KER (Κήρ, Κῆρες)
Genio malefico di morte. In Omero è un genio nero, odioso che uccide i mortali (μελαίνη, στυγερή, ὀλοή), ma vi compaiono anche schiere di Keres oscure le quali, come le Erinni e le Arpie, ghermiscono i morti e li trascinano nell'Ade. Nella descrizione dello Scudo di Achille (Il., xviii, v. 534 ss.), la K. con il mantello rosso di sangue ghermisce i feriti, trascina per i piedi i cadaveri insieme ad Eris e Kydoimos. Le Keres presiedono anche al fato, al destino dell'individuo e se ne impadroniscono al momento della morte, venendo quindi talvolta ad essere avvicinate alle Moirai. Come simbolo del destino di una morte dolorosa (δύο κῆρε τανηλεγέος ϑανάτοιο) appaiono nel xxii canto dell'Iliade, v. 209 ss., dove Zeus pesa sulla bilancia le Keres di Achille e di Ettore, e, risultando quest'ultima più pesante, determina la sorte dell'eroe troiano trascinandolo nell'Ade. Come uguale simbolo fatale, non di un individuo, ma di tutto un esercito, le Keres degli Achei e dei Troiani sono poste sui due piatti dell'aurea bilancia da Zeus nell'viii canto dell'Iliade, v. 70 ss., e, scendendo fino a terra quello degli Achei, Zeus tuona e ne scompiglia le schiere. Una simile Kerostasia si trovava anche nell'Aethiopis di Arktinos per il duello fatale di Achille e Memnone. In Esiodo è conosciuta una sola K. nera figlia della Notte, ma si trova anche una diversa genealogia che conosce più Keres quali castigatrici dei delitti degli uomini accanto alle Moirai. Con reminiscenze omeriche, nell'Aspis (v. 249 ss.) sono descritte come livide, con orridi denti digrignanti, torve, terribili, macchiate di sangue, implacabili, che ghermiscono con le unghie i feriti e i morenti, cupide di berne il sangue, con una colorita caratterizzazione che farebbe quasi pensare a un'ispirazione figurativa.
Questo aspetto omerico continua nella tradizione posteriore accanto a nuovi tratti che si aggiungono trasformando le Keres in vendicatrici di delitti, in semplici genî malefici, come nei lirici; Mimnermo e Teognide conoscono le Keres della vecchiaia e della morte; nei tragici personificano la morte, le malattie, le disgrazie, sono le oscure figlie dell'Ade. Un dramma satiresco di Aristias era appunto intitolato Keres. Talvolta divengono anche genî benefici e finiscono inoltre per personificare l'anima dei morti; in Eschilo (fr. 279, p. 98 ss.) si ha la psychostasìa, la pesatura delle anime di Achille e Memnone da parte di Zeus, e la K. viene identificata con la ψυχή (l'anima).
Il concetto di Keres come anime sembra si debba vedere anche in una formula usata nelle Antesterie, si ritrova in fonti ellenistiche ed è confermato in Esichio. In Apollonio Rodio (iv, 1665 ss.) le Keres sono cagne rapide dell'Ade che dalle nebbie si slanciano sui mortali (᾿Αΐδαο ϑοὰς κύνας).
Questi varî aspetti della tradizione mitologica si riflettono in quella figurativa. Già nell'Arca di Kypselos (Paus., v, 19, 6) nella scena del duello mortale tra Eteocle e Polinice compariva K., distinta dall'iscrizione, dai denti bestiali e dalle unghie ricurve e adunche, dietro a Polinice ferito. Probabilmente i dèmoni che compaiono dietro Eteocle e Polinice nelle tarde urnette etrusche sono una rielaborazione e una interpretazione etrusca dell'originario motivo della K. greca.
