L'arbitrato in materia di appalti pubblici
Il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18.4.2016, n. 50 ha, tra l’altro, riscritto anche la disciplina dell’arbitrato. Seppure la nuova disciplina sembra muoversi nel solco della precedente, non mancano importanti novità. Prima tra tutte l’eliminazione del sistema del cd. doppio binario e l’attribuzione alla Camera arbitrale in ogni caso del potere di nomina del presidente del collegio. Importanti novità caratterizzano, inoltre, la stessa fase di costituzione del collegio, laddove è previsto che le parti si limitano a designare gli arbitri e la nomina dell’intero collegio è di competenza della Camera arbitrale.
Il d.lgs. 18.4.2016, n. 50 (Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), ha abrogato, com’è noto, il d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), dettando una nuova regolamentazione della materia. Per quanto concerne l’arbitrato, la disciplina originariamente contenuta negli artt. 241243 d.lgs. n. 163/2006 è adesso contemplata negli artt. 209 e 210 d.lgs. n. 50/2016.
Nel presente contributo cercherò di analizzare la nuova disciplina soprattutto attraverso il confronto con quella previgente, nel tentativo di individuare le principali novità [1].
Nell’art. 209, co. 13, del nuovo codice dei contratti pubblici [2] (d’ora in poi, per semplicità, anche solo n.c.c.p.) è stato sostanzialmente riprodotto il meccanismo di formazione della convenzione di arbitrato in precedenza descritto dall’art. 241, co. 1 e 1-bis, nel vecchio codice dei contratti pubblici (d’ora in poi, per semplicità, anche solo v.c.c.p.).
In particolare: «la stazione appaltante indica nel bando o nell’avviso con cui indice la gara, ovvero per le procedure senza bando, nell’invito, se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria» [3]; l’indicazione che il contratto conterrà la clausola compromissoria è possibile, però, solo a patto che vi sia un’apposita autorizzazione motivata dell’organo di governo dell’amministrazione aggiudicatrice; se manca l’autorizzazione, l’art. 209, co. 3, prima parte, n.c.c.p. prevede che «è nulla la clausola compromissoria inserita senza autorizzazione nel bando o nell’avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell’invito», con una formula sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui all’art. 241, co. 1, seconda parte, v.c.c.p., a norma del quale «l’inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione nel bando, nell’invito o nell’avviso» era «nulla» [4].
Come in passato, nulla è espressamente previsto rispetto alla sorte della clausola compromissoria eventualmente inserita nel contratto in mancanza della relativa indicazione nel bando, avviso o invito, previamente autorizzata. Entrambe le opzioni interpretative possibili, dunque, sono ancora praticabili: mera nullità della clausola compromissoria, con applicazione della disciplina di cui agli artt. 817, co. 2, 829, co. 1, n. 1, c.p.c. [5] o non arbitrabilità della controversia [6]. Nel nuovo codice non figura più, invece, la previsione di cui all’art. 241, co. 1, seconda parte, v.c.c.p., che sanzionava con la nullità non solo «l’inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione», ma anche «il ricorso all’arbitrato, senza preventiva autorizzazione».
Questa mancanza elimina alla radice l’equivoco nel quale la lettera di quella disposizione poteva indurre a cadere e cioè che per aversi il giudizio arbitrale occorresse non solo una clausola compromissoria previamente autorizzata ma anche un successivo avvio del giudizio arbitrale previamente autorizzato [7].
V’è però da chiedersi se la mancata riproduzione di quella disposizione non abbia altre conseguenze. Non si deve dimenticare, infatti, che proprio quella previsione costituiva un elemento letterale a favore della tesi secondo la quale sarebbe stata possibile un’autorizzazione conferita successivamente rispetto ad un’indicazione nel bando, avviso o invito (che il contratto avrebbe contenuto una clausola compromissoria) non previamente autorizzata ed anche in assenza della preventiva indicazione nel bando, avviso o invito [8].
A mio avviso, tuttavia, l’assenza di questa previsione non può essere valorizzata fino al punto di escludere tali possibilità, che non incontrano, neanche nella nuova disciplina, alcun divieto espresso.
La novità più rilevante è senza dubbio la soppressione del sistema del cd. doppio binario [9], in forza del quale vi erano due diverse discipline dell’arbitrato: quella relativa al cd. arbitrato libero, applicabile nel caso in cui le parti si fossero messe d’accordo sulla nomina del terzo arbitro (art. 241 v.c.c.p.); quella relativa al cd. arbitrato amministrato, applicabile nel caso in cui, per effetto del mancato accordo tra le parti, il presidente del collegio veniva nominato dalla Camera arbitrale (artt. 241 e 243 v.c.c.p.).
Nel nuovo sistema, in ossequio alla legge delega che prevedeva di «escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate», le parti non hanno più il potere di nominare il terzo arbitro, il quale è nominato in ogni caso dalla Camera arbitrale [10] e l’unica disciplina applicabile è quella di cui all’art. 209 n.c.c.p.
