Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’agiografia dei secoli XI e XII è in evoluzione e partecipa alle novità del tempo. Tra i modelli di santità, quello del re santo emerge nella corte imperiale di Germania e nel regno di Francia. In Italia il monachesimo spinge verso la riforma della Chiesa: i monaci escono dal chiostro e si fanno predicatori. Alla metà del secolo XI il movimento riformatore è sostenuto dal papato e ciò porterà a nuovi modelli di santità: il santo martire per la difesa della Chiesa, il papa santo. Nel XII secolo la società laica esprime altri modelli ancora: il santo pellegrino e sofferente, il santo lavoratore.
Pier Damiani
L’illuminazione di San Romualdo
Vita di san Romualdo
Mentre stava a Parenzo a volte era angosciato dal desiderio di erompere in lacrime, tuttavia, per quanto si sforzasse, non era capace di pervenire alla compunzione di un cuore contrito. Un giorno, mentre stava in cella a salmodiare, si imbatté in questo versetto: “Ti farò saggio, t’indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio” (Salmo 31, 8). Gli sopraggiunse improvvisamente una così larga effusione di lacrime, e la sua mente fu talmente illuminata nella comprensione delle scritture divine, che da quel giorno in poi, finché visse, ogni volta che lo voleva, poteva versare con facilità lacrime abbondanti e il senso spirituale delle scritture non gli era più nascosto.
Spesso rimaneva così rapito nella contemplazione di Dio che si scioglieva quasi interamente in lacrime e bruciando di fervore indicibile per l’amore divino, usciva in esclamazioni come queste: “Caro Gesù, caro! Mio dolce miele, desiderio inesprimibile, dolcezza dei santi, soavità degli angeli!”. Parole che, sotto il dettato dello Spirito Santo, gli si trasformavano in canti di giubilo e che noi non sapremmo rendere compiutamente mediante concetti umani.
P. Damiani, Vita di san Romualdo
Andrea da Strumi
Giovanni Gualberto e la ricerca del martirio
Vita di san Giovanni Gualberto
L’eretico Pietro pensò di dover incutere terrore al popolo e al clero, facendo uccidere dei monaci, i quali per primi avevano sollevato contro di lui la voce di condanna. A tale scopo, diede ordine a cavalieri e fanti, mandati in gran numero, di incendiare nelle ore notturne il Monastero di San Salvi e di massacrare quanti monaci vi si trovassero […].
Entrati dunque in chiesa quando i monaci celebravano l’ufficio notturno ed estratte le spade, si misero a macellare le pecore di Cristo come carnefici spietati. A uno produssero sulla fronte una ferita così profonda che la punta dell’arma penetrò il cranio. Un altro lo colpirono barbaramente con un fendente all’altezza degli occhi, così da staccargli il naso, i denti superiori e il labbro dal resto del volto, e il tutto pendeva sulle labbra. A un altro ancora aprirono uno squarcio nel ventre, conficcandovi la punta della spada […].
Il beato Giovanni, che allora stava a Vallombrosa, venuto a conoscenza dell’accaduto, desiderando ardentemente il martirio, corse a San Salvi. Alla vista dell’abate e degli altri monaci percossi, feriti, denudati, disse: “Ora siete veramente monaci! Ma perché non mi avete concesso di sostenere con voi questa prova?”. Si addolorò molto di non essere stato in mezzo a quella persecuzione.
A. da Strumi, Vita di san Giovanni Gualberto
L’idea tribale e germanica di collegare sacralità e regalità porta nel Medioevo alla nascita del modello del re santo. Già presente nell’alto Medioevo, questo modello si precisa intorno al Mille per precise esigenze dinastiche e politiche. Santi sono alcuni appartenenti alla casa regnante tedesca di Sassonia, che intende legittimare la sua presenza sul trono imperiale che era stato di Carlo Magno. Tra questi santi troviamo delle regine, come Matilde e Adelaide, rispettivamente madre e moglie di Ottone I. Il vertice di questa “santità imperiale” è rappresentato dalla canonizzazione di Carlo Magno, ottenuta dall’imperatore Federico Barbarossa nel 1165.
In Francia a partire dal X secolo i re vengono visti come detentori di un potere sovrannaturale, quello di guarire alcune malattie con il contatto delle mani. Questi “re taumaturghi”, come li chiama Marc Bloch, saranno di grande importanza nel processo di consolidamento della monarchia dei Capetingi.
