Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei principali centri della nascente cultura islamica come Damasco e Baghdad si ha un notevole impulso allo studio delle scienze e delle arti. In questo ambiente culturale vengono introdotte e sviluppate nuove teorie sulla composizione e sulla trasformazione delle sostanze, che condizioneranno l’alchimia e, in generale, lo studio delle trasformazioni materiali sviluppatesi in Europa a partire dal XIII secolo.
Diciamo così: il moto cominciò in senso ascendente per il calore che si era formato in esso per il moto; allora cominciò a muoversi e il calore in esso aumentò per la molta agitazione, e ascese secondo la sua forza fino al suo limite; e ciò che ascese era più sottile di ciò che rimase, finché ascese tutto il sottile; e ciò che era denso e pesante rimase più in basso.
Poi la parte più bassa, ferma e fredda desiderò muoversi e aggregarsi alla parte più alta perché era spuntata da quella, dunque ne aveva più bisogno che non la parte superiore di quella inferiore. Allorché il calore continuò a coprire quella parte inferiore, ciò che gli era contiguo si riscaldò, e si mise in moto e cominciò ad ascendere, tuttavia, a causa della sua pesantezza, non ebbe la forza di unirsi a ciò che era asceso prima. Perciò sappiamo che la causa del movimento è il calore, la causa della quiete è il freddo, la causa dell’ascesa è la leggerezza, la causa della permanenza di ciò che non sale è la pesantezza. Non vedi che la parte inferiore, quella che rimase rispetto al calore e all’ascesa, e che non ebbe la forza di ascendere finché il calore non la scaldò e la rese sottile, ascese quando si alleggerì e si scaldò? Era pesante perché ammassata, e il calore vi si introdusse poco a poco perché essa era avversa a consumare e a perdere se stessa. Così sappiamo anche che la causa della pesantezza è l’ammassamento e che la causa della leggerezza è la semplicità, cioè ciò che non è fitto non ha materia.
in Alchimia, a cura di M. Pereira, Milano, Mondadori, 2006
Tavola di smeraldo
Una verità certa senza dubbio:
l’alto proviene dal basso e il basso dall’alto,
la realizzazione dei prodigi viene da una sola cosa così come
tutte le cose si formano da
una sola cosa con un unico procedimento.
Suo padre è il Sole, sua madre la Luna,
il vento lo recò nel suo ventre, la terra lo nutrì,
padre dei talismani, custode dei prodigi, perfetto nelle forze,
fuoco divenne terra, separa la terra dal fuoco,
il sottile è più nobile del denso.
Con mitezza e decisione sale dalla terra al cielo
e discende alla terra dal cielo,
e in esso vi è la forza dell’alto e del basso,
perché possiede la luce delle luci
e perciò la tenebra fugge da esso,
forza delle forze
domina ogni cosa sottile, penetra in ogni cosa densa.
Secondo la creazione del macrocosmo si produce l’opera,
e questo è onorifico e perciò sono chiamato Ermete tre volte saggio.
in Alchimia, a cura di M. Pereira, Milano, Mondadori, 2006
Secondo il biografo arabo del X secolo Ibn al-Nadim, autore del Kitab al-Fihrist (Libro dell’indice), il primo impulso verso la ricerca alchemica è dato dal principe della dinastia omayyade Khalid ibn Yazid, vissuto a Damasco tra il 660 e il 704, che fa tradurre in arabo molte opere filosofico -scientifiche della tradizione alessandrina e bizantina. Khalid aveva studiato alchimia sotto la guida di Morieno, che era stato allievo dell’alchimista bizantino Stefano. Le opere più note attribuite al principe Khalid sono: Il libro degli amuleti, I grandi e i piccoli libri del Rotolo, Il libro del testamento sull’arte e Il Giardino della sapienza; quest’ultimo, secondo il biografo musulmano Haggi Khalifa, constava di 2315 versi.