L’attuale disciplina prevede, però, un’ulteriore non indifferente novità. Fermo restando che il collegio è composto da tre membri, è l’intero collegio arbitrale che viene nominato dalla Camera arbitrale [11] e le parti si limitano a designare i propri arbitri [12]. Al riguardo, c’è da chiedersi se l’aver attribuito alle parti il mero potere di designazione degli arbitri, riservando alla Camera quello di nomina, non rischi di frustrare la volontà compromissoria delle parti, in caso di mancata spontanea designazione dell’arbitro da parte del convenuto. In particolare si potrebbe sostenere che, poiché da un lato l’art. 209 n.c.c.p. non fissa alcun termine per la designazione di parte e dall’altro non è possibile applicare l’art. 810, co. 1, c.p.c., il quale si riferisce al termine per la nomina e non per la designazione, nel caso in cui il convenuto non designi spontaneamente l’arbitro di propria competenza, l’attore non potrebbe fare altro che chiedere all’autorità giurisdizionale la fissazione di un termine per l’adempimento ex art. 1183 c.c. e in seguito al suo inutile decorso tutelarsi ex artt. 1453 e 1454 c.c. per ottenere la risoluzione della convenzione di arbitrato o la condanna ad adempiere.
Certo, se questa dovesse essere l’unica conclusione possibile, le conseguenze sarebbero gravissime, essendo evidente come la parte convenuta nel giudizio arbitrale, omettendo di designare l’arbitro di propria competenza, vista la scarsa effettività dei rimedi a disposizione della controparte, potrebbe impedire di fatto la formazione del collegio arbitrale e dunque lo svolgimento del procedimento arbitrale, sfuggendo così facilmente al vincolo compromissorio. C’è, tuttavia, anche un’altra possibile e preferibile interpretazione.
Se è vero che l’ipotesi espressamente prevista nell’art. 810, co. 1, c.p.c. è quella della nomina spettante a ciascuna delle parti, è però anche vero che è diffusa la convinzione che sia possibile estendere il medesimo termine ivi previsto anche a fattispecie diverse, come quella della nomina del terzo arbitro attribuita congiuntamente alle parti, consentendo quindi ad una delle parti di notificare alla controparte l’«atto contenente l’indicazione del nominativo o dei nominativi proposti per l’accordo, con invito ad aderire nei venti giorni successivi» [13] o come quella in cui «sia rimessa all’autorità giudiziaria la nomina dell’unico arbitro e sia previsto che la relativa istanza venga presentata da una specifica parte e questa non abbia attivato il procedimento malgrado il sollecito dell’altra parte» [14].
Al fondo di queste interpretazioni c’è l’idea che la fattispecie descritta nell’art. 810, co. 1, c.p.c. non ne esaurisca l’ambito applicativo ma sia meramente esemplificativa, essendo quella più frequente, di tutte quelle fattispecie nelle quali, per volontà delle parti o per legge, per la nomina degli arbitri sia necessaria un’attività di parte e vi sia «un’inerzia che non consente di addivenire alla composizione dell’organo arbitrale» [15].
Se si condividono tali rilievi, non è allora difficile sostenere l’applicabilità dell’art. 810, co. 1, c.p.c. anche al caso di specie, in modo che la parte attrice possa sollecitare la designazione dell’arbitro di controparte ai sensi di tale disposizione.
Per quanto riguarda il procedimento di formazione del collegio, più problematica è invece l’applicazione dell’art. 810, co. 2, c.p.c. nel caso in cui la parte non dia seguito all’invito ad effettuare la designazione, sia qualora si ritenga che il presidente del tribunale dovrebbe limitarsi alla designazione sia qualora si ritenga che il presidente del tribunale dovrebbe procedere alla vera e propria nomina. La prima ipotesi darebbe luogo ad un davvero singolare intervento giurisdizionale, seppur di natura non contenziosa, di mera designazione con nomina rimessa alla Camera arbitrale; la seconda ipotesi sembra invece in contrasto con la volontà del legislatore di un collegio arbitrale interamente nominato dalla Camera arbitrale.
Una soluzione ragionevole potrebbe essere quella di ritenere che, scaduto il termine dei venti giorni, la Camera arbitrale possa procedere alla nomina liberamente, senza esserne impedita dalla mancata designazione. In tal senso, non può essere trascurato che, seppure in altri ambiti del diritto, nei rapporti tra atto di designazione ed atto di nomina, il mancato esercizio del potere di designazione in alcuni casi non priva colui che ha il potere di nomina di provvedere comunque alla stessa [16].
In ordine ai rapporti tra nomina e designazione, vi sono poi gli usuali problemi relativi alla misura in cui colui che ha il potere di nomina sia vincolato dalla designazione effettuata [17].
In assenza di un’indicazione normativa più precisa, non possono esservi dubbi sul fatto che la Camera se procede alla nomina, non può che uniformarsi all’indicazione della parte e che dunque, qualora decida di non uniformarsi a tale indicazione, non abbia il potere di procedere ad un’autonoma nomina.
