KURDISTĀN
(XX, p. 311; App. II, I, p. 345)
Storia. - Nell'ultimo cinquantennio, nonostante le notevoli trasformazioni verificatesi nei paesi nei quali i Curdi sono maggiormente concentrati (cioè Turchia, Iran, 'Irāq e Siria, dove, secondo censimenti della metà degli anni Ottanta, i Curdi sarebbero rispettivamente 12 milioni, 6 milioni, 4 milioni e un milione), il problema del riconoscimento di una loro individualità, oltre che etnica anche politica, non ha fatto che limitati passi avanti. Le remore principali paiono in sostanza due: la difficoltà di attuare qualsiasi ipotesi di correzione di confini da parte degli stati interessati, per venire incontro alle richieste curde, sia per l'importanza strategica delle aree ove i Curdi risiedono sia per la ricchezza delle risorse petrolifere che vi sono state scoperte; le divergenze all'interno degli stessi movimenti curdi, ondeggianti di continuo tra aspirazioni minime e massime, dalle varie forme di autonomia all'autodeterminazione e alla costituzione d'un unico stato curdo. Si tratta, quindi, di un arco di programmi concreti che va dalla cooperazione e dal dialogo con i rispettivi governi, alle diverse modalità di opposizione palesi o clandestine, sino a scelte di guerriglia e di violenza armata: una molteplicità di orientamenti, quella dei numerosi partiti e gruppi politici, che pare corrispondere a un graduale diversificarsi delle condizioni nelle quali si trovano i Curdi nei singoli paesi e che dipende anche dalla loro maggiore o minore integrazione nei singoli stati.
Venuta meno la funzione di controllo militare feudale di frontiera conservata con alti e bassi sino alla fine dell'Impero ottomano, l'assetto delle popolazioni curde non è mai approdato alla dimensione statuale, salvo fuggevoli e parziali esperienze nell'area iraniana nel 1945-46 con la Repubblica democratica dell'Azerbaigian e la Repubblica del Māhābād (tra l'altro fortemente propiziate da forze esterne), ed è rimasto assai instabile. I Curdi, impegnati in dure lotte per rivendicare la propria individualità, con un succedersi di alleanze, intrighi, ricerche di appoggi nell'una e nell'altra direzione, hanno vissuto esperienze diverse nei diversi contesti, anche se è possibile registrare un'analogia di problemi dall'uno all'altro stato e all'interno delle organizzazioni curde che vi operano.
In Turchia la presenza curda è stata sentita, in linea di massima, come una minaccia all'unità statuale; di conseguenza con l'adesione nel 1955 al Patto di Baghdād vi fu uno sforzo per coordinare il blocco delle frontiere con Iran e ῾Irāq impedendo il passaggio di rifornimenti e di armi tra zone curde adiacenti. Negli anni Sessanta al lento affermarsi dei diritti delle minoranze, di cui si giovarono pure i Curdi, fece riscontro la fondazione del clandestino Partito democratico del Kurdistān - Turchia. Successivamente, in coincidenza con l'accordo in 'Irāq tra governo ed esponenti curdi locali (1970), Ankara valutò necessario instaurare una serie di misure di sicurezza denominate ''Operazioni di commando all'Est''. Analoghe preoccupazioni destò nel 1979 la rivoluzione islamica iraniana con un corrispondente accentuarsi dei provvedimenti di controllo: fu presumibilmente questa la causa che indusse nell'agosto 1984 il Partito dei lavoratori del Kurdistān (PKK) a iniziare la guerriglia. Alla fine degli anni Ottanta si profilò in Turchia un'evoluzione distensiva con aperture ai Curdi, specie sul piano culturale. È un orientamento ambivalente che è proseguito durante la guerra del 1991 contro l'῾Irāq (in seguito all'occupazione irachena del Kuwait), allorché migliaia di profughi curdi si rifugiarono in territorio turco mentre, nel tentativo di soffocare la guerriglia curda, Ankara spingeva le proprie milizie oltre il confine iracheno.
In Iran, sotto il regime dello scià Reẓā Pahlavī, agli interventi repressivi e militari miranti alla persianizzazione delle zone curde, corrisposero svariati tentativi insurrezionali: nel 1950 e nel 1956 a opera della tribù dei Giavanrudi, nel 1967 nel Māhābād. Tuttavia, poiché Teherān aveva deciso di favorire le agitazioni curde nel confinante ῾Irāq, i Curdi iraniani agli inizi degli anni Settanta si orientarono a limitare il loro attivismo. Con l'abbattimento della monarchia nel 1979, a una fase iniziale di appoggio curdo alla rivoluzione seguì un graduale passaggio su posizioni contrarie alla linea integralista di Khomeini, sino all'ammissione, durante il conflitto Iran-῾Irāq, da parte del capo del Partito democratico del Kurdistān-Iran, ῾Abd al-Raḥmān Qāsemlū, di ricevere aiuti da Baghdād. È probabilmente in tale scelta che risiede la spiegazione dell'assassinio a Vienna, il 13 luglio 1987, dello stesso Qāsemlū e di alcuni suoi collaboratori che stavano conducendo negoziati con rappresentanti del governo iraniano.
