HAMSUN, Knut
Romanziere e poeta norvegese, nato a Lom nel Gudbrandsdal, il 4 agosto 1859: insignito del premio Nobel nel 1917: vive a Nörholmen presso Skien, nella Norvegia meridionale: temperamento primordiale d'artista di potente lirismo, giunto all'arte non dalla letteratura e dagli studî, ma direttamente dalla vita, dopo aver trascinato la lotta per l'esistenza di mestiere in mestiere, ora in Norvegia e ora in America, portato alla poesia da una necessità interna elementare, con una sicurezza di sé e delle proprie vie quale solamente s'incontra negli scrittori per i quali la propria opera è imposta senza possibilità di deviamenti, dalla propria natura, esordì negli anni in cui la iniziale brutalità del naturalismo s'andava ammorbidendo nelle delicate raffinatezze dell'impressionismo, e apparve come una rivelazione.
Cantando in un romanzo la sua fame (Sult, Fame, 1890), mentre rappresentava con crudezza di particolari lo spasimo dell'uomo a cui manca anche materialmente il tozzo di pane, riportava invece la vita nell'interiorità dell'individuo, risolvendo il dramma della realtà nella trionfante ebbrezza di un'umanità per la quale l'intensità delle sofferenze non costituisce che la misura delle proprie forze.
E impostava cosi già fin d'allora quello che sarebbe stato il motivo dominante della sua opera: la poesia dell'individuo che ha soltanto in sé le sorgenti della sua vita, e nel mondo esterno è e si sente sempre come un estraneo, e dal mondo esterno non trae che stimoli allo svolgimento della sua vita interna, secondo leggi proprie e per virtù di proprie forze in cui si esprime, al di là di ogni logica razionale, e con la verità degli istinti, la natura.
È una posizione spirituale che conteneva in sé elementi di conflitto e di dramma; e nella seconda parte della trilogia drammatica Ved Rigets Port (Presso le porte del Regno, 1895), Livets Spil (Giuoco della vita, 1896), Aftenröde (Tramonto, 1898), il dramma di Kareno, il pensatore che in un tardo ardere di passione annienta sé stesso e l'opera della sua vita, assume in taluni momenti un calore di vita vissuta; e analogamente anche più tardi in Livet i Vold, (In balia della vita, 1910) ha accenti di passione e novità di trovate il dramma della crisi di sensi e d'anima di Julienne Gihle che non si rassegna al passar del tempo. Ma più che nella concretezza della creazione, la poesia dei drammi è nelle anime solitarie, le quali in sé stesse si esaltano e s'ammalano; e il perno dei drammi è nel sentimento dell'incomunicabilità che separa queste individuali solitudini. L'opera drammatica più caratteristica di H. è Munken Vendt, il quale, più che un dramma, è un poema lirico-drammatico, e presenta personaggi che sono simboli, e accanto a figure di uomini, figure che sono di mito ma son mescolate con quelle, e tutte sono ugualmente proiezioni dell'anima del poeta in un mondo immaginario, nel quale le forme della realtà si confondono e le leggi della vita sono mirabili e strane, espressioni del senso di mistero da cui ogni poesia di H. affiora.
Riluttante anche a lasciarsi costringere in forme conchiuse - alla lirica vera e propria (Det vilde kor, Il coro selvaggio, 1904) manca spesso il dono del libero volo e del canto - l'ispirazione di H. si è riversata soprattutto nella sua opera narrativa. La quale, considerata nella sua totalità, presenta essenzialmente due momenti successivi. Il primo è quello della scoperta e conquista dell'interiorità individuale come di un mondo che è ricco, infinito, come la natura: nel romanzo Mysterier (Misteri, 1892), il modo d'agire e di parlare del protagonista è sempre fuori delle convenzioni e della ragionevolezza dell'"uomo sociale", determinato da un sentimento interiore, di fronte al quale la realtà esterna, mentre s'illumina di recondite psicologiche verità, al tempo stesso si deforma in linee di caricatura, e la vita vera degli uomini invece appare svolgersi tutta sopra un altro piano, dove la parola del sentimento e del pensiero è purità di lirica, canto. E la lirica, il canto, continuamente zampillanti dal profondo d'una realtà, la cui quotidiana vicenda invece non può essere osservata senza sorriso, sono anche la nota caratteristica degli altri romanzi di questo gruppo: Under Hoststjernen (Sotto le stelle d'autunno, 1906; En Vandrer spiller med Sordin, Un viandante suona in sordina, 1909; Den siste ghede, (L'ultima gioia, 1912) e, in parte, delle novelle minori dello stesso tempo raccolte in Siesta (1897), I eventyrland (Nel paese dell'avventura, 1903); Kratskog (Il bosco incantato, 1903); Stridende liv, (Vita di lotta, 1905). Anche quando in un'ebbrezza di sensi e d'anima la vita sembra attingere il suo vertice, come in Victoria (1898), la costrizione e miseria dell'esistenza sociale schiaccia gli uomini sotto il suo peso. Solo nell'immediato contatto con la natura l'individuo trova, con la liberazione del proprio spirito, la pienezza della sua esistenza. E il capolavoro di questo primo momento della poesia di H. è il romanzo Pan (1894): il poema delle nordiche notti, quando il sole e la luce tutto avvolgono in una sola inebriante plenitudine di sviluppo, e al di là del bene e del male la vita diventa tutta spontaneità d'espansione, finché, frangendosi l'incantesimo, tutto quel mondo si sfascia convulsamente.