Altrettanto chiaro è che sicuramente la Camera può rifiutare la nomina qualora la designazione non abbia rispettato le regole sulla nomina previste dalla legge e dunque, ad esempio, qualora venga designato un soggetto incapace ex art. 812 c.p.c., o uno dei soggetti che ai sensi dell’art. 209, co. 6, n.c.c.p. «non possono essere nominati» arbitri o che, ai sensi dell’art. 815 c.p.c., potrebbero essere ricusati [18].
Tutte tali prescrizioni, infatti, si riferiscono proprio all’attività di nomina e sono rivolte, dunque, anche alla Camera arbitrale.
Per quanto concerne gli altri requisiti previsti dalla legge che sembrano rivolti innanzitutto e soprattutto alla parte designante e in particolare il fatto che ciascuna parte deve designare l’arbitro di propria competenza «tra soggetti di provata esperienza e indipendenza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce», per comprendere il margine di apprezzamento rimesso alla Camera arbitrale, occorre muovere dalla constatazione che, seppure il più delle volte, vista la genericità del requisito richiesto, è difficile che la Camera possa sindacare la designazione effettuata dalla parte, non si può escludere il potere della Camera di rifiutare la nomina qualora il soggetto designato sia manifestamente privo di alcuna esperienza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce. D’altra parte, si tratta di una valutazione analoga a quella che la Camera arbitrale è chiamata ad effettuare in relazione alle domande di iscrizione all’albo degli arbitri per le categorie di cui all’art. 210, co. 7, lett. c), n.c.c.p.
Per le controversie sull’operato della Camera, quale terzo incaricato di nominare gli arbitri designati dalle parti, è necessario distinguere.
Nel caso di doglianze di una parte avverso un provvedimento di nomina a suo avviso illegittimo, in quanto contra legem, ogni contestazione potrà essere fatta in sede di impugnazione del lodo ex art. 829, co. 1, n. 2, c.p.c.
Nel caso invece in cui la Camera rifiuti la nomina dell’arbitro designato dalla parte, qualora quest’ultima non provveda alla designazione di un nuovo arbitro [19], sarà la stessa Camera arbitrale a dover procedere alla nomina, così come in precedenza ipotizzato per il caso di mancata originaria designazione.
Per quanto riguarda il momento nel quale la Camera deve procedere alla nomina degli arbitri designati dalle parti, manca nel nuovo codice una disciplina espressa.
Ed infatti, se da un lato l’art. 209, co. 8, primo periodo, n.c.c.p. riproducendo alla lettera l’art. 243, co. 2, v.c.c.p., prevede che «la domanda di arbitrato, l’atto di resistenza ed eventuali controdeduzioni sono trasmessi alla Camera arbitrale» [20], precisando, tuttavia, opportunamente, che ciò avviene «al fine della nomina del collegio», e non più come in passato ex art. 243, co. 2, v.c.c.p. «ai fini della nomina del terzo arbitro», dall’altro lato, però, l’art. 209, co. 8, terzo periodo, n.c.c.p. continua a prevedere, come l’art. 243, co. 6, v.c.c.p., che contestualmente alla sola «nomina del presidente la Camera arbitrale comunica alle parti la misura e le modalità del deposito da effettuarsi in acconto del corrispettivo arbitrale». L’assenza di un’espressa disciplina sul punto lascia libera la Camera sia di procedere alla nomina dell’intero collegio arbitrale in occasione della nomina del presidente sia di procedere alla nomina degli arbitri designati solo in un secondo momento, prima ma anche dopo il versamento dell’acconto. In ogni caso, qualunque sia la strada che verrà seguita dalla Camera, nulla impedisce che nel nuovo sistema venga data continuità alla prassi di far costituire il collegio solo dopo l’effettivo versamento dell’acconto [21]. Per quanto riguarda la nomina del Presidente ad opera della Camera [22], mentre nel precedente sistema era previsto che la Camera doveva sceglierlo all’interno dell’albo camerale «sulla base di criteri oggettivi e predeterminati», l’art. 209, co. 4, ultimo periodo, n.c.c.p. si limita a prevedere che la scelta della Camera tra i soggetti iscritti all’albo avvenga nei confronti di coloro che siano «in possesso di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce», mutuando chiaramente quanto in precedenza previsto per la nomina del presidente avvenuta su accordo delle parti [23]. Non credo, tuttavia, che nel nuovo sistema la Camera possa esimersi dal fissare dei criteri oggettivi e predeterminati e in tal senso la stessa si è, infatti, già mossa con una nuova determinazione nella quale, pur senza qualificarli come criteri oggettivi e predeterminati, individua i criteri per procedere alla scelta del terzo arbitro.
Per poter comprendere in pieno la nuova disciplina su coloro che «non possono essere nominati arbitri», occorre analizzarla da un duplice punto di vista. Innanzitutto, si tratta di individuare le singole fattispecie di coloro «che non possono essere nominati» arbitri. In secondo luogo, si deve affrontare il tema della disciplina applicabile in caso di violazione delle regole su coloro «che non possono essere nominati» arbitri.
