KHARTUM
Nuovo Museo Nazionale del Sudan. - È stato progettato quando in Nubia hanno avuto inizio le operazioni archeologiche di salvataggio, promosse dall'UNESCO in seguito alla costruzione della nuova diga di Assuan, ed è stato inaugurato nel maggio del 1971. L'intento era quello di riuñire in un solo luogo le testimonianze delle antiche culture sudanesi e quei monumenti che la nascita del lago Nasser minacciava di far scomparire per sempre sotto le acque.
Nel giardino antistante all'edificio del museo è stato perciò creato un bacino d'acqua che simboleggia, ricalcandone fedelmente l'orientamento, il tratto del Nilo da Faras a Semna. Sui suoi bordi sono stati ricostruiti alcuni tra i monumenti smontati e trasportati a Kh. durante la campagna di salvataggio in Nubia. All'estremità Ν del bacino, a destra dell'entrata principale del museo, si trova uria fila di cinque colonne provenienti dalla cattedrale di Faras, accanto alle quali è stato ricostruito un muro del tempio di Akša (Semna Ovest). Dall'altra parte del bacino si erge un tumulo che racchiude la tomba di Thotḥotep, principe di Semna Est e contemporaneo della regina Ḥatshepsut.
Quasi di fronte all'ipogeo di Thotḥotep, all'interno di un capannone, si trova il tempio dedicato all'Horus di Buhen, edificato da Ḥatshepsut e successivamente rimaneggiato da Thutmosis III.
Una serie di iscrizioni rupestri separa il tempio di Buhen da quelli di Semna Ovest e di Semna Est (Kumma), ricostruiti uno di fronte all'altro rispettando la posizione che occupavano sul sito di origine. Il santuario di Semna Ovest era stato edificato da Thutmosis III in onore del dio Dedun e del sovrano Sesostris III.
Nel giardino del museo si trovano le statue di rane e di leoni di epoca meroitica provenienti da Basa. La scultura in cui il leone assale alle spalle un nemico inginocchiato è opera non disprezzabile e riscatta la mancanza di proporzioni e la pesantezza di modellato delle altre. Gli arieti dal tempio di Kawa, che fiancheggiano la scalinata di accesso al museo, risalgono al regno di Taharqa (XXV dinastia). I due colossi trasportati dall'Isola di Argo per essere collocati nella parte occidentale della facciata del museo sono sculture che appartengono al periodo «classico» dell'arte meroitica. Sono in granito e raggiungono quasi 7 m di altezza; sono datati al regno di Natakamani (I sec. a.C.-I sec. d.C.).
L'edificio del museo si sviluppa su due piani. Al pianterreno sono raccolte le testimonianze delle culture fiorite sul territorio sudanese dalla preistoria alla fine del regno di Meroe (IV sec. d.C.). Degna di nota è la collezione di oggetti provenienti da Kerma, dove manufatti di origine egiziana si affiancano a quelli di produzione locale. Tra questi ultimi, sono estremamente caratteristici i vasi teriomorfi. Vale la pena di ricordarne uno a testa di ippopotamo (n. 1122) e un altro in forma di struzzo (n. 1134). Un insieme di intarsi in avorio, osso e mica (n. 1239) testimonia invece il grado di compenetrazione raggiunto a Kerma tra la cultura egiziana e l'elemento autoctono. Motivi decorativi egizi (avvoltoio con le ali spiegate, la dea Toeris) si mescolano a quelli d'ispirazione più prettamente africana (giraffa che bruca tra gli alberi).
Numerosi sono i monumenti di sovrani e funzionari egiziani del Medio e Nuovo Regno, provenienti dalle fortezze nubiane e ora esposti nelle sale del museo. Nella statuaria privata, quasi tutta databile alla XII-XIII dinastia, si ritrovano i modelli più in voga nella madre patria e soltanto una certa insicurezza nella resa del modellato e delle proporzioni può far supporre, per alcune opere, la produzione in laboratori di artisti egiziani in territorio nubiano.
Prodotti interamente egiziani sono invece i reperti databili alla XXV dinastia, quando le popolazioni nubiane riuscirono a imporre il loro predominio su tutta la valle del Nilo fino a Memfi. Da questa temperie culturale deriva il colosso in granito nero di Taharqa (n. 1841). Nella statua acefala della regina Amanimalel (n. 1843), moglie del sovrano Senkamanisken, è invece già rilevabile un certo distacco dai canoni artistici egiziani.
Il regno di Meroe è rappresentato da una serie di oggetti di alto artigianato, dove elementi culturali egizi, ellenistici e poi romani si innestano su quelli locali. Soprattutto nelle opere in metallo e in vetro le maestranze dell'epoca hanno dato dimostrazione di un alto grado di perizia e di padronanza della materia. La fusione di stili è ben visibile nella c.d. Venere di Meroe (n. 538): la scultura è in arenaria dipinta e ha gli occhi intarsiati; le dimensioni sono leggermente maggiori rispetto al naturale.
Al piano superiore del museo sono esposti gli affreschi che, nel corso della campagna di salvataggio in Nubia, furono asportati dalle chiese condannate a sparire sotto le acque del lago Nasser. Completano il quadro della storia sudanese alcuni reperti relativi alla diffusione della religione e dell'arte musulmana.
Bibl.: F. W. Hinkel, Auszug aus Nubien, Berlino 1978.