonese. Il materiale da costruzione più diffuso è il mattone crudo, sebbene si faccia largo uso del mattone cotto. Attorno ai cortili, che suddividono lo spazio interno in altrettanti settori connessi al culto o all'amministrazione, si dispongono ambienti di servizio e cappelle. Alle ricostruzioni del Bit Resh prendono attivamente parte alcuni membri della famiglia Anu-uballit, la cui vicinanza al sovrano e all'elemento greco è rimarcata dall'adozione dell'antroponimo greco a fianco del nome babilonese. Il ritrovamento di cretule con timbri ufficiali (compare anche il sigillo del chreophylax) e forse provenienti dagli archivi cittadini, fa supporre che un'ala interna dell'edificio avesse mansioni amministrative: come a Seleucia, le cretule riportano l'indicazione del dipartimento fiscale preposto all'imposta statale per il sale.
Un secondo centro religioso, in epoca seleucide sede del culto di Ishtar, è l'Irigal: si dispone di una pianta incompleta che tuttavia evidenzia ancora una volta l'adozione dell'impianto babilonese a cortile centrale, qui con doppio muro di recinzione. La consacrazione del complesso a Ishtar presuppone radicali cambiamenti nelle pratiche religiose cittadine in quanto la dea, dal IV millennio a.C. fino all'età neobabilonese, era venerata nel vicino Eanna. Caduto in rovina in età achemenide, l'Eanna viene ricostruito in età seleucide avanzata: il ripristino dell'intero recinto templare e l'inclusione al suo interno dell'alta terrazza, che ora assume la tipica forma di ziqqurrat a gradoni, indicano che il complesso mantenne le sue antiche funzioni religiose, seppure in qualche modo variate. Alcuni testi economici menzionano inoltre il bīt akītu, l'edificio per la celebrazione del Nuovo Anno, evidentemente ancora in uso e da identificare nelle rovine emerse al di fuori della cinta muraria, verso est. Sempre fuori le mura, a nord (Frehat en Nufeji), sorgono alcune sepolture la cui tipologia è indubbiamente estranea alle tradizioni locali: si tratta di tumuli che le recenti indagini datano al periodo seleucide, caratterizzati da una struttura esterna anulare in muratura e da una camera sepolcrale interna. Il ricco corredo rinvenuto nelle due camere investigate induce a pensare che queste tombe contenessero le spoglie di membri dell'aristocrazia macedone. Diversi gli usi funerari attestati all'interno delle mura cittadine, che seguono i caratteri tipologici tipici dell'area e del periodo. In periodo partico si forma la vasta necropoli che fiancheggia le mura orientali della città. Le sepolture prevedono tombe a fossa, in muratura (con camera di mattoni), in giara (fanciulli) oppure in sarcofago: tra queste ultime inumazioni spiccano, a fianco del tipo detto "a bagno", i sarcofagi invetriati "a pantofola", spesso ornati da una ricca decorazione.
L'edilizia privata seleucide è nota da alcuni sondaggi effettuati dalle missioni tedesche nel settore a nord-est dell'Eanna: il ritrovamento di testi cuneiformi letterari e religiosi di età seleucide all'interno di edifici che non mutano sostanzialmente nei caratteri planimetrici tradizionali ha suggerito una loro interpretazione come abitazioni dei sacerdoti del complesso religioso adiacente. In età partica l'estensione della città, seppure notevole (150 ha), risulta minore rispetto al periodo seleucide. Il primo secolo di dominio partico segna la progressiva perdita di importanza del sito: Irigal, Bit Resh ed Eanna cadono in rovina (l'incendio dei primi due complessi è fissato all'inizio del I sec. a.C.) e al loro interno compaiono strutture domestiche caratterizzate da una disposizione agglutinante degli ambienti. Le abitazioni meglio note sono quelle individuate sulla collina a est dei santuari. Nell'architettura domestica partica si afferma il cortile porticato interno, un'eredità del periodo seleucide, mentre manca nella città la tipologia dell'īwān. Tra gli esempi più significativi la cosiddetta "villa partica", organizzata attorno a un cortile porticato con colonne a capitelli ionicizzanti, ha restituito una ricca serie di stucchi appartenuti al ciclo decorativo dell'edificio. Tra le categorie più rappresentate gli elementi architettonici: fusti, capitelli ionici e corinzi compositi, basi di colonne, cornici e merli, mensole parietali. I soggetti decorativi sono prevalentemente geometrici, ma compaiono spesso motivi vegetali e figurati. Dalle aree residenziali cittadine proviene inoltre una buona parte delle figurine di terracotta che, a differenza di quanto noto da Seleucia e Babilonia, presentano una più forte componente mesopotamica: i soggetti ellenistici si limitano a pochi tipi fondamentali talora rielaborati in chiave orientale, mentre la tecnica più diffusa è quella a uno stampo.
L'architettura religiosa partica di U. mostra caratteri differenti da quella di età più antica: i due edifici sacri noti sono in forte contrasto, per forma e dimensioni, con i monumentali complessi seleucidi. Un piccolo tempio con facciate a semicolonne viene addossato al recinto esterno del tempio di Anu, quando questo ha già perduto le sue funzioni. L'esempio più significativo, tuttavia, è costituito dal tempio di Gareus sul rilievo sud-est della città. L'edificio sorge all'interno di un temenos a torri arrotondate, internamente articolato in un anello di stanze e a sua volta incluso in un recinto fortificato esterno: esso è costruito con mattoni provenienti dalle costruzioni seleucidi in rovina e pertanto viene datato alle prime fasi partiche. L'esatta successione delle complesse vicende edilizie delle strutture sulla collina non è esente da incertezze, ma il ritrovamento di un'iscrizione dedicatoria in greco ci fornisce la data di fondazione del tempio (111 d.C.). L'edificio, di mattoni cotti con rifiniture di stucco, fregi e placche figurate di terracotta e pietra presenta caratteri dell'architettura babilonese mescolati a soluzioni tipicamente mediterranee: l'interno ha un'antecella e una cella con nicchia sul muro di fondo nella tradizione mesopotamica, mentre i muri esterni sono articolati da semicolonne addossate a pilastri aggettanti secondo modelli occidentali. Anche i dettagli della decorazione architettonica si collocano nella tradizione mediterranea seppure in forme insolite: le colonne hanno basi ioniche e capitelli ionicizzanti, ma le scanalature di stucco del fusto richiamano l'ordine dorico. Resta da chiarire l'appartenenza delle sei colonne davanti alla facciata del tempio a un peristilio o a un dispositivo indipendente.
L'occupazione sasanide, per la quale si dispone di esigui ritrovamenti effettuati durante la prospezione di superficie, è attestata soprattutto in un settore esterno alle antiche mura, a sud-est. In quest'area, abitata fino al IV sec. d.C., gli scavi hanno riportato alla luce un edificio con quattro piccoli īwān affiancati e preceduti da un portico a colonne con capitelli ionicizzanti. La struttura, originariamente arricchita da stucchi decorativi, era forse parte di un complesso cultuale più ampio. In epoca tarda la collina di Gareus diviene cittadella fortificata, come sembra attestare un livello culturale sasanide. I settori centrali della città vengono definitivamente abbandonati e all'interno delle mura si registrano tracce sporadiche di occupazione, forse in relazione a una consistente attività di produzione del vetro.
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