Dal primo punto di vista, salvo il caso particolare di cui all’art. 210, co. 10, n.c.c.p. [24], norma centrale è l’art. 209, co. 6, n.c.c.p., il quale prevede nelle lett. da a) a g), l’elenco di coloro che «fermo restando quanto previsto dall’articolo 815 del codice di procedura civile, non possono essere nominati» arbitri.
Alla lett. a) vengono innanzitutto menzionati «i magistrati ordinari, amministrativi contabili e militari in servizio o a riposo nonché gli avvocati e procuratori dello Stato, in servizio o a riposo, e i componenti delle commissioni tributarie».
Nel vecchio codice dei contratti pubblici non vi era una disposizione ad hoc che vietasse la nomina di queste categorie. Valeva tuttavia anche per gli arbitrati di cui al codice dei contratti la disciplina generale dettata dall’art. 1, co. 18, l. n. 190/2012, il quale stabilisce che è vietata, «pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti», la partecipazione a collegi arbitrali ai «magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie» [25].
Dal confronto letterale tra la disciplina generale della legge anticorruzione e quella speciale del nuovo codice dei contratti pubblici emerge che mentre nel nuovo codice il divieto riguarda i magistrati, gli avvocati e i procuratori dello Stato «in servizio o a riposo», la legge anticorruzione riferisce il divieto genericamente ai «magistrati» ed agli «avvocati e procuratori dello Stato». Questa differenza è ovviamente priva di rilievo se si aderisce alla tesi di chi riteneva che la legge anticorruzione potesse essere interpretata come riferibile anche ai magistrati ed agli avvocati e procuratori dello Stato a riposo [26], dal momento che il codice non avrebbe fatto altro che ribadire per la materia de qua, esplicitandolo, quanto già previsto in generale dalla legge anticorruzione. Se invece si sposa la tesi che la legge anticorruzione si riferiva ai soli magistrati e avvocati in servizio [27], è evidente che il nuovo codice avrebbe rispetto alla legge anticorruzione una notevole portata innovativa.
In ogni caso, a prescindere, dunque, dall’interpretazione che si preferisce in ordine alla portata del divieto di cui alla legge anticorruzione, la presenza di una disposizione ad hoc, quale quella di cui all’art. 209, co. 6, n.c.c.p. e la mancata previsione nell’art. 210, co. 7, n.c.c.p. tra le categorie di soggetti che possono essere iscritti all’albo degli arbitri dei magistrati e degli avvocati dello Stato, in servizio o a riposo, fanno apparire ridondante l’art. 210, co. 7, n.c.c.p., nella parte in cui, nell’individuare i soggetti che possono essere iscritti all’albo camerale, premette «fermo restando quanto previsto dall’articolo 1,comma 18, della legge 6 novembre 2012, n. 190». È infatti chiaro che se ai sensi degli artt. 209, co. 6, lett. a), e 210, co. 7, n.c.c.p. i magistrati nonché gli avvocati ed i procuratori dello Stato, sia in servizio che a riposo non possono essere nominati arbitri, non v’è alcun motivo per richiamare il medesimo divieto, previsto dalla legge anticorruzione.
Contraddittoria rispetto all’art. 209, co. 6, lett. a), n.c.c.p., nella parte in cui stabilisce che non possono essere nominati arbitri i magistrati ordinari, amministrativi contabili e militari «in servizio o a riposo» né gli avvocati e procuratori dello Stato «in servizio o a riposo», è invece la previsione di cui alla successiva lett. c), secondo la quale non possono essere nominati arbitri coloro che «prima del collocamento a riposo» hanno trattato ricorsi in sede civile, penale, amministrativa o contabile presentati dal soggetto che ha richiesto l’arbitrato. È infatti evidente che se la lett. c) si riferisce ai magistrati o agli avvocati ed ai procuratori dello Stato – e in questo senso depone l’inciso «prima del collocamento a riposo», certamente non riferibile agli avvocati del libero foro, ai quali altrimenti (senza l’inciso) si potrebbe pensare che sia rivolto il divieto – la stessa presuppone che i magistrati, gli avvocati ed i procuratori dello Stato una volta collocati a riposo possano essere nominati arbitri, ciò che invece è negato dalla lett. a).
Si tratta, probabilmente, di un errore dovuto all’elaborazione delle varie bozze di decreto legislativo. In particolare, si può ipotizzare che mentre in una prima versione il divieto non riguardasse anche i magistrati, gli avvocati e i procuratori dello Stato a riposo, in una successiva versione il divieto sia stato esteso anche ad essi, senza però trarne le dovute conseguenze sulla necessità di espungere la lett. c). A favore di questa ipotesi, si possono richiamare i testi di alcune bozze di decreto legislativo [28].
Alla lett. b) è previsto il divieto di nomina per «coloro che nell’ultimo triennio hanno esercitato le funzioni di arbitro di parte o di difensore in giudizi arbitrali disciplinati dal presente articolo, ad eccezione delle ipotesi in cui l’esercizio della difesa costituisca adempimento di dovere d’ufficio del difensore dipendente pubblico».