Ciò che subito distingue da questa prima fase di H. l'opera posteriore è lo stile: dove ai modi lirico-musicali della composizione si sostituisce una sempre crescente precisione, nitidezza, visività plastica dell'immagine. Riprendendo e rinnovando i modi impressionistici, H. aveva trovato di nuovo la via per innalzare l'inno alla elementare sanità e potenza della natura e della vita; ma ne era stato respinto in margine alla realtà, tanto che il suo eroe, forte della sua vita entro di sé medesimo, era pur sempre rimasto uno sperduto nel mondo. La sua nuova opera nacque dal bisogno di conquistare alla sua arte anche la realtà.
Attraverso i due giovanili romanzi di vita cittadina: Redaktör Lynge (1893) e Ny Jord (Nuova terra, 1893), troppo legati a interessi pratici immediati; poi - più felicemente - attraverso i due racconti di vita paesana nel Nordland: Rosa (1908) e Benoni (1908), il nuovo stile di H. giunge infine a trovare il suo completo equilibrio in Börn av tiden (Figli del tempo, 1913) e Segelfoss By (La città di Segelfoss, 1915). Il tono lirico della prosa hamsuniana permane, ma attraverso l'impostazione unitariamente umoristica del racconto, H. riesce ad abolire la distanza fra sé e le sue creature: l'umorismo non nasce più da un pathos che coglie nella realtà gli aspetti grotteschi, ma è una luce d'intelligenza, che attraverso la comprensione e il sorriso giunge all'amore: cosicché non soltanto le maggiori figure - il tenente Willats Holmsen, Adeldeid, Holmengraa - ma tutta una folla di figure minori vive, intuita con una vicinanza spirituale e con una lucidità di percezione sorprendenti. E, come già per Pan nel periodo precedente, così anche in questo secondo periodo il capolavoro nacque quando l'ispirazione di H. riuscl a trovare in questa vicinanza alla vita il momento del suo più pieno abbandono: con Markens grøde (Germogli della terra, 1917): dove il ritorno alla natura non è più mistica ebbrezza di contemplazione, ma quotidiano lavoro, vita individuale e sociale che dal contatto degli uomini e della terra sorge con semplicità e potenza: nella solitudine dei boschi e dei campi, dove la vita ha il ritmo delle stagioni e l'uomo con le interne sue leggi è partecipe delle leggi della natura, la figura di Isaak grandeggia: in nordici, rudi modi d'arte, il romanzo è il maggior poema georgico che abbia espresso da sé l'anima moderna.
I romanzi posteriori: Konerne ved Vandposten (Donne al lavatoio, 1920); Siste Kapitel (Ultimo capitolo, 1923), dove la vita è veduta dall'angolo visuale d'un sanatorio, integrano la poesia di Markens Gröde, come l'ombra integra in un quadro la luce. Ma l'amarezza talora vi soffoca la poesia. E si comprende come, nella sua ultima opera (Landstrykaren, Il vagabondo, 1930), H. sia ritornato ancora una volta al motivo della sua prima poesia: al viandante eterno che ancora una volta riprende il cammino per le vie del mondo, dove son tante cose tristi, ma la vita, per il solo fatto che è vita, è sempre miracolo.
Ediz.: Samlede Vørker, voll. 14, Oslo 1928; Samlede Romanen, voll. 12, Oslo 1932.