Per alcuni Paesi ancora periferici dell’Europa, che proprio intorno al Mille entrano a far parte della civiltà cristiana dell’Occidente, il re santo (spesso un “martire” caduto in battaglia o vittima di una congiura) è fondamento dell’identità nazionale: si pensi a Venceslao di Boemia, Olaf di Norvegia, Stefano di Ungheria, Canuto di Danimarca.
Libertas Ecclesiae è la parola d’ordine del circolo di riformatori che alla metà dell’XI secolo si stringe intorno ai cardinali Pier Damiani e Umberto di Silva Candida e a papa Gregorio VII: libertà della Chiesa dalle ingerenze esterne (laiche, dell’impero e dell’aristocrazia), dalle eresie (simonia e nicolaismo). Ne deriva un nuovo modello di santità, che si incarna nel cristiano combattente in difesa della Chiesa, fino, se necessario, al martirio.
Sono i monaci che guidano la riforma della Chiesa, nella prima metà del secolo XI, e l’agiografia del monachesimo riformato diventa un importante veicolo di diffusione del nuovo messaggio. Monaci, predicatori itineranti, eremiti percorrono l’Italia con uno spirito inquieto che è già segno di tempi nuovi, della ricerca di un diverso rapporto tra l’uomo e Dio. La Vita di san Romualdo di Ravenna, fondatore di Camaldoli (in diocesi di Arezzo), è scritta da Pier Damiani nel 1042: è la vita di un riformatore della Chiesa che combatte contro la simonia del clero e la prepotenza dei sovrani; di un riformatore del monachesimo che percorre l’Europa, dai Pirenei all’Istria, per fondare e riformare monasteri; di un mistico che cerca e ottiene un contatto tutto personale con Cristo nella sofferenza delle privazioni corporali. Altro riformatore particolarmente attivo è il fiorentino san Giovanni Gualberto, fondatore di Vallombrosa, da dove i suoi monaci escono per predicare e sollevare il popolo di Firenze contro il vescovo simoniaco. Il suo discepolo Pietro, detto Igeno, arriva a sostenere un’ordalia, la prova del fuoco, davanti al popolo per difendere la verità delle sue accuse contro il vescovo di Firenze. Tra fine XI e inizi XII secolo il monachesimo tenta di riformarsi, di tornare all’originale spirito di san Benedetto, con la fondazione della Certosa – da parte di san Bruno di Colonia –, di Citeaux, in Borgogna, di Pulsano – a opera di san Giovanni di Matera – e di altri centri. Nel XII secolo addirittura alcuni santi come Roberto di Arbrissel e Gilberto di Sempringham daranno vita a fondazioni miste di uomini e donne: una provocazione, quasi una rivoluzione, per l’epoca.
Dalla metà del secolo XI la guida del movimento riformatore passa nelle mani del papato.
A Milano il movimento della Pataria, un folto gruppo di cittadini in lotta contro gli arcivescovi simoniaci, si stringe intorno ai suoi martiri, Arialdo ed Erlembaldo. Compare per la prima volta la figura del martire inter Christianos, martire tra cristiani in obbedienza al papato, che troverà un luminoso esempio nella figura dell’arcivescovo Tommaso Becket di Canterbury, morto in difesa della fede cattolica contro il re di Inghilterra Enrico II.
La fase più acuta delle lotte tra impero e papato, la “lotta per le investiture”, finisce con il concordato di Worms del 1122. Intanto l’ideale di santità passa, all’esterno, dalla difesa della Chiesa alla sua espansione trionfante; all’interno, alla promozione del clero secolare come mediatore del sacro, e in testa al clero la figura del papa acquista un rilievo del tutto speciale. Le crociate contro i musulmani in Terrasanta, prima, contro gli eretici catari e albigesi, poi, segneranno la nascita di un nuovo modello di santità: il cavaliere del Cristo pronto a immolare la vita contro i nemici della cristianità ovunque essi si trovino. Non più un martire pacifico, ma un soldato della guerra santa, come sono i cavalieri Templari ispirati da san Bernardo di Chiaravalle. All’interno della Chiesa, l’egemonia monastica lascia il posto a quella clericale. Il papa, capo di una Chiesa sempre più centralistica e gerarchizzata, diventa automaticamente santo, o comunque è più santo degli altri cristiani per il solo fatto di essere papa: la sua è una santità di funzione, osteggiata in linea teorica dai teologi, ma prontamente celebrata dagli agiografi. Nell’età della riforma si scrivono le vite dei santi papi Leone IX, Gregorio VII, Vittore III, Urbano II.
La promozione della santità, per secoli rimasta prerogativa delle comunità locali, passa nelle mani di una curia romana sempre più governata secondo le norme del diritto canonico.