Nel previgente codice una disposizione analoga era contenuta nell’art. 241, co. 5, v.c.c.p., nella parte in cui prevedeva che «il Presidente del collegio arbitrale è scelto … tra coloro che nell’ultimo triennio non hanno esercitato le funzioni di arbitro di parte o di difensore in giudizi arbitrali disciplinati dal presente articolo, ad eccezione delle ipotesi in cui l’esercizio della difesa costituisca adempimento di dovere d’ufficio del difensore dipendente pubblico…» [29].
La novità è, dunque, che nel nuovo codice il divieto in questione, privato del riferimento al presidente del collegio ed inserito all’interno del co. 6 tra le regole valevoli per tutti gli arbitri, riguarda appunto tutti gli arbitri e non solo il presidente del collegio. Nell’attuale sistema è tra l’altro contraddittoria l’eccezione relativa alle «ipotesi in cui l’esercizio della difesa costituisca adempimento di dovere d’ufficio del difensore dipendente pubblico», dal momento che, come previsto alla lett. a), gli avvocati ed i procuratori dello Stato, ovvero coloro ai quali si riferiva la disposizione in esame, non possono più essere nominati arbitri.
Per quanto riguarda, infine, le categorie di soggetti menzionati nelle lett. d), e), f), e g), n.c.c.p. si tratta sostanzialmente, salvo il caso di cui alla lett. g) che è del tutto nuovo [30], delle medesime categorie di soggetti che non potevano essere nominati arbitri ai sensi dell’art. 241, co. 6, v.c.c.p. [31]
Per quanto concerne la violazione delle regole su coloro che «non possono essere nominati» arbitri, contenute nell’artt. 209, co. 6, n.c.c.p., l’analisi non può che muovere dalla duplice constatazione che nell’art. 209, co. 6, n.c.c.p., l’elenco delle varie categorie di soggetti che non possono essere nominati arbitri è preceduto dalla precisazione «fermo restando quanto previsto dall’articolo 815 del codice di procedura civile, …» e che il successivo co. 7 dello stesso art. 209
n.c.c.p. stabilisce che «la nomina del collegio effettuata in violazione», tra le altre, delle disposizioni di cui al co. 6, «determina la nullità del lodo».
Una prima ipotesi potrebbe essere quella di ritenere che il legislatore abbia introdotto delle nuove fattispecie di «incapacità di essere arbitro» ex art. 812 c.p.c., con la conseguenza, dunque, che il lodo eventualmente pronunciato «da chi non poteva essere nominato arbitro» sarebbe impugnabile ex art. 829, co. 1, n. 3, c.p.c., anche in assenza di una preventiva eccezione. Questa prima ipotesi non merita, però, di essere accolta per l’assorbente rilievo che nel previgente codice una disciplina così severa era espressamente prevista per il solo caso adesso menzionato alla lett. b) [32], sicché sarebbe assai singolare che il legislatore, nel momento in cui stabilisce di confermare tale particolarmente grave disciplina, estendendola addirittura anche ad altre fattispecie, decida di non riprodurla espressamente.
Una seconda ipotesi è quella che muove da una valorizzazione dell’esordio del co. 6 («fermo restando quanto previsto dall’articolo 815 del codice di procedura civile, non possono essere nominati arbitri…»), il quale potrebbe indurre a credere che, analogamente a quanto disposto nel previgente art. 241, co. 6°, v.c.c.p. («in aggiunta ai casi di ricusazione degli arbitri previsti dall’articolo 815 del codice di procedura civile, non possono essere nominati arbitri…») [33], il legislatore abbia semplicemente voluto aggiungere nuove fattispecie di ricusazione. A voler seguire tale ipotesi, si deve poi ritenere che con la previsione di nullità del lodo di cui all’art. 209, co. 7, n.c.c.p. il legislatore non abbia introdotto una nuova ed autonoma fattispecie di nullità del lodo ma abbia più semplicemente rinviato alla disciplina ordinaria, la quale, almeno stando all’interpretazione prevalente, prevede infatti la nullità del lodo pronunciato da un collegio al quale abbia partecipato un arbitro, inutilmente ricusato, che si trovi in una delle situazioni descritte nell’art. 815 c.p.c. (nullità rientrante nel disposto di cui all’art. 829, co. 1, n. 2, c.p.c., che, richiamando il capo II del titolo VIII del libro IV del codice di rito, richiama anche le norme sulla ricusazione) [34].
