Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo il grande slancio dei primi secoli dall’acquisizione delle conoscenze greche e indiane, alcune delle scienze matematiche islamiche, come l’ottica, cominciano a subire un rallentamento sempre più evidente rispetto a quanto ormai matura in Europa. L’astronomia islamica invece conserva per almeno altri due secoli un primato indiscusso grazie all’alto valore attribuitole sia dai capi religiosi per l’utilità nel culto, sia dai capi politici e militari per l’utilità nelle predizioni astrologiche.
Di fatto, l’ultimo grande lavoro di ottica scritto in area islamica è il Tanqih al-manazir (Correzioni sull’ottica) di Kamal al-Din al-Farisi che rimane addirittura sconosciuto all’Occidente latino. Nell’opera, prosecuzione ideale del Kitab al-manazir di Ibn al-Haytham, si trova un’indagine accurata del fenomeno dell’arcobaleno ottenuta per via sperimentale. In particolare, al-Farisi si dedica a scomporre la luce in colori mediante piccole sfere di vetro riempite d’acqua, simulacri su scala ingrandita delle gocce di pioggia. Questa esperienza gli permette di riconoscere nell’arcobaleno il prodotto di un effetto cromatico generato dall’insieme delle gocce di pioggia sospese nell’atmosfera.
La grande importanza attribuita invece all’astronomia dalle autorità religiose e politiche fa sì che essa trovi sempre luoghi in cui è possibile coltivarla, primi fra tutti le grandi moschee e le maggiori scuole coraniche, e ampie disponibilità di persone e di finanziamenti. Grazie al contesto estremamente favorevole, gli astronomi islamici si organizzano talora in vere e proprie scuole e realizzano progetti di ricerca estremamente ambiziosi e a lungo termine. Con tempo e mezzi pressoché illimitati per approfondire lo studio dell’astronomia tolemaica, le varie scuole superano già alla fine del X secolo la fase di mero aggiornamento dei parametri astronomici e dei modelli planetari inclusi nell’Almagesto, utili per preparare tavole astronomiche, e passano a una fase di evidenziazione di vari elementi problematici di quella che ancora rimaneva la più grande opera matematica scritta nell’antichità. Nell’XI secolo i problemi più evidenti dell’astronomia tolemaica sono tutti ben presenti alla mente degli astronomi islamici, alcuni dei quali sono già in grado di proporre teorie alternative.
Il problema fondamentale riguarda la possibilità di inserire i vari modelli planetari di Tolomeo, la cui funzione era di compiere calcoli corretti, in una cosmologia fisica sul modello di quella di Aristotele, la cui funzione era invece di spiegare la vera struttura e le cause del movimento dell’universo. Per esempio, già Muhammad al-Battani nota che nel modello proposto da Tolomeo per prevedere le posizioni della Luna – modello composto da un cerchio eccentrico mobile intorno alla Terra sormontato da un epiciclo – la traiettoria che la Luna veniva a percorrere intorno alla Terra era fin troppo eccentrica, portando l’astro da una distanza massima di circa 60 raggi terrestri a una distanza minima di circa 30 raggi terrestri. Una simile variazione comporta che il diametro apparente della Luna debba raddoppiare nel passare da un caso all’altro, un fatto di cui nessun astronomo si era mai accorto.
Una incongruenza ancora più grave nasceva dal tentativo compiuto dallo stesso Tolomeo in un’opera minore, l’Ipotesi sui pianeti, di comporre i singoli modelli planetari dell’Almagesto in un insieme compatibile con la struttura cosmologica a sfere concentriche di Platone e di Aristotele. Tolomeo aveva ipotizzato che ciascun modello planetario – formato da un epiciclo il cui centro scorreva intorno alla Terra immobile su un eccentrico, ma con velocità circolare uniforme rispetto a un terzo cerchio “equante” – fosse incastonato nello spessore della propria sfera celeste, di modo che il punto di maggiore distanza dalla Terra, l’apogeo, toccasse la superficie esterna di tale sfera e il punto di minima distanza, il perigeo, ne toccasse la superficie interna. In altri termini, lo spessore di ciascuna sfera era determinato dalla differenza di distanza fra l’apogeo e il perigeo del pianeta. In più, l’apogeo di un pianeta coincideva con il perigeo del pianeta immediatamente soprastante, mentre il perigeo coincideva con l’apogeo del pianeta immediatamente sottostante. Per esempio, nel caso di Giove, la cui sfera celeste racchiudeva quella di Marte e era a sua volta racchiusa da quella di Saturno, l’apogeo coincideva con il perigeo di Saturno e il perigeo con l’apogeo di Marte.