L'atteggiamento dei movimenti curdi in ῾Irāq a partire dagli anni Cinquanta, nei confronti dei numerosi governi che si sono succeduti alla guida del paese, è stato costante: a un periodo di appoggio e collaborazione, sono seguite l'insoddisfazione, la polemica, la rottura, le repressioni e le violenze insurrezionali. Questo andamento, da un lato, mette in rilievo la scarsa disponibilità delle varie autorità irachene, pur con programmi assai differenti, a riconoscere i diritti delle minoranze; dall'altro, mostra l'incerta linea politica dei dirigenti delle organizzazioni curde e le rivalità interne che hanno spesso indotto i Curdi a preferire la via dell'intransigenza e della rivolta. Ciò si è verificato, dopo la partecipazione nel 1958 alla lotta per l'abbattimento della monarchia, a partire dal 1960 con la frattura via via più netta con il governo repubblicano di Karim Qāsim e poi con i ministeri succedutisi sotto le presidenze di ῾Abd al-Salām 'Ārif e del fratello ῾Abd al-Raḥmān 'Ārif nel 1963-67.
Un andamento meno convulso assunsero i rapporti tra governo e Curdi dopo il 1968 con la presidenza di A.H. al-Bakr e la vicepresidenza di Ṣaddām Ḥusayn del partito Ba'ṯ; questo anche perché gli ambienti curdi, pur divisi dalla contrapposizione tra M. Bārzānī, capo tradizionalista, e G. Tālabānī, esponente più incline alla modernizzazione, erano alla ricerca di un compromesso. Di rilievo fu l'accordo dell'11 marzo 1970 per la consistenza delle concessioni di Baghdād alle rivendicazioni autonomistiche. Già nel 1974, tuttavia, la richiesta curda di un controllo sulla produzione petrolifera nella zona di Kirkūk provocò una nuova rottura e il ritorno alla guerriglia.
L'accordo di Algeri tra Iran e ῾Irāq del 6 marzo 1975 diede un colpo alle speranze curde di successo, interrompendo gli aiuti di Teherān. Da allora, in particolare dopo l'avvento alla presidenza di Ḥusayn (1979), continua è stata la repressione, reiterati i tentativi di resistervi, drammatica la congiuntura determinatasi negli anni Ottanta con la guerra Iran-῾Irāq. Durante la guerra del 1991 contro l'῾Irāq, la cosiddetta Guerra del Golfo (v. in questa Appendice), le organizzazioni di guerriglia, contando sull'aiuto statunitense, non mancarono di sperimentare nuove iniziative insurrezionali, il cui fallimento determinò durissime repressioni irachene e la fuga in Iran e in Turchia di decine di migliaia di profughi curdi. In conseguenza di tale tragedia tra il Fronte del Kurdistān iracheno e Baghdād sono iniziati difficili negoziati. Grazie alla presenza militare dell'ONU e poi all'azione di vigilanza assegnata alla Turchia, nella zona curda istituita nell'῾Irāq settentrionale sin dagli anni Settanta, si poterono svolgere nel maggio 1992, pur in condizioni organizzative precarie, le elezioni per il primo parlamento curdo con la vittoria del Partito democratico del Kurdistān di M. Bārzānī (44,5% dei voti) e dell'Unione patriottica del Kurdistān di G. Tālabānī (44,3%), entrambi di orientamento moderato. Questo risultato suscitò le proteste delle formazioni minori escluse dal parlamento. Si profila dunque al confine settentrionale iracheno una disposizione di forze particolarmente contorta. I Curdi iracheni di Bārzānī e Tālabānī gestiscono il controllo dell'area, godendo degli aiuti occidentali e della protezione militare della Turchia. Allo stesso tempo le forze armate turche attuano operazioni repressive verso i Curdi del PKK in armi e attivi nel medesimo settore. Impegnati a non perdere le rispettive protezioni o a cercarne delle nuove, anche il PKK e le maggiori formazioni dei Curdi iracheni si trovano in situazione di aperta contrapposizione. Solo in Siria, dopo le tensioni degli anni Cinquanta e Sessanta, la presidenza di Ḥāfiẓ Asad ha posto termine alla politica di arabizzazione e gradualmente si è affermata verso i Curdi una sorta di apertura. Essa sembra dovuta alla relativa limitatezza numerica di questa minoranza, che non solo avrebbe poche possibilità di conseguire maggiori diritti con la forza, ma che potrebbe essere indotta a un atteggiamento di sostegno verso il governo.
Va ricordata infine la presenza di immigrati curdi in Europa, nei paesi arabi e negli Stati Uniti, e di comunità curde nei paesi dell'ex Unione Sovietica, che assommano a circa 500.000 individui, specialmente concentrati in Armenia, Azerbaigiān e Georgia. Nel 1993 si è avuta una ripresa di attività terroristiche dei militanti del PKK: il 24 giugno, in un'azione concertata, venivano occupate sedi diplomatiche turche in Germania, Francia e Svizzera; nel mese di luglio e di agosto il boicottaggio del turismo in territorio turco si spingeva fino al sequestro di turisti di varia nazionalità.
Bibl.: E. O'Ballance, The Kurdish revolt 1961-1970, Londra 1977; E. Ghareeb, The Kurdish question in Iraq, Syracuse 1981; S. Jawad, Iraq and the Kurdish question, 1958-1970, Londra 1981; J. Blau, Le mouvement national kurde, in Les Temps Modernes, 456-57 (Parigi 1984); L.A. Heinrich, Die kurdische Nationalbewegung in der Türkei, Amburgo 1989; M.M. Gunter, The Kurds in Turkey: a political dilemma, Boulder 1990; M. Galletti, I curdi nella storia, Chieti 1990; F. Froio, I curdi, Milano 1991; The Kurds: a contemporary overview, a cura di Ph.G. Kreyenbroek e S. Sperl, Londra 1992.