Kurutta ippeiji
(Giappone 1926, Una pagina di follia, bianco e nero, 104m a 18 fps, 59m nella versione sonora del 1971); regia: Kinugasa Teinosuke; produzione: Kinugasa Teinosuke per Shinkankakuha Eiga Renmei; sceneggiatura: Kawabata Yasunari, Kinugasa Teinosuke, Inuzuka Minoru, Sawada Banko; fotografia: Sugiyama Kohei; montaggio: Kinugasa Teinosuke; scenografia: Ozaki Chiyo; costumi: Hayashi Kazaku; musica: (versione 1971) Muraoka Minoru, Kurashima Toru.
In una notte tempestosa, una ballerina rinchiusa in un manicomio danza nella sua cella, credendo di trovarsi su un palcoscenico. Suo marito è l'inserviente dell'ospedale, tormentato dai ricordi: la donna tentò il suicidio, causando la morte per annegamento del figlioletto; l'uomo, che nel suo passato di marinaio l'aveva abbandonata, si sente ora colpevole e per starle vicino si è fatto assumere in incognito all'ospedale. Il mattino seguente, la figlia della coppia fa visita alla madre per annunciarle il suo imminente matrimonio, ma la malata non è in grado di capire. Davanti alla cella della ballerina scoppia una rissa. La donna viene gettata a terra da un pazzo, il marito lo picchia e viene per questo rimproverato dal direttore. Dalla finestra l'inserviente vede un corteo festoso e fantastica di vincere alla lotteria un comò, il regalo di nozze per sua figlia. La ragazza, però, teme di essere lasciata dal fidanzato a causa della pazzia della madre. Allora l'inserviente tenta nottetempo di fuggire con la malata; ma lei è presa dal panico di fronte al mondo esterno. Tornato nella sua stanza, l'uomo sprofonda in un lungo incubo: la figlia alla mercé di tre pazzi, una zuffa con il primario durante la quale questi stramazza a terra morto, la figlia che va sposa a un pazzo. L'alba porta con sé un sogno consolatorio, nel quale l'uomo applica ai volti tetri dei malati delle maschere ilari, liberandoli così dalle loro sofferenze. Egli stesso e la moglie, mascherati, appaiono come una coppia felice. Ma al mattino ricomincia la routine.
Nei suoi primi sei minuti Kurutta ippeiji è un'opera sperimentale. Solo gradualmente assume la consistenza di un film narrativo, benché viri verso un registro documentaristico quando descrive la vita quotidiana nel manicomio e intraprenda ancora, in altri momenti, la via della sperimentazione. Il dinamismo della danza, della tempesta e della rissa viene tradotto in montaggio accelerato, split screen e panoramiche a schiaffo; per indicare l'irrealtà e la consistenza allucinatoria degli stati mentali sono sfruttate doppie esposizioni, inquadrature oblique e rovesciate, lenti deformanti o luci crude. Ciononostante, Kurutta ippeiji non è un esercizio formalistico. A dominare è l'elemento umano, lo sguardo dell'inserviente (il superlativo Inoue Masao), premuroso verso la moglie che non sa stabilire relazioni con gli altri: è attraverso quest'uomo che entriamo in rapporto con il mondo rappresentato nel film.
Kurutta Ippeiji è concepito come un film difficile, dove, per usare le parole di Viktor Sklovskij, l'artificio dell'arte è "l'artificio della forma resa difficile […]; l'arte è un mezzo per sperimentare il farsi di una cosa". Nella singolarità dei suoi artifici espressivi, il film è al tempo stesso raffinato e radicalmente moderno. Esso condivide con produzioni francesi e tedesche come Der Golem, Kean ‒ Désordre et génie di Alexandre Volkov (1923) e La roue di Abel Gance (La rosa sulla rotaia, 1923), che in Giappone avevano avuto un'accoglienza entusiastica, l'interesse per l'esplorazione delle possibilità del medium filmico, attraverso immagini interiori e soggettive, movimento e ritmo. Il modello più diretto per Kinugasa era il suo film preferito, Der letzte Mann di Friedrich W. Murnau. Ma quanto autonoma sia in definitiva la sua opera lo dimostra la scena del sogno con le maschere nō. La loro forza salvifica, la forza della trasformazione, viene utilizzata per immaginare un'integrità perduta e tramutare, sul piano dell'irrealtà, pena e corruccio in riso e felicità.