Nel Liber de compositione alchimiae di Morieno, più noto come Testamentum, si delinea un percorso dell’arte trasmutatoria che tocca i principali centri di potere e di cultura dell’area mediterranea prima di giungere a quella araba: Morieno è infatti originario di Roma, studia a Bisanzio sotto la guida di Stefano di Alessandria, esercita la professione di alchimista a Gerusalemme e si trasferisce infine a Baghdad per insegnare l’arte trasmutatoria al principe Khalid. In questa linea di sviluppo ha giocato un ruolo fondamentale l’alchimia bizantina.
Al-Nadim stila una lista di 45 libri di quasi altrettanti autori che costituirebbero il nucleo di filosofi e alchimisti che hanno favorito l’introduzione e la diffusione dell’alchimia nel mondo arabo. Molti di tali libri sono attribuiti a famosi autori greci come Apollonio di Tiana, Democrito, Platone, Zosimo di Panopoli, Pelagius (Sfidus). Nel Fihrist troviamo anche una lista di 52 nomi di filosofi che si sono dedicati all’arte alchemica tra i quali, oltre ai già citati autori greci e allo stesso Khalid, troviamo anche i nomi di Ermete Trismegisto, Agathodaimon, Osthanes e Maria l’Ebrea. L’attribuzione di trattati sull’alchimia ad autori greci è una caratteristica degli scrittori arabi e trova il suo culmine tra il IX e il X secolo, quando viene redatta la Turba phylosophorum, un’opera che conoscerà un ampio successo anche in Occidente.
Nel libro si narrano le origini dell’alchimia e si fa riferimento a una riunione tenutasi in un periodo non precisato alla quale avrebbero preso parte le più grandi figure di sapienti dell’antichità (Ermete Trismegisto, Pitagora, Socrate, Aristotele, Democrito) riunitisi per trattare i problemi dell’alchimia. La Turba appare per la prima volta in manoscritti latini del XIII secolo e la prima edizione a stampa è edita a Basilea nel 1572. Le numerose traslitterazioni presenti nell’opera latina mostrano chiaramente la sua traduzione dall’arabo mentre i contenuti sono riconducibili alla tradizione greco-bizantina. Lo storico tedesco Julius Ruska ha provato l’origine araba di quest’opera avanzando l’ipotesi che la sua compilazione fosse mirata alla confutazione del carattere ermetico della tradizione alchemica greca, al fine di poter inserire questa disciplina nel contesto della filosofia naturale. Martin Plessner ha poi dimostrato l’unità compositiva dell’opera stabilendo una datazione non molto posteriore al 900, sulla base del fatto che è citata in un’opera di Umayl nota in Occidente col titolo L’acqua argentea e la terra stellata.
Il consesso di filosofi del quale si parla nella Turba sarebbe stato convocato da Pitagora con lo scopo di individuare il fondamento filosofico delle teorie alchemiche, codificare e illustrare le fasi e le operazioni del processo di trasmutazione e fornire una cosmogonia alchemica in linea con i processi chimici individuati dagli alchimisti. I temi, i concetti e le allegorie sono quelli sviluppati nella tradizione ellenistico-bizantina, come il processo di distillazione, la magnesia, il mercurio, la gomma dei filosofi, la crisocolla, il veleno e l’acqua sulfurea che viene qui denominata per la prima volta acqua vitae. Nella Turba è presente anche il tema dell’insegnamento e della trasmissione del sapere, nel quale si distingue già tra dimensione filosofica e fraudolenta dell’alchimia: gli invidiosi introducono termini oscuri e per nascondere la propria ignoranza confondono le operazioni del processo di trasmutazione.
Per i filosofi della Turba i segreti della creazione risiedono nei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) dai quali, attraverso un processo di distillazione macrocosmica innescato dal calore solare, viene estratto uno spirito sottile che regola la vita di tutte le creature. L’unità di questo processo di generazione macrocosmica si coglie nella metafora dell’uovo che per i filosofi della Turba rappresenta la matrice unitaria dei quattro elementi che compongono i corpi. Tale matrice, alla quale si può pervenire attraverso la distillazione, risiede nell’embrione, il punctus saliens, che rappresenta il principio vitale dell’intera natura e che può essere ottenuto soltanto separando il corpo dall’anima.
