Kurdistān
(XX, p. 311; App. II, i, p. 345; App. V, iii, p. 123)
Storia
L'impegno volto a ristabilire gli equilibri del Vicino Oriente dopo la sconfitta dell'Iraq nel conflitto del 1991 e il ridimensionamento derivatone hanno determinato, tra le molte ripercussioni e conseguenze, anche il riacutizzarsi della questione curda. In particolare, l'agitazione dei Curdi nell'area settentrionale dell'Iraq, con la conseguente instaurazione di una zona di protezione garantita da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, ha finito per alimentare la mobilitazione dei Curdi della Turchia. Da ciò è scaturito il rinnovarsi di operazioni militari turche per mettere fine alle iniziative di guerriglia, operazioni che di fatto hanno segnato il rilancio della presenza turca in quest'area.
Il governo di Ankara, di cui è nota la volontà accentratrice e antiautonomistica, ha dovuto far fronte a tre tipi di contestazione da parte della minoranza curda: l'azione in Parlamento e nel paese di partiti legali (in primo luogo l'HADEP, Partito della democrazia del popolo, che ha ottenuto il 4% dei voti alle elezioni dell'aprile 1999), le sollecitazioni propagandistiche e informative promosse dal cosiddetto parlamento curdo in esilio (che, costituito da 65 rappresentanti dei partiti e dei movimenti messi fuori legge nel 1992, è stato rinnovato nell'estate del 1998) e le iniziative politiche e di lotta armata del Partito dei lavoratori del Kurdistān (PKK), operante sia nelle regioni della Turchia orientale, ad alta concentrazione curda, sia nei centri dell'emigrazione curda in Europa. Tale partito, sorto negli anni Settanta, si orientò in senso rivoluzionario opponendosi ai gruppi curdi favorevoli a trovare forme di dialogo con il governo. Iniziata la guerriglia nel 1984, si batté per una federazione dei popoli del Vicino Oriente, ma, messo in difficoltà dal perdurare della condizione di guerra, a partire dal 1993 lanciò reiterate proposte per il cessate il fuoco, sempre respinte dai comandi turchi.
Il punto cruciale della crisi si ebbe nell'autunno 1998 quando le pressioni turche obbligarono il governo siriano a rivedere l'appoggio garantito ai militanti del PKK: il loro massimo dirigente, Abdullah 'Apo' Ocalan, fu quindi costretto a lasciare Damasco recandosi prima in Russia, poi trasferendosi a Roma il 12 novembre. L'arrivo di Ocalan a Roma, pur non essendo chiaro quali fossero i suoi reali propositi e quale autorità egli mantenesse nel partito, da un lato destò una comprensibile emozione tra gli emigrati curdi nei vari paesi europei e tra le forze politiche italiane sostenitrici di quella causa, dall'altro determinò gravi malumori in Turchia e non poche ripercussioni sul piano politico e diplomatico. Il governo italiano, dopo accese discussioni, rifiutò di concedere l'estradizione di Ocalan in Turchia, perché nel paese era in vigore la pena di morte, e al contempo gli negò l'asilo politico. Di conseguenza, il 16 gennaio 1999 Ocalan lasciò Roma tentando inutilmente di riparare in Russia e in Olanda. La Grecia gli offrì accoglienza nella sua ambasciata a Nairobi dove, però, il 15 febbraio agenti dei servizi segreti turchi riuscirono a catturarlo per trasferirlo in Turchia nel carcere dell'isola di Imrali. Seguirono veementi manifestazioni di protesta da parte dei suoi sostenitori. Il processo, iniziato il 31 maggio, si concluse il 29 giugno con la condanna alla pena capitale per tradimento. Il rafforzamento del Partito nazionalista ('Lupi grigi'), di estrema destra, che aveva superato il 18% dei voti alle elezioni di metà aprile in Turchia, complicò la situazione rendendo ardue, in prospettiva, eventuali misure di clemenza e determinando diffuse critiche, in sede europea, per le lacune e i ritardi del sistema giudiziario e in materia di diritti civili. Tali critiche portarono nel gennaio 2000 all'annuncio di una sospensione della condanna a morte.
bibliografia
A. Chiodi, Il problema curdo nei rapporti fra la Turchia e i paesi limitrofi, Roma 1997.