Kinugasa Teinosuke, dal 1914 attore teatrale oyama (impersonante ruoli femminili), passò al cinema nel 1917. La sua carriera di star durò cinque anni e abbraccia più di cento film. A partire dal 1922 i ruoli femminili nei film giapponesi vennero interpretati esclusivamente da attrici, e pertanto Kinugasa si dedicò alla regia. Sulle riprese di Kurutta ippeiji, il suo trentaquattresimo film, abbiamo molte informazioni grazie alle testimonianze pubblicate dello scrittore Kawabata Yasunari, allora membro del gruppo d'avanguardia Shinkankakuha (Le Nuove Sensazioni) e collaboratore alla sceneggiatura, che fu messa a punto soltanto a riprese terminate. Per motivi finanziari, dopo questa "prima opera della Federazione cinematografica delle Nuove Sensazioni" (così nei titoli di testa), Kinugasa, nonostante il successo di critica e di pubblico, non poté proseguire la sua produzione indipendente, naufragata a causa del monopolio delle grandi società cinematografiche nipponiche, che rendeva praticamente impossibile lo sfruttamento di film al di fuori del loro circuito.
Per decenni la pellicola è stata considerata perduta. Nel 1971 il regista trovò il negativo e una copia positiva, ben nascosti in un ripostiglio a casa sua, e realizzò una versione sonora. In Europa, Kurutta ippeiji venne salutato con grande ammirazione e considerato giustamente un capolavoro dell'avanguardia, ma fu interpretato in modo sbagliato; si credette di riconoscere in esso un film antinarrativo, il cui obiettivo principale sarebbe la sovversione dei codici. In effetti il film del 1971 ‒ l'unico che si conosca oggi ‒ è incomprensibile. Rispetto alla versione del 1926 risulta molto incompleto. In primo luogo manca il commento parlato (come ogni film muto in Giappone, anche Kurutta ippeiji era accompagnato durante la proiezione dal racconto di un narratore, detto benshi o setsumeisha). In secondo luogo la versione sonora del 1971 risulta accorciata di 500 metri. Infine, la velocità di proiezione standard dei film sonori produce un'accelerazione indiscriminata: solo se proiettato alla velocità giusta, Kurutta ippeiji può dispiegare la propria straordinaria qualità, il pulsare del ritmo fra quiete e accelerazione, il pulsare delle immagini fra dissoluzione (doppie esposizioni, inquadrature fuori fuoco o molto scure…) e chiara definizione.
Nel 1928 Kinugasa girò con la stessa équipe un secondo film innovativo, Jūjirō (Incroci). Mentre le rotture e l'eterogeneità sono elementi costitutivi di Kurutta Ippeiji, Jūjirō si segnala per compattezza e levigatezza. Il regista portò il film con sé in Europa, dove fu distribuito con successo in numerosi paesi a partire dal 1929. Per decenni, Jūjirō rimase l'unico film muto giapponese ad essere conosciuto in Occidente.
Interpreti e personaggi: Inoue Masao (inserviente dell'ospedale psichiatrico), Nakagawa Yoshie (sua moglie), Iijima Ayako (sua figlia), Nemoto Hiroshi (fidanzato della figlia), Seki Misao (primario), Takase Minoru, Takamatsu Kyosuke, Tsuboi Tetsu (pazzi), Minami Eiko (ballerina), Takiguchi Shintaro (bambino del portinaio), H. E. Altenburg (medico occidentale).
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