Più verosimilmente le origini dell’alchimia araba possono essere ricondotte al progresso sociale e culturale legato all’espansione territoriale dell’islam che, dopo aver conquistato l’Egitto, la Siria e la Persia, vede la nascita di nuovi centri di cultura come Damasco e Baghdad, che presto si propongono come le nuove capitali del sapere, crocevia e centri di contaminazione culturale. A Baghdad, ad esempio, il califfo della dinastia omayyade al-Ma‘mun, il cui regno va dal 813 al 833, fonda la Casa della Sapienza. In breve tempo questa diventa un centro di ricerca e di insegnamento nel quale trovano ospitalità filosofi e medici di origine greca e siriaca, che introducono nella cultura islamica opere della tradizione bizantina e alessandrina. Più difficile individuare l’eredità orientale, anche se, secondo fonti islamiche, sembra abbia avuto un ruolo importante la città di Harran. Al momento della conquista araba, ad Harran è presente una religione che si rifà a un profeta di nome Ermete, tuttavia, a differenza della tradizionale interpretazione gnostica dell’ermetismo, per la quale la realtà si fonda su un principio dualistico, in questa religione è presente una visione monista della realtà, nella quale esercitano un forte influsso il naturalismo astrologico orientale, il neoplatonismo e il neopitagorismo.
Durante il califfato di al-Ma‘mun viene redatto in arabo il Kitab Sirr al-haliqua (il Libro dei segreti della creazione, successivamente tradotto in latino come Liber secretis naturae) attribuito ad Apollonio di Tiana, che talvolta è identificato con l’alchimista arabo noto come Balinus (VII-VIII sec.), nel quale si spiegano le cause della produzione di tutte le realtà naturali. Si tratta di un’opera molto importante per comprendere lo sviluppo della filosofia e dell’alchimia araba, ma restano tuttavia dibattute sia l’attribuzione che la collocazione storica; non è chiaro, infatti, se Balinus possa essere identificato con Apollonio di Tiana. Secondo al-Razi, uno dei principali autori della tradizione medico-alchemica araba, il Libro dei segreti della creazione è stato scritto al tempo del califfo al-Ma‘mun, anche se studi recenti tendono a collocarlo in età più antica.
Nel Libro della creazione troviamo enunciata per la prima volta la teoria sulla generazione dei metalli a partire dai principi dello zolfo e del mercurio. Sviluppata e ampliata successivamente nel corpus jabiriano, tale teoria costituisce uno dei principali apporti dell’alchimia araba allo sviluppo della chimica dei metalli. In seguito, essa trova ampia risonanza anche in Occidente, ponendosi come alternativa alle teorie di matrice sia aristotelica che atomista, e influenza il dibattito sulla composizione dei metalli fino all’opera di Lavoisier (1743-1794) alla fine del XVIII secolo.
All’interno di un disegno cosmologico dove tutte le trasformazioni sono regolate da transizioni di carattere “chimico”, il Libro della creazione presenta teorie e pratiche nelle quali vengono menzionate sostanze come la borace e il sale ammoniacale, impiegate nel tentativo di giustificare sul piano empirico la ricerca della trasmutazione di specie metallica.
La cosmologia di Balinus si basa sul principio del calore creatore che, emanato direttamente da Dio, produce tutte le cose naturali: nel suo movimento il calore si polarizza nelle due estremità di caldo e freddo, organizzandosi sul piano materiale in una sostanza primordiale che varia di densità in relazione al grado di calore contenuto.
