KUBILAY (anche Khubilāy, Kublāy, e Qūbilāy, ecc.)
Khān dei Tatari, figlio di Qūbilāy, figlio di Genghiz Khān (v.), fondatore della dinastia che dominò la Cina, col nome di Yüan (Yuen), dal 1280 al 1370 (v. cina: Storia, X, 293). Dopo la morte del grande condottiero Genghiz, il suo immenso impero andò diviso tra i suoi figli, restandone tuttavia mantenuta, e non solo formalmente, l'unità inscindibile, come appannaggio dell'intera famiglia. Se pure dopo qualche tempo, come non poteva essere altrimenti, questa unità s'infranse, e ciascuno degli stati tatari continuò le proprie vicende in maniera indipendente, essa fu sentita come realtà attuale durante le due prime generazioni; tra i figli di Tulūy, che aveva avuto in appannaggio la Mongolia propria, la supremazia fu tenuta da Mangū (Möngū Ke), il quale, continuando a risiedere nell'avita capitale di Karakorum, mandò uno dei suoi fratelli, K., a continuare le conquiste nel territorio cinese, e l'altro, Hūlāgū, a estendere il dominio tataro oltre la Persia, verso l'Armenia e la Mesopotamia. La morte di Mangū (1257), parve compromettere l'unità dell'impero, a cagione dell'aspirazione al khānato supremo da parte del ramo di Ogutāy (altro figlio di Genghiz Khān) e della rivolta di un terzo figlio di Tulūy; Arigbuga, contro il proprio fratello (furono appunto questi eventi quelli che indussero Hūlāgū, dopo la presa di Baghdād e quella di Aleppo, a rinunciare a dirigere personalmente la conquista della Siria e a ritornare in Mongolia; il che agevolò agli Egiziani la vittoria sui suoi luogotenenti); ma, vinto Arigbuga e respinti i tentativi dei discendenti di Ogutāy, K. rimase capo incontrastato dell'impero, e potè proseguire le sue conquiste verso sud. Già sotto Genghiz Khān la Cina settentrionale era caduta in potere dei Tatari; ora (1260-1279) anche la parte meridionale del paese fu sottomessa; K., divenuto così sovrano dell'intera Cina, non avrebbe potuto continuare a risiedere in una capitale così eccentrica come Karakorum, e trasportò la sede del governo a Pechino, chiamata dai Tatari Khānbalik: trasferimento che richiama, appunto perché dovuto a cause analoghe, quello della capitale dell'Impero macedonico a Babilonia sotto Alessandro. E se l'immenso accrescimento della potenza tatara fece di K., il più potente sovrano del suo tempo, d'altra parte la progressiva sinizzazione della sua dinastia finì col distoglierlo dall'intervenire attivamente nell'Occidente e col favorire lo smembramento dell'impero. Lo stesso K., benchè serbasse integro il proprio sentimento nazionale tataro, non poté sottrarsi all'influsso della superiore civiltà cinese: la descrizione che Marco Polo (il quale, com'è noto, non solo fu in stretta relazione con K ma fu addirittura suo agente nel governo di provincie e in missioni diplomatiche) ha lasciata della corte di Khānbalik e del suo sforzo barbarico mostra come la primitiva semplicità dei costumi tatari fosse già in via di trasformarsi. Certamente K. cercò di mantenere in equilibrio, e in un certo senso anzi di amalgamare, le svariatissime civiltà dei suoi sudditi; particolarmente fu favorevole ai musulmani, i quali rappresentavano l'elemento economicamente e culturalmente più progredito e gli davano inoltre, appunto perché stranieri di stirpe e di religione, maggiore affidamento di fedeltà che non l'elemento indigeno nel governo della Cina. Anche con i cristiani mantenne buone relazioni, come è provato, tra l'altro, dall'accoglienza fatta non solo ai Polo, ma anche ai missionarî francescani (preceduto del resto in ciò da suo fratello Mangū rispetto a Guglielmo Rubruk e a Giovanni di Pian del Carpine), e dalla tolleranza mostrata verso la chiesa e le missioni nestoriane.
K., al quale tanto le fonti europee quanto quelle musulmane riconoscono concordemente ingegno vivace, volontà ferma e decisa, nobiltà e benevolenza d'animo, cercò di restaurare il benessere della Cina, devastata da un lungo periodo di guerre esterne e interne: i suoi provvedimenti a vantaggio dell'agricoltura, della viabilità, della circolazione monetaria rivelano in lui la capacità di un grande uomo di stato. Ma il desiderio (o forse la necessità) di continuare la politica di espansione militare lo indusse a spedizioni lontane (fino al Giappone: questa terminata infelicemente), che compromisero i risultati della sua opera di restaurazione interna (per i particolari, v. cina: Storia), né gli riuscì di risolvere per i proprî successori il problema cruciale di tutte le dinastie straniere: quello di trasformarsi in nazionali senza perdere al tempo stesso quelle qualità individuali e quelle forze fornite dall'ambiente d'origine, alle quali appunto è dovuto il loro successo.
K. morì, dopo lunghissimo regno, nel 1294, in età assai avanzata essendo il 1214 la data probabile della sua nascita.