Nel mito greco Eracle è l'eroe che debella il male, che combatte contro i mostri e i dèmoni malefici e viene quindi messo anche in relazione con K.; in Licofrone (663) Eracle è detto infatti "distruttore della K." (κηραμύντης ὁ ῾Ηρακλῆς, ὁ τὰς κῆρας διώκων•ἀλεξίκακος γάρ) e nell'Inno Orfico (12, 15) lo si invoca come colui che ha annientato le Sventure, le Àtai, con la sua clava e le dure Keres con le alate frecce. Poco probabile è vedere la scena della lotta di Eracle contro K. in un riquadro di imbracciatura bronzea di scudo da Olimpia del VI sec. a. C., come supponeva il Furtwängler, ed è più verisimile riconoscere nel demoniaco avversario l'Incubo (v.), perché K. si penserebbe alata. Alata infatti compare in una pelìke attica a figure rosse dei Musei di Berlino, databile verso il 470, dove Eracle la tiene afferrata per la gola, sollevandola in aria, sgambettante, e sta per darle il colpo mortale con la clava che brandisce nella mano destra alzata. Il ceramografo ci offre una particolare caratterizzazione di K. come un piccolo dèmone alato femminile nudo e, se il corpo è quello ben proporzionato e tenero di una fanciullina, il suo carattere malefico e demoniaco si esprime nel volto con l'accentuazione del brutto nella fronte bassa e sfuggente, nelle labbra sporgenti, nel mento rientrante, nella forte prominenza dell'occipite e nell'incolta zazzera di capelli lisci, tirati indietro con un'acconciatura anticlassica che vuol definire la natura demoniaca del soggetto.
Accanto a questa significativa caratterizzazione del genio malefico nell'arte dello stile severo, più vaga e incerta rimane la formulazione nelle scene di pesatura del destino o dell'anima di combattenti delle minuscole figurine poste sui piatti della bilancia, in relazione anche alla varietà di significati che risulta nella tradizione letteraria. In una lèkythos a figure nere da Capua, anteriore ad Eschilo, le figurine alate pesate da Hermes fra due combattenti potrebbero chiamarsi Keres, ma quando nelle fonti letterarie si parla di psychostasìa è forse più giusto chiamare le figurine che compaiono sui piatti della bilancia anime, ψυχαί. Troviamo figurine alate o senz'ali, nude o vestite, talvolta come minuscoli guerrieri in atto di combattere; generalmente è Hermes che controlla la bilancia alla presenza di Zeus e di altre divinità, e il motivo passa anche nell'arte etrusca e si ritrova su specchi incisi. Anime forse, più che Keres, possono dirsi le figurine alate volteggianti o sul defunto steso sulla klìne, oppure intorno alle tombe su lèkythoi a fondo bianco, o in volo orizzontale sulla testa del guerriero caduto come in un frammento a figure rosse di Palermo (già Collezione Casuccini). Quando troviamo peraltro non una, ma più figurine volteggianti intorno a un defunto, resta incerto se debbano considerarsi εἴδωλα, ψυχαί, anime dei morti, meno verisimilmente Eroti funerarî, come pensa il Pottier, o Keres, come crede il Crusius, che le dice accorrenti ad accogliere una nuova compagna.
Il carattere funerario di K. perdura, come attesta un epitaffio nell'Anthologia Palatina (vii, 154), in cui questo dèmone è raffigurato nella tomba di Koroibos ad Argo.
Bibl.: O. Crusius, in Roscher, II, i, cc. 1136-1166, s. v. Keres; Malten, in Pauly-Wissowa, Suppl. IV, 1924, cc. 883-900, s. v. Ker; O. Waser, in Roscher, III, 2, 1897-1902, cc. 3222-3234, s. v. Psyche, b) εἴδωλα; id., in Roscher, V, 1916-1924, c. 501 ss., s. v. Thanatos; J. Overbeck, Gal. her. Bildw., Braunschweig 1853, tav. XXII, 7 e 9; A. L. Millin, Peint. de vases, I, Parigi 1808, p. 19; E. Gerhard, Etr. Spiegel, Berlino 1840-57, III, p. 235, I; Hartwig, in Journ. Hell. St., XII, 1891, p. 340; A. Furtwängler, in Arch. Anz., 1895, c. 37, n. 34, fig. 11: K. Neugebauer, Führer durch das Antiquarium, Berlino 1932, p. 118, n. 3317.