Anche questa seconda ipotesi, tuttavia, non è a mio avviso condivisibile. Se è vero che la prima impressione potrebbe essere quella di una sostanziale identità tra la formula di cui all’art. 209, co. 6, n.c.c.p. e quella di cui all’art. 241, co. 6, v.c.c.p., è altresì vero che se si procede ad una lettura più attenta, non si può non riconoscerne la profonda diversità. L’esordio dell’art. 209, co. 6, n.c.c.p., infatti, lungi dal prevedere, come invece l’art. 241, co. 6, v.c.c.p. l’introduzione di nuove fattispecie di ricusazione, si limita a precisare che i divieti di nomina elencati nelle lett. da a) a g) non escludono l’applicabilità della disciplina della ricusazione. In buona sostanza, dunque, qualora l’arbitro si trovi contemporaneamente non solo in una delle situazioni descritte nell’art. 815 c.p.c. ma anche in una di quelle di cui all’art. 209, co. 6, n.c.c.p., ferma restando la possibilità di ricusazione ex art. 815 c.p.c., la violazione dell’art. 209, co. 6, n.c.c.p. determina comunque una causa di nullità del lodo, censurabile mediante impugnazione per nullità ex art. 829, co. 1, n. 2, c.p.c., e quindi solo «purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale», integrando la stessa una mera violazione delle modalità di nomina degli arbitri [35].
I principali profili problematici che suscita nell’immediato la nuova disciplina riguardano le questioni di diritto transitorio.
La nuova disciplina dell’arbitrato originariamente, in assenza di una normativa transitoria ad hoc, era applicabile, ai sensi della regola generale di cui all’art. 216, co. 1, d.lgs. n. 50/2016, «alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte». Successivamente, tuttavia, in occasione del decreto correttivo (v. art. 128, co. 1, lett. f, d.lgs. 19.4.2017, n. 56) è stata introdotta la seguente specifica disciplina: «le procedure di arbitrato di cui all’articolo 209 si applicano anche alle controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di cui al medesimo articolo 209, comma 1, per i quali i bandi o avvisi siano stati pubblicati prima della data di entrata in vigore del presente codice». Tale nuova disposizione transitoria non si occupa dei contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, sicché per le relative procedure arbitrali dovrebbe ancora valere la disciplina transitoria generale. È dunque chiaro che, almeno nei casi in cui la procedura arbitrale riguardi l’esecuzione di un contratto in relazione al quale gli inviti a presentare le offerte siano stati inviati prima della data di entrata in vigore del nuovo codice, la previgente normativa è destinata a trovare applicazione ancora per molto tempo. D’altra parte, ed a prescindere dalle molte incertezze che sicuramente susciterà la nuova disposizione transitoria, la previgente disciplina dell’arbitrato continuerà ad essere il parametro di riferimento al fine di valutare la conformità a legge degli atti posti in essere prima dell’entrata in vigore del decreto correttivo, alla luce del principio generale tempus regit actum.
==Note==
[1] Per alcune novità, di minore importanza, in tema di ambito di applicazione, di composizione del collegio quando almeno una delle parti è una pubblica amministrazione, di procedimento, di lodo, di impugnazioni, e di costi del giudizio arbitrale, si rinvia a v. Odorisio, E., L’arbitrato nel nuovo codice dei contratti pubblici (artt. 209 e 210 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), in Riv. dir. proc., 2016, 1607 ss.
[2] Nonostante, come si è visto, il d.lgs. n. 50/2016 non sia stato denominato quale codice dei contratti pubblici, nella prassi si è soliti ricorrere a tale denominazione. Cfr. in tal senso, Lombardini, I., Arbitrato nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in Aa.Vv,, Arbitrati speciali, diretto da F. Carpi, II ed., Bologna, 2016, 255 ss., 341.
[3] Così l’art. 209, co. 2, n.c.c.p., che è identico all’art. 241, co. 1-bis, v.c.c.p.
[4] Sulla improprietà di entrambe le formulazioni, v. Odorisio, E., L’arbitrato nel nuovo codice, cit., 1608, nt. 9.
[5] Occhipinti, E., L’arbitrato amministrato delle opere pubbliche dopo la riforma introdotta dalla l. 6 novembre 2012, n. 190, in Riv. arb., 2013, 279 ss., spec. 283 ss.
[6] Lombardini, I., Arbitrato nei contratti pubblici, cit., 359 s.; Odorisio, E., L’arbitrato nel nuovo codice, cit., 954 s.
[7] Su tale questione, cfr. Odorisio, E., L’arbitrato nel nuovo codice, cit., 946 s.
[8] Odorisio, E., op. loc. ult. cit. Cfr. anche Lombardini, I., Arbitrato nei contratti pubblici, cit., 359.
[9] Tizi, F., La costituzione del tribunale arbitrale nel recente Codice dei Contratti Pubblici, in Riv. arb., 2016, 375 ss., 376. Per un apprezzamento della scelta legislativa, v. ANAC, Relazione annuale 2015, 318. In senso critico v., invece, Lombardini I., Arbitrato nei contratti pubblici, cit., 489 ss.
[10] A norma dell’art. 209, co. 4, terzo periodo, n.c.c.p. «il Presidente del collegio è designato dalla Camera arbitrale …». In dottrina (Tizi, F., La costituzione del tribunale, cit., 379 ss.) sono state rinnovate le critiche relative alla carenza di imparzialità della Camera, già formulate in precedenza rispetto al previgente codice (Luiso, F.P., La camera arbitrale per i lavori pubblici, in Riv. arb., 2000, 411 ss., 422). Per il superamento di tali critiche, con argomenti validi anche rispetto alla nuova disciplina, v. Odorisio, E., Arbitrato rituale e «lavori pubblici», Milano, 2011, 579 ss., Zucconi Galli Fonseca, E., L’arbitrato nei contratti pubblici (a proposito di una recente monografia), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 587 ss., 597. In argomento, cfr. anche Lombardini, I., Arbitrato nei contratti pubblici, cit., 435 ss.
[11] Ai sensi dell’art. 209, co. 4, primo periodo, n.c.c.p. «il collegio arbitrale è composto da tre membri ed è nominato dalla Camera arbitrale di cui all’art. 210».
[12] Il secondo periodo dell’art. 209, co. 4, n.c.c.p. nel riprodurre, sostanzialmente l’art. 241, co. 4, v.c.c.p. stabilisce, infatti, che ciascuna delle parti «designa» l’arbitro di propria competenza, mentre quest’ultimo prevedeva la «nomina» ad opera di ciascuna delle parti. Non è estranea alla prassi dei regolamenti degli arbitrati amministrati la previsione di un analogo ruolo a favore dell’istituzione, la quale a volte ha proprio lo stesso potere di nomina degli arbitri designati dalle parte (Nobili, R., L’arbitrato delle associazioni commerciali, Padova, 1957, 260, 295 testo e nt. 223) altre volte, invece, ha il potere di confermare gli arbitri nominati dalle parti (Bernini, E., L’arbitrato amministrato, in L’arbitrato, a cura di C. Cecchella, Torino, 2005, 381 ss., spec. 402; cfr. anche Carlevaris, A., Sub artt. 8 e 9, in Regolamento di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale. Commentario, a cura di A. Briguglio e L. Salvaneschi, Milano, 2005, 146 ss. e 167 ss.).
[13] Briguglio, A., Sub art. 810, in Briguglio, A.Fazzalari, E.Marengo, R., La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 39. V. anche Bergamini, L., Sub art. 810, in Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, Padova, 2009, 586. Cfr. Gradi, M.Ruffini, G., Sub art. 810, in Codice di procedura civile commentato, III, V ed., diretto da C. Consolo, Milano, 2013, 1634 s.
[14] Cass., 30.1.2013, n. 2189.
[15] Salvaneschi, L., Arbitrato, Bologna, 2014, 227.
[16] Colucci, M., Designazione amministrativa, in Dig. pubbl., V, Torino, 1990, 48.
[17] Colucci, M., Designazione amministrativa, cit., 48; de Roberto, A., Designazione amministrativa, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 305.
[18] L’automaticità del rifiuto di nomina mi sembra una soluzione obbligata, in considerazione della mancanza nel n.c.c.p. di una disciplina ad hoc che metta al riparo la Camera dalla ricusabilità dell’arbitro da essa nominato, come ad esempio quella prevista dal regolamento della Camera arbitrale di Milano, la quale prevede la conferma dell’arbitro nominato dalla parte solo dopo la scadenza del termine per la ricusazione: cfr. Colesanti, V., Volontà delle parti e regolamenti arbitrali (con particolare riguardo a quello della Camera arbitrale di Milano), in Riv. dir. proc., 2011, 245 ss. Secondo l’ANAC l’attribuzione della nomina dell’intero collegio alla Camera presuppone necessariamente «un potere di verifica a opera della Camera della sussistenza degli elementi almeno formali prescritti dalle norme per la valida costituzione del collegio» (ANAC, Relazione annuale 2015, 318).
[19] Con riferimento al diverso ma analogo caso dell’istituzione a cui spetta la conferma dell’arbitro designato dalla parte, v. Colesanti, V., Volontà delle parti, cit., 245 ss., secondo il quale «mancata la conferma, la stessa parte designante ha in via di principio il diritto di indicare altro possibile arbitro».
[20] Nel nuovo sistema è stata aggiunta la prescrizione secondo la quale «sono altresì trasmesse le designazioni di parte» (art. 209, co. 8, secondo periodo, n.c.c.p.). Si tratta di una precisazione utile nella misura in cui legittima ciò che si ammetteva anche nella vigenza del precedente codice (su tale prassi, v. Odorisio, E., Arbitrato rituale e «lavori pubblici», cit., 585 ss.).
[21] Odorisio, E., op. ult. cit., 671.
[22] L’art. 209, co. 8, terzo periodo, n.c.c.p. prevede, non diversamente da quanto in precedenza disposto dall’art. 243, co. 7, v.c.c.p., la possibilità per il presidente del collegio di nominare «se necessario, il segretario, anche scegliendolo tra il personale interno dell’ANAC». Tale scelta deve comunque avvenire tra gli iscritti all’apposito elenco dei segretari tenuto dalla Camera ai sensi dell’art. 210, co.12, n.c.c.p. È appena il caso di precisare che la particella aggiuntiva «anche» è stata introdotta in occasione delle correzioni apportate al d.lgs. n. 50/2016, in considerazione degli errori materiali ivi contenuti (v. l’«avviso di rettifica» in G.U. 2016, n. 164, 48 ss.).