Balinus si esprime in linguaggio metaforico e facendo riferimento all’unione sessuale dei due principi contrapposti del caldo e del freddo spiega anche la generazione delle altre due qualità primarie del secco e dell’umido, le quali si caratterizzano non come il prodotto di una relazione per gradi delle prime due, bensì come un’emanazione dal loro livello occulto. È attraverso questa continua scissione tra qualità occulte e manifeste (ad esempio il secco generato dall’accoppiamento del caldo e del freddo, si unisce a sua volta con il freddo generando la terra primordiale) che si ottengono tutte le realtà naturali più complesse. La radice materiale comune e indefinita di tutte le sostanze è il prodotto intermedio risultante dalla compenetrazione delle due polarità qualitative (ad esempio caldo e freddo) che, secondo Balinus, si materializza in una sostanza acquosa, un elisir, dal quale dipendono tutti i processi di generazione. Con l’identificazione di tale elisir primordiale Balinus mostra chiaramente i suoi debiti verso la teoria cosmogonica sviluppata da Zosimo, verso le tecniche di distillazione che risalgono a Maria l’Ebrea e verso il concetto di fluido cosmico (pneuma) elaborato dagli stoici. La sua cosmologia supera tuttavia la tradizione greco-bizantina, attribuendo ai principali processi alchemici, essenzialmente la distillazione e la sublimazione, una dimensione macrocosmica, con la quale spiega la generazione di tutta la realtà.
Una ragione ulteriore che rende ancora più importante l’opera di Balinus risiede nel fatto che una appendice propone la versione più antica in nostro possesso della Tavola smaragdina, attribuita al mitico Ermete Trismegisto. Secondo la tradizione alchemica la Tavola smaragdina, così denominata perché originariamente incisa su una lastra di smeraldo, sarebbe stata ritrovata da Sara, moglie di Abramo, nella tomba di Ermete Trismegisto. Pur non esistendo prove certe per far risalire questo documento fino al I secolo, altre versioni della leggenda di Ermete attribuiscono la scoperta della Tavola smaragdina ad Apollonio di Tiana o ad Alessandro Magno (356 a.C. - 323 a.C.). Gli studi condotti durante il secolo scorso da John Eric Holmyard, Julius Ruska e Paul Kraus, hanno messo in luce che i testimoni più antichi di questo documento sono di origine araba e che quindi anche il Libro dei segreti della creazione non può essere fatto risalire fino ad Apollonio di Tiana ma, più probabilmente, al periodo del califfato di al-Ma‘mun, dal 813 al 833, quando potrebbe essere stata tradotta in arabo da una precedente versione siriaca, derivante a sua volta da un originale greco, del quale si sono perse le tracce.
Il breve testo attribuito a Ermete mette in parallelo la formazione del cosmo e la realizzazione dell’opus ed esprime le principali idee della cosmologia ermetica in connessione con la pratica alchemica, stabilendo il legame tra cose celesti e terrestri che, secondo l’autore, avrebbero un’origine comune. Per Ermete la trasmutazione di specie è possibile perché sia il macrocosmo che il microcosmo sono permeati dal medesimo spirito universale. Le potenze dell’anima cosmica si concentrano in un solido, la pietra filosofale o elisir, che ha il potere di provocare la trasmutazione di specie.
Lo strumento operativo dell’alchimista è il fuoco, ed è attraverso una tecnologia che ne permette il controllo, che è possibile riprodurre i processi cosmici di generazione prodotti dal calore del sole. La tecnica che permette di riprodurre ed osservare il processo di creazione delle sostanze, cioè il passaggio dalla molteplicità degli elementi a una sostanza specifica, è la distillazione. Il legame tra ricerca alchemica e tecnologia è una caratteristica dello sviluppo successivo dell’alchimia. In Occidente la disciplina si afferma a partire dal XIII secolo in opere come il De mineralibus di Alberto Magno e la Summa perfectionis di Geber (nome latinizzato di Jabir ibn Hayyan) e, nel periodo rinascimentale, in autori come Leonardo da Vinci (1452-1519), Vannoccio Biringuccio, e Benedetto Varchi (1502-1565).