Questa operazione cosmologica viene attentamente esaminata da alcuni astronomi islamici e accompagnata da tentativi di perfezionamento sia nella struttura che nelle dimensioni complessive del sistema tolemaico. Rimanevano tuttavia seri dubbi sul modo in cui il movimento potesse trasmettersi dalla sfera cristallina delle stelle fisse alle sfere cristalline dei pianeti, nonché agli epicicli che vi si trovavano innestati. Con vari artifici meccanici, una sfera animata di moto uniforme avrebbe potuto comunicare a una sfera sottostante, sia concentrica che eccentrica, un moto ancora uniforme; essa non avrebbe però mai potuto comunicare un moto uniforme rispetto a una circonferenza equante, quale quella introdotta da Tolomeo in ciascuno dei propri modelli planetari, avente un centro diverso sia dal centro del cosmo, la Terra, sia dal centro di ognuna delle sfere eccentriche.
Le reazioni più consistenti all’ipotesi cosmologica di Tolomeo emergono in tre centri di eccellenza dell’astronomia islamica tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo.
Un primo gruppo di astronomi, forse localizzato nell’area del Cairo, sostanzialmente dà seguito all’operazione tentata da Tolomeo nell’ Ipotesi sui pianeti. Essi trasformano l’epiciclo di ciascun pianeta in una sfera incastonata fra due gusci sferici eccentrici, a loro volta incastonati fra due gusci sferici concentrici. Il guscio concentrico esterno di una sfera planetaria trae il moto uniforme dal guscio concentrico interno della sfera planetaria immediatamente superiore. Il guscio concentrico esterno trasmette il moto uniforme al primo guscio eccentrico sottostante, il quale lo comunica all’epiciclo, e così via. In questa operazione gli astronomi risolvono il problema dell’equante di Tolomeo in maniera radicale, negandone del tutto l’esistenza e estromettendolo dal sistema cosmologico.
Un secondo gruppo di astronomi si raccoglie intorno alla figura di Nasir al-Din al-Tusi. Questi riceve dal proprio sovrano, Hulagu Khan, ingenti mezzi per edificare a Maragha un osservatorio astronomico dotato di grandi strumenti graduati con cui seguire gli astri per diversi anni. L’istituzione viene realizzata secondo un modello che viene poi seguito in tutti gli altri grandi osservatori islamici, da quello sorto a Samarcanda sotto la conduzione di Ulugh Beg a quello costruito a Istanbul da Taqi al-Din ibn-Ma‘ruf , nonché nei primi osservatori europei della fine del XVI secolo.
L’osservatorio di Maragha si componeva di un’area centrale destinata a ospitare gli strumenti fissi, per registrare le posizioni delle stelle fisse e dei pianeti, e di una struttura ridotta, chiamata il “piccolo osservatorio”. Qui gli astronomi si riunivano per consultare i libri raccolti in una fornita biblioteca e per eseguire calcoli astronomici con strumenti portatili di vario tipo. In un primo tempo al-Tusi propone a Hulagu un periodo di ricerca di 30 anni, tale cioè da permettere di seguire un intero corso di Saturno lungo lo zodiaco; ma, su pressione del Khan, desideroso di cogliere al più presto dall’attività dell’osservatorio i primi frutti astrologici, il periodo di ricerca viene ridotto a 12 anni, equivalenti al corso di Giove. Al-Tusi e i suoi astronomi producono due lavori notevoli: lo Ziji Ilkhani, una raccolta di tavole astronomiche debitamente dedicata a Hulagu, e il trattato Al-Tadhkira fi ‘ilm al-hay’a (Prontuario di astronomia), un’opera teorica intesa a rinnovare radicalmente l’astronomia planetaria. Al-Tusi mette a punto in sostanza alcuni modelli planetari basati su sistemi di gusci sferici incastonati gli uni dentro gli altri e in grado di salvare tutti i fenomeni compendiati dai modelli planetari di Tolomeo, ma senza mai ricorrere a qualcosa di analogo all’aborrito cerchio equante.
Un terzo gruppo di astronomi di quella che è solitamente chiamata la Scuola di Maragha, dominato dall’allievo, rivale e successore di al-Tusi, Qutb al-Din al-Shirazi, e da Mu’ayyad al-Din al-‘Urdi, elabora invece modelli planetari più affini a quelli tolemaici, ma meglio confacenti all’assunto platonico e aristotelico dei moti celesti circolari e uniformi. Entrambi questi astronomi propongono modelli in cui il corso del pianeta è regolato da un sistema comprendente due, tre o quattro epicicli i cui centri scorrono con moto uniforme l’uno lungo la circonferenza dell’altro e, infine, tutti lungo un grande cerchio concentrico alla Terra immobile. Il cardine di questa operazione consiste nel sostituire il famigerato cerchio equante di Tolomeo con un opportuno sistema equivalente di piccoli epicicli. Grazie a ciò, i modelli di al-Shirazi e di al-‘Urdi conoscono un successo del tutto particolare, tanto da essere adottati verso la metà del XIV secolo dal più importante rappresentante della cosiddetta Scuola di Damasco, Ibn al-Shatir (1304-1375). È inoltre ancora oggi controverso se, quando e per quale via questi modelli planetari raggiungono l’Europa, dato che per molti aspetti essi sono identici a quelli adottati da Niccolò Copernico (1473-1543) nella sua riforma eliocentrica dell’astronomia.