Dapprima il papato si limita ad accogliere la richiesta (petitio) proveniente dalla comunità locale, concedendo la celebrazione della festa e l’inserimento del nome del santo nel martirologio; ma una vera procedura viene imposta dal papa canonista Alessandro III.
Centrale in questa nuova procedura diventerà la raccolta dei miracoli, a testimonianza della reale potenza sovrannaturale del santo, e le deposizioni dei testimoni davanti ai funzionari pontifici: una vera e propria inchiesta (inquisitio) con tanto di verbali e sottoscrizioni notarili.
Mentre la Chiesa rivendica il controllo della santità, emergono nella società nuovi modelli di santi, che sfuggono agli schemi della tradizione: ad esempio il pellegrino che abbandona la sua casa e la sua famiglia per seguire Cristo nella povertà e nel vagabondaggio, lungo le vie di pellegrinaggio verso Roma, Santiago di Compostela o altri celebri santuari. La più commovente storia di un santo pellegrino, quella di sant’Alessio a Roma, è scritta per la prima volta nel VI secolo, ma si diffonde e viene più volte rielaborata tra XI e XII secolo.
Parallelamente, si diffondono le storie e i culti degli oggetti sacri, le reliquie, che miracolosamente raggiungono le chiese occidentali. Si pensi al Volto Santo di Lucca, il crocifisso copia, secondo la tradizione, del prototipo scolpito all’indomani della morte di Cristo, la cui storia è scritta a Lucca nell’XI secolo.
Man mano che procediamo dentro il XII secolo, vediamo che la tradizionale preminenza di santi appartenenti alla Chiesa lascia il posto a una presenza sempre più consistente di santi laici. Laici e non nobili sono, in Italia, Ranieri di Pisa e Omobono di Cremona. Il primo vive da eremita dopo essere stato un giullare e un cantastorie; il secondo è un lavoratore, e ha modo di santificarsi restando nel mondo. Eremiti e laici sono dappertutto e provengono da ogni condizione sociale. Cavalieri pentiti per la loro vita violenta sono Guglielmo di Malavalle e Galgano di Chiusdino, quest’ultimo noto per aver piantato la sua spada sulla collina di Montesiepi (presso l’attuale abbazia di San Galgano, in Toscana).
Nel pieno Medioevo il linguaggio dell’agiografia si fa più colto e raffinato. L’agiografia scritta nei grandi monasteri e nelle scuole cattedrali d’Europa dimostra un rinnovato amore per i classici, dei quali si imita il linguaggio, con la riscoperta del cursus, della retorica, del gusto per l’espressione raffinata, per il lessico raro e prezioso.
In molti casi, il piacere della versificazione si intromette nel testo, nascono prosimetri e riscritture in versi, o semplicemente alcuni versi sono aggiunti, i dialoghi sono scritti in versi, per puro piacere estetico. Profondo conoscitore dei classici e della dialettica è già nell’XI secolo l’agiografo Alfano di Salerno, monaco a Montecassino.
La vita del santo non è più collocata in un contesto generico, ma l’uso della storiografia romana permette di precisare i nomi degli imperatori, i fatti storici contingenti. I criteri della storiografia, l’utilità del testo, la brevità della narrazione, la verità del racconto, invadono l’agiografia. Alcuni agiografi (come Pier Damiani) insistono sul fatto che i miracoli non sono necessari alla santità: perché i miracoli vanno al di là delle possibilità umane, escono dalla storia; invece le virtù del santo, il suo comportamento, reale e razionale, conoscibile da tutti, è più interessante.
Del resto il XII secolo è anche l’epoca delle contestazioni, delle “novità” contro cui si scaglia il clero più conservatore. Esprime tutto lo spirito razionalista del secolo Guiberto di Nogent, che nell’opera Sulle reliquie dei santi critica la moltiplicazione incontrollata delle reliquie, provenienti in gran parte dalla Terrasanta, venerate senza controllo e senza autorizzazione della Chiesa.
La letteratura agiografica tende ad avvicinarsi da una parte alla storiografia, dall’altra alla biografia. I santi acquistano uno spessore corporeo: in un ritratto ormai conta anche il loro aspetto fisico, lo richiedono il rispetto della verità storica e la curiosità del pubblico. Nel XII secolo l’agiografia non è più il genere letterario egemone, come era stato nell’alto Medioevo. È un genere tra tanti, ma non per questo si inaridisce: al contrario, si rivela capace di aggiornarsi e di interagire con gli altri generi letterari.