[23] Cfr. art. 241, co. 5, primo periodo, v.c.c.p.
[24] Sulla specifica problematica relativa alla ricusazione dell’arbitro che svolge un incarico professionale per le parti del giudizio arbitrale, v. Odorisio, E., L’arbitrato nel nuovo codice dei contratti pubblici, cit., 1622 ss.
[25] L’art. 1, co. 18, l. n. 190/2012, è l’unica disposizione in materia di arbitrato contenuta nella legge anticorruzione a non essere stata abrogata dal nuovo codice dei contratti. L’art. 217, co. 1, lett. ii), c.c.p. ha infatti abrogato l’art. 1, limitatamente ai co. 1925.
[26] Odorisio, E., Arbitrato, decreto crescita e legge anticorruzione, cit., 941 s. Cfr. Lombardini, I., Arbitrato nei contratti pubblici, cit., 449 s.
[27] In questo senso l’orientamento dell’Autorità: v. AVCP, Determinazione n. 6 del 18 dicembre 2013, in www.avcp.it, 4, nonché l’aggiornamento di tale determinazione (determina ANAC n. 13 del 10 dicembre 2015 dell’ANAC, in G.U. 2015, n. 300, 82 ss., spec. 83). In dottrina, v. Zucconi Galli Fonseca, E., Diritto dell’arbitrato, Bologna, 2016, 179 s.
[28] V., ad esempio, il testo della bozza aggiornato al 19 febbraio 2016, in www.sentenzeappalti.it, il quale all’art. 209, co. 6, prevedeva che non potevano essere nominati arbitri alla lett. a) «se in servizio, i magistrati ordinari, amministrativi contabili e militari in servizio nonché gli avvocati e procuratori dello Stato nonché i componenti delle commissioni tributarie» e alla lett. c) «coloro che, prima del collocamento a riposo, hanno trattato ricorsi in sede civile, penale, amministrativa o contabile presentati dal soggetto che ha richiesto l’arbitrato».
[29] La Corte costituzionale ha peraltro dichiarato l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 76 Cost. dell’art. 241, co. 5, v.c.c.p. nella parte in cui stabiliva che il presidente del collegio arbitrale era scelto «comunque tra coloro che nell’ultimo triennio non hanno esercitato le funzioni di arbitro di parte o di difensore in giudizi arbitrali disciplinati dal presente articolo, ad eccezione delle ipotesi in cui l’esercizio della difesa costituisca adempimento di dovere d’ufficio del difensore dipendente pubblico. La nomina del presidente del collegio effettuata in violazione del presente articolo determina la nullità del lodo ai sensi dell’articolo 829, co. 1, n. 3, del codice di procedura civile» (C. cost., 15.11.2016, n. 250).
[30] «Coloro che hanno partecipato a qualunque titolo alla procedura per la quale è in corso l’arbitrato».
[31] V., infatti, Odorisio, E., L’arbitrato nel nuovo codice dei contratti pubblici, cit., 1619 ss.
[32] Cfr. l’art. 241, co. 5, v.c.c.p.
[33] Nel senso che in tal modo erano state introdotte nuove ipotesi di ricusazione, v. Odorisio, E., Arbitrato rituale e «lavori pubblici», cit., 598; Picozza, E., Sub art. 812, in Codice di procedura civile commentato, cit., 1647; Ruffini, G.Polinari, J., Sub art. 815, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, diretto da M.V. Benedettelli, C. Consolo e L.G. Radicati di Brozolo, Padova, 2010, 165 (i quali, tuttavia, opportunamente notavano che le ipotesi menzionate nel co. 6 rientrano già nelle fattispecie di cui all’art. 815, co. 1, n. 6, c.p.c.); Zucconi Galli Fonseca, E., Diritto dell’arbitrato, cit., 188 s.
[34] Marinucci, E., L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, Milano, 2009, 121 ss.; Salvaneschi, L., Arbitrato, cit., 357 ss. Cfr. anche Ruffini, G.Polinari, J., Sub art. 829, Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 342 s.; Zucconi Galli Fonseca, E., Sub art. 829, in Arbitrato, III ed., diretto da F. Carpi, Bologna, 2016, 865 ss., 879 ss.
[35] Per una diversa interpretazione dell’art. 209, co. 7, n.c.c.p., v. Tizi, F., La costituzione del tribunale, cit., 393 ss., secondo la quale per l’impugnazione per nullità non occorrerebbe la previa deduzione di parte nel corso del giudizio. Secondo questa stessa dottrina, la violazione delle regole di cui all’art. 209, co. 6, n.c.c.p. legittimerebbe la parte a scegliere «tra la proposizione della preventiva istanza di ricusazione e l’impugnazione per nullità del lodo» (Tizi, F